Tra il 1988 e il 1989 la Dichiarazione di Colonia e un testo di B. Haring, critico verso il pontificato di Giovanni Paolo II. In Italia numerose le prese di posizione a sostegno di queste dichiarazioni…
Il dissenso verso la Sede Apostolica in Italia
L’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, emanata il 24 maggio 1990 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con l’approvazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ([1]), vide la luce in un contesto che non è giusto dimenticare: venne infatti pubblicata negli anni di massima contestazione e dissenso verso il Magistero. Il contesto storico, senza nulla togliere o aggiungere all’autorevolezza della dottrina insegnata, lo riveste anche della luce della Provvidenza divina.
1. Prologo in Germania e prime manifestazioni del dissenso
Alla fine del 1988 viene diffuso dai mass media mondiali un testo di Bernhard Haring ([2]) fortemente critico verso il pontificato di Giovanni Paolo II – in particolare per l’appoggio da lui dato alla benemerita opera di Mons. Carlo Caffarra in materia di etica sessuale -, seguito, il 25-1-1989, dalla cosiddetta Dichiarazione di Colonia ([3]), firmata da numerosi ed influenti teologi tedeschi, olandesi, svizzeri e austriaci.
Il Dottor Joachim Navarro Vals, portavoce della Sala Stampa Vaticana, minimizza e parla di “fenomeno locale”, ma è purtroppo immediatamente smentito dai fatti: nel mondo cattolico si assiste a un moto generale di solidarietà verso i dissidenti, i “buoni” generalmente tacciono e l’unica confutazione autorevole viene fatta della Conferenza Episcopale tedesca..
La prima presa di posizione italiana a favore della citata Dichiarazione, proviene – ovviamente – delle cosiddette Comunità di base (CdB), d’origine brasiliana e di impostazione marxista, che manifestano solidarietà verso il notissimo teologo Hans Kung – che verrà in seguito sospeso dall’insegnamento – e sperano in “un cambiamento di una chiesa autoritaria e centralistica […] consentendo così una reale autonomia delle chiese locali al cui interno si affermino libertà evangelica, democrazia, coscienza critica, uguaglianza, carismi, diritti umani” ([4]).
La stampa italiana – con la sola eccezione di Inos Biffi su Avvenire ([5]) – in genere manifesta consenso alla Dichiarazione, mentre dalle colonne del quotidiano comunista Paese Sera, il teologo progressista Giovanni Gennari parla del “momento più difficile” di tutto il pontificato di Giovanni Paolo II ([6]), evidenziando come l’azione “repressiva” del Papa non abbia fino a quel momento ottenuto l’effetto desiderato perché, nel mondo teologico, “la pentola, sotto, bolle, e i coperchi hanno cominciato a saltare” e porta ad esempio il fatto che l’autorevolissima rivista progressista Concilium ([7]) dedichi un servizio speciale al tema delle nomine dei vescovi, uno dei punti centrali della Dichiarazione di Colonia. Dal canto suo, Francesco Margiotta Broglio, dalle colonne del Corriere della Sera, dà spazio all’opinione del teologo Karl Rahner, membro della Commissione Teologica Pontificia, secondo il quale è oggi “molto difficile tracciare con esattezza i confini dell’ortodossia” ([8]). Provoca sensazione, infine, la lettera dei giovani comunisti del Triveneto che esprime condivisione di scopi e obiettivi della manifestazione promossa dal movimento Beati i costruttori di pace, con il movimento Pax Christi, il suo presidente Mons. Tonino Bello e con il religioso poeta P. David Maria Turoldo.
Alla Dichiarazione di Colonia, i cui sottoscrittori continuano ad aumentare, seguono “dichiarazioni” di intellettuali e teologi francesi ([9]), di sessantadue teologi spagnoli ([10]), mentre si diffondono costantemente nuovi appelli per il “dialogo nella chiesa” e segnali di dissenso da parte di esponenti di numerosissimi ordini religiosi.
Il 15 maggio 1989, finalmente e purtroppo, anche teologi italiani diffondono il cosiddetto Documento dei sessantatre ([11]).
2. Il Documento “dei sessantatre” teologi italiani
Se la presa di posizione delle Comunità di Base non trova molto seguito a causa delle sue tesi estremistiche, più adatte al mondo latino-americano che a quello italiano, con il Documento dei sessantatre, invece, emerge in tutta la sua drammaticità la condizione delle istituzioni teologiche italiane. Si tratta, infatti, del primo manifesto pubblico di dissenso verso il Papa sottoscritto da docenti ed esponenti della teologia e della cultura, la maggior parte dei quali esercita la sua professione in seminari ed istituzioni educative ecclesiastiche.
La “Lettera ai cristiani” – diffusa attraverso la rivista Il Regno – Attualità ([12]) e intitolata “Oggi nella chiesa…” -, nasce dal “disagio per determinati atteggiamenti dell’autorità centrale della chiesa nell’ambito dell’insegnamento, in quello della disciplina e in quello istituzionale”, nonché dalla “impressione che la chiesa cattolica sia percorsa da forti spinte regressive”.
I punti su cui i contestatori fanno leva per ignorare o ridimensionare l’autorità del Pontefice sono così sintetizzabili:
1. il Concilio Vaticano II costituirebbe una “svolta”, radicale e irreversibile, nella “comprensione della fede ecclesiale”;
2. il Deposito della Fede custodito dalla Sede Apostolica non avrebbe valore in sè, nè valore assoluto, ma piuttosto lo otterrebbe per la sua “connotazione pastorale”, la sola che renderebbe possibile “l’interpretazione fedele della verità dentro l’esistenza storica della comunità”;
3. la Santa Sede si farebbe “condizionare dalla logica mondana”, da una “mentalità di privilegio”, trascurando lo “stile di Cristo”;
4. la natura gerarchica della Chiesa Visibile dovrebbe lasciare il posto a una “concezione della chiesa come comunione di chiese”;
5. la funzione magisteriale del primato petrino non escluderebbe la “varietà dei modi di intendere e di vivere la fede che lo Spirito suscita nelle diverse comunità”;
6. la funzione del Magistero Pontificio “nella chiesa delle origini” non era “riducibile alla funzione di guida della comunità” e, pertanto, occorre ripensare tale funzione;
7. non si dovrebbe parlare di infallibilità del Magistero, anche di quello ordinario universale, ma della sua funzione “pastorale”;
8. la liceità dei pronunciamenti del Magistero in materia di etica sarebbe “certamente necessario approfondire”;
9. il compito dei teologi non si svolge solo “divulgando l’insegnamento del magistero e approfondendo le ragioni che ne giustificano le prese di posizione” ma, piuttosto, “quando raccolgono e propongono le domande nuove […] o quando percorrono […] sentieri inesplorati”.
Nonostante l’ambiguità di alcune affermazioni, ritengo superfluo commentare queste tesi per la loro evidente pericolosità.
3. L’istruzione “Donum veritatis” e la reazione dei dissidenti
Circa un anno dopo la presa di posizione dei teologi italiani – ossia dopo un tempo brevissimo per le consuetudini della Sede Apostolica -, la Congregazione per la Dottrina della Fede emette il chiaroveggente documento citato all’inizio di questo articolo, cioè l’istruzione Donum veritatis, sulla vocazione ecclesiale del teologo.
Anche questo documento viene purtroppo accolto con viva ostilità da teologi contestatori vecchi e nuovi. Il quotidiano cattolico ufficiale di Francia La Croix l’accusa di porre “la libertà del teologo dello spazio ristretto di una obbedienza molto spirituale al magistero” ([13]), mentre il segretario dell’Associazione teologica spagnola, Juan José Tamayo sostiene che l’Istruzione “lascia ai teologi un unico compito, quello di essere la claque del magistero” ([14]).
Seguono pure un “manifesto” di protesta della Società Teologica Cattolica d’America ([15]) e la “Dichiarazione di Tubinga”, del 12 luglio 1990, firmata da ventidue professori di teologia tedeschi, olandesi e svizzeri ([16]), in cui si chiede che il Papa rinunci all’infallibilità in materia morale.
In Italia, la ribellione è meno organizzata dell’anno precedente, ma comunque significativa. Se da testate giornalistiche come Il Manifesto, La Repubblica, Il Corriere della Sera, vengono i consueti tentativi di inasprire i problemi ecclesiali, giunge invece inaspettato un editoriale del diffusissimo periodico Il Regno-Attualità intitolato Richiesta di speranza ([17]), secondo il quale la figura di teologo prospettata dalla Santa Sede sarebbe in opposizione al Concilio Vaticano II. Sul quotidiano Il Secolo XIX, il noto progressista Padre Ernesto Balducci si rammarica per la mancata nascita di una chiesa popolare, che tragga la sua autorità dal basso. Gravissima è pure l’ospitalità data dal più diffuso settimanale cattolico d’Italia a Severino Dianich, già firmatario della Lettera ai cristiani del 1989, il quale sostiene che “c’è oggi nella Chiesa una tendenza ad allargare gli spazi dell’autorità rispetto a quelli della libertà della ricerca” ([18]). Non mancano le Comunità di Base (CdB), che per bocca di don Franco Barbero chiedono al cardinale Ratzinger di occuparsi non già dei teologi ribelli ma piuttosto di quelli “eccessivamente obbedienti”.
Tra l’episcopato italiano, se il card. Carlo Maria Martini sostiene per il teologo la necessità della “comunione con i Vescovi e con l’intero popolo di Dio” e di evitare “il dissenso permanente e pregiudiziale che non può giovare a nessuno” ([19]), Mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, non ha dubbi: “il magistero deve ascoltare di più il popolo di Dio” ([20]).
A dieci anni dai fatti qui narrati, viene da chiedersi: il movimento di dissenso è sparito o soltanto entrato “in sonno”? I teologi firmatari delle varie dichiarazioni sono stati rimossi dal loro incarico o lo hanno conservato? E se lo hanno conservato, hanno ritrattato le teorie che avevano sottoscritto?
Note:
[1] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Instructio de ecclesiali theologi vocatione, del 24-5-1990. Ho utilizzato un’edizione del Centro Editoriale Dehoniano del 1990.
[2] Cfr. Bernhard Haring, Chiedere l’opinione di vescovi e teologi, in Il Regno-Attualità, anno XXXIV, n. 2, 15-1-1989, pp. 1-4.
[3] In Il Regno-Attualità, anno XXXIV, n. 4, 15-2-1989, pp. 71-74.
[4] Cfr. ADISTA, anno XXIII, n. 11, del 9/10/11-2-1989, pp. 12
[5] Inos Biffi, I vescovi tedeschi: “Non si critica con i manifesti”, in Avvenire, del 27-1-1989.
[6] Giovanni Gennari, Le “spine” di Karol, in Pese Sera, del 29-1-1989.
[7] Cfr. Norbert Greinachter e Norbert Mette, Contro una cattolicità messa sotto tutela, in Concilium, n. 2 del 1989.
[8] Francesco margiotta Broglio, I ribelli di Colonia, in Corriere della Sera, del 28-1-1989.
[9] Cfr. Non possiamo più tacere. Documento di intellettuali cattolici francesi: vescovi e Vaticano uccidono la libertà, in Adista, anno XXIII, n. 27, 10/11/12-4-1989, p. 5.
[10] Cfr. Ibid., anno XXIII, n. 33, 4/5/6-5-1989, p. 11-12.
[11] L’elenco dei firmatari è il seguente: Attilio Agnoletto (Università Statale di Milano), Giuseppe Alberigo (Università di Bologna), Dario Antiseri (Università LUISS di Roma), Giuseppe Barbaccia (Università di Palermo), Giuseppe Barbaglio (Roma), Maria Cristina Bartolomei (Università di Milano), Giuseppe Battelli (Istituto per le Scienze Religiose Bologna), Fabio Bassi (Bruxelles), Edoardo Benvenuto (Università di Genova), Enzo Bianchi (Comunità di Bose), Bruna Bocchini (Università di Firenze), Giampiero Bof (Istituto Superiore di Scienze Religiose Urbino), Franco Bolgiani (Università di Torino), Gianantonio Borgonovo (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Franco Giulio Brambilla (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Remo Cacitti (Università di Milano), Pier Giorgio Camaiani (Università di Firenze), Giacomo Canobbio (Seminario di Cremona), Giovanni Cerei (Roma), Enrico Chiavacci (Studio teologico fiorentino), Settimio Cipriani (Facoltà teologica dell’Italia meridionale, Napoli), Tullio Citrino (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Pasquale Colella (Università di Salerno), Franco Conigliano (Università di Palermo), Eugenio Costa (Centro Teologico di Torino), Carlo d’Adda (Università di Bologna), Mario Degli Innocenti (Istituto per le Scienze Religiose Bologna), Luigi Della Torre (Direttore di “Servizio della parola”, Roma), Roberto dell’Oro (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Severino Dianich (Studio Teologico Fiorentino), Achille Erba (Comunità San Dalmazzo, Torino), Rinaldo Fabris (Seminario di Udine), Giovanni Ferretti (Università di Macerata), Roberto Filippini (Studio teologico interdiocesano, Pisa), Alberto Gallas (Università del Sacro Cuore, Milano), Paolo Giannoni (Studio Teologico fiorentino), Rosino Gibellini (Direttore Editoriale Queriniana, Brescia), Réginald Grégoire (Università di Pavia), Giorgio Guala (Alessandria), Maurilio Guasco (Università di Torino), Giorgio Jossa (Università di Napoli), Siro Lombardini (Università di Torino), Italo Mancini (Università di Urbino), Luciano Martini (Università di Firenze), Alberto Melloni (Istituto per le Scienze Religiose, Bologna), Andrea Milano (Università della Basilicata), Carlo Molari (Roma), Dalmazio Mongillo (Roma), Mauro Nicolosi (Istituto di scienze religiose di Monreale, Palermo), Flavio Pajer (Istituto di liturgia pastorale, Padova), Giannino Piana (Seminario di Novara), Paolo Prodi (Università di Bologna), Armido Rizzi (Centro S. Apollinare, Fiesole)
Giuseppe Ruggieri (Studio teologico S. Paolo, Catania), Giuliano Sansonetti (Università di Ferrara), Luigi Sartori (Seminario maggiore, Padova), Cosimo Scordato (Facoltà teologica sicula, Palermo), Mario Serenthà (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Massimo Toschi (Lucca), Davide Maria Turoldo (Priorato S. Egidio, Sotto il Monte), Maria Vingiani (Segretariato attività ecumeniche, Roma), Francesco Zanchini (Università abbruzzese, Teramo), Giuseppe Zarone (Università di Salerno).
[12] Cfr. Lettera ai cristiani. Oggi nella chiesa…, in Il Regno-Attualità, anno XXXIV, n. 10, 15-5-1989, pp. 244-245. Le citazioni senza indicazione che seguono sono tratte da questo documento.
[13] Cfr. La Croix, del 28-6-1990.
[14] Cfr. El Pais, 28-6-1990.
[15] Già il 28-2-1990 ben 4.505 cattolici statunitensi – tra cui qualche vescovo, molti sacerdoti, religiosi e cattolici “impegnati” – con un documento pubblico avevano accusato il Vaticano di essere “pietra d’inciampo” per la Chiesa (Cfr. Adista, n. 24 e 25 del 1990).
[16] Cfr. ADISTA, anno XXIV, n. 56, 30- 7/4-8-1990, pp. 2-3
[17] Cfr. Ibid., anno XXV, n. 14, 15-7-1990, pp. 400-401.
[18] Severino Dianich, perchè il teologo dopo il Vaticano II è nell’occhio del ciclone?, in Famiglia cristiana, n. 30 del 1990.
[19] Carlo maria Martini, Ma quella del teologo è proprio una vocazione?, in Corriere della Sera, del 1-7-1990.
[20] Luigi Bettazzi, Il magistero deve ascoltare di più il popolo di Dio, in Il risveglio popolare. Del 5-7-1990.