Prof. A. Torresani. 9. 1 Enrico VII e la fine della guerra civile. 9. 2 Enrico VIII defensor fidei. 9. 3 Thomas More, suddito fedele del re ma prima ancora di Dio. 9. 4 Thomas Cranmer suddito fedele del re prima che di Dio. 9. 5 Le principali vicende della Riforma anglicana. 9. 6 Cronologia essenziale. 9. 7 Il documento storico. 9. 8 In biblioteca
Cap. 9 L’Inghilterra dalla guerra civile a Enrico VIII
L’Inghilterra è il paese che ha tratto maggiori profitti dalle esplorazioni geografiche, anche se all’inizio fu scarso il suo apporto diretto. Fino a quel momento l’isola non aveva accettato la sua vocazione di potenza insulare, che doveva innanzi tutto fondare la propria supremazia sul mare. Nel XV secolo, le sue forze furono assorbite dall’interminabile conflitto con la Francia, alla fine risultata vincente, lasciando all’Inghilterra solamente la città e il porto di Calais. Inoltre, un conflitto dinastico tra le casate di York e di Lancaster sboccò in una guerra civile durata un trentennio, fino al 1485. In seguito, Enrico VII, propose ai sudditi una politica più sensata, portando la dinastia Tudor ai vertici del consenso interno: fu soprannominato “re mercante” e non dimenticò che il giorno dell’incoronazione si usava mettere accanto al trono un sacco di lana per ricordare al re che era gradito solo se assicurava prosperità agli allevatori di pecore.
La guerra dei Cent’anni e la guerra civile avevano fatto perdere agli Inglesi il contatto con l’Umanesimo, il movimento della cultura più vivace dell’epoca, l’Umanesimo, e perciò si affrettarono a invitare nell’isola alcuni dei più qualificati umanisti del continente. Polidoro Virgilio ed Erasmo da Rotterdam soggiornarono in Inghilterra stabilendo durature amicizie con John Colet e Thomas More, gli astri dell’umanesimo britannico.
La riforma protestante colse l’isola in piena attività di trasformazione. Dapprima il giovane re Enrico VIII si atteggiò a difensore dell’ortodossia cattolica e scrisse, o accettò di firmare l‘Assertio septem Sacramentorum. Più tardi, tuttavia, non solo per la questione del suo matrimonio con Caterina d’Aragona, intuì i vantaggi della riforma, condotta secondo uno stile peculiare. Un solo uomo seppe resistere amabilmente, ma anche in modo intransigente all’iniziativa riformatrice di Enrico VIII: il suo ex cancelliere Thomas More che difese, a costo della vita, la libertà delle coscienze e la necessità di opporre al nascente assolutismo statale la certezza del diritto. L’Utopia di Thomas More è la riflessione più acuta che si possa porre accanto al Principe del Machiavelli nel tentativo di indagare la natura della politica.
9. 1 Enrico VII e la fine della guerra civile
La successione di Edoardo IV Edoardo IV, il vincitore della guerra civile che va sotto il nome delle Due Rose, regnò fino al 1483, anno in cui morì lasciando due giovanissimi figli. Il loro zio Riccardo, immortalato da una tragedia di Shakespeare, li fece imprigionare nella Torre e di loro si perdette ogni notizia. La casa di Lancaster, tuttavia, non era stata distrutta perché c’era Enrico Tudor, un nipote di Enrico VI, inviato all’estero per metterlo al sicuro. Nel 1485, Enrico Tudor sbarcò nel Galles con un piccolo esercito: nonostante che Riccardo III vantasse esperienza militare, il 2 agosto 1485, a Bosworth si accese una zuffa confusa in cui Riccardo III rimase ucciso (in quell’occasione avrebbe gridato “Il mio regno per un cavallo”). Enrico VII Tudor divenne re e fondò la dinastia più famosa d’Inghilterra, quella che assicurò all’isola la posizione di grande potenza.
Situazione geografica L’isola era divisa in quattro regioni abbastanza diverse: Inghilterra, Galles, Scozia, Cornovaglia. Contava poco più di 2 milioni di abitanti e appariva ricca, soddisfatta di sé, desiderosa di pace. I visitatori, avevano l’impressione che l’isola fosse piuttosto disabitata, e gli abitanti pigri, golosi e gran bevitori di birra. La gente amava la vita in campagna: solo Londra aveva almeno 50.000 abitanti, mentre le altre città n’avevano molti meno. Esistevano le due famose università di Oxford e Cambridge che proseguivano una nobile tradizione locale di studio del latino, della matematica, della filosofia.
Un paese di agricoltori La Gran Bretagna era un paese di agricoltori: vi si produceva il grano necessario al consumo interno e si allevavano cavalli, vacche e soprattutto pecore. Il sistema di coltivazione era quello medievale dei campi aperti, ossia la terra coltivabile di ogni villaggio era divisa in tre parti di cui la prima era arata e seminata a grano invernale; la seconda era coltivata a ortaggi e legumi; la terza era lasciata a maggese perché il terreno recuperasse la fertilità. Il secondo anno era operata la rotazione, e la parte seminata a grano diveniva maggese adatto al pascolo che ha il compito di fertilizzare il terreno impoverito dalla coltivazione del grano. Ciascuna delle due parti utili per l’alimentazione umana era divisa in strisce sorteggiate tra le famiglie del villaggio in ragione della forza lavoro fornita, cosicché la proprietà della terra era comune per gli abitanti del villaggio. Questo sistema aveva qualche vantaggio soprattutto per i più poveri o i meno robusti, ma presentava qualche inconveniente perché le persone più abili o più intraprendenti non potevano investire denaro nella speranza di migliorare i raccolti futuri.
Agricoltura di sussistenza Anche gli attrezzi agricoli come carri, aratri, gioghi erano possesso comune del villaggio. Ogni anno era macellato un certo numero di capi di bestiame e la carne distribuita per la conservazione a ogni famiglia. Certamente il lavoro nei campi non aveva ritmi eccessivamente faticosi, e c’era posto per tutti, anche se così facendo non c’era la possibilità di accumulo di denaro, perché questo tipo di agricoltura tende a produrre quanto occorre per vivere, con una piccola parte destinata al mercato della città più vicina. La città forniva quei servizi che nel villaggio non si potevano avere, in cambio dei quali i contadini lasciavano quasi tutto il denaro ricavato dalla vendita dei loro prodotti. Alle città, il re imponeva tasse per mantenere la corte e l’esercito. Nei villaggi, la domenica i giovani si esercitavano nel tiro con l’arco, e in caso di guerra erano arruolati.
La produzione di lana Subito dopo l’agricoltura veniva l’allevamento delle pecore con la produzione di lana e tessuti. La Gran Bretagna, per ragioni climatiche, ha sempre avuto meravigliosi pascoli perenni ed è sempre stata produttrice ed esportatrice di lana. La lana era comprata da una gran compagnia i Merchants of the Staple, e trasportata fino a Calais dove una folla di acquirenti di tutta Europa conveniva a epoche fisse. Verso la fine del medioevo i mercanti inglesi si resero conto che i profitti potevano aumentare se, in luogo di vendere la lana grezza, si vendevano tessuti, ma all’inizio i tessuti inglesi furono grossolani, fuori moda, adatti a un pubblico modesto. I profitti maggiori si potevano ricavare solo dai tessuti raffinati, dai colori brillanti, dai disegni di moda. L’introduzione del Rinascimento in Gran Bretagna fu favorita dai suoi mercanti che iniziarono a guardare alla corte di Borgogna e ai principati italiani, dove in fatto di raffinatezza c’era tutto da imparare. I mercanti inglesi impararono tanto bene la lezione che in seguito l’industria tessile britannica fu maestra di gusto a tutto il mondo.
Si espande l’allevamento di pecore L’agricoltura del paese un poco alla volta divenne complementare alla tessitura: poiché le pecore davano un reddito notevole, si cominciò a importare grano dal continente, aumentando le terre destinate a pascolo. Il fatto produsse una sensibile e costante riduzione dei contadini, perché la diminuzione dei grandi lavori agricoli ridusse anche la necessità di mano d’opera. Questa trasformazione dovette superare numerose difficoltà frapposte dalle corporazioni di arti e mestieri che nel medioevo avevano regolato il lavoro degli artigiani. Furono trovate eccessive le feste religiose che comportavano la proibizione del lavoro manuale, ma soprattutto fu avversato il sistema dei campi aperti e delle terre comuni in cui ognuno aveva diritto di pascolo. Iniziò il movimento volto a privatizzare le terre comuni e alla recinzione per escludere dal pascolo gli animali altrui. La recinzione dapprima fu effettuata sulle terre dei grandi proprietari che ottenevano un’autorizzazione a recintare le loro terre, un fatto guardato dalla corona con sospetto perché essa era privata di buoni soldati, ben allenati al tiro con l’arco. Enrico VII guidò tale trasformazione della vita britannica, terminando definitivamente la lotta tra Lancaster e York, mediante il matrimonio con Elisabetta figlia di Edoardo IV di York.
L’Inghilterra si allea con la Spagna La pace interna era quanto mai necessaria a causa delle complicazioni della politica internazionale. Infatti, il re di Francia Luigi XI non aveva cessato di ingrandire il suo regno, sconfiggendo uno dopo l’altro i grandi vassalli. Il figlio, Carlo VIII, adottò la stessa politica: nel 1490 invase il ducato di Bretagna, offrendo alla duchessa Anna di sposarlo, per unire i loro territori. Enrico VII sapeva che se quell’evento si fosse realizzato, l’obiettivo seguente sarebbe stato Calais, la testa di ponte ancora in mano inglese sul continente. Comprendendo che l’Inghilterra era troppo debole per sostenere da sola una guerra contro la Francia, decise di allearsi con la Spagna proponendo una mossa usuale a quei tempi, il matrimonio del primogenito Arturo con Caterina d’Aragona figlia dei re di Spagna (i due principi erano ancora bambini). Il principe di Galles Arturo morì a sedici anni, ma poiché il motivo dell’alleanza perdurava, Caterina fu sposata da Enrico fratello di Arturo, la prima delle sei famose mogli, dopo aver ottenuto una regolare dispensa del Papa dall’impedimento di diritto canonico.
Guerra in Bretagna Enrico VII chiese al Parlamento di stanziare i fondi necessari alla guerra e poi fece sbarcare truppe in Bretagna. Anna di Bretagna, tuttavia, decise di sposare il re di Francia (1491); i re di Spagna non intervennero nella guerra perché erano in procinto di portare l’assalto finale all’emirato di Granada. Pur abbandonato dagli alleati, Enrico VII operò un bluff: raccolse alcune migliaia di soldati come se davvero fosse deciso a far valere i diritti britannici sul trono francese. Nell’ottobre 1492, attraversò la Manica e pose l’assedio intorno a Boulogne. Carlo VIII stava preparando la campagna d’Italia e non aveva alcun’intenzione di accendere il conflitto con l’Inghilterra: dopo nove giorni d’assedio fu firmata la pace di Etaples che prevedeva il versamento di un tributo annuo a favore della corona inglese.
I problemi irlandese e scozzese Enrico VII affrontò la questione irlandese. L’isola verde era stata il teatro di ogni tentativo di invasione dell’Inghilterra che trovasse appoggi all’estero perché gli Inglesi controllavano direttamente solo la regione intorno a Dublino, mentre il resto era controllato dai Lord favorevoli agli York. Rimaneva aperta anche la questione scozzese che Enrico VII risolse col matrimonio della figlia Margaret con re Giacomo IV di Scozia, da cui discesero i re Stuart del XVII secolo.
Governo di Enrico VII Enrico VII governava aiutato da un Consiglio di una ventina di membri che egli consultava singolarmente o a gruppi. Per le decisioni più importanti riuniva anche i Lord insieme col Consiglio (Great Council). Talvolta erano convocati anche i Comuni comprendenti due Knight (rappresentanti di contea) e due deputati per ogni città dotata di autogoverno. La Camera dei Comuni esprimeva il suo parere sulle nuove leggi e sulle nuove tasse: poiché le une e le altre erano rare, i Comuni furono raramente convocati durante il regno di Enrico VII.
Politica finanziaria e navale di Enrico VII Il campo in cui Enrico VII ha maggiormente inciso con la sua azione di governo fu quello delle finanze e delle costruzioni navali. Convinto che un re povero è schiavo dei suoi sudditi, volle arricchire la corona, razionalizzando l’amministrazione e rendendola oculata, perfino avara. Le sue entrate erano formate da una tassa fissa del 6,5% su tutti i contratti delle contee e la tassa del 10% sulle transazioni di denaro effettuate nelle città. Poi c’era la tassa sulla lana e la tassa di successione che sommate alle entrate precedenti davano alle finanze del re un gettito di circa 150.000 sterline l’anno. In caso di necessità il re esigeva dai Lord prestiti forzosi e donativi una tantum. Da buon finanziere sapeva che i sudditi non potevano pagare tasse elevate se essi stessi non facevano buoni affari. Volle perciò rafforzare il commercio britannico con alcune leggi protezionistiche: certe merci potevano essere importate solo su navi britanniche. Incoraggiò il commercio nel Mediterraneo.
La flotta La flotta ereditata dagli York era composta di sole quattro navi da guerra. Enrico VII ne fece costruire altre quattro. Poiché il porto di Southampton fu troppo angusto per le navi da guerra, fu costruito un nuovo molo a Portsmouth. In caso di guerra il re prendeva in affitto dai privati le loro navi, mentre in tempo di pace affittava ai privati le navi da guerra per viaggi commerciali.
Morte di Enrico VII Quando Enrico VII morì nel 1509, la monarchia inglese sembrava forte, rispettata, e non ci furono torbidi che insidiassero la successione del figlio Enrico VIII. In altri termini, era avvenuta la trasformazione dello Stato da monarchia medievale in cui i Lord erano considerati pari al re, a monarchia accentrata con una solida struttura finanziaria e sovranità diretta su tutto il territorio.
9. 2 Enrico VIII defensor fidei
Enrico VIII aveva diciannove anni e sembrava un ragazzo di talento: parlava latino, francese e spagnolo, era un buon esecutore di musica e anche compositore; giocava a tennis ed era elegante. Rivelò il suo carattere quando fece tagliare la testa a due esattori ritenuti esosi dai sudditi per compiacere l’opinione pubblica, ma non è che abbia restituito il denaro.
Matrimonio con Caterina d’Aragona Due settimane dopo l’incoronazione sposò, secondo i desideri del padre, Caterina d’Aragona: poiché era stata moglie del fratello Arturo, chiese e ottenne la dispensa del papa Giulio II. Il matrimonio fu un atto politico che doveva favorire buone relazioni con la monarchia di Spagna, per equilibrare la crescente potenza della Francia.
Enrico VIII interviene nelle guerre europee La prosperità dell’Inghilterra, data la ridotta popolazione, dipendeva dalla capacità di evitare spese improduttive come sono quelle per la guerra e l’esercito. Tuttavia l’etica cavalleresca suggeriva che la grandezza di un principe si consegue sul campo di battaglia, dimostrandosi impavidi di fronte al pericolo. Enrico VIII trascurò la lezione del padre e volle impegnarsi nelle guerre del continente tra i Valois di Francia e gli Absburgo d’Austria.
Enrico VIII aderisce alla Lega Santa Enrico VIII aveva interesse ad andare d’accordo con l’imperatore che era il sovrano anche dei Paesi Bassi, essenziali al commercio britannico della lana. Anche il papa si trovava in forte contrasto con la Francia che perseguiva una politica religiosa ostile al centralismo di Roma: anche per questo motivo Enrico VIII si atteggiava a cattolico fervente che accettava di far parte della Lega Santa promossa da Giulio II per cacciare dall’Italia i francesi.
Vittorie in Francia e in Scozia Nell’estate 1513 Enrico VIII sbarcò sul continente con grande sfarzo e a Théruanne avvenne l’incontro con Massimiliano d’Absburgo. Pochi giorni dopo, nell’agosto 1513 avvenne la battaglia di Guinegate, un blando scontro di cavalleria, più una dimostrazione di forza che una vera e propria battaglia. La Francia ricorse alla vecchia tattica di aizzare contro l’Inghilterra il regno di Scozia, così da chiuderla su due fronti. Giacomo IV di Scozia tentò l’invasione dell’Inghilterra, ma a Flodden fu rovinosamente sconfitto, rimanendo sul campo di battaglia col figlio e con 11.000 soldati scozzesi. Nel frattempo Massimiliano aveva negoziato con la Francia la sua uscita dal conflitto: Luigi XII decise a sua volta di evitare i danni del suo doppio fronte, nelle Fiandre e in Italia, proponendo a Enrico VIII di accettare il raddoppio dell’indennizzo annuo concesso al padre.
Le spese di guerra Il re tornò a Londra nei panni dell’eroe che aveva trionfato su tutti i campi di battaglia, ma, fatti i conti delle spese sostenute, si scoprì che il tesoro accumulato da Enrico VII era stato dilapidato. Sembrava che dovesse trionfare la pace, ma la situazione in Italia era ancora confusa.
Thomas Wolsey Enrico VIII aveva come principale consigliere un personaggio potente che per sedici anni, a partire dal 1513, diresse la politica britannica, il cardinale Thomas Wolsey. Costui aveva studiato a Oxford ed era stato ordinato prete. Intelligente e ambizioso, fece carriera: nel 1507 divenne cappellano di corte e dopo la guerra di Francia fu creato cardinale, arcivescovo di York e infine Lord Cancelliere. Nel 1518 il papa Leone X lo nominò legato papale in Inghilterra. In lui, tuttavia, c’era poco di religioso: era un politico e un diplomatico. Al Wolsey si deve ascrivere la decisione di partecipare alle guerre europee con le conseguenti spese. Potremmo definire continentale questa fase della politica di Enrico VIII, proprio ciò che il padre aveva evitato. Enrico VIII seguì interamente il padre nell’amore per il mare e per le navi. Durante il regno di Enrico VIII la flotta arrivò a contare novanta vascelli di varia forma e dimensione. L’ultima nave costruita, la più grande, Mary Rose affondò perché aveva imbarcato acqua dalle feritoie dei cannoni. La nave, dopo quattro secoli, è stata recuperata e collocata in un apposito museo (1981).
9. 3 Thomas More, suddito fedele del re ma prima ancora di Dio
Con la costruzione della flotta Enrico VIII si era messo sulla via giusta per elaborare la politica insulare che fece la grandezza dell’Inghilterra per alcuni secoli.
Thomas More L’ispiratore fu certamente Thomas More. Nato nel 1478, frequentò l’università di Oxford e divenne avvocato. Fu nominato Speaker al Parlamento. Formò una famiglia numerosa, allegra, frequentata da numerosi e colti ospiti che davano vita a conversazioni brillanti e profonde. Insegnò il latino e il greco ai figli, anche alle ragazze, un fatto raro a quell’epoca. Fu introdotto a corte dal cardinale Wolsey, e il re ricorse spesso alla conversazione arguta del More, facendogli visita nella sua casa di Chelsea, dove fu visto passeggiare a lungo con colui che sapeva dire cose di estrema importanza con apparente leggerezza. More aveva ospitato anche Erasmo da Rotterdam che gli dedicò il suo scritto più noto, Encomium moriae, l’elogio della follia, in cui è evidente il gioco di parole tra il termine greco che significa follia e il cognome More.
Utopia Nel 1516, nelle Fiandre dove si era recato a capo di una delegazione commerciale, More scrisse Utopia, un libro luminoso per alcuni versi, enigmatico per altri, come tutti i capolavori. In esso il More finge di riportare i colloqui avuti con un navigatore portoghese, Raffaele Itlodeo, che nel corso dei suoi viaggi era giunto in un’isola amministrata in modo esemplare. Il segreto della felicità degli utopiani si può riassumere in quattro punti.
1. Nell’isola la vita religiosa si fonda sul riconoscimento della divinità alla quale ogni cittadino deve rendere il dovuto culto; lo Stato non impone alcuna forma religiosa: lascia libero il cittadino di onorare la Divinità come crede, proibisce solo l’ateismo. I cittadini di Utopia, quando conoscono da Raffaele Itlodeo la fede in Dio rivelata dalle Scritture, dopo attenta considerazione decidono di convertirsi, ma non cambiano gli ordinamenti.
2. Politicamente l’isola è divisa in 54 città in ognuna delle quali, ogni 30 famiglie è eletto un magistrato, il filarco; ogni dieci filarchi è eletto un protofilarco o magistrato superiore. Ai filarchi è assegnata la funzione di eleggere il principe che dura in carica tutta la vita.
3. Dal punto di vista sociale non esistono classi chiuse, ereditarie alla maniera della nobiltà secondo cui ogni figlio di re, anche quando non n’abbia le qualità, diviene re. In Utopia tutti sono obbligati a lavorare la terra e solo coloro che dimostrino di possedere reali talenti sono dispensati dal lavoro manuale; tra costoro sono scelti i magistrati, gli ambasciatori, il principe.
4. Dal punto di vista economico, ogni considerazione si fonda sul fatto che la fonte della ricchezza è la terra, divisa in parti uguali e coltivata da tutti con l’unica eccezione accennata. Non esiste denaro e i beni materiali sono divisi tra i cittadini secondo le necessità. Liberati dal bisogno principale, la fame, e dalla sofferenza più acuta, l’ingiustizia, i cittadini di Utopia coltivano la vita dello spirito, superando ogni altro popolo.
Questa è la parte chiara del libro di More, un elegante gioco intellettuale che potrebbe lasciare indifferenti i lettori, resi avvertiti anche dal titolo Utopia che significa “in nessun luogo”. Se però si tiene presente che quest’opera è contemporanea al Principe del Machiavelli, non si può far a meno di indagare più a fondo. Utopia è un’isola e i suoi principi, dopo aver assicurato la giustizia interna, devono difendere con ogni cura l’indipendenza dell’isola promovendo la sua sicurezza con mezzi tali da scoraggiare qualunque proposito di invasione. Perciò devono armare un’imponente flotta che ha il duplice compito della difesa e del trasporto all’estero dei prodotti dell’agricoltura e dell’industria dell’isola, e dell’importazione delle materie prime mancanti all’isola. Gli utopiani concedono volentieri prestiti ai popoli sottosviluppati a patto che essi stabiliscano relazioni pacifiche con Utopia, migliorando la situazione della giustizia entro il loro territorio. Se qualche popolo si mostrasse ostile verso Utopia, occorre troncare i rapporti, aiutando i popoli vicini al nemico perché possano opporsi a chiunque coltivi propositi imperialistici. Poiché in Utopia non c’è denaro, basta che la bilancia commerciale sia in pareggio con tutti gli altri Stati, impiegando gli utili per sviluppare i popoli arretrati, verso i quali gli utopiani esercitano un imperialismo paternalista. Da umanista More sapeva meglio del Machiavelli che la giustificazione del potere non può risiedere nel potere stesso, senza generare arbitrio e ingiustizia.
L’Utopia come programma politico per Enrico VIII Enrico VIII capì una parte del messaggio di More, ossia la necessità per l’Inghilterra di non interferire sul continente alla ricerca di un’impossibile egemonia militare. Era molto meno costosa la creazione di una flotta e l’addestramento di numerosi marinai in grado di scongiurare qualunque tentativo di invasione, conquistando un’effettiva egemonia commerciale sugli altri continenti, che il mantenimento di un esercito di terra. L’assoluta superiorità culturale avrebbe fatto apparire provvidenziale alle popolazioni sottosviluppate degli altri continenti l’egemonia commerciale dell’Inghilterra, che poteva elevarle un poco alla volta ai benefici della civiltà. Se c’era in Inghilterra una mente politica in grado di prendere la successione del cardinale Wolsey, ispiratore della fallimentare politica continentale, questi era Thomas More che, pur non cercando il potere, fu indotto ad accettarlo dal suo re, anche se sapeva che sarebbe stato un compito pericoloso.
More cancelliere Enrico VIII non capì o non volle capire la seconda parte del messaggio di More, ossia la distinzione tra sacerdotium e imperium, tra diritti della Chiesa e diritti dello Stato che non dovevano essere riuniti nella stessa persona. Quando nel 1529 More accettò di succedere al Wolsey pose come condizione esplicita per accettare la carica di non essere chiamato a pronunciarsi circa la validità del matrimonio del re con Caterina d’Aragona: per un poco il re comprese il problema di More, più tardi gli eventi precipitarono.
La questione del matrimonio del re Abbiamo già accennato al matrimonio di Enrico VIII con Caterina d’Aragona, la quale era stata vedova di Arturo, fratello del re, morto giovanissimo. Dal matrimonio nacquero cinque figli, ma solo Maria sopravvisse: il re non ebbe l’erede maschio e Caterina era ormai sfiorita. A corte c’era una damigella dotata di notevole fascino e intelligenza, Anna Boleyn: fece capire al re che avrebbe accettato le sue proposte solo a patto di sposarla. Enrico VIII sapeva che il matrimonio cattolico è indissolubile, ma sapeva anche che in certi casi il matrimonio è nullo, ossia non è mai esistito se all’origine c’è stato un vizio invalidante. Alcuni consiglieri del re gli ricordarono che nella Bibbia si fa divieto di sposare la moglie del proprio fratello. A partire da quel momento egli non visse più accanto alla moglie affermando di avere il dubbio di coscienza che si trattasse di concubinato. Perciò inviò a Roma al papa Clemente VII una delegazione di giuristi e canonisti perché ottenessero una sentenza di nullità del matrimonio con Caterina.
La sentenza dei tribunali romani Il tribunale romano esaminò a lungo il caso, trovando che la dispensa accordata era regolare, che gli scrupoli di coscienza del re erano infondati. Gli fu raccomandato di non dubitare a riprendere la vita coniugale perché la suprema autorità della Chiesa aveva dispensato il matrimonio da quell’impedimento. Era la sentenza non gradita da Enrico VIII. Aveva sperato di far valere i suoi meriti religiosi quando, nel 1521, con l’aiuto di Thomas More, aveva scritto la famosa Assertio septem Sacramentorum, la difesa del numero e del significato dei sacramenti contro le tesi di Lutero, ottenendo per sé e per i successori il titolo di Defensor fidei: sperava che il papa facesse prevalere il peso dell’asserita difficoltà soggettiva di considerare legittimo il matrimonio in forza di quel passo della Bibbia.
Enrico VIII si orienta verso il protestantesimo Enrico VIII trovò nel protestantesimo ciò che faceva il caso suo: alle leggi ecclesiastiche e al diritto canonico contrappose il principio luterano della sola scriptura, risolvendo ogni inceppo al divorzio e al nuovo matrimonio. Il suo cancelliere scorgeva invece le conseguenze implicite in quel principio: da buon avvocato, sapeva che la Chiesa non poteva smentire una sentenza regolare e inappuntabile emanata da un proprio tribunale senza che fossero intervenuti fatti nuovi, e sapeva che se la Chiesa era privata della facoltà di emanare leggi che vincolassero la coscienza dei fedeli, attribuendo anche alle leggi dello Stato un alone di certezza del diritto, alla fine non solo le leggi ecclesiastiche, ma anche le leggi civili avrebbero perso il loro fondamento di obbligazione, sostituito dalla volontà del principe. Uno Stato in cui la volontà del principe è l’unico fondamento della legge, diviene assolutista e viene a mancare ogni garanzia di libertà delle coscienze.
Atto di supremazia Il 15 maggio 1533 il clero britannico dovette fare un atto di sottomissione al re, mediante il quale gli veniva delegata ogni potestà giuridica in materia ecclesiastica (Supremacy Act). More si era già dimesso l’anno prima. Molti in Inghilterra percepirono la gravità della situazione. L’11 luglio Clemente VII dichiarò invalido e nullo il matrimonio tra Enrico VIII e Anna Boleyn, celebrato alcuni mesi prima della dichiarazione di nullità emanata dall’arcivescovo Thomas Cranmer circa il matrimonio con Caterina d’Aragona. Nel giugno 1533 c’era stata l’incoronazione di Anna, senza che More partecipasse alla cerimonia, perché la sua presenza non significasse un implicito riconoscimento dell’usurpazione reale dei diritti della Chiesa. Infine, il 23 marzo 1534 il papa dichiarò valido il primo matrimonio di Enrico VIII.
Atto di successione Il Parlamento approvò l’Atto di successione che attribuiva al re ogni potere per obbligare i sudditi a osservare tutto ciò che fosse in esso contenuto. Il 13 aprile 1534 More fu convocato per firmare l’Atto di successione e riconoscere implicitamente il nuovo matrimonio del re. Dopo aver salutato i famigliari, che non avrebbe più visto riuniti tutti insieme, salì sulla barca che lo portò a Lambeth dove si dimostrò disposto a firmare qualunque documento riguardante la successione, perché il re e il Parlamento avevano il diritto di legiferare su tale materia. Affermò di non poter firmare per ragioni di coscienza, che non era tenuto a rivelare, qualunque documento che contrastasse l’autorità del papa. Fu trattenuto quattro giorni, nel corso dei quali furono compiuti molti tentativi di convincerlo a fare come gli altri.
Prigionia di Thomas More Il 17 aprile More fu imprigionato nella Torre dove rimase 15 mesi. Dapprima aveva la possibilità di scrivere, poi gli fu tolto anche quel conforto. La linea di difesa scelta da More era abile: sapeva che la legge britannica non poteva condannare un imputato quando non c’erano prove a suo carico. More asseriva che non poteva firmare la richiesta del re per motivi che riguardavano la sua coscienza, ma di non aver dissuaso dal firmare altri che in coscienza ritenessero di poterlo fare. Il tribunale di Enrico VIII era disposto a emettere la sentenza di colpevolezza, ma occorreva la prova. Si ricorse a un certo Rich, che lo stesso More qualche anno prima aveva consigliato di occuparsi di letteratura, una professione meno pericolosa della politica per chi era ambizioso come il Rich. Costui in tribunale affermò che More aveva sostenuto in sua presenza che non era giusto firmare l’Atto di supremazia: al collo il Rich ostentava il collare di cancelliere del Galles, il prezzo della falsa testimonianza.
Decapitazione del More L’esecuzione fu fissata per il 6 luglio 1535: il condannato a morte aveva il diritto di rivolgere qualche parola ai presenti, ma il re fece sapere al More che non gradiva discorsi lunghi. More affermò che moriva da suddito fedele del re, ma prima ancora di Dio.
9. 4 Thomas Cranmer suddito fedele del re prima che di Dio
La riforma anglicana non fu il frutto dei ripensamenti di una coscienza religiosa, bensì scaturì dalle decisioni, spesso dettate dalle oscillazioni della politica scelta da Enrico VIII il quale piegò ai suoi fini il sentimento religioso del popolo inglese, esigendo anche l’obbedienza che si doveva al papa.
Il patrimonio ecclesiastico Tra i laici inglesi era diffusa la convinzione che la corruzione della Chiesa si doveva all’eccessiva ricchezza dei conventi e che proprio per favorire la santità della Chiesa e degli Ordini religiosi occorreva procedere a una radicale secolarizzazione dei beni ecclesiastici.
Contatti con i fiamminghi Nelle zone del Sud dell’isola i frequenti contatti col commercio fiammingo resero note le dottrine luterane e anabattiste che cominciarono a espandersi. Poi si aggiunsero anche le grandi università di Oxford e Cambridge che avevano grande prestigio: alcuni maestri acclamati come John Colet ed Erasmo da Rotterdam diffusero la critica umanistica contro la Chiesa incapace di rinnovarsi.
Enrico VIII Nei primi due decenni del suo regno queste critiche e questi atteggiamenti non ebbero influenza sull’operato di Enrico VIII che perseguitò gli eretici. Anche in politica estera il re si mise dalla parte della Spagna, custode dell’ortodossia, ma ben presto si rese conto dei vantaggi della politica insulare che gli permetteva di rimanere neutrale o di passare da un campo all’altro secondo l’interesse britannico.
La questione del matrimonio Per sbarazzarsi di Caterina d’Aragona, Enrico VIII non esitò a liberarsi dal Wolsey, colpevole di non aver impedito il successo di Carlo V e di non aver ottenuto l’annullamento del matrimonio. Fu accusato di aver accettato dal papa la carica di legato papale (a suo tempo sollecitata dal re) in violazione di una legge del 1353 (Statute of praemunire) rispolverata solo per mettere in stato d’accusa il Wolsey , morto mentre era condotto alla Torre.
Thomas Cromwell Il nuovo consigliere di Enrico VIII fu Thomas Cromwell, un esperto di finanza che propose al re una politica anticlericale, ostile alla conservazione del patrimonio ecclesiastico. Cromwell aveva promesso al re di renderlo il principe più ricco della cristianità: in realtà lo aiutò a instaurare il governo più dispotico sperimentato dalla tradizione britannica. Il Parlamento convocato nel 1529 era stato corrotto dal denaro del re, affrettandosi a proclamarlo “unico capo spirituale e temporale dei sudditi”. Il clero oppose resistenza, ma poi fu accusato di aver accettato che Wolsey divenisse legato papale. Nel 1532 il clero dovette sottoscrivere un “Atto di sottomissione”, rinunciando al diritto di riunione senza l’esplicita convocazione da parte del re, e al diritto di emanare ogni tipo di ordinanza anche meramente ecclesiastica. Così finì la libertà della Chiesa d’Inghilterra che fu governata dal re e dal Parlamento.
Atto di supremazia L’Atto di supremazia del 1534 aveva attribuito al re anche i diritti del papa. Enrico VIII se ne valse per decretare l’abolizione dei conventi: dapprima quelli piccoli (1536) poi quelli grandi (1539). Nel 1545 furono abolite le fondazioni religiose (cappellanie, cantorie, confraternite ecc.) e il loro patrimonio fu confiscato. Fu il trapasso di proprietà più ampio mai avvenuto in Inghilterra.
Trapasso di proprietà fondiaria I nobili fecero incetta di beni ecclesiastici esistenti sui loro feudi: seguirono disagi sociali, perché i nuovi proprietari erano più esigenti degli antichi. Molti nobili si affrettarono a recintare le nuove terre per adibirle a pascolo, cacciando i contadini che ingrossarono il numero degli sbandati e dei vagabondi.
Incertezze circa la riforma religiosa Enrico VIII, tuttavia, non intendeva mutare religione o aderire alla riforma luterana o anabattista: egli voleva una specie di cattolicesimo senza papa. L’arcivescovo Cranmer segretamente aderiva al luteranesimo, ma temeva il re e non chiariva la sua posizione. Altri vescovi come Latimer e Fox si pronunciarono per la riforma, ma furono avversati dai vescovi come Gardiner che intendevano conservare i dogmi cattolici. La decisione spettava al re, ma egli agiva secondo le mutevoli esigenze della politica, non per qualche convinzione.
Nuova crisi matrimoniale di Enrico VIII Anna Boleyn, dopo aver messo al mondo Elisabetta, non riuscì a partorire figli maschi, e il re decise di liberarsene: la fece accusare di adulterio e condannare a morte con cinque presunti amanti, compreso un fratello. Il giorno dopo la decapitazione della regina, il re sposò Jane Seymour, dama di corte della ex moglie: Cranmer e il Parlamento inviarono un messaggio di ringraziamento, dichiarando illegittimo il precedente matrimonio così tragicamente concluso. Un anno dopo Jane Seymour morì dopo aver messo al mondo il tanto atteso erede, Edoardo. Cromwell brigò per un nuovo matrimonio del re, questa volta con Anna di Cleve, cognata del duca di Sassonia: era il tentativo abbastanza scoperto di legare le sorti della riforma anglicana con quella luterana. Anna di Cleve era piuttosto anziana e poco attraente perciò il re decise di ripudiarla, ma solo dopo aver fatto imprigionare e decapitare l’incauto Cromwell. Il re decise di sposare una cattolica, Caterina Howard. L’arcivescovo Cranmer sentì in pericolo la riforma anglicana e riuscì a far cadere in disgrazia la Howard, accusandola di aver avuto un passato discutibile: fu accusata di alto tradimento e giustiziata. Nella Torre finì tutta la famiglia Howard sotto accusa di dissimulazione. L’ultima moglie, Caterina Parr, era luterana, e questa volta furono i cattolici a cadere in disgrazia.
Morte di Enrico VIII Nel 1547 Enrico VIII morì: il suo esperimento di una Chiesa nazionale, unita sul piano politico e indifferente sul piano dogmatico, fallì perché nel decennio successivo le tensioni accumulate esplosero dando luogo a un tentativo protestante al tempo di Edoardo VI (1547-1553) e a una reazione cattolica durante il regno di Maria Tudor (1553-1558).
9. 5 Le principali vicende della riforma anglicana
Come si è visto, la riforma anglicana fin dall’inizio fu una serie di compromessi dettati dalla politica. Il regno di Enrico VIII è costellato di condanne a morte, eppure fu ricordato con riconoscenza dai sudditi perché fu un governo forte in grado di impedire la guerra civile. Edoardo VI era un ragazzo malaticcio, serio, studioso: fu affiancato da un Consiglio di reggenza presieduto dallo zio, il duca di Somerset, nominato Lord protettore.
Tensione in Scozia La situazione politica internazionale era difficile, specie sul fronte francese, dove Enrico II di Francia reclamava la restituzione di Boulogne e Calais, impiegando i mezzi ormai tradizionali: provocare torbidi in Irlanda e Scozia. Più pericolosa appariva la situazione in Scozia, divenuta quasi una provincia francese con persecuzione dei protestanti e occupazione militare di numerose piazzeforti. Il duca di Somerset giudicò necessaria una spedizione militare forte di 17.000 uomini: il nemico fu trovato a Pinkie e Est di Edimburgo. La battaglia fu sanguinosa, condotta con audacia incosciente dagli scozzesi: in 6000 rimasero sul campo, gli altri si dettero alla fuga. Il re di Scozia Giacomo V e la moglie Maria di Guisa inviarono la figlia ed erede Maria Stuart in Francia perché non fosse obbligata a sposare Edoardo VI che così avrebbe unificato i due regni.
La riforma anglicana si rafforza Nonostante avesse solo nove anni d’età, Edoardo VI appariva un tenace protestante. Abrogò i Sei articoli del 1539 che apparivano un compromesso coi cattolici; incamerò i lasciti e le fondazioni pie per finanziare col denaro raccolto numerose scuole elementari; fece imprigionare molti vescovi cattolici; invitò in Inghilterra riformatori luterani per affrettare il trionfo della riforma. Nel 1549 il Cranmer pubblicò un nuovo rituale in lingua inglese, che conteneva le preghiere approvate dalla Chiesa d’Inghilterra (Prayer Book).
Reazioni di fronte al Prayer Book Le reazioni al nuovo rituale furono espressive. Molti preti cattolici rifiutarono il Prayer Book, continuando a celebrare la Messa in latino, perché il Prayer Book aveva eliminato ogni accenno al carattere sacrificale della Messa, lasciando sussistere solo l’aspetto di commemorazione dell’ultima cena. I protestanti si affrettarono a demolire gli antichi altari di pietra (simbolo di un’ara per il sacrificio) sostituiti con altari di legno (tavole per il banchetto eucaristico); tolsero ornamenti e statue, affreschi e quadri che ricordavano i vecchi tempi. I protestanti radicali rifiutarono il Prayer Book perché riportava ancora i testi della Messa in cui sopravviveva la fede nella transustanziazione. Infine, in alcune regioni come il Devon e la Cornovaglia, il Prayer Book fu rifiutato perché la gente non capiva l’inglese.
Ribellioni di contadini La protesta finì per sboccare in aperta ribellione: Exeter fu presa d’assalto dall’esercito. Nella contea di Oxford la ribellione fu domata dopo aver impiccato i preti ai campanili delle loro chiese. La rivolta era causata dalle trasformazioni agrarie delle terre confiscate al clero e subito destinate al pascolo: i contadini perdevano il lavoro ed erano costretti ad andarsene. Il duca di Somerset cercava di arrestare il processo di recinzione delle terre comuni, ben sapendo che il fatto avrebbe condotto a una crisi interna con pericolose conseguenze sociali. Emanò un decreto che vietava ulteriori recinzioni, stabilendo una tasse sulle pecore. I contadini di Norfolk galvanizzati da questi provvedimenti si radunarono numerosi presso Norwich con atteggiamento più da scioperanti che da rivoltosi, per presentare al duca di Somerset le loro richieste. Invece, John Dudley conte di Warwick convinse il Consiglio di reggenza a considerarli alla stregua di ribelli e poiché erano disponibili 1500 mercenari destinati alla Scozia, il conte di Warwick li guidò in una campagna di sterminio dei contadini.
Sostituzione del Lord protettore Il Lord protettore aveva raggiunto in quel momento il punto più basso della sua popolarità, costretto a mandare a morte il fratello Thomas Seymour sotto accusa di aver tentato di sposare la giovane principessa Elisabetta, e quindi di impadronirsi del regno. Il conte di Warwick convinse gli altri consiglieri che se egli diveniva Lord protettore non ci sarebbero state altre sommosse. Al duca di Somerset fu promessa salva la vita, ma nel gennaio 1552 fu arrestato e impiccato.
Nuova edizione del Prayer Book John Dudley, creato duca di Northumberland, volle compiacere il giovane re con una dose massiccia di protestantesimo. Nel 1552 fu pubblicata la nuova edizione del Prayer Book che riduceva la Messa a mera commemorazione dell’ultima cena. Fu proibita la confessione auricolare segreta, sostituita da un atto pubblico penitenziale all’inizio del servizio divino. Il linguaggio impiegato era bello, ma il contenuto era privo di ogni traccia di cattolicesimo. I protestanti esultarono proclamando il duca di Northumberland “fedele e intrepido soldato di Cristo”, il quale tuttavia, sul piano della politica estera, fu molto meno abile. Infatti, fu costretto a porre termine alla guerra con la Francia, restituendo Boulogne; ritirò le truppe d’occupazione dalla Scozia, permettendo ai cattolici di riprendere il controllo di quella regione. La giovane regina Maria Stuart sposò l’erede al trono francese, il delfino Francesco II. La guerra europea terminò solo per generale stanchezza, ma in futuro si sarebbe ripresentato il problema del doppio fronte per l’Inghilterra, dalla parte della Scozia e dalla parte della Francia le cui monarchie erano ora congiunte da parentela.
Inflazione La debolezza inglese aveva cause concrete. Tra il 1542 e il 1547 Enrico VIII aveva trasformato 400.000 sterline d’argento in 526.000, ricorrendo al vecchio artificio di aumentare in ogni moneta il titolo in rame, mantenendo inalterato il valore nominale. La gente scherzava sulle nuove monete dicendo che “arrossivano dalla vergogna”, ossia mostravano il metallo meno nobile. Il cambio con le monete straniere registrò la novità, dimezzando il valore delle nuove sterline. La svalutazione provocò una febbrile domanda di panni di lana sul mercato di Anversa, permettendo agli industriali inglesi di aumentare la loro produzione, ma l’inflazione – divenuta galoppante in Inghilterra per la crescita dei prezzi interni mentre i salari rimanevano fissi – paralizzò la produzione e la vendita delle altre merci inglesi. Il duca di Northumberland operò la riduzione delle monete circolanti, dimezzando il loro valore nominale: lo scellino fu valutato sei pence, ossia il suo vero valore. Il provvedimento era corretto dal punto di vista monetario, ma questa volta furono le esportazioni di panni di lana a soffrire. Ad Anversa l’acquisto di tessuti si ridusse di un quarto quando il prezzo salì. In Inghilterra ci fu disoccupazione e tumulti di tessitori senza lavoro e fu regolamentata l’esportazioni di tessuti perché gli utili rimanessero in mani britanniche.
Nuove esplorazioni geografiche Fu deciso di togliere i privilegi rimasti alla flotta della Hansa, inducendo i commercianti inglesi ad armare una flotta per trasportare direttamente sul mercato di vendita i loro prodotti. Inoltre si comprese la necessità di spingere lo sguardo sulle nuove rotte atlantiche. Il duca di Northumberland incaricò Sebastiano Caboto, un navigatore affermato, e John Dee, un geografo, di studiare nuove rotte per il commercio britannico. Cominciarono così i viaggi nel Marocco e fu cercato il passaggio di Nord-Est dell’Asia, attraverso il Mar glaciale artico. Nel 1553 fu raggiunto il porto di Arcangelo nel Mar Bianco e fu fondata la Compagnia della Moscovia per commerciare con la Russia, una rotta quanto mai pericolosa in mari ghiacciati.
Regno di Maria Tudor Nel 1553 il cagionevole Edoardo VI morì; il duca di Northumberland tentò di escludere dalla successione Maria Tudor, la prima figlia di Enrico VIII, ma il disegno fallì. Costei tentò di cancellare sul piano religioso quanto era avvenuto nei due regni precedenti. Furono liberati dal carcere i vescovi cattolici e vi entrarono i protestanti, Cranmer per primo. Il Prayer Book fu condannato, ma una completa restaurazione cattolica era temuta soprattutto da coloro che si erano arricchiti con le terre dei monasteri.
Mancato favore dell’opinione pubblica Maria Tudor aveva 37 anni, era vissuta separata dalla madre e respinta dal padre. Dopo una triste giovinezza, le era stato impedito il matrimonio. Da regina, la gente avrebbe gradito che sposasse un inglese e che avesse un figlio per assicurare la successione. La regina, invece, sposò Filippo II d’Absburgo. Poiché si sapeva che gli Absburgo utilizzavano la politica matrimoniale per accrescere i loro possessi territoriali, molti inglesi temettero di divenire una provincia dell’impero spagnolo.
Reginald Pole Nel 1554 Maria Tudor fece tornare in Inghilterra come legato papale il cugino Reginald Pole, uno dei cardinali riformatori, che mancava dall’Inghilterra da oltre un quarto di secolo e che quindi appariva incapace di comprendere la delicata situazione politica creatasi nell’isola. Filippo II e Carlo V insistettero presso la regina perché la punizione dei protestanti non divenisse pretesto per una rivolta. Specie nei confronti di Thomas Cranmer sarebbe stato opportuno agire con prudenza. Al contrario, si volle costringere il Cranmer a una confessione pubblica. Cranmer ebbe un sussulto di orgoglio e affermò che ritrattava tutto ciò che la sua mano aveva scritto contro la fede protestante, per avere salva la vita, e che il suo cuore era sempre stato per essa, e con questa affermazione non più ritrattata salì sul rogo. Lo stesso fecero i vescovi Latimer e Ridley, affermando che il rogo avrebbe fatto della loro vita una candela che non si sarebbe spenta. Maria passò così alla storia col soprannome di “Sanguinaria”.
Morte di Maria Tudor Il matrimonio di Maria Tudor fu sterile. Filippo II coinvolse l’Inghilterra in una guerra contro la Francia che costò agli inglesi la perdita di Calais dopo 220 anni di occupazione ininterrotta. La regina morì nel novembre 1558, lo stesso giorno in cui morì Reginald Pole: terminò così la possibilità del ritorno britannico alla fede cattolica. Elisabetta fu liberata dal confino e proclamata regina.
9. 6 Cronologia essenziale
1509 Muore Enrico VII. Il figlio Enrico VIII sposa Caterina d’Aragona e si impegna nelle guerre europee.
1515 Enrico VIII affronta gli scozzesi a Flodden, sconfiggendoli.
1516 Thomas More scrive Utopia.
1518 Il cardinale Wolsey è nominato legato pontificio a Londra e ispira la politica estera del re.
1529 Thomas More succede al cardinale Wolsey nella carica di Cancelliere d’Inghilterra. Il Parlamento proclama Enrico VIII unico capo spirituale e temporale in Inghilterra.
1533 Enrico VIII sposa segretamente Anna Boleyn e solo qualche mese dopo un tribunale ecclesiastico inglese annulla il suo matrimonio con Caterina d’Aragona.
1534 Il papa Clemente VII pubblica la sentenza che stabilisce la legittimità del primo matrimonio di Enrico VIII.
1535 Thomas More e John Fisher sono condannati a morte.
1536 Inizia la confisca del patrimonio ecclesiastico inglese.
1547 Muore Enrico VIII. Gli succede il figlio Edoardo VI di nove anni.
1549 L’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer pubblica il Prayer Book.
1553 Muore Edoardo VI. Gli succede la sorellastra Maria Tudor.
1554 La regina Maria Tudor sposa Filippo II, ma il matrimonio non è fecondo.
1558 Alla morte di Maria Tudor succede la sorellastra Elisabetta.
9. 7 Il documento storico
Thomas More pubblicò Utopia nel 1516 quando già si era delineata la politica estera di Enrico VIII, dettata dal cardinale Wolsey. Nel passo che segue, il More con la sua fine ironia, racconta come agiscono gli utopiani nei loro rapporti coi governi stranieri: non cercano guerre sanguinose, bensì con l’arma della pressione economica, tolgono il loro appoggio ai governi bellicosi, sollevando i popoli contro i loro governanti. Si può supporre che il More intendesse parlare alle autorità del suo paese indicando loro la già accennata “politica insulare” secondo la nota tesi di Gerhard Ritter.
“Una vittoria sanguinosa suscita tra gli Utopiani rincrescimento non solo, ma anche vergogna: a loro sembra ignoranza pagar troppo caro una merce, per quanto di pregio. Vincendo con arte o inganno i nemici e schiacciandoli, se ne gloriano largamente e ne menano trionfo per ordine dello Stato e rizzano il trofeo, come per una splendida azione: si vantano infatti di aver agito virilmente e valorosamente solo allorquando vincono nella maniera con cui nessun animale potrebbe, eccetto l’uomo, vale a dire con le forze dell’ingegno. Ché con quelle del corpo, essi dicono, lottano gli orsi, i leoni, i cinghiali, i lupi, i cani e le altre bestie, la maggior parte delle quali, se ci vincono in forza e accanimento, son tutte a noi inferiori per l’ingegno e la ragione. In guerra la mira degli Utopiani è di ottenere ciò per cui, se l’avessero ricevuto prima, non avrebbero mosso guerra; ovvero, se la cosa non è possibile, menano sì aspra vendetta dei colpevoli, che la paura li distolga in avvenire dal ritentare. Tali sono gli scopi che si propongono e cercano di raggiungere rapidamente, in modo però da preoccuparsi di evitare i pericoli più che di conseguire fama o gloria. Perciò, subito dopo la dichiarazione di guerra, fanno appendere segretamente e contemporaneamente nel paese nemico, sui punti più visibili, dei foglietti, cui dà autorità il bollo dello Stato, promettendo grandi premi a chi toglie di mezzo il principe avversario, poi fissano premi minori, ma pur rilevanti, per ogni testa di coloro i cui nomi proscrivono in questi stessi affissi, e son di quelli che, dopo il principe stesso, giudicano promotori dei piani contro di loro. Qualsiasi somma prestabiliscono per l’uccisore, la raddoppiano per chi avrà ricondotto loro vivo qualcuno di quelli che han proscritto, anzi allettano finanche costoro con le stesse ricompense, e l’impunità per giunta, contro i loro compagni. Da ciò avviene in un momento che i nemici prendono in sospetto tutti i loro uomini e che anche fra loro stessi non si fidano bene né son fedeli e vivono sempre in grandissima paura e fra pericoli non minori, ché ripetutamente è avvenuto, come tutti sanno, che buon numero, e il principe tra i primi, è stato tradito proprio da coloro in cui più avevano riposto speranza. Tanto è facile spingere a qualsivoglia delitto con regali! A tali regali gli Utopiani non mettono limite: sanno bene a qual rischio spingono gli altri e s’adoperano acciocché alla gravità del pericolo corrisponda la grandezza dei favori; perciò non solo promettono un’immensa quantità di oro, ma anche assegnano in perpetuo poderi con grandi rendite in località ben sicure, presso amici, e con la fede maggiore mantengono le promesse. Di questa maniera di mettere all’incanto i propri nemici e di comprarli, che gli altri condannano come crudeltà d’animo ignobile, essi se ne fanno gran merito, come saggi che giungono al termine delle più grandi guerre senza alcuna battaglia affatto, o come umani e pietosi che, con la morte di pochi colpevoli, riscattano numerose vite di innocenti, che sarebbero morti in battaglia parte di tra i loro, parte di tra i nemici. La loro pietà si volge alle folle immense che si assumono le guerre, non però di loro iniziativa, ma vi sono spinte dalle furie dei principi”.
Fonte: T. MORO, L’Utopia o la migliore forma di repubblica, Laterza, Bari 1971, pp. 125-127.
9. 8 In biblioteca
Classica l’opera di G.M. TREVELYAN, Storia d’Inghilterra, Garzanti, Milano 1962. Più aggiornata l’opera di K.O. MORGAN, Storia dell’Inghilterra. Da Cesare ai giorni nostri, Bompiani, Milano 1993. Per le trasformazioni dello Stato si consulti di E. ROTELLI-P. SCHIERA (a cura di), Lo Stato moderno, il Mulino, Bologna 1974; A. CARACCIOLO, La formazione dello Stato moderno, Zanichelli, Bologna 1970; J.H. SHENNAN, Le origini dello Stato moderno (1450-1725), il Mulino, Bologna 1976.