8. Eccellenza della vita interiore e religiosa.
9. E' una grazia preziosa l'essere allontanati dai pericoli del mondo.
10. Felicità della vita religiosa e interiore.
11. Unione perfetta dei cuori nella vita religiosa.
12. La vita religiosa è un connubio divino.
13. Dio è la porzione di quelli che a lui si consacrano; li illumina. li soccorre.
8. ECCELLENZA DELLA VITA INTERIORE E RELIGIOSA. – I religiosi che vivono secondo lo spirito della loro vocazione, cominciano fino di quaggiù la loro vita celeste, beata ed angelica. Quindi, 1° stanno del continuo con Dio, come nel suo tempio; infatti la religione di per sé, ed a più forte ragione la vita religiosa bene praticata, è come un cielo terrestre o paradiso di delizie, e tempio e tabernacolo di Dio… S. Bernardo chiama i religiosi angeli terrestri e uomini celesti. Hanno veramente il corpo in terra, ma l'anima in cielo (Ad tratres de Monte Dei). 2° Servono incessantemente a Dio; si votano e si consacrano tutti interi al culto divino; fanno tutte le opere loro per adempiere la regola, per il voto di obbedienza e per seguire la volontà dei superiori. Perciò tutte le loro azioni sono un atto di religione e di culto divino, perché fatte per voto e per obbedienza, obbedienza che non è separata dalla virtù della religione. Essi si sottomisero al giogo dell'obbedienza per il solo amar di Dio, per il suo onore e per la sua gloria; poiché si sottomettono volontariamente a obbedire all'uomo per Iddio. Di loro parla l'Apocalisse dove dice: «L'Agnello che è in mezzo al trono, sarà la loro guida e li condurrà alle vive sorgenti delle acque» (Apoc. VII, 17).
3° Sono vestiti di bianchi lini, lavati nel sangue dell'Agnello fino dal loro ingresso in religione… 4° Portano palme nelle mani per aver abbandonato e vinto il secolo insieme alle sue pompe, ai suoi beni, ai suoi piaceri, alle sue lusinghe; poi di giorno in giorno dominano le loro affezioni, dominano se stessi… 5° Stanno in presenza dell'Agnello, ed hanno continuamente sotto i loro occhi Gesù Cristo e la sua croce e si sforzano di unirsi a Gesù crocefisso e di trasformarsi in lui. A Gesù riferiscono in ogni incontro la fortuna della loro celeste vocazione; a lui attribuiscono le loro grazie, la loro libertà e tutti i doni che ricevettero e ricevono continuamente. Perciò non cessano mai di cantare con gli Angeli che circondano il trono di Dio: «Amen. Benedizione, e splendore, e sapienza, e ringraziamento, e onore, e potenza, e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli» (Apoc. VII, 12).
6° Questi buoni religiosi di cui parliamo, sono quelli che vennero da una grande tribolazione, che uscirono da una coscienza afflitta e torturata dal ricordo dei loro peccati, per i quali, legati nel secolo, erano anche legati da Satana. Poi furono assaliti dalle varie tribolazioni che loro vennero dal mondo, dalla carne e dal sangue, soprattutto quando stabilirono di passare dalla vita del secolo a quella del chiostro… 7° Servono Dio notte e giorno con continue preghiere e meditazioni, con salmodie, inneggiamenti, atti ripetuti di carità, di zelo, di pazienza, di umiltà, di obbedienza, di mortificazione, e di tutte le virtù… «Ed è questo l'uffizio della milizia angelica, l'essere sempre occupata a lodare il Signore» (Epist. LXXXII).
8° «Colui che siede sul trono, abiterà in loro» (Apoc. VII, 15). I religiosi sono infatti la casa e la famiglia di Dio; essi possiedono nella loro anima la potenza di Dio, e a lui gridano in ogni frangente, col Salmista: «Voi siete il nostro Dio, nelle vostre mani stanno le nostre sorti» (Psalm. XXX, 15-16). «Come il servo tiene continuamente l'occhio fisso sul suo padrone, e l'ancella su la sua signora, così i nostri sguardi sono rivolti al Signore Dio nostro, fino a tanto che abbia di noi pietà» (Psalm. CXXII, 2-3). Essendo essi gli amici di Dio, e invocandolo, egli è pronto a proteggerli, aiutarli, nutrirli, sia per il corpo sia per l'anima; egli dice loro, come già ad Abramo: «Non temete; io sono vostro protettore, e sarò vostra splendida ricompensa» (Gen. XV, 1). Per loro sono scritte queste parole del Profeta: «Chi riposa sul soccorso dell'Altissimo, starà tranquillo sotto la protezione dell'Onnipotente» (Psalm. XC, 1); e queste altre «Gli occhi del Signore stanno aperti sui giusti, e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere… Gravi tribolazioni, li aspettano; ma il Signore li scamperà a tutti i mali» (Psalm. XXXIII, 16, 20). «Io sarò, dice Iddio, un muro di fuoco attorno a loro, e mi mostrerò in mezzo ad essi nella mia gloria. Chi toccherà voi, toccherà la pupilla dei miei occhi. Rallegratevi e sciogliete canti di lode; ecco che io vengo e abiterò in mezzo a voi» (ZACH. II, 5, 8, 10).
9° «Non avranno più né fame né sete» (Apoc. VII, 16), perché in loro è attutita la fame delle terrene sostanze, è spenta la sete dei piaceri terreni. In loro, non regna né cupidigia, né ambizione. Tra di loro nessuna sollecitudine di avanzare per la famiglia, nessun'esca all'avarizia, poiché per la rigenerazione di spirito e di corpo in essi avvenuta, allontanarono da sé tutti. quegli assalti e quelle occasioni di peccato, che non si cessa mai d'incontrare nel mondo. 10° «L'Agnello sarà loro guida e lì condurrà alle sorgenti vive delle acque» (Apoc. VII, 17); poiché l'Agnello, Gesù Cristo, che rimane in mezzo di loro, li rischiara, li infiamma, li fortifica, li abbevera alle sorgenti vitali della grazia. L'Agnello è tra di loro come un maestro, come un padre di famiglia, come altre volte in mezzo all'assemblea degli Apostoli. Che altro sono, infatti, i religiosi se non i compagni degli Apostoli, la famiglia intima di Gesù Cristo? Perciò in loro si adempie quel detto dei Proverbi: «Il nome del Signore è forte cittadella; il giusto vi si rifugerà e sarà esaltato» (Prov. XVIII, 10). Inoltre l'Agnello li nutre molto spesso della sua carne nell'Eucaristia; in nessun altro luogo vi è tanta frequenza alla comunione quanto nelle case religiose… 11° «Dio tergerà dai loro occhi ogni lacrima» (Apoc. VII, 17). Dio terge le loro lagrime, le lagrime del pentimento e della compunzione, sia in questa vita, rendendole dolci e con la gioia di una coscienza santa, serena, tranquilla, e con le consolazioni e comunicazioni divine; sia principalmente nell'altra, con ricompense ineffabili ed eterne…
Alle case religiose ben dirette possiamo applicare quelle frasi del Salmista: «Monte pingue, monte fertile, monte ricco, monte delizia del Signore, è il monte di Dio» (Psalm. LXVII, 16-17). «I mali non si accosteranno a voi, e i flagelli non oseranno scagliarsi su la vostra tenda. Il Signore ha ordinato ai suoi Angeli di custodirvi in tutti i vostri passi; essi vi porteranno tra le loro braccia» (Psalm. XC, 10-12). « Il Signore ha cambiato il deserto in fiume e le sabbie del deserto in zampilli d'acqua (Psalm. CVI, 33-35).
«Venga il mio diletto nel suo giardino, e gusti i frutti delle sue piante. lo sono venuto nel mio giardino, o sorella mia, mia sposa; e vi ho raccolto la mirra ed i profumi; vi ho mangiato del miele delle mie arnie e bevuto del latte e del vino mio. Mangiate e bevete anche voi, amici carissimi» (Cant. V, 1). «Io vi ho condotti in un luogo di delizie, dice Iddio ai religiosi, e ve ne ho concesso i frutti e i beni» (IEREM. II, 7); e per bocca d'Isaia promette di dare loro un riposo eterno, di avvolgerli nel suo splendore, di rianimare le loro ossa; dice che essi saranno come un giardino sempre innaffiato, come fontana le cui acque non verrano mai a mancare (LVIII, 11).
La Sapienza ci dice che il Signore guida il giusto per vie diritte e gli mostra il regno di Dio; gli dà la scienza dei Santi; benedice le sue fatiche e ne fa prosperare i lavori (Sap. X, 10). S. Bonaventura commentando questo passo, ne rileva sei insigni benefizi che il Signore fa ai religiosi; il primo è la giustificazione: Iustum deduxit; il secondo è che li conduce per la buona strada: Per vias rectas; il terzo è che loro mostra il sua regno, per mezzo della grazia e del segreto della contemplazione: Ostendit illi regnum Dei; il quarto è il dono della scienza dei Santi, istruendoli nella cognizione della divina volontà: Dedit illi scientiam sanctorum; il quinto è che rende meritori i loro lavori, li arricchisce di favori: Honestavi illum in laboribus; il sesto è che benedice le loro fatiche, concedendo loro la perseveranza e la gloria eterna che le corona: Et complevit labores illius (In haec verba).
Le vie del Signore sono vie diritte, nota S. Bernardo, vie belle, vie ricche, vie dolci (Serm. in Cantic.). Sono vie diritte, senza errore, perché conducono alla vita. Vie ricche, perché piene di grazie. Vie facili, perché dànno la forza e la soavità… «Il popolo d'Israele, dice il medesimo Santo, fu tolto dall'Egitto; qui (cioè entrando in religione) l'uomo è cavato dal secolo. Là fu prostrato Faraone, qui si atterra il demonio. Là furono ribaltati i carri di Faraone; qui sono vinti e distrutti i desideri carnali che combattono l'anima. Gli Egiziani periscono nei flutti; i religiosi si purificano nelle lagrime. Quelli nelle onde, questi nel pianto. Ed io odo i demoni che osano affrontare l'anima religiosa, gridare: Fuggiamo Israele, allontaniamoci da quest'anima, perché il Signore combatte in suo favore (Serm. XXXIX in Cantic.)».
Magnifiche e consolanti promesse Dio fa per bocca di Ezechiele, e le rivolge in modo speciale alle persone religiose: Come un pastore visita il suo gregge, così io visiterò le mie pecore e le libererò da tutti i luoghi in cui furono disperse dalla tempesta (nel tempo, in cui vivendo tuttavia nel secolo, brancolavano tra le tenebre e i pericoli del mondo). Ed io le ritirerò di mezzo ai popoli, le riunirò da tutti i paesi e le condurrò nella loro terra, dove le metterò a pascolo su le montagne sante, lungo i perenni ruscelli e nelle più fertili regioni. Io medesimo le condurrò alla pastura ed al riposo. Io cercherò quelle che si sono smarrite, alzerò le cadute, fascerò e medicherò le ferite, rinforzerò le deboli, conserverò le robuste..; Io salverò il ricco gregge e non sarà più fatto preda: io che sono il Signore, sarò loro Dio. lo stringerò con essi un'alleanza di pace e sterminerò dalla loro terra le bestie feroci; e quelli che abitano nel deserto dormiranno tranquilli in mezzo ai boschi. Stabilirò la benedizione in mezzo alla collina in cui abito, farò cadere la pioggia di benedizione. E gli alberi dei campi daranno i loro frutti, e la terra germoglierà e sarà feconda; le mie pecorelle abiteranno in sicurezza nella loro terra; e sapranno che sono io il Signore, quando avrò spezzato le loro catene, infranto il loro giogo e strappato esse medesime alle mani di quelli che loro comandano imperiosamente (EZECH. XXXIX).
9. E UNA GRAZIA PREZIOSA L'ESSERE ALLONTANATI DAI PERICOLI DEL MONDO. – Chi ottenne dal Signore la grazia singolare di ricoverarsi in un sacro asilo, di professare la vita religiosa, non deve stancarsi mai di ripetere col Salmista: «Dall'alto dei cieli, il Signore si è degnato di stendermi la mano, mi ha preso e tratto fuori dalle acque dell'abisso: mi ha strappato dalle mani di fortissimi nemici, di coloro che mi odiano e che volevano nuocermi. Mi ha aperto un'ampia strada; mi ha salvato, perché così gli piacque» (Psalm. XVII, 17-18-20). «Il mio cuore mi tremò nel petto, e un terrore mortale m'invase. Il timore e il terrore m'istupidirono e mi trovai circondato da tenebre. E dissi: Chi mi darà ali come alla colomba? ed io me ne volerò nella solitudine e ivi riposerò. Ed ecco che ho affrettato la mia fuga, ho stabilito la mia dimora nel deserto. Ho veduto nella città la violenza e la discordia. Giorno e notte esse ne circondano i muri, l'iniquità e la miseria vi dominano. Il delitto, la frode e la menzogna stanno continuamente su le sue piazze» (Psalm. LIV, 4-7, 9-11).
Ritirandovi dal secolo, voi siete fuggiti dalla terra dell'oblio di Dio, della religione, della virtù, di tutti i doveri; la terra dei misfatti, degli scandali, di ogni sorta di mali… Che insigne favore! che grazia preziosa!… Voi dovete dire col re Profeta: Cavandomi fuori dal mondo e chiamandomi alla solitudine, Iddio ha liberato l'anima mia dalla morte, i miei occhi dalle lagrime, i miei piedi dall'abisso. Io camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi (Psalm. CXIV, 7-9). «Nel mondo i miei nemici tendevano agguati per la strada ch'io teneva… Io vi ho chiamato in aiuto, mio Dio, e ho detto: Voi siete la mia speranza e la mia porzione nella terra dei viventi» (Psalm. CXLI, 4-6).
10. FELICITÀ DELLA VITA RELIGIOSA E INTERIORE. – Nessuno è così felice, dice Salviano, quanto colui che con piena conoscenza e volontà si consacra a Dio coi voti religiosi. Egli è umile, perché tale vuol essere; è povero, ma nella povertà trova le sue delizie; è senz'ambizione, perché vi ha rinunziato; vive nell'oblio, perché rifugge dagli onori; piange, ma volontario e dolce è il suo pianto; è infermo e debole, ma se ne rallegra, ripetendo con l'Apostolo: «Quando sono debole, allora sono forte». – Perciò, qualunque cosa possa accadere al vero religioso, noi dobbiamo chiamarlo felice, perché nessuno è tanto felice, quanto colui che vuol essere tale, per quante avversità e contraddizioni lo bersaglino (De vero Iudic. et Prov. Dei, lib. I). Egli è felice, perché è uscito dal mondo e non passerà più col mondo. Perché vi è una gran differenza, dice S. Agostino, fra queste due cose: «Uscire dal mondo, è un andare a Dio; passare col mondo, vuol dire andarsene col demonio. Anche gli Egiziani uscirono, perché perseguitando il popolo di Dio non stettero immobili; ma intanto non passarono dal Mar Rosso al regno dei cieli, ma dal mare andarono alla morte (De Civit. Dei)».
E come potrebbe mai un buon religioso non essere felice, avendo scelto per sua porzione le otto beatitudini insegnate da Gesù Cristo? Egli ha abbracciato la povertà volontaria, e Gesù ha detto: Beati i poveri perché a loro spetta il regno dei cieli. Ha scelto le lagrime e la mortificazione, e Gesù ha detto: Beati i miti, perché possederanno la terra (dei viventi). Egli si è consecrato a Dio perché aveva fame e sete della giustizia, della santificazione, della salute dell'anima sua, e Gesù ha detto: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Ha scelto la carità, la misericordia, e Gesù ha detto: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Ha eletto per voto la continenza, la castità, e Gesù ha detto: Beati quelli dal cuore puro, perché vedranno Iddio. Ha eletto la pace, la calma, la tranquillità della solitudine, e Gesù ha detto: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Scegliendo questa condizione di vita e consecrandovisi, egli si è esposto alle persecuzioni dell'inferno e del mondo, ma Gesù ha detto: Beati coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia, per giungere a salute, perché il regno dei cieli è per loro (MATTH. V, 3-10). Perciò, con tutta ragione S. Gerolamo scriveva a Rustico: «Riguarda la tua cella come un paradiso. Quanto a me, la città mi pare una prigione, la solitudine un paradiso (Epist. ad Rustic.)».
I buoni religiosi cominciano quaggiù in terra quella vita beata, angelica, celeste, divina che continueranno per tutta l'eternità nel cielo… «Sì, o Signore, esclamano queste anime infocate d'amore, noi ci letizieremo nella salute che voi ci date» (Psalm. XIX, 6). «Fortunato, o Signore; quello che voi avete scelto o chiamato ad abitare nei vostri padiglioni! Noi saremo saziati dei beni della vostra casa, nel tempio dove risiede la vostra Maestà» (Psalm. LXIV, 5). «Un giorno solo passato nella vostra casa, o Signore, vale di più che mille altri» (Psalm. LXXXIII, 11). In loro si adempiono quelle parole di Davide: «I giusti vedranno e saranno nella gioia» (Psalm. CVI, 42). «Voci di allegrezza e grida di vittoria risuonano sotto i padiglioni dei giusti» (Id. CXVII, 15). «Eccoli annoverati tra i figli di Dio, la loro eredità è tra i Santi!» (Sap. V,5).
A loro sono diretti quegli incoraggiamenti dei Profeti: «Rallegrati o figlia di Sion, loda il Signore; ecco che io vengo ed abiterò in mezzo di te» (ZACH. II, 10). «Figlia di Dio, sciogli il labbro a cantici di lode; Israele, rallegrati, esulta e godi, Dio ha cancellato le tue colpe; ha sbaragliato i tuoi nemici; Iehovah tuo Dio sta in mezzo di te; egli è il Dio forte, il tuo Salvatore, tu non avrai più nulla a temere; egli si rallegrerà di te, riposerà nel tuo amore, esulterà di gioia per te» (SOPHON. III, 14-17). «Voi entrerete giubilando, e sarete condotti nella pace: i monti e i colli echeggeranno innanzi a voi di canti di allegrezza, e tutti gli alberi dintorno esulteranno di gioia… Allora voi vi rallegrerete nel Signore, ed io vi collocherò su le altezze della terra, e vi darò l'eredità di Giacobbe, vostro padre; questa è parola, è promessa del Signore» (ISAI. LV, 12 – LVIII, 14).
Chi fa consistere il suo cibo nel digiuno, il suo nutrimento nella parola di Dio, il suo riposo nell'orazione; colui che ha cenci per vestimenta, un sacco e poche sermenti per letto; chi dorme sul duro; chi veglia nell'anima sua per il Signore, costui possiede, come dice S. Paolino, la vera felicità (Epist. III). Costoro che nulla cercano, nulla desiderano di ciò che è nel mondo, volano, dice S. Gregorio, senza toccare i piedi a terra (Moral.).
11. UNIONE PERFETIA DEI CUORI NELLA VITA RELIGIOSA. – S. Giovanni Crisostomo, parlando della potenza e dell'efficacia dell'unione, dice: L'unione di dieci religiosi fa che questi dieci non sono che uno; perché uno solo è nei dieci, e i dieci sono nell'uno. Perciò ciascuno dei dieci ha venti mani, venti occhi, respira con dieci anime, perché ciascuno si prende tanta cura di tutti, come di se stesso. Nessuno è egoista, nessuno attende esclusivamente a se stesso; ma ciascuno si occupa e prende cura degli altri; e così uno solo può molto, può quanto dieci. E se n monastero contasse cento religiosi cosiffatti, ciascuno potrebbe quanto cento. E se fossero mille, dieci mila e quanti volete, vi sarebbe la medesima unione, la medesima forza, l'unità medesima (Homil. LXXVII, in Ioann.). E’ un fascio di braccia, di anime, di cuori uniti e legati insieme col vincolo dell'amore… Che inestimabile vantaggio!
Leggiamo dei primitivi cristiani, che avevano fra tutti un cuore solo ed un'anima sola; e di quello che possedevano nessuno diceva che questa o quell'altra cosa fosse sua, ma tutto era in comune fra di loro (Act. IV, 32). S. Gerolamo, S. Agostino, S. Basilio vedono in quella comunità dei primi fedeli le fondamenta, non del vivere comune che si sarebbe dovuto adottare fra i cristiani, ma della vita religiosa nei monasteri e nei conventi. Tutti quei ferventi cristiani, poco numerosi ma santi, formavano una vasta comunità di apostoli, di martiri, di confessori, di vergini…
La comunione dei beni, delle preghiere, dei cuori, è la base del l'osservanza della virtù e della perfezione. Infatti 1° è stimolo potentissimo al mutuo amore, il che fece dire a S. Lorenzo Giustiniani (De Obedient,. c. XVIII): «Con qual nome chiamerò io i monasteri dei religiosi e i luoghi dove abitano i servi di Dio, se non con quello di trincee e di accampamenti spirituali? Vi è forse cosa più ricca di questa, avere nulla e possedere tutto? Vi è azione più utile di questa, lasciare il misero e piccolo patrimonio familiare, e diventare erede di Cristo?» . 2° Questa comunanza distacca dall'amore delle sostanze e delle delizie terrene e trasferisce ogni affetto verso Dio e le cose celesti. Un vero religioso è dunque superiore al mondo; egli è padrone dell'universo, uguale agli Angeli, concittadino dei Santi, abitatore del paradiso, erede di Dio, coerede di Gesù Cristo. Ad esempio del grande Apostolo, egli non ha nulla e possiede tutto; cioè i veri tèsori e la vera ricchezza (II Cor. VI, 10). 3° Questa unione dei cuori porta con sé la comunione dei meriti e di tutti i beni. Perciò S. Basilio disse: «Tra di loro Dio è comune; il commercio della virtù è comune; comune è la salute; comuni i combattimenti; comuni le fatiche; comuni le ricompense, e comuni anche le corone delle vittorie riportate sul nemico; perché tra di loro, molti formano uno solo, e nessuno è solo, ma è in tutti (Constit. Monast., c. XIX)».
4° Questa comunione di beni toglie dalla radice ogni motivo di querela, di lite, di contesa, d'invidia, di cupidigia, di gelosia, di mormorazione, di malcontento, di preferenze, di disprezzo, ecc., e permette di attendere liberamente alle opere di pietà. 5° Procura la pace dello spirito e una gioia continua; toglie ogni sollecitudine, ogni ansietà, ogni affanno…
Questa vita è un'immagine della vita di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, prima della loro caduta; è l'immagine e il cominciamento della vita degli eletti nel cielo. Perciò S. Lorenzo Giustiniani chiama il chiostro giardino chiuso, paradiso di delizie, talamo nuziale, stanza immacolata, scuola di virtù, tabernacolo dell'alleanza, luogo di riposo per lo sposo celeste, stazione dei combattenti, casa di santità, custode della castità, fulcro della prudenza, magistero della religione, specchio singolarissimo della santa obbedienza (Opusc. de Monast. conversat., c. II). Anime religiose, voi potete con tutta verità ripetere le parole del Profeta: Come buona, come gioconda cosa è che i fratelli abitino insieme! La pace, l'unione fraterna è come l'unguento sparso su la barba di Aronne, che discende sul suo viso e si spande fino all'orlo delle sue vestimenta; come la rugiada di Ermon, che discende dal monte Sion, così discende su di noi la benedizione del Signore e la vita per l'eternità (Psalm. CXXXII).
Leggiamo nei Proverbi, che i fratelli uniti tra di loro formano una cittadella inespugnabile; sono forti come porte di bronzo alle entrate della città (Prov. XVIII, 19). Questo si compie nei chiostri dove la disciplina, l'umiltà, l'obbedienza e la carità sono in vigore. La casa, la comunità intera, per questa concordia e unione dei religiosi è più forte di tutte le schiere degli invidiosi, dei maledici, dei demoni. Io chiamo perfettissima, diceva S. Basilio, quella comunità dalla quale è escluso ogni possesso proprio e particolare di qualunque siasi oggetto, dalla quale è sbandita ogni contesa, ogni disputa, ogni maldicenza, ogni gelosia; nella quale tutto è comune; le anime, gli spiriti, i cuori, le forze, le vestimenta, il nutrimento, ecc. Qual modo di vivere si può immaginare più ammirabile di questo? Che cosa si può trovare di più felice, di più soave e di più perfetto? Qual cosa più bella di questa concordanza meravigliosa di anime e di costumi? Che cosa vi è di più splendido e di più potente, di questo perfetto accordo di persone di diverse nazioni e contrade, di varie e differenti condizioni, dissimili di età, d'intelligenza, di sapere, e che formano un cuore solo, un'anima sola, un solo e medesimo spirito? (Constit. Monast.). E chi opera questa così desiderabile unione? Dio: si serve il medesimo Dio, si fa una sola cosa con lui e in lui… Poi l'obbedienza a una medesima regola… Finalmente l’ardente brama di salvare l'anima propria…
La somiglianza e la purità degli atti nei monasteri conciliano il mutuo amore e la reciproca benevolenza. All'opposto, la singolarità, la differenza generano la disunione e l'astio. Perciò colui che in una casa religiosa, desidera rendersi accetto a Dio ed ai suoi fratelli, e passare i suoi giorni nella pace e nell'edificazione, deve cercare di vivere alla medesima tavola, di indossare i medesimi abiti, di attendere alle medesime occupazioni, ai medesimi esercizi dei suoi confratelli. Quelli che vogliono comparire singolari, quelli che si separano dagli altri sia nelle ricreazioni, sia in altri comuni esercizi, sono notati e mal veduti, giudicati e condannati da tutti.
12. LA VITA RELIGIOSA È UN CONNUBIO DIVINO. – I buoni religiosi sono gli amici intimi di Dio; al loro entrare in religione, gli Angeli del cielo dicono: «Rallegriamoci ed esultiamo e rendiamo grazie al nostro Dio, perché le nozze dell'Agnello sono venute e la sua sposa si è abbigliata» (Apoc. XIX, 7). «O come oltre ogni credere sono onorati i vostri amici, o Dio!» (Psalm. CXXXVIII, 17). «Beati quelli che sono chiamati al connubio dell'Agnello!» (Apoc. XIX, 9). Beata quell'anima alla quale lo Sposo celeste può dire: «Tu sei bella, o mia diletta; sì, tu sei bella, e gli occhi tuoi sono occhi di colomba» ed essa può rispondere: «Tu sei. bello, o mio diletto, tu sei bello e grazioso» (Cant. I, 14-15).
Che sublime società! che connubio divino! esclama Ugo da S. Vittore. Colui che è la bellezza per essenza si unisce a quella che è tutta bellezza. Io sono la bellezza in persona, dice lo Sposo, e tu, mia sposa, sei perfettamente bella; io per essenza, per natura; tu per grazia. Io sono bello in tutto, perché tutto ciò che è bello si trova in me; anche tu sei tutta bella, perché niente di macchiato si trova in te: bella di corpo, bella di anima; nel corpo ti rende bella la castità, l'interezza della verginità; nell'anima ti fa bella l'umiltà congiunta alla purità. Conveniva ad un tale sposo una sposa tale, ed era degna di un tale sposo una sposa tale. O sposa così bella di uno sposo così bello! o sposa pura di uno sposo sì puro! o sposa augusta di uno sposo che è la grandezza per essenza! (Instit. Monast. ad Novit., c. V).
S. Lorenzo Giustiniani così parla del casto e celeste maritaggio del Verbo divino con l'anima pura che si consacra a lui: In questa sublime anima si celebra un festino in cui si mangia l'Agnello immolato. Vi si gusta una pace interiore, una sicurezza perfetta, una felicità tranquilla, una gioia incomparabile, una fede senza nube, una società amabile, i baci dell'unità, i diletti della contemplazione, la soavità nello Spirito Santo. Ivi è la porta del cielo, l'entrata al paradiso. La sposa ascende spesso dal letto nuziale al cielo; lo sposo discende sempre dal cielo al letto nuziale. La sposa non ha timore, non è incerta della sua salvezza; ella entra nella dimora degli spiriti celesti, come nella casa del suo diletto, come nei suoi propri appartamenti. Questo sposo, per comperarsi e congiungersi a sé questa sposa, ha venduto a stranieri quanto possedeva, ha lottato nelle tentazioni! ha combattuto e combatte tuttavia con gli spiriti maligni. Non temerariamente, ma con piena confidenza ella entra nella casa dello sposo: poiché quantunque altre volte essa fosse straniera a questa città santa, ora però è divenuta concittadina dei beati, degli angeli, sposa del Verbo. Per un privilegio dell'amore, tutto ciò che appartiene allo sposo, appartiene anche a lei, perché il vero amore non ha nulla di proprio, nulla tiene a sé riservato, ma dà tutto quello che ha, dà se stesso con gioia e senza restrizioni. E in forza di questa medesima legge, per questo medesimo amore che porta lo sposo a dare tutto, egli si serve di tutto ciò che ha la sposa. Per la sovrabbondanza di questo mutuo amore, esiste una così grande, così perfetta e così soave familiarità tra il Verbo e l'anima, una si stretta confidenza e intimità di parole, di linguaggio, di pensieri, una sì grande sicurezza di gloria, che la sposa per nulla s'inquieta della differenza infinita della sua condizione (De Connubio Verbi et animae).
«Chi può ideare, scrive S. Ambrogio, una bellezza ed un onore che possano sostenere il paragone con la bellezza e col decoro di colei che il giudice supremo trova degna di sé; di colei che si dedica e si consacra a Dio medesimo? Sempre sposa, sempre pura, sempre amabile, l'amore ch'ella inspira non ha fine ed il suo pudore non ha nulla da temere. È questa la vera e completa bellezza alla quale non manca nulla (Exhort. ad virg.)». Questo è il sentimento che, per testimonianza del medesimo S. Ambrogio, espresse S. Agnese vergine e martire, allorché disse al figlio del Prefetto di Roma, che ne sollecitava la mano, che Gesù Cristo, già prima scelto da lei per suo sposo, era infinitamente più bello, più degno, più grande, e aggiunse: Via da me, fomite di peccato, alimento della morte; io sono già promessa ad altro amante ben più nobile di te, il quale mi ha legata a sé con l'anello della sua fede; la sua generosità non conosce limite; la sua potenza non ha confine; il suo aspetto rapisce, la sua dolcezza innamora; egli è tutto eleganza e grazia. Vergine è la sua madre, il suo padre non conobbe donna, gli angeli lo servono, n sole e la luna ne ammirano la bellezza; al suo odore i morti risuscitano, al suo contatto i malati sorgono guariti; immense ed eterne sono le sue ricchezze. A lui solo io mi conservo fedele, a lui intieramente mi affido. Amando lui, sono casta; toccando lui, sono pura; sposando lui, rimango vergine (Serm. XC, apud. S. Ambr.).
Anime religiose, anime interiori, consacrandovi a Dio, voi rinunciate ad uno sposo carnale e mortale, voi ricevete per vostro sposo Gesù Cristo; voi rinunziate ad un'alleanza con la creatura e ne contraete una col Creatore; voi godrete la società degli Angeli e dei Santi… «Io ti sposerò a me in eterno, vi dice il Signore; sarai mia sposa nella giustizia e nell'equità, nella grazia e nella misericordia. Tu sarai mia sposa nella fede, e saprai ch'io sono il Signore» (OSEAE. II, 16-20). Gli altri sposi sono deboli, infermi, poveri, ignoranti, ecc.; Gesù Cristo che voi prendete in sposo, è uno sposo immortale, forte, potente, ricco, sapiente; egli è re, egli è Dio… Che gloria, che onore stringere una tale alleanza!… O vocazione sublime! O scelta felice! O stato divino! O casa di Dio, monasterosacro, quante meraviglie di te si raccontano! (Psalm. LXXXVI, 3).
13. DIO È LA PORZIONE DI QUELLI CHE A LUI SI CONSACRANO; LI ILLUMINA, LI SOCCORRE. – Si potrebbero scrivere su le porte dei conventi e dei monasteri queste parole del Deuteronomio: La parte del Signore fu questo. popolo. Il Signore lo trovò in una terra deserta, in un luogo di orrore e di vasta solitudine; egli lo condusse, lo istruì, e lo custodì come la pupilla degli occhi suoi. Egli stese le sue ali come aquila che vola attorno ai suoi piccini e li provoca al volo; lo prese e lo portò su le proprie spalle. Il Signore solo fu sua. guida, e nessun Dio straniero fu con lui. Egli lo stabilì in una terra elevata, affinché si nutrisse dei frutti della medesima, raccogliesse il miele dalle rocce, l'olio dal macigno (l'unzione della grazia di Gesù Cristo, pietra fondamentale della salute), il burro delle mandre e il latte delle gregge, l'adipe dei montoni, e il fior della farina; affinché si abbeverasse del più eletto succo della vigna (Deuter. XXXII, 12-13). L'anima che ha Dio per eredità, possiede tutti i beni spirituali raffigurati nei sopradetti beni temporali ricordati dalla Scrittura… Ella può ripetere quelle esclamazioni del Salmista: «Il Signore è la porzione della mia eredità e del mio calice; siete voi, o mio Dio, che mi darete la mia eredità. Una parte ben pingue, una porzione nobilissima di eredità mi toccò in sorte» (Psalm. XV, 5-6).
Colui che ha Dio, ha tutto; chi avesse tutto il rimanente e non avesse Dio, sarebbe il più povero dei mortali… «Gesù, dice S. Gerolamo, è ogni cosa per l'anima che si dà e si consacra a lui affinché avendo ella abbandonato tutto per Gesù Cristo, trovi tutto in lui solo, ed egli le tenga in luogo di tutto e possa dire liberamente: Il Signore è mio patrimonio (Epist. ad Pammach.)». Ma Gesù, dice S. Giovanni, è la vita e la luce degli uomini; vita e luce che non è compresa dalle tenebre; ma a quelli che la ricevono dà il potere di diventare figli di Dio (IOANN. I, 4-5, 12); darsi dunque tutto a Gesù Cristo, consecrarsi a lui interamente e per sempre, è ottenere la vera luce, la vera scienza dei Santi. I Santi sono i soli saggi, i soli che siano veramente illuminati…
Perciò il Salmista diceva: «Io benedirò il Signore che mi ha illuminato in mezzo alle tenebre; il mio amore è stato la luce mia» (Psalm. XV, 7). Io benedirò il Signore che mi ha rischiarato, che mi ha liberato dalla notte buia del secolo e che dalle tenebre mi ha chiamato alla sua prodigiosa luce (I PETR. II, 9). Il Signore illumina e conduce quest'anima eletta per vie dirette, le mostra il regno dei cieli, le dà la scienza dei Santi (Sap. X, 10).
Dio non dà solamente luce, ma ancora forza e coraggio ai Santi suoi, e si manifesta mirabile in loro (Psalm. LXVII, 36). A favore di queste anime consecrate al suo servizio, il Signore opera dei miracoli, dice David. Divide il mare e apre loro la via in mezzo alle onde. Le conduce lungo il giorno all'ombra di una nube, e nella notte al chiarore di una luce celeste. Spacca le rocce del deserto, fa zampillare ruscelli dal vivo sasso, e le disseta ad abbondanti e limpidi ruscelli (Psalm. LXXII, 15-19). «Riceveranno, dice la Sapienza, il regno di onore e il diadema di gloria dalla mano del Signore; il quale le coprirà con la sua mano e le difenderà col suo braccio» (Sap. V, 17). Dio deve tutto se stesso a chi tutto abbandona per lui; egli ne adempie tutti i voti, ne rende stabile ogni proposito (Psalm. XIX, 5).