L’immagine della Madonna di Otranto trafugata da un turco e portata a Valona.
Il suo miracoloso ritorno in patria.
L’intrepido comportamento di una fedele otrantina.
Un insegnamento perenne: la santa Vergine accompagna sempre i suoi figli e condivide la loro stessa sorte.
L’incoraggiamento a combattere per il trionfo di Maria Regina.
Cristianità n. 75, luglio-agosto 1981
Un invito alla speranza e alla devozione mariana
Chi, entrando nella Cattedrale di Otranto, si accosti alla nicchia che si trova sulla destra dell’altare maggiore, può ammirare e venerare una statua della santa Vergine nell’atto di adorare a mani giunte il divin Figlio che ha sulle ginocchia; a quell’immagine è collegata una indulgenza plenaria che, nel 1564, il Pontefice Pio IV concesse a chiunque le avesse fatto omaggio, visitandola, il giorno 8 settembre.
L’esilio a Valona
Qual è il motivo del singolare privilegio?
La Madonna di Otranto ha una storia splendida, intimamente collegata con quella degli Ottocento Martiri (1), e che sottolinea, ancora una volta, come la madre di Dio partecipi alle vicende dei suoi figli sparsi sulla terra, e soprattutto di quei figli che più soffrono per il nome di Cristo.
Nel 1480, qualche giorno dopo la conquista di Otranto da parte dei turchi, un ufficiale dell’esercito di Maometto II si accorge della presenza nella cattedrale dell’immagine della Vergine e, ritenendola di oro, la trafuga e la porta con sé a Valona, città dove abita (2); qui giunto, però, constata che la statua è di legno dorato e, deluso, la getta sotto il letto, come cosa inutile.
Nella dimora del turco vi è, tra le schiave, anche una donna otrantina, la quale, sapendo dell’accaduto, soffre non poco, in cuor suo, al pensiero che la sua Regina, colei che era venerata ogni giorno nella sua città natale e di cui ella stessa aveva tante volte supplicato l’aiuto, si trova ora abbandonata in quel luogo ignobile, ignorata o disprezzata dagli abitanti della casa; la povera donna non cessa di pregare, quando può, per la liberazione non sua, ma della santa Vergine.
Il Cielo accoglie le sue invocazioni; dopo qualche tempo, infatti, la moglie dell’ufficiale, che è incinta, viene «presa dai dolori del parto con grave pericolo di morte» (3): i medici non sanno fornire alcuna cura adeguata e disperano della vita della donna. Si fa avanti allora, «ispirata da Dio» (4), la schiava otrantina e, presentandosi al padrone, gli spiega che sua moglie può guarire, ma a un patto: che sia liberata la divina Signora, relegata sotto il letto, e che sia rimandata a Otranto (5).
Il turco dapprima schernisce la schiava, rispondendole che, se medici e uomini di scienza non riescono a concludere niente, ancor meno potrà fare un pezzo di legno; poi pensa che quello dell’otrantina può essere uno stratagemma per cercare di tornare a casa insieme alla statua, approfittando del suo dolore. Ma la donna lo rassicura: «Sono convinta – ella gli spiega – che io non vedrò mai più la mia Otranto; che dovrò morire in una terra straniera. Però se desideri che tua moglie guarisca, è necessario che tu liberi quell’augusta Signora. Per raggiungere Otranto, la mia Madonna non ha bisogno di nessuno: sola vi andrà; io rimarrò qui, tua schiava, e la signora guarirà» (6).
A questo punto, l’uomo non ha nulla da perdere e, di fronte alle insistenze della schiava e alle sofferenze della moglie, promette che se il parto sarà felice, rimanderà a Otranto l’immagine della Vergine.
«Subito dopo la promessa, cessati i dolori la moglie felicemente partorì» (7); il turco si meraviglia del fatto, ma non si converte; tuttavia mantiene la promessa, fa «mettere su una navicella senza remiganti la statua della Madonna» (8) e l’affida alle onde. Ciò mentre l’esule otrantina, contenta per avere liberato la sua Signora, prega in ginocchio…
Il ritorno a Otranto
In quel periodo Otranto era già stata riconquistata dalle truppe di Ferdinando d’Aragona, e questi aveva lasciato a guardia della città salentina un presidio di uomini; alla sede arcivescovile era stato posto – primo presule dopo la partenza dei turchi – mons. Serafino da Squillace, dell’ordine dei Frati Minori: dopo il turbine che l’aveva travolta, la città dei Martiri comincia il lento e faticoso lavoro della ricostruzione.
Sui bastioni ancora semidistrutti dalie bombarde ottomane, le sentinelle vegliano giorno e notte e scrutano l’orizzonte, pronte ad avvistare il minimo pericolo; una mattina, in una di quelle giornate in cui il cielo terso e l’aria chiara permettono di distinguere agevolmente i monti dell’Albania, compare in lontananza una piccola imbarcazione che avanza verso Otranto. Il fatto strano è che essa non ha remi né vela, né si vedono persone a bordo; eppure viene avanti sicura, come spinta dalla corrente.
Le sentinelle aguzzano gli occhi: anche se la barca, per le sue dimensioni, non costituisce certamente un pericolo, tuttavia esse sono molto incuriosite da ciò che accade; a un certo punto, cominciano a distinguere, al centro del battello, una sagoma, prima confusa, poi sempre più netta: a ben guardare, sembra quasi… ma no – si dicono tra loro – non può essere… Eppure, basta che il legno faccia qualche altro metro, perché su di esso appaia chiaramente proprio lei, la Madonna di Otranto, lei che, dopo avere condiviso l’esilio e le umiliazioni dei fedeli otrantini, ritorna nella sua città per riprendere il posto che le spetta.
La notizia si sparge in un baleno in Otranto e quando la barca giunge a riva, ad attenderla, tra inni di gioia e campane che suonano a festa, vi è il popolo intero, con a capo l’arcivescovo, il capitolo e il clero: tutti onorano la pia immagine e poi, con le lacrime agii occhi, la conducono in processione alla cattedrale.
L’arcivescovo ordinò di far costruire, accanto all’altare maggiore, una nicchia in marmo, poi completata dal suo successore Antonio da Capua, nella quale fu collocata l’immagine della Madonna e in cui essa si può ancor oggi venerare, circondata dalle urne dove sono conservati gran parte dei resti mortali degli Ottocento Martiri.
Lo stesso Antonio da Capua ne promosse il culto e ottenne dalla sede apostolica il giubileo per chiunque avesse visitato la chiesa cattedrale il giorno della festa della Natività di Maria: il giubileo fu poi prorogato da Leone XII per tutta l’ottava, cioè dai primi vespri dei giorno 7 settembre fino al tramonto del giorno 16 dello stesso mese.
Aiuto dei Cristiani e Consolatrice degli Afflitti
Scrive Sant’Alfonso che la santa Vergine è, sì, Regina, ma è «una regina tutta dolce, clemente e inclinata al bene di noi miserabili. Perciò la Santa Chiesa vuole che noi […] la chiamano Regina della Misericordia» (9); e tale ella si è rivelata, una volta di più, nell’episodio narrato.
Nel 1480 l’odio anticristiano si rivolge contro Otranto, una delle città più fedeli alla Chiesa, la distrugge, ne uccide tanti suoi figli, ne conduce schiavi in terre lontane tanti altri; e la Madonna, che è sempre vicina a chi le è devoto, soprattutto quando questi è nelle angustie e nelle difficoltà, consente, con atto di materno amore, di condividere anche ella il triste destino degli otrantini e anch’ella prova la via dell’esilio, della umiliazione e dell’abbandono.
La sua presenza simbolica, sotto forma di statua, nella terra degli infedeli, testimonia la sua vicinanza spirituale a fianco dei cristiani oppressi dal turco: è lei che non cessa di infondere loro coraggio, di confortarli e di sostenerli nell’avversa sorte. Ha seguito Nostro Signore sul Calvario. ne ha condiviso le pene e le sofferenze; Madre dei cristiani; non può non seguire le altre membra del corpo di Cristo che ella stessa, come insegna san Luigi Maria Grignion de Montfort (10), ha formato come tali nell’ordine della grazia, soprattutto quando queste sono perseguitate dal nemico.
Anche adesso, come e più di allora, i cristiani sono perseguitati e oppressi, in modo cruento e incruento: anche adesso esistono i martiri: proprio a Otranto, il regnante Pontefice ha esortato a non dimenticare «i martiri del nostro tempo» e a non comportarsi «come se essi non esistessero» (l1). E anche adesso la Madre di Dio è il loro unico sostegno e aiuto nell’abbandono in cui versano; e, come l’immagine di Otranto, ella continua a essere umiliata e disprezzata dagli infedeli, che si sono moltiplicati anche in quelle terre che pure una volta si dicevano cristiane: ciò non può che provocarle profondo dolore: apparendo per la seconda volta ai bambini di Fatima, la Madonna mostrava loro «di fronte alla palma della mano destra […] un cuore circondato di spine che sembravano conficcate in esso»; racconta suor Lucia, nelle sue memorie, che si trattava del «Cuore Immacolato di Maria, oltraggiato dai peccati dell’umanità, che voleva riparazione» (12).
Anche oggi, per il vero figlio di Maria, l’unico modo per alleviare i dolori della sua Madre celeste, è, sull’esempio della schiava otrantina, la preghiera fervorosa, che confida soltanto nell’aiuto divino, e poi l’azione, anche a costo del sacrificio di sé stessi, correndo lo stesso rischio di morte dell’otrantina davanti all’ufficiale turco.
Tempo verrà, ne siamo certi, in cui la Madonna tornerà sui luoghi dove adesso si combatte e si soffre per il suo nome, e tornerà regina e vittoriosa, così come, tra la gioia e il trionfo tributatole dagli otrantini, ella ritornò dopo l’esilio nella città degli Ottocento Martiri.
Che ella accolga, e presto, la preghiera che il Pontefice fra XII, e con lui tutti i veri devoti di Maria, le rivolgeva proclamando la festa liturgica di Maria Regina: «Dal profondo di questa terra di lacrime, ove la umanità penosamente si trascina; tra i flutti di questo nostro mare, perennemente agitato dai venti delle passioni; eleviamo gli occhi a voi, o Maria, Madre amatissima, per riconfortarci contemplando la vostra gloria, e per salutarvi Regina e Signora dei cieli e della terra, Regina e Signora nostra.
Questa vostra regalità vogliamo esaltare con legittimo orgoglio di figli e riconoscerla come dovuta alla somma eccellenza di tutto il vostro essere, o dolcissima e vera Madre di Colui, che è Re per diritto proprio, per eredità, per conquista.
«Regnate, o Madre e Signora, mostrandoci il cammino della santità, dirigendoci e assistendoci, affinché non ce ne allontaniamo giammai. […]
«Otteneteci che coloro i quali ora in tutte le parti del mondo vi acclamano e vi riconoscono Regina e Signora, possano un giorno nel cielo fruire della pienezza del vostro regno, nella visione del vostro Figlio, il quale col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Così sia» (13).
Alfredo Mantovano
Note
(1) Sul tema cfr. il mio Gli Ottocento Martiri di Otranto, in Cristianità, anno VIII, n. 61, pp. 14 ss.
(2) I particolari sulla storia della Madonna di Otranto sono riassunti nel libro della visita compiuta da mons. Lucio de Morra nel 1607, e riportati in Cenno storico sulla prodigiosa Immagine della Madonna che si venera sull’altare Maggiore della Cattedrale di Otranto, in GIOVANNI MECHELE LAGGETTO, Historia della guerra di Otranto del 1480, Tip. Messapica, Maglie 1924, p. 88. Riferimenti all’episodio anche in SAVERIO DE MARCO, Compendiosa istoria degli Ottocento Martiri Otrantini, Tipografia Cooperativa, Lecce 1905, pp. 9 ss. e, più in esteso, in GRAZIO GIANFREDA, Gli 800 Martiri di Otranto, 6a ed., Editrice Salentina, Galatina 1975, pp. 66 e segg.
(3) G. M. LAGGETTO, op. cit., p. 88.
(4) Ibidem.
(5) Il colloquio verosimilmente avvenuto tra i due è narrato da G. Gianfreda, op. cit., pp. 66 ss.
(6) Ibid., p. 69.
(7) G. M. LAGGETTO, op. cit., p. 88.
(8) Ibidem.
(9) SANT’ALFONSO M. DE’ LIGUORI, Le Glorie di Maria, 2a ed., Edizioni Paoline, Catania 1963, vol. I, p. 25.
(10) SAN LUIGI MARIA DA MONTFORT, Trattato della vera devozione a Maria, 35a ed. it., Centro Mariano Monfortano, Roma 1976, p. 35.
(11) GIOVANNI PAOLO II, Omelia sul Colle dei Martiri, del 5 ottobre 1980, in L’Osservatore Romano, edizione settimanale in lingua italiana, 9-10-1980, p. 2.
(12) ANTONIO A. BORELLI MACHADO, Le apparizioni e il messaggio di Fatima, 3a ed. it., Cristianità, Piacenza 1980, p. 34.
(13) PIO XII, Discorso Le testimonianze di omaggio tenuto nella Basilica di San Pietro il 1° novembre 1954, in Maria SS., Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., 2a ed., Edizioni Paoline, Roma 1964, pp. 467-469.