Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica. INFINITÀ: è assenza di limiti o di termini. Ma l'indeterminatezza può essere presa in due sensi: a) come privazione di determinazione, che una cosa dovrebbe naturalmente avere; per es. la materia prima priva di ogni forma; b) come negazione di determinazione, che una cosa né ha né esige, per es. una forma senza materia.
Evidentemente l'infinito privativo implica imperfezione, l'infinito negativo invece importa una perfezione vera e propria, per cui si può dire anche positivo: esso nega i limiti, perché è ricchezza. L'atto e la forma. per sé infiniti negativamente e positivamente, sono limitati dalla potenza e dalla materia in cui sono ricevuti. La loro infinitezza però è relativa, perché circoscritta da un genere o da una specie; se invece l'atto trascende i generi e le specie, come l'essere, allora esso è l'infinito assoluto. E tale è solamente Dio perché Egli solo è essenzialmente essere, lo stesso essere sussistente (v. Essenza). Questa infinità di Dio, positiva e assoluta, non esclude la sua determinatezza, la quale però significa distinzione personale, non limitazione.
Dall'infinità divina derivano altri due attributi: l'immensità e l'ubiquità. Dio è Immenso in quanto, per la sua infinità, esclude ogni limite e ogni misura; conseguentemente Dio è dappertutto e nessuna cosa creata può sottrarsi alla sua presenza. La ragione formale di questa ubiquità (onnipresenza) è l'azione che Dio esercita sull'universo per mantenerlo nell'essere e muoverlo all'operazione. Così si risolve la questione del rapporto tra il finito e l'Infinito senza cadere nel panteismo: Dio è immanente in certo senso nel mondo e il mondo in Dio, senza confusione, restando ferma la distinzione tra l'uno e l'altro come tra effetto e causa.