…Giovanni Paolo II, ha elevato agli onori degli altari 286 martiri del nostro secolo, esemplari figure di Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici. Due di essi sono stati canonizzati: padre Kolbe ed Edith Stein; gli altri sono stati beatificati …
Ventesimo anniversario dell’elezione al Pontificato di Giovanni Paolo II
Elevati agli onori degli altari 286 martiri del nostro secolo
VICENTE CÁRCEL ORTÍ
Giovanni Paolo II, nei vent’anni di pontificato, ha elevato agli onori degli altari 286 martiri del nostro secolo. Essi sono splendide figure di Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici. Due di essi sono stati canonizzati: padre Kolbe ed Edith Stein; gli altri 284 sono stati beatificati. Le cerimonie sono state complessivamente 48, due per le canonizzazioni e 46 per le beatificazioni; 231 sono martiri della persecuzione religiosa spagnola, provocata da socialisti, comunisti ed anarchici, tra il 1934 ed il 1939; 26 sono martiri della persecuzione messicana promossa dal Governo massonico negli anni venti e trenta; 11 sono testimoni della fede del periodo del regime nazionalsocialista in Germania e in Europa; 2 sono martiri del comunismo in Bulgaria e in Jugoslavia. Gli altri appartengono a paesi e situazioni diverse, ma tutti hanno un comune denominatore: sono stati uccisi «in odium fidei», «in odium Ecclesiae» oppure sono morti a causa delle sofferenze subite nelle prigioni o nei campi di concentramento.
Ci sono anche quattro giovani donne martiri, per aver difeso, come Santa Maria Goretti, la loro verginità: la polacca Kòzka e le italiane Morosini, Mesina e Bracco.
Il comunismo ed il nazismo: due ideologie anticristiane.
Le grandi persecuzioni religiose del nostro secolo sono state provocate dall’egemonia nazi-comunista. Sessant’anni fa, il comunismo ed il nazismo sembravano avere le carte vincenti. Il fallimento della democrazia era un tema comune nei commenti politici, che fosse visto in positivo o in negativo. Ma aveva fallito anche il cristianesimo? Questo era argomento di contesa tra alcuni influenti intellettuali, soprattutto tra quelli colpiti in maniera particolarmente favorevole dalle vittorie dei nazisti. Qualcuno si domandava: «Perché dovremmo aspettarci che il cristianesimo sopravviva più a lungo dell’Impero romano?». A Berlino e a Mosca il cristianesimo era stato cancellato da tempo. All’aspetto ideologico delle guerre del nostro secolo non è stata data l’importanza che esso merita. Troppo spesso gli statisti e gli storici descrivono gli eventi solo dal punto di vista politico o militare. L’ideologia gli storici la lasciano ai filosofi e i filosofi la considerano una pseudoscienza. Ma l’ideologia totalitaria asservì l’Europa per buona parte della seconda guerra mondiale. Stessa cosa successe in Messico durante la guerra dei «cristeros» e in Spagna, durante la guerra civile del 1936-39. Era inevitabile che, sin dall’inizio, in ognuna di queste guerre la politica entrasse in violento conflitto con la religione nel campo delle idee. Ciò che era secondario e irrilevante per gli storici e i filosofi era una questione di vita o di morte per la Chiesa cattolica. Il nazionalsocialismo e il marxismo-leninismo sono stati le principali ideologie delle guerre del nostro secolo. Le teorie di Karl Marx, adattate da Lenin, costituivano le fondamenta del comunismo mondiale imperniato sull’Unione Sovietica. Non è necessario ricordare l’aperta e violenta ostilità del marxismo nei confronti della religione, resa operativa in Unione Sovietica. I nazisti, dal canto loro, avevano «Il mito del secolo XX», di Alfred Rosenberg, che venne rapidamente messo all’Indice dal Vaticano all’inizio del 1934. Esso si limitava a formulare in modo sfacciato e volgare lo spirito radicalmente anticristiano, pagano e razzista del nazionalsocialismo. I testi di Marx, di Lenin, di Rosenberg e di Hitler divennero ideologia, che impose il suo tragico tributo agli eventi umani, controllando le menti e le volontà di migliaia di persone. Le guerre del nostro secolo ed, in particolare, i conflitti del Messico, la guerra di Spagna e la Seconda guerra mondiale sono state «guerre ideologiche», anche se c’erano in gioco altri importanti motivi di natura puramente militare o politica. Per quanto riguardava il Reich nazionalsocialista il contenuto ideologico era evidente perché si trattava del «nuovo ordine». Analogo discorso può essere fatto per l’Unione Sovietica, per la Spagna repubblicana e per il Messico controllato dalla massoneria.
Si è trattato anche di «guerre di religione»? Certamente. La risposta non può essere che affermativa. I comunisti e i nazisti avevano una violenta finalità antireligiosa che inculcavano nella loro opera ufficiale di indottrinamento e ispiravano ai loro aderenti. Per i comunisti, la Chiesa doveva essere semplicemente eliminata: persecuzione nell’URSS e nei Paesi dell’Europa dell’Est, persecuzione in Messico e in Spagna; per i nazisti, doveva essere «riorganizzata» insieme con la Chiesa protestante. Pio XII era intimamente consapevole del pericolo che una vittoria dell’Asse avrebbe significato la fine del cristianesimo in Europa. Invece, l’imposizione violenta dei regimi comunisti atei, ispirati nel marxismo-leninismo, portò con sé oppressione e morte per quasi mezzo secolo. Una recentissima e ponderosa ricerca pubblicata sotto il titolo «Il libro nero del comunismo», ha calcolato in almeno 85 milioni le vittime dirette dal comunismo, ed erano già 13 milioni nel 1932. È stato un grande merito storico della Chiesa, e in particolare del Papato, aver individuato presto e lucidamente gli orrori del comunismo e anche quelli del nazismo e i relativi fondamenti ideologici, come, a suo tempo, la Chiesa non si sbagliò nel vedere la Rivoluzione francese come essenzialmente anticattolica e poi, nel denunciare l’ostilità aperta del liberalismo ottocentesco, prevalentemente caratterizzato da un profondo spirito anticattolico. E non si può ridurre tutto a una sorte di spiacevole equivoco, le colpe del quale, tranne al più qualche insignificante sfumatura «poco cortese» da parte laicista, sarebbero tutte della Chiesa.
Rivoluzionari, prima, liberal-massoni poi ed, in fine, comunisti e nazisti hanno dimostrato la loro volontà esplicita di attaccare a fondo la Chiesa cattolica. I martiri, sono il frutto delle loro tragiche persecuzioni.
I martiri della persecuzione messicana
In Messico, negli anni venti, le autorità pubbliche cercarono di sradicare la Chiesa e le sue istituzioni dalla vita del popolo con leggi ingiuste ed una persecuzione sanguinosa; tentarono invano di istituire una Chiesa scismatica; espulsero dal Paese i sacerdoti stranieri; ordinarono la chiusura dalle scuole cattoliche e dei seminari; mutarono le leggi e le pene dei tribunali giudiziari in norme contrarie alla Chiesa; disprezzarono le giuste rivendicazioni dei Vescovi e di molti cattolici. Il Generale Plutarco Elías Calles era un animo deciso a portare a termine i piani di distruzione della Chiesa in Messico. Come dimostrano i fatti aveva deciso di porre fine alla Chiesa cattolica in Messico. Così lo videro i suoi contemporanei e così lo proclamò con coraggio il primo Vescovo di Huejutla, D. José Manriquez e Zárate, nella sua sesta lettera pastorale del 6 marzo 1926: «L’intenzione di Calles è di porre fine, una volta per tutte, alla religione cattolica in Messico. Il giacobinismo messicano ha decretato la morte della Chiesa Cattolica nel nostro Paese, lo sradicamento dalla società messicana e, se fosse possibile, del pensiero cattolico». Ciononostante, vari sacerdoti decisero di restare nelle proprie comunità al servizio dei fedeli, annunciando la Parola di Dio, impartendo loro i sacramenti, assistendoli con l’esercizio della carità, imitando il Buon Pastore. Non vollero abbandonare le loro comunità cristiane; e per questo patirono pazientemente minacce, oltraggi, tormenti fisici e morali.
Perdonarono i loro persecutori, e armati di una grande fede, diedero audacemente la vita per Cristo e per la Chiesa. Nella stessa persecuzione contro la Chiesa morirono anche molti laici. Tra di essi tre giovani dell’Azione Cattolica, collaboratori del proprio parroco, che si dissero pronti ad offrire la propria vita per Cristo. Non rinnegarono la propria fede né la loro appartenenza all’Azione Cattolica, e con coraggio e serenità subirono carcere, offese, percosse, ed infine la morte.
Il movimento «cristero» fu una protesta disperata dei cattolici messicani contro l’azione persecutoria nei confronti della Chiesa. Questo movimento non fu promosso dalla gerarchia ma condotto interamente dai laici. Questi cercarono l’appoggio dei Pastori, che collaborarono in parte e in modo molto vario. Anche quando tutti, prelati e sacerdoti erano d’accordo a resistere alle leggi inique contro la Chiesa, tuttavia venivano sostenute diverse opinioni riguardo alla situazione e, soprattutto, riguardo a una difesa armata.
Tutto il clero appoggiò la resistenza pacifica all’azione di persecuzione del Governo. Così fece anche nei confronti del boicottaggio, dato che era stato approvato dai Vescovi. Il comportamento dei sacerdoti venne messo in chiaro in un volantino risalente alla fine del 1926, diffuso dalla Lega Nazionale per la difesa della libertà religiosa, in cui si diceva: «Si cercò di fare dei nostri sacerdoti degli apostati, di renderli scismatici, di allontanarli dall’obbedienza al Papa, dinanzi a tutto ciò essi mantennero la loro fede e preferirono restare in miseria ed essere perseguitati».
I sacerdoti, tutti provenienti dal clero diocesano, non furono immolati in gruppo, ma anzi, al momento di venire arrestati si trovavano soli, ognuno al proprio posto. Inoltre, e per il solo fatto di essere sacerdoti, e senza alcun processo, ritenendo un crimine l’esercizio del loro ministero che essi furono condotti al martirio. Nessuno appoggiò la resistenza armata del movimento «Cristero». Nel caso dei laici, furono martirizzati in quanto fedeli cristiani.
I martiri della persecuzione spagnola
L’uccisione dei martiri spagnoli ebbe le sue origini nel clima fortemente anticlericale che si respirava in Spagna dopo la proclamazione della Repubblica e nel clima violento della guerra civile. Con la proclamazione della Seconda Repubblica, avvenuta il 14 aprile 1931, la Chiesa in Spagna, invisa al nuovo regime per la sua dottrina e la sua azione, fu subito posta in stato di latente persecuzione sul piano legislativo. A questo stato di cose, già di per sé gravissimo, fece seguito, ad opera dell’estremismo anarchico-socialista, uno stato di violenza fisica sulle persone e sulle cose. Le prime vittime risalgono al 5 ottobre del 1934, durante la cosiddetta «rivoluzione delle Asturie», quando furono assassinati 37 fra sacerdoti, seminaristi e religiosi e furono incendiate 58 chiese. Nove di essi, e precisamente otto Fratelli delle Scuole Cristiane ed un Passionista sono stati beatificati nel 1990, ed è prossima la loro canonizzazione. Inizia così il lungo Martirologio della Chiesa di Spagna due anni prima della guerra civile, quando l’Esercito non si era sollevato contro il Governo repubblicano e la Chiesa lo rispettava. Non bisogna, pertanto, confondere la persecuzione religiosa con la Guerra civile. Essa iniziò due anni prima dello scoppio del conflitto armato tra gli spagnoli. Bisogna dunque ribadire ancora una volta per quanto riguarda la Spagna, che basta la cronologia: la Repubblica dette il via alle persecuzioni anticattoliche ben prima dell’insurrezione militare, di cui, anzi, esse sono da considerare una delle cause decisive. Sin dal 1931, la Repubblica creò un ambiente di ostilità contro la Chiesa e di discriminazioni nei confronti dei cattolici. Dal 18 luglio 1936 fino al mese di marzo del 1939 la persecuzione fu molto più cruenta con l’assassinio in massa di preti, seminaristi, religiosi e suore e di semplici laici, nel tentativo di sopprimere fisicamente la Chiesa cattolica nelle persone e nelle cose. La semplice statistica, incompleta nonostante rigorose ricerche, è sconvolgente. Il numero totale delle vittime ecclesiastiche assassinate in tutta la persecuzione sale a 6.832. Il clero diocesano ne conta 4.184, di cui 13 sono Vescovi; 2.365 il clero religioso e 283 le suore.
Non si contano i laici assassinati per aver difeso la Chiesa o aver nascosti i preti, ma furono certamente diverse migliaia.
Circa 6.500 di queste uccisioni ebbero luogo durante i primi cinque o sei mesi della guerra civile. Gli altri trovarono la morte tra il luglio 1937 e il marzo 1939. Un’ecatombe che, per l’alto numero delle vittime e per il breve tempo in cui fu effettuata, non ha riscontro in nessun altro periodo di persecuzione della Storia della Chiesa.
Gli eccidi commessi in obbedienza all’ideale dell’ateismo militante sembrano oggi lontani, eppure è un quadro di infamie e di orrori che, nelle zone «rosse» della Spagna, furono il frutto logico di correnti di pensiero e di azione di natura profondamente antiumana e attivamente anticristiana, ispirate ad un’ideologia intrinsecamente perversa. La persecuzione religiosa fa comprendere quale errore storico commetterebbe chi giudicasse la Guerra Civile della Spagna in base al solo aspetto sociale e politico.
Una precisazione bisogna fare, per comprendere il dramma come martirio, come testimonianza di fedeltà alla fede cristiana e alla Chiesa: questi martiri erano assolutamente estranei a fazioni o partiti politici di qualunque indirizzo o colore. Molti erano giovani religiosi o seminaristi tra i 18-21 anni che, nello studio e la preghiera, si preparavano per andare un giorno missionari nelle lontane terre di America, per assistere i malati negli ospedali oppure per insegnare nelle scuole.
Durante i processi canonici, istruiti nelle rispettive diocesi tra gli anni 40 e 50 nessuno dei testi interrogati poterono accusare i martiri di implicazioni politiche. Dall’inizio alla fine restò saldamente e chiaramente provato che l’unico ed esclusivo motivo della loro morte fu la loro condizione di religiosi, fedeli alla propria vocazione. E, per quanto riguarda quelli assassinati insieme, nessuno si separò dal gruppo per non essere coinvolto nella loro sorte. Nessuno aveva nei paesi dove risiedevano o fuori dei nemici personali. I testimoni escludono senza esitare che essi avessero avuto il minimo contatto con la politica.
I martiri del regime nazionalsocialista.
Oggigiorno la Chiesa considera martiri non soltanto coloro i quali versarono il sangue in difesa della fede o di qualche altra virtù, ma anche quelli che, senza spargimento di sangue, hanno ugualmente sacrificato la propria vita, in circostanze particolari, per coerenza di fede e di militanza cattolica. All’odierno concetto di martirio, autentico anche se incruento, si è arrivati in tempi recenti, con l’evolversi dei sistemi di persecuzione. Infatti, mentre in passato il martirio in genere si consumava in tempi brevi se non addirittura in poche ore, cioè quando i candidati al supremo sacrificio venivano dati in pasto alle fiere, o bruciati a fuoco lento, oppure passati a fil di spada o abbattuti a colpi di mitra, oggigiorno di solito si richiedono tempi più lunghi perché sono cambiati i metodi persecutori. Ciò, però, comporta un cumulo di sofferenze fisiche e spesso anche morali ben più pesanti che in passato: per cui, oggi, chi vi va incontro dando eroica testimonianza di fedeltà e di coraggio, giustamente viene considerato vero martire, anche se l’immolazione della sua vita rimane incruenta. Esempi del genere se ne sono avuti in gran numero nel sec. XX, specialmente nei paesi dominati dal comunismo ateo e dal nazismo hitleriano. I casi di alcuni sacerdoti tedeschi ed austriaci rientrano appunto nell’eletta schiera dei martiri della raffinata ferocia moderna, che annienta fisicamente le sue vittime, senza spargimento di sangue ma con metodi e mezzi sicuramente ancor più diabolici di quelli tradizionali, e certamente non meno brutali di quelli del passato. San Massimiliano Kolbe e santa Edith Stein, nonché i beati Kozal, Brandsma, Callo, Mayer, Lichtenberg, Leisner, Neururer, Gapp e Kafka sono veri eroi dei nostri tempi, nobile espressione della resistenza cattolica alle idee neopagane del nazionalsocialismo e possono essere giustamente additati alla gioventù moderna, sempre più povera di autentici valori cristiani, come modelli di coerenza e di fortezza nella difesa della fede, da loro coraggiosamente professata, appunto, fino all’estremo sacrificio.
Karl Leisner, sacerdote secolare, morto il 12 agosto 1945 dopo quasi sei anni di indicibili sofferenze fisiche e morali inflittegli dalle SS, soprattutto nel campo di sterminio di Dachau, e da lui eroicamente accettate come solenne testimonianza della sua profonda fede, venne perseguitato perché era uno dei protagonisti del Movimento cattolico giovanile, che oltre ad orientare i giovani verso il Cristo, con la Liturgia e la Bibbia, li aiutava ad approfondire con apertura francescana il rapporto con il mondo, la natura e la creazione, in un canto di lode al Creatore. «Mio Dio, – ripeteva spesso – quanto è bello il tuo mondo!».
Il 23 giugno 1996, nello Stadio Olimpico di Berlino il Papa ha beatificato i due sacerdoti berlinesi martiri di questo secolo: Lichtenberg e Leisner, e nell’omelia disse che essi: «In un mondo diventato disumano hanno testimoniato Cristo Via, Verità e Vita».
Negli anni della persecuzione nazionalsocialista, i martiri furono testimoni di una strana ambivalenza: da una parte la traboccante ebbrezza di un potere che portava di vittoria in vittoria; dall’altra il terrore della gente, che lo sentiva in preda con tutte le ansietà.
Coloro che hanno subito tali esperienze potranno valutare, in modo particolare, quanto erano grandi l’eroismo e la bontà dei martiri. Dai loro compagni di prigionia sappiamo che non pronunciarono mai una sola parola cattiva riguardo ai suoi tormentatori, e solo chi ricorda personalmente l’impotente ira contro questa tirannia inumana saprà valutare la grandezza di questa carità.
Martiri di Cristo Re
La stragrande maggioranza dei martiri del nostro secolo furono uccisi in nome del regno divino. Gli spagnoli e i messicani, soprattutto, morirono invocando la regalità di Gesù e pronunciando il grido di «Viva Cristo Re!».
In nome di Cristo Re si poté resistere al totalitarismi. Pio XI aveva istituito la festa liturgica nel momento storico in cui la regalità di Cristo sul mondo fu violentemente e radicalmente negata dai movimenti rivoluzionari e da correnti di pensiero anticattoliche. Sotto lo stimolo di persone e di congregazioni particolarmente sensibili il Pontefice reagì sottolineandola, esaltandola, fino all’istituzione della festa di Cristo Re. In questo modo, la dottrina della regalità, fino ad allora diffusa in circoli attivi ma comunque ristretti venne recepita dal magistero. Fin dalla sua prima enciclica Pio XI ne esplicitò il tema formalizzandolo nella bellissima enciclica Quas primas del 1925 su due piani: dottrinale ma soprattutto liturgico. La nuova festa contribuì moltissimo ad allargare la diffusione della devozione di Cristo Re e la teologia politica degli inizi acquistò profondità di riflessione spirituale.
Cristo Re servì pure a contrastare le dottrine politiche del tempo, comunismo, nazismo e fascismo, poiché se Cristo è re e quindi unico fondamento della vita collettiva, s’instaurava una divaricazione definitiva con le teorie totalitarie della vita pubblica. E infatti, dopo l’avvento del nazismo, in Germania ci furono alcuni che si ribellarono a Hitler in nome di Cristo Re. L’Azione Cattolica tedesca innalzava il monogramma di Cristo contro la svastica. Contro la menzogna dell’ideologia nazionalsocialista, il Beato Lichtenberg dichiarò coraggiosamente: «La mia guida è Cristo».
In Messico i «cristeros» protestarono contro uno Stato persecutore ispirato dalla massoneria. L’idea di una controsocietà cattolica e l’opposizione al potere trovarono una convergenza nella regalità di Cristo che divenne una forma di identificazione forte.
In Spagna, Cristo Re rappresentò per i cattolici il simbolo dell’opposizione ad una Repubblica laica e laicista, antireligiosa ed anticlericale. Arrivata l’ora suprema, i martiri affrontarono la morte con invitta fermezza e pazienza per amor di Dio e di Gesù Cristo, il Martire dei Martiri. Infatti gli stessi miliziani dissero che molti erano caduti con i crocifissi fra le mani gridando: «Viva Cristo Re!». Fu il grido glorioso da contrapporre al «Viva il comunismo; viva la Russia!», preteso dai carnefici per salvare la vita prima dell’esecuzione capitale.
Le parole «Viva Cristo Re!» sigillarono definitivamente le labbra dei martiri.
Fu l’espressione del loro coraggioso atteggiamento, della loro professione di fede certa, senza riserve, nel seguire Cristo nella sua immolazione.
I martiri beatificati da Giovanni Paolo II
Il 26 dicembre 1994, a Castel Gandolfo, durante la riflessione prima della recita della preghiera mariana dell’Angelus, nella festa di Santo Stefano, il Papa ha ricordato che la grande causa di Dio tra gli uomini è stata alimentata, particolarmente nel nostro secolo, dal sangue dei martiri. E nella Tertio Millennio adveniente (n. 37) ha detto che: «Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi militi ignoti della grande causa di Dio».
Le numerose beatificazioni di questi martiri: «Oltre a rispecchiare la realtà, che per grazia di Dio è quella che è, corrisponde anche al desiderio espresso dal Concilio. Il Vangelo si è talmente diffuso nel mondo e il suo messaggio ha messo cosi profonde radici, che proprio il grande numero di beatificazioni rispecchia vividamente l’azione dello Spirito Santo e la vitalità che da Lui scaturisce nel campo più essenziale per la Chiesa, quello della santità. È stato infatti il Concilio a mettere in particolare rilievo la chiamata universale alla santità» (Insegnamenti XVII, 367). Questo spiega perché, tra i numerosi martiri già beatificati ci sono alcuni laici, uomini e donne. E molti altri sono in cammino verso gli altari.