Conferenza dell’Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia, tenuta il 20 gennaio 1992 a Roma, nella sala conferenze di Palazzo Salviati, in occasione della XLIII Sessione 1991-1992 del Centro Alti Studi per la Difesa, trascritta con l’autorizzazione del presule da un opuscolo edito da questo organismo, titolo compreso.
S.E. mons. GIOVANNI MARRA, Arcivescovo titolare di Ravello, Ordinario Militare per l’Italia, Cristianità, 204 (1992)
[Tratto da: http://www.alleanzacattolica.org/indici/mag_episcopale/marrag204.htm ]
Tendenze del mondo cattolico sul tema della pace e della guerra
1. L’avvento del cristianesimo e la pace
Se guardiamo alla storia dei popoli e delle nazioni vediamo che essa si svolge in un incessante alternarsi di guerre e di pace.
Guerra e pace sono parole antiche, ma sempre attuali. Lungo il corso dei secoli, nei confronti della guerra e della pace si sono formate ed espresse sensibilità diverse e nuove, via via sempre più profonde e vaste.
L’avvento del cristianesimo ha segnato un momento fondamentale riguardo ad un modo nuovo di concepire la pace e di giudicare la guerra.
Nel mondo pagano, greco-romano, la guerra faceva riferimento a uno degli dei; per i romani era Marte il dio della guerra cui bisognava sacrificare e da cui si attendeva la vittoria sui nemici.
Nel mondo ebraico la guerra è un fatto religioso in cui è coinvolto lo stesso Jahvé: è lui che conduce il suo popolo alla vittoria, alla liberazione, o anche alla sconfitta e alla schiavitù per punirlo delle sue infedeltà e del suo peccato. Tuttavia, nel linguaggio del popolo ebraico prevale sempre una visione o prospettiva messianica di pace, intesa non solo come assenza di guerra, ma nel senso più ampio e globale dell’ebraico shalom, che significa completezza e integrità e che esprime la condizione o lo stato dell’uomo che vive in armonia con la natura, con se stesso, con gli altri uomini e con Dio.
Col cristianesimo, che ha pure un legame col filone profetico dell’ebraismo, ha inizio un modo nuovo di concepire la pace e di atteggiarsi di fronte alla guerra, alla violenza e al nemico e, in ultima analisi, di fronte all’uomo.
Innanzitutto la pace viene personificata nella stessa persona di Cristo: “Egli infatti è la nostra pace” (Ef. 2, 14). E ancora San Paolo scrive: “Colui che ha fatto dei due [giudei e gentili] un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce” (Ef. 2, 14-16). Gesù risorto dona agli Apostoli il suo primo saluto con le parole “Pace a voi” (Lc. 24, 36).
Ed inoltre la vera pace si vive e si concretizza nell’amore di Dio e dei fratelli, ossia nel comandamento della carità che è l’espressione più alta dell’insegnamento evangelico, che giunge fino ad includere l’amore dei nemici.
Citiamo due brani del Vangelo di Matteo, che sono fondamentali a questo riguardo:
— Mt. 5,43-47: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?”.
— Mt. 5, 38-41: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due”.
C’è poi il discorso della montagna che esprime più compiutamente l’insegnamento di Gesù quanto alla pace, al perdono, al rapporto con i persecutori: “Beati i poveri in spirito… Beati gli afflitti… Beati i miti… Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia… Beati i misericordiosi… Beati i puri di cuore… Beati gli operatori di pace… Beati i perseguitati per causa della giustizia”; e conclude: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt. 5, 3-12).
Tutto questo Gesù ha insegnato ed ha applicato nella sua vita, accettando l’arresto, la condanna a morte, la crocifissione e la morte, pronunciando parole di perdono per i suoi persecutori e carnefici.
2. I militari nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli
Nello stesso tempo troviamo nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli, centurioni e soldati, i cui comportamenti sono sempre positivamente rappresentati:
— Ad un gruppo di soldati che si presentano dinanzi a Giovanni Battista e gli chiedono che cosa debbano fare per salvarsi, questi risponde: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe” (Lc. 3, 14). (Non dice, cioè, di abbandonare il servizio militare).
— Gesù guarisce il servo del centurione il quale, vedendo Gesù stesso andare verso la sua casa dice: “Signore, non stare a disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito”. Gesù è ammirato delle parole del centurione ed esclama: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande” (Lc. 7, 6-9). È questa una lode straordinaria che Gesù rivolge ad un militare romano.
— Sul Calvario, al momento della morte di Gesù, il centurione e quelli che con lui facevano la guardia, sentito il terremoto e visto quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio” (Mt. 27, 54). È una grande testimonianza che i soldati danno nei confronti di Gesù.
— Un altro centurione è il primo dei pagani che si converte al cristianesimo e riceve il battesimo dall’Apostolo Pietro (Atti 10, 1-48).
— Fu ancora un altro centurione che salvò la vita di San Paolo, allorché, durante il naufragio della nave che lo portava a Roma, gli altri soldati romani di guardia volevano uccidere lui e tutti i prigionieri che erano sulla nave (Atti 27, 43).
3. Le prime incertezze e il formarsi della dottrina della “guerra giusta”
Nei primi secoli del cristianesimo, durante il tempo delle persecuzioni, i cristiani si trovarono in grande difficoltà ad accettare il servizio militare ed a partecipare alle guerre; essi, come i pagani, dovevano sacrificare all’imperatore e accettare il culto degli dei, e questo non potevano ammettere, anche a costo della vita.
Quando poi la Chiesa, con l’editto di Costantino, acquista la sua libertà, anche l’atteggiamento dei cristiani verso il servizio militare comincia a cambiare, finché il problema della guerra e della pace diventano oggetto di approfondimento e di discussione tra i Padri ed i Dottori della Chiesa.
Per capire il formarsi di una dottrina specifica in materia di guerra e di pace credo che sia necessario esporre brevemente il pensiero di Sant’Agostino e di San Tommaso, che hanno gettato le basi di quella dottrina detta della “guerra giusta”:
Il pensiero di Sant’Agostino (354-430)
Il disegno di Dio per l’umanità è di riunire gli uomini in una società segnata dall’amore e dalla pace. La guerra si contrappone a questo disegno divino ed è un rinnegamento da parte dell’uomo della sua stessa natura e trova la sua causa principale nel peccato. Tutto questo viene esposto nel De Civitate Dei che tratta della città di Dio e della città terrestre: la guerra è frutto della città terrestre, dove il desiderio smodato del potere e del dominio generano divisioni, lotte e violenza.
Sant’Agostino sostiene:
— le guerre sono sempre un male, perché esse comportano molte e molteplici calamità;
— questa situazione non impedisce che ci possano essere anche guerre giuste;
— ciò che rende giusta una guerra è l’iniquità della parte avversa;
— è necessario che vi sia una causa giusta;
— la volontà deve mirare al bene che con la guerra si può ottenere, rassegnandosi al male che la guerra comporta;
— “La pace — scrive Agostino — deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace! Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi” (Sant’Agostino, Le lettere, III, 189, 6).
— La decisione, per intraprendere una guerra, deve essere presa dall’autorità legittima.
In conclusione per Sant’Agostino, quattro sono le condizioni perché una guerra sia considerata moralmente giusta:
1. violazione del diritto da parte del nemico (causa giusta);
2. necessità inevitabile di intraprendere la guerra;
3. volontà tesa sempre verso il bene della pace;
4. dichiarazione fatta dalla autorità legittima.
Il pensiero di San Tommaso (1225-1274)
San Tommaso si rifà sostanzialmente a Sant’Agostino. Alla questione se ci possa essere una guerra giusta risponde affermativamente, indicando le seguenti tre condizioni:
— l’autorità del principe che la dichiari;
— una causa giusta, cioè una colpa da parte di coloro contro i quali si fa la guerra;
— retta intenzione nel fare la guerra, cioè, che si miri a promuovere il bene.
Quanto alla prima condizione San Tommaso dà la seguente spiegazione: un privato non ha potere di fare la guerra perché egli può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore; il principe invece, non avendo un giudice superiore cui ricorrere per rivendicare un suo diritto, ha potere di proclamare una guerra.
— È opportuno anche ricordare che la cristianità stessa ha promosso due tipi di “guerre sante”: le crociate, per la liberazione del Santo Sepolcro, la guerra contro le invasioni dei turchi, musulmani e saraceni (la battaglia di Lepanto).
— Queste dottrine e queste iniziative di guerre “giuste” o “sante” non hanno impedito alla Chiesa di considerare la guerra un male da cui chiedere a Dio di essere liberati: “A peste, fame et bello, libera nos Domine”.
Francesco da Vitoria (1492-1546)
Sosteneva la legittimità della guerra nel Nuovo Mondo considerando come causa giusta anche la predicazione del Vangelo.
4. I protestanti e le prime tendenze pacifiste
Queste dottrine hanno dominato incontrastate fino ai tempi della riforma protestante, quando appaiono delle tendenze che, richiamandosi al Vangelo e all’esempio di Cristo, cominciano a introdurre posizioni contrarie ad ogni guerra ed a favore della non violenza e del pacifismo.
In particolare si distinguono quaccheri e anabattisti che professano un pacifismo assoluto: sono contro ogni guerra per il principio del “non uccidere” e del non resistere al male, sono per il rifiuto del servizio militare e poi sono i primi a rivendicare l’obiezione di coscienza.
Sorgono movimenti di pacifismo umanitario che non si richiamano direttamente al Vangelo ma si fondano su motivazioni di carattere sociale.
Anche il mondo cattolico subisce l’influenza di questi movimenti pacifisti, sia nel secolo scorso, come nel nostro secolo e ai nostri tempi.
Resta comunque valida la dottrina della guerra giusta, ma le condizioni vengono ulteriormente integrate: si richiede una causa sempre più proporzionata ai mali che la guerra procura e l’assenza di altre vie risolutive della causa stessa.
Agli inizi del secolo XVI emerge la posizione dell’intellettuale cattolico Erasmo da Rotterdam (1466-1536) il quale deplora e giudica inaccettabile alla luce dell’insegnamento evangelico che i principi cristiani facciano la guerra tra loro anche quando si verificassero quelle condizioni che, secondo la dottrina di Sant’Agostino e San Tommaso, potessero giustificarla. Egli comunque ammette la possibilità della guerra contro i turchi e contro le invasioni barbariche, anche se preferirebbe che ci si avvicinasse a loro per convertirli con la parola evangelica e con l’esempio.
La posizione di Erasmo fu un atteggiamento isolato che non ebbe seguito tra i teologi del tempo.
Infatti San Roberto Bellarmino (1542-1621) conferma la dottrina della guerra giusta e precisa che, essendo la guerra un mezzo per la pace, “ma un mezzo molto grave e molto pericoloso, non vi si può ricorrere subito; prima di farlo si deve tentare di difendere la pace per le vie meno onerose, soprattutto chiedendo al nemico la debita soddisfazione”.
Da parte sua, Francisco Suárez (1548-1617) approfondisce la dottrina della guerra giusta sia quanto alle condizioni che la rendono tale, sia quanto al modo conveniente moralmente di condurre una guerra (Jus ad bellum, jus in bello).
Tra il 1500 e il 1700 sono apparsi studi isolati di cattolici tendenti a proporre progetti per una pace universale. Significativo è il progetto dell’abate di Saint-Pierre (1658-1743) basato sui seguenti principi:
— costituire una lega, quasi una federazione tra i principi europei, con un tribunale per risolvere le controversie, onde evitare la guerra;
— istituire un congresso permanente per i contatti regolari tra i principi;
— costituire una forza militare internazionale per richiamare all’ordine i riottosi.
Merita menzione anche la posizione che su questa materia ha assunto Emanuele Kant (1724-1804) col suo progetto Per la pace perpetua dove propone:
— una federazione di Stati liberi;
— rinuncia ad avere eserciti propri;
— definizione di un diritto cosmopolitico che faccia proprie e giudichi le violazioni avvenute in ogni parte della terra.
L’abate di Saint-Pierre ed Emanuele Kant, pur nel loro utopismo, sono precursori della Società delle Nazioni, delle Nazioni Unite e della stessa Comunità Europea.
5. L’opera dei Pontefici di fronte alle due guerre mondiali
Anche gli interventi dei romani Pontefici acquistano toni sempre più accentuati a sostegno della pace e contro ogni guerra. Essi divennero sempre più forti sia in occasione della prima che della seconda guerra mondiale.
San Pio X si adoperò a prevenire la prima guerra mondiale, Benedetto XV ad alleviarne i mali e a favorire il ritorno della pace. Quest’ultimo Pontefice promosse preghiere, propose tregue, inviò appelli, indirizzò note diplomatiche ai capi dei popoli belligeranti, indicò alcuni punti che fermassero la “inutile strage” — secondo l’espressione di San Pio X — e favorissero una pace giusta e duratura:
— abbandono della guerra come mezzo per risolvere i conflitti tra i popoli e diminuzione progressiva degli armamenti;
— condono reciproco dei danni di guerra;
— sforzo di risolvere le controversie territoriali in uno spirito di comprensione che tenga conto del giusto e del possibile, coordinando i propri interessi con quelli comuni del grande consorzio umano.
Con uguale intensità si sono impegnati Pio XI e Pio XII nello scongiurare la seconda guerra mondiale insistendo sempre sul valore supremo della pace e sui danni e mali che comunque le guerre arrecano all’umanità: un ruolo straordinario ha svolto Pio XII non solo prima e durante la seconda guerra mondiale ma anche dopo per aiutare prigionieri, perseguitati, profughi, rimpatriati.
6. Movimenti pacifisti e non violenti del nostro secolo
Le correnti pacifiste e non violente del nostro secolo si richiamano al pensiero dello scrittore russo Leone Tolstoj il quale — come sostiene il card. Giacomo Biffi — riscrivendo il Vangelo, ed eliminando ogni dimensione soprannaturale di Cristo e del suo insegnamento, tutto riduce ad una proposta morale formulata in cinque punti. Uno di questi punti riguarda “il principio della non resistenza al male e della radicale e assoluta non-violenza“. In virtù di questo principio, il delinquente deve essere solo ammonito; alla prepotenza, sia individuale sia delle nazioni bisogna sempre cedere; alle armi dei malvagi non si possono opporre le armi; l’idea stessa di giudizio e di pena viene vanificata; le funzioni di polizia e il servizio militare sono intrinsecamente immorali, lo Stato stesso non è che un brigantaggio organizzato.
Lo stesso card. Giacomo Biffi recepisce e fa sua la risposta che il filosofo russo Vladimir Sergeevic Soloviev dà a Tolstoj con le seguenti considerazioni:
— La dottrina della non violenza è inaccettabile ed in effetti è antievangelica, proprio perché porta alla non difesa dei deboli e privilegia i forti prepotenti.
— Esaminiamo questa teoria tolstojana nel caso concreto. Io vedo un assassino che sta uccidendo un uomo. Secondo Tolstoj non avrei il diritto di intervenire per disarmarlo con la forza; devo solo cercare di persuaderlo con le parole. Ma così facendo non rispetto la dignità umana né dell’aggredito né dell’aggressore, lasciando l’uno e l’altro, in maniera diversa, in balìa degli impulsi cattivi.
— Inoltre — dice il filosofo — la violenza non è intrinsecamente immorale: è immorale se con essa si avvilisce la persona al rango di strumento, ma non in sé. Perciò, si può fare violenza, per salvarlo, a chi sta per annegare e si dibatte nell’acqua, o a un bambino che non vuol sottoporsi a un necessario intervento chirurgico.
— Quanto all’obiezione fiscale che qualche volta viene proposta nell’ambito del pacifismo, Soloviev osserva: “Si dirà: i contributi e le tasse percepite dallo Stato sono utilizzati non per scopi evidentemente utili, ma per delle finalità che mi sembrano inutili o addirittura dannose. Ma allora il mio dovere è di denunciare questi abusi, non certo quello di negare con dichiarazioni o con atti il principio stesso della tassazione da parte dello Stato”.
7. Tendenze pacifiste tra i cattolici
Non v’è dubbio che anche nel mondo cattolico, in questo nostro secolo, alla luce delle grandi tragedie umane che la prima e la seconda guerra mondiale hanno provocato, si è riproposto il problema morale della guerra nella prospettiva di creare condizioni per eliminarla come mezzo per risolvere le controversie che sorgono tra gli Stati. La questione morale è divenuta ancora più grave con l’avvento delle armi atomiche.
Già negli anni trenta un gruppo di teologi e di sociologi cattolici, tenendo conto dello sviluppo degli armamenti e della fondazione della Società delle Nazioni, emisero una dichiarazione, detta di Friburgo, per sostenere che oggi vengono a mancare due delle condizioni richieste per la liceità del ricorso alla guerra: la Società delle Nazioni offre lo strumento alternativo alla guerra per risolvere le controversie internazionali; dopo ciò che è accaduto in distruzione e morti con la prima guerra mondiale non si può più parlare di proporzionalità tra i beni che si sperano ed i mali che si temono. Questa dichiarazione venne poi recepita nel Codice di Morale Internazionale di Malines del 1937.
Dopo il secondo conflitto mondiale il dibattito sulla guerra e la pace è cresciuto di molto proprio a motivo della forte contrapposizione che si è creata tra Patto Atlantico e Patto di Varsavia, tra i paesi orientali comunisti e paesi occidentali democratici, che faceva paventare la possibilità di un conflitto che poteva essere anche atomico con conseguenze disastrose per tutta l’umanità.
Oltre ai pacifisti storici di origine protestante, in Occidente hanno dominato il campo movimenti pacifisti di sinistra e di ispirazione comunista le cui manifestazioni avevano sempre un orientamento antioccidentale e antiamericano con evidente strumentalizzazione comunista e favorevole all’Unione Sovietica: contro il Patto Atlantico, contro la guerra nel Vietnam, contro gli esperimenti atomici americani, contro l’installazione di missili difensivi nei paesi del Patto Atlantico, ma mai contro l’Unione Sovietica.
Da parte cattolica il gruppo pacifista più attivo è quello che si raccoglie intorno al Movimento Pax Christi fondato nel 1944, che ha portato un filone di pacifismo nell’associazionismo cattolico e in modo particolare, per quanto riguarda l’Italia, nell’Azione Cattolica, nelle ACLI, nelle Caritas e, in questi ultimi tempi, in Comunione e Liberazione: movimenti di sinistra e gruppi cattolici che in questo ultimo anno si sono trovati anche uniti nel contestare la guerra del Golfo.
Va qui subito rilevato che le posizioni dei pacifisti cattolici, pur esprimendo una tendenza di taluni settori del mondo cattolico laico e di limitate fasce ecclesiastiche, non rappresentano affatto la linea direttrice ufficiale della Chiesa cattolica nella gerarchia e nella stragrande maggioranza del popolo cristiano: sovente questi movimenti strumentalizzano i necessari interventi del Papa per rivestirsi di una ufficialità che le loro posizioni estremiste non hanno.
Gli interventi dei Pontefici, sia quelli già menzionati di San Pio X, di Benedetto XV, di Pio XI, di Pio XII, come pure quelli più recenti di Giovanni XXIII e di Paolo VI e, in questi ultimi tempi, di Giovanni Paolo II, si collocano tutti su uno stesso piano teologico, pastorale e umanitario, tendenti a prevenire e scongiurare ogni guerra, richiamare tutti al valore supremo della pace ed a sollecitare nel dialogo e nelle intese la soluzione delle controversie. Se si approfondiscono gli atteggiamenti e gli interventi dei Pontefici che si sono trovati di fronte alla prima e alla seconda guerra mondiale, come di fronte alla guerra del Golfo, si può ben constatare come essi allo stesso modo sono stati tutti sempre attivissimi nell’operare con simili iniziative (discorsi, messaggi, lettere, note, incontri e sempre e soprattutto inviti alla preghiera) per prevenire quelle guerre e, una volta in atto, per favorirne e sollecitarne la cessazione. Tutto questo rientra nella missione della Chiesa sia per corrispondere al mandato di Gesù di essere nel mondo annunciatori di pace sia per rappresentare quella profonda istanza di pace che sta nel cuore di ogni uomo e di ogni popolo. Nello stesso tempo i Pontefici hanno trattato con rispetto le decisioni che i governanti, nelle loro responsabilità, hanno ritenuto di prendere, pur condannando le ingiustizie e le lesioni dei diritti da chiunque perpetrati.
Come i Pontefici, anche gli Episcopati nazionali, di fronte ai pericoli delle guerre e più recentemente di fronte ai timori che comportano gli armamenti atomici, hanno ritenuto di far conoscere alle loro comunità il loro pensiero anche per richiamare l’attenzione dei responsabili della cosa pubblica e di quanti hanno responsabilità nelle decisioni.
Numerosi sono i documenti di Episcopati nazionali sui problemi della pace e della guerra che meriterebbero di essere esaminati in quanto, pur in una uniformità sostanziale circa i principi che fra poco riassumeremo, vi sono delle sfumature e talvolta degli orientamenti più accentuati su taluni aspetti, che rivelano il pluralismo delle sensibilità che sui predetti temi si riscontrano nel mondo cattolico. Gli argomenti specifici che vengono affrontati sono: linee pastorali per una educazione ad una mentalità di pace; i pericoli che può comportare una guerra e soprattutto una guerra nucleare; i timori di un sempre crescente armamento; la speranza di un comune graduale disarmo per devolvere i mezzi economici allo sviluppo dei paesi poveri del terzo mondo; un giudizio sulla deterrenza, dissuasione, etc.
Sono di rilievo gli interventi degli episcopati scozzese, olandese, tedesco, francese e degli Stati Uniti d’America. Tutti mirano a che si creino condizioni che escludano la guerra, che si promuova la giustizia per eliminare le cause che possano portare alla guerra. In questi documenti non viene mai affrontato il tema di come una guerra possa considerarsi lecita oggi, nel nostro tempo; tuttavia, anche se con sfumature e accentuazioni diverse, viene da tutti sostanzialmente accolta la dottrina sulla guerra e sulla pace come proposta solennemente dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Accentuazioni differenti si possono trovare ancora riguardo la guerra nucleare limitata e la fabbricazione di costosissimi armamenti nucleari a fine di deterrenza, o a riguardo del disarmo, della produzione delle armi e del loro commercio.
In ultima analisi, queste diversità si possono anche comprendere a livello di studio e di analisi da chi ha soprattutto responsabilità morali di fronte ad un mondo che interpella la Chiesa e da essa si attende un orientamento che favorisca il cammino della pace. In ogni modo i punti che in ogni caso sono sempre tenuti fermi possono essere così formulati: da un lato l’indiscusso diritto alla legittima difesa degli Stati a determinate condizioni, dall’altro il dovere di operare perché sia sempre eliminata l’avventura della guerra e soprattutto la spaventosa tragedia cosmica di una guerra nucleare.
8. L’attuale insegnamento della Chiesa sulla legittima difesa
A conclusione di questa esposizione per grandi linee dell’evoluzione del pensiero della Chiesa e del mondo cattolico circa la pace e la guerra ritengo utile riassumere quello che è oggi l’insegnamento ufficiale della Chiesa su tali argomenti, sia sulla base dei documenti conciliari, sia in conformità al costante magistero pontificio. I principi sono questi:
1. La pace è un valore primario dell’umanità ed ogni uomo di buona volontà, soprattutto i cristiani e coloro che professano una religione, sono chiamati a perseguirlo con ogni impegno. La pace non è solo assenza di guerra, essa è specificamente opera della giustizia, della verità, della libertà e dell’amore fraterno.
2. La guerra è un male che non solo la fede ma neppure la ragione umana dovrebbe mai accettare.
Tuttavia — afferma la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes del Vaticano II — la guerra non è scomparsa dall’orizzonte dell’uomo. E fintanto che esiste il pericolo di guerre, e non vi sarà una autorità internazionale competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di legittima difesa.
3. I Capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati.
4. Nella concretezza della situazione attuale ne consegue che è doveroso da parte degli Stati predisporre le necessarie forze armate per la difesa. Anche quando non si vede chiaramente il nemico temuto da cui difendersi, c’è sempre un nemico potenziale che può sorgere in qualsiasi momento e da ogni parte: lo Stato ha il dovere della previdenza e della prudenza nel garantire sicurezza ai propri cittadini.
5. È auspicabile che vi sia un’autorità politica internazionale capace di risolvere le vertenze tra gli Stati.
6. Anche questa autorità dovrà disporre di forze efficaci pronte ad intervenire per garantire il diritto contro ogni tipo di prevaricazione.
7. Alla necessità e legittimità delle forze armate di uno Stato corrisponde la legittimità morale di “coloro… che, dediti al servizio della patria, esercitano la loro professione nelle file dell’esercito”. Questi sono considerati dal citato documento del Vaticano II “ministri della sicurezza e della libertà dei loro popoli e, se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch’essi veramente alla stabilità della pace”.
Accanto ai militari la Chiesa pone dei sacerdoti, Cappellani, la cui presenza, coordinata da un Vescovo, conferma l’attitudine positiva e favorevole che essa ha per la professione militare stessa: tanto più ora che gli Ordinariati militari, con la Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae sono assimilati alle diocesi.
9. Le condizioni per una legittima difesa
Sia il Concilio sia i teologi moralisti cattolici non amano più adoperare la tradizionale dizione di “guerra giusta”. È invalso il convincimento che una guerra, qualsiasi guerra, non possa mai definirsi giusta. La dizione adoperata è quella di “legittima difesa”, anche se i pacifisti più accesi del mondo cattolico giudicano inaccettabile sia la dizione sia il contenuto della legittima difesa stessa.
Perché si possa ricorrere alla legittima difesa secondo la comune e tuttora vigente dottrina della Chiesa è necessario che si verifichino le seguenti condizioni:
1. Una giusta causa grave e diretta.
2. Una autorità competente: cioè, possono decidere il ricorso alla legittima difesa soltanto coloro che legittimamente sono preposti alla cosa pubblica e al bene comune.
3. Una retta intenzione: cioè, l’intenzione effettiva di difendersi per respingere l’aggressore e per ristabilire una vera pace nella giustizia; che non sia, cioè, il pretesto per altri scopi.
4. Rimedio estremo o “ultima ratio”, cioè che non vi siano altri rimedi per sanare la controversia.
5. La probabilità del successo, cioè di conseguire il ristabilimento del diritto leso, onde evitare che ad un primo danno subito se ne aggiungano altri più gravi.
6. Proporzionalità tra il fine giusto che si persegue e i danni che, per sé e per gli altri, possono derivare. Su questo criterio c’è un grande dibattito tra i moralisti cattolici in quanto taluni ritengono che oggi la tecnologia moderna, lo sviluppo delle armi chimiche, biologiche e nucleari e l’avvento della guerra aerea con tutte le possibili immani capacità distruttive di uomini e cose non rende mai più possibile la proporzionalità tra mezzi e fine, tra il pur giusto e legittimo bene da conseguire e il male globale che si provoca anche oltre i confini dei belligeranti.
Tuttavia la condizione della proporzionalità resta valida nella misura in cui l’azione militare si contiene entro i limiti della legittima difesa. Il timore che con le potenzialità di cui si dispone oggi si possono facilmente superare questi limiti, induce l’autorità morale della Chiesa a scongiurare ogni guerra. A tale riguardo già Pio XII in una allocuzione del 19-10-1953 afferma questo principio: “Non basta dunque doversi difendere da qualche ingiustizia per utilizzare il metodo violento della guerra. Quando i danni che questa comporta non hanno confronto con quelli dell’”ingiustizia tollerata”, si può avere l’obbligo di “subire l’ingiustizia””.
7. In conseguenza di quanto sopra esposto, lo stesso Concilio Vaticano II, nel citato documento Gaudium et Spes afferma con chiarezza: “Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato” (n. 80).
10. L’opera della Chiesa per la pace
Nel valutare la posizione del magistero della Chiesa e gli stessi atteggiamenti della comunità cristiana o di singoli cristiani sui temi della guerra e della pace, non dobbiamo mai dimenticare che la propensione per la pace è sempre prevalente in quanto corrispondente alla missione di pace che la Chiesa è chiamata a compiere tra gli uomini, come impegno di edificare nel mondo il regno di Dio, annunciato da Gesù, che è Regno di verità, di amore, di giustizia e di pace.
Di fronte al pericolo di ogni guerra, la Chiesa, il Papa, i vescovi sentono il dovere di collocarsi sul piano alto dei valori della vita, della solidarietà, della fraternità universale ponendosi sempre dalla parte della pace e operando perché si rinunci alla guerra come metodo per la soluzione delle controversie. In particolare le parole del Papa, che diventano sempre più forti quando il pericolo di guerra è più vicino, vanno considerate in relazione all’adempimento di quella missione di pace che è sua propria e che discende direttamente da Cristo di cui è il rappresentante, il Vicario in terra. In nessun caso il Papa potrebbe dire: sì, fate la guerra perché è giusta. Egli invece — come tutti i Pontefici di questo secolo hanno sempre fatto — ha esercitato la sua autorità morale per dissuadere dall’intraprendere la guerra e per indicare quelle che sono le vie degne dell’uomo per la composizione delle controversie, per allontanare la guerra, per difendere il diritto, la giustizia e quindi la pace.
A tale scopo la Chiesa opera innanzitutto attraverso l’annuncio del Vangelo a creare nel mondo una mentalità di pace come, in particolare, la Chiesa fa anche con la Giornata Mondiale della Pace istituita 25 anni fa da Paolo VI.
La Chiesa favorisce, a fine di pace, incontri internazionali di giovani, di intellettuali, di uomini di governo, di militari; sostiene l’opera degli organismi internazionali e sovranazionali, che sono le sedi appropriate dove si possono e si dovrebbero superare le controversie, come le Nazioni Unite e la Comunità Europea.
Nel suo realismo la Chiesa ha sempre esortato gli Stati al disarmo bilaterale e controllato e nello stesso tempo, in determinate condizioni, ha giudicato anche possibile ed utile la dissuasione e la deterrenza come mezzi per scoraggiare la temuta aggressione. A tale riguardo Giovanni Paolo II così si è espresso: “Nelle condizioni attuali, una dissuasione basata sull’equilibrio, non certo come un fine in sé ma come una tappa sulla via di un disarmo progressivo, può ancora essere giudicata come moralmente accettabile” (1982).
Oggi possiamo constatare come la deterrenza e la dissuasione — nonostante i rischi che avrebbero potuto comportare — hanno prodotto risultati positivi di pace e di disarmo.
E inoltre, di fronte anche a talune tendenze del mondo cattolico che privilegiano l’obiezione di coscienza rispetto al servizio militare, il Papa più volte ha esaltato il valore ed il significato del servizio militare. Cito quanto Giovanni Paolo II ha detto ai militari polacchi nel suo viaggio in Polonia nel giugno dello scorso anno 1991: “Il servizio militare non è soltanto un mestiere o un dovere. Deve essere anche un comando [un impulso] interiore della coscienza, un comando del cuore. Le tradizioni militari dei polacchi lungo i secoli hanno legato il servizio militare all’amor di Patria” (Polonia, 2 giugno 1991). Quanto all’obiezione di coscienza così propagandata da taluni gruppi cattolici, va detto che la citata Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, ne fa cenno in termini molto contenuti con le seguenti parole: “Sembra inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana”; il card. Giacomo Biffi vede in questo testo, più che una giustificazione dell’obiezione di coscienza in se stessa e tanto meno un diritto soggettivo, la raccomandazione a trattar bene, avere comprensione per coloro che credono di doverla avanzare. In ogni modo l’orientamento ufficiale della Chiesa riconosce l’obiezione al servizio militare purché sia autentica obiezione che proviene dalla coscienza e non sia soltanto obiezione di comodo, per sfuggire cioè al sacrificio che il servizio militare può comportare.
Ed infine il mezzo più proprio della Chiesa e della comunità cristiana per allontanare la guerra e per promuovere la pace è la preghiera. Preghiera per la pace che la Chiesa promuove con tutti gli altri fratelli cristiani di denominazioni diverse, anche con i rappresentanti di altre religioni, come nell’incontro di Assisi del 1987.
La fede ci dice che la pace, in ultima analisi, è dono di Dio; l’uomo deve rendersi degno di ricevere questo dono. Ogni giorno nella Messa ricordiamo la promessa di Gesù fatta agli Apostoli: “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace”. E noi la invochiamo come suo dono ripetendo ogni giorno: “Dona nobis pacem, Domine”, “Donaci la pace, o Signore”.
+ Mons. Giovanni Marra
Arcivescovo titolare di Ravello
Ordinario Militare per l’Italia