1. Giustizia del rimorso.
2. Il demonio e le passioni tengono soffocato il rimorso prima dell\’azione cattiva.
3. Nessuno può sottrarsi al rimorso.
4. Grande disgrazia è per il peccatore non sentire più il rimorso.
5. Mezzi per evitare i rimorsi.
1. GIUSTIZIA DEL RIMORSO. – La giustizia di Dio non lascia nessun peccato impunito, come non lascia senza premio nessuna buona azione. L\’anima colpevole provoca ella medesima la sua pena… «Voi avete così ordinato, dice S. Agostino a Dio, e così dev\’essere, che ogni anima sregolata sia di tormento a se stessa (Confess.)». Quindi quella sentenza di S. Ambrogio: «L\’empio è di castigo a se medesimo» (De offic.); e quell\’altra di S. Gerolamo: «Quanti sono i vizi in un\’anima, tanti sono i rimorsi e i tormenti» (Lib. sup. Genes.), ripetuta poi da S. Bernardo in quel testo: «Tanti duri tormenti si trovano nella pena, quanti furono i piaceri colpevoli; perché siamo puniti in quello che pecchiamo (Serm. in Psalm.)». E infatti, dei fratelli di Giuseppe leggiamo che quando, andati in Egitto per scampare alla fame, si videro minacciati, trattati da spie e chiusi in carcere per tre giorni, andavano dicendo l\’uno all\’altro: «Ben ci stanno questi affronti, avendo noi peccato contro nostro fratello» (Gen. XLII, 21).
La coscienza fu data all\’uomo affinché cerchi il bene e fugga il male; perciò colui che opera male, ferisce la coscienza e deve necessariamente sentirne il rimorso. Questo è quel calice di assenzio, quel fiele che il Signore protestò che avrebbe dato da bere al suo popolo, quando avesse abbandonato la sua legge, non ascoltata la sua voce, e seguito la perversità del suo cuore (IEREM. IX, 13-15). Il rimorso è quel giogo d\’iniquità che il medesimo Profeta chiama con energica figura giogo vigilante (Lament. I, 14); è quella paga che il Signore, per bocca d\’Isaia, dice che avrebbe gettato in seno ai malvagi per i loro misfatti (ISAI. LXV, 7).
2. IL DEMONIO E LE PASSIONI TENGONO SOFFOCATO IL RIMORSO PRIMA DELL\’AZIONE CATTIVA. – Quando il serpente volle indurre Eva al peccato, le tenne celato: il rimorso e le fece vedere soltanto la vaghezza e la bontà del frutto vietato. Voi non morrete, le disse, anzi sarete come dèi, conoscitori del bene e del male, Essa cade; Adamo la segue nella caduta, ed ecco tosto il rimorso impadronirsi di loro e dilaniare loro le viscere, cosicché corrono a nascondersi nelle ombre… Ah! se il demonio e le passioni non ci nascondessero il rimorso, prima che cadiamo nel peccato, oso dire che non peccheremmo mai. È dunque un\’infernale astuzia del diavolo e delle passioni !\’impedirci di pensare al rimorso che seguirà la colpa, prima che ci determiniamo al male. «Il peccato, dice S. Giovanni Crisostomo, prima di essere consumato, ottenebra la mente e la involge come in densa caligine; ma commessa la colpa, sorge n rimorso della coscienza che, mettendo dinanzi all\’anima l\’enormità del fatto, la cruccia e rode peggio di ogni accusatore (In Genes. c. XLII)». Avviene qui come dell\’acqua di un fiume, la quale finché corre nel suo alveo è dolce, giunta al mare diviene salmastra ed amara: «Il peccatore, nota S. Agostino, si abbandona alla colpa par averne un sorso di diletto; il piacere passa, il peccato rimane; quello che accarezzava se ne è andato, quello che punge è rimasto (Tract. de honest. mul.)».
3. NESSUNO può SOTTRARSI AL RIMORSO. – Verissima è quella sentenza di S. Basilio, che «i peccati seguono l\’anima come l\’ombra il corpo, e rappresentano vivamente coi rimorsi le immagini dei misfatti commessi (Apud Anton. Serm. XVI)». Per quanto cercasse Davide di divagarsi, sempre il suo peccato gli stava innanzi, osserva qui S. Ambrogio: qualunque azione imprendesse, qualunque discorso tenesse o udisse, sempre il rimorso gli teneva in sussulto il petto: qualunque oggetto vedesse, gli ricordava la sua colpa; alla mensa, nel letto, la notte, il giorno, nelle preghiere, nei divertimenti, sempre il ricordo della sua caduta gl\’ingombrava la mente, e il rimorso della colpa non cessava mai un istante dal pungerlo al fianco. «Il mio peccato, dice egli medesimo, mi sta sempre innanzi» (Psalm. L, 5 – De Offic.).
«Se tu fai il bene, disse Iddio a Caino, non ne avrai tu la mercede? Se, al contrario, fai il male, il peccato non sta forse là per tosto comparirti innanzi?» (Gen. IV, 7). A questo proposito S. Ambrogio così parla a Caino: No, non la voce di Abele, non l\’anima sua, o sciagurato, è quella che ti accusa, ma è la voce del sangue che tu hai versato; è il tuo delitto, non tuo fratello, che ti chiama in giudizio; ma intanto la terra che ha bevuto il suo sangue, fa testimonianza contro di te. Se tuo fratello ti risparmia, non ti risparmia già la terra; se tuo fratello tace, la terra grida e ti condanna; essa è per te e testimonio e giudice. Non vi è da dubitare che le creature superiori, il cielo, n sole, la luna, le stelle, i troni, le dominazioni, i principati, le potestà, il cherubini, i serafini, non abbiano condannato, anch\’essi, questo reo che le creature inferiori mettevano in istato di accusa. Come potrebbe il cielo risparmiare colui che la terra accusa? (De Caino 1. II, c. IX).
La sorte di Abele toccò pure a S. Venceslao, re di Boemia e martire, ucciso su la soglia del tempio in cui pregava, dal fratello Boleslao, per istigazione della madre Draomira; ma la sorte di Caino toccò pure all\’empio e barbaro fratello. Infatti, quasi a protesta contro l\’orrendo delitto, le pareti del tempio chiazzate di quel sangue innocente non ne perdettero mai l\’impronta, per quanti modi si fossero tentati per scancellarla; più si lavavano e tergevano le muraglie, e più vive ne risultavano le macchie del sangue. Quel sangue non poté essere tolto; restò in testimonio contro gli autori dell\’orribile fatto, e come il sangue di Abele, dimandava vendetta al cielo; e vendetta ebbe. Difatti la terra inghiottì viva Draomira, chiusa nella fortezza di Praga. Boleslao, tormentato, come un altro Caino, da terrori e paurose visioni, assalito dall\’imperatore Ottone, armatosi a vendicare la morte di Venceslao, sfinito da orribili malori, perdé il trono e morì in misero stato. Degli altri colpevoli, gli uni agitati dal demonio, si gettarono ad annegare nel fiume; chi divenuto folle, prese la fuga e non lasciò più traccia di sé; chi tra vagliato da incurabili morbi, divenuto peso a sé ed agli altri, finì di spaventosa morte (Annales Bohemiae – Enea Silvio – Storia della Boemia – Vita di S. Venceslao).
Nessuno può sottrarsi al rimorso, a questo flagello della coscienza…; il rimorso è inseparabile dalla colpa…; il castigo cammina pari passo col reo… «L\’empio fugge senza che alcuno lo perseguiti», leggiamo nei Proverbi (XXVIII, 1). Di tale natura è il peccato, dice S. Giovanni Crisostomo, che chi lo commette lo conserva nel cuore, teme, trema e fugge ancorché non vi sia persona che lo riprenda, o lo scopra, o lo condanni, o l\’accusi, o sappia la sua mancanza. Ah! il rimorso abita nell\’interno della sua coscienza; di là egli l\’accusa e lo strazia: e come il peccatore non può fuggire se stesso, così non può schivare questo interno e segreto accusatore (Apud. Maxim. Serm. XXVI). Colui che era condannato alla crocifissione, portava egli medesimo la croce, strumento del suo supplizio; la sua croce è il rimorso. Come due galeotti insieme incatenati, non possono muoversi, né levarsi, né camminare l\’uno senza l\’altro, così il rimorso, compagno inseparabile del misfatto, segue dappertutto e sempre il peccatore.
Lo schiavo dell\’uomo, secondo la bella osservazione di S. Agostino, ha pure qualche istante di riposa, ma lo schiavo del peccato, dove andrà mai a riposare? Da qualunque parte si volga, lo trascina con sé. Una coscienza colpevole non può sottrarsi a se stessa; non vi è luogo dove possa rifuggirsi; ella segue del continuo se stessa, non si allontana mai da sé, perché in lei medesima è il peccato commesso (De Civ. Dei). S. Ambrogio ci avvisa che il peccatore, posto pure che abbia tesori in abbondanza, e nuoti nei piaceri, tuttavia passa i suoi giorni nell\’amarezza e nel pianto. La vita del malvagio è come un sogno, al suo destarsi il suo riposo è finito, il suo piacere è svanito; la tranquillità medesima di cui pare che goda il colpevole, è un inferno; egli discende vivo nell\’inferno. Voi guardate all\’allegrezza del peccatore, ma interrogate la sua coscienza, non è essa più puzzolente di un sepolcro? Voi ne vedete le immense ricchezze ed il tripudio, ma cercatene anche le ferite e le piaghe purulente dell\’anima, e il fiele che ne empie il cuore. Ah! non vi è supplizio paragonabile alla schiavitù del peccato, al rimorso che segue la caduta nella colpa. Questo rimorso che è la pena della coscienza colpevole, punisce il peccatore che ha peccato in segreto; egli cerca di coprirsi, ma è nudo alla presenza di Dio (Offic. lib. II, c. XII). Anche S. Agostino è di questo parere, che fra tutte le tribolazioni dell\’anima umana, non vi è la peggiore di quella che proviene dal rimorso dei peccati (In Psalm. XLV). «Non si dà supplizio più atroce, scrive S. Isidoro, del rimorso della coscienza; l\’anima del reo è sempre in ambascia; una coscienza colpevole non è mai tranquilla né in pace; il rimorso la divora (Soliloq. l. II)».
Apritemi, dice eloquentemente S. Giovanni Crisostomo, apritemi la coscienza di quel reo, e voi vedrete uno spaventoso tumulto, un terra re continuo, il turbamento e la tempesta dei peccati. Vedrete l\’anima trascinata al tribunale supremo della coscienza; e questa, come giudice, appendere l\’anima al patibolo dell\’ignominia, impiegare i rimorsi come carnefici, condannarla ad alta voce e in presenza di nessun altro testimonio che Dio. Chi commette il peccato, fosse pure il più ricco del mondo, non abbia testimoni, non accusatori, non cessa perciò di essere perseguitato, accusato in se stesso. Il suo piacere si dileguò presto, il suo tormento dura perpetuo. Da ogni lato timore e spavento, ansietà e sospetto; egli impaurisce dei luoghi più solinghi, teme persino le ombre; impallidisce dinanzi ai servi, ancorché non abbiano sentore del suo peccato; il ricordo, la vista del complice lo abbatte, lo copre di confusione, e di vergogna; lo riempie di amarezza, gli suscita in cuore strazianti rimorsi. Egli porta
con sé il suo accusatore, si condanna da se medesimo, non ha un istante di tregua e di riposo (Homil. I, de Lazaro). «Ogni malvagio, scrive S. Agostino, sta male con se stesso; egli è necessariamente tormentato, crucciato, straziato. Infatti è di supplizio a se stesso, chi dalla propria coscienza è torturato. Da un nemico si fugge, ma come mai fuggire se stesso? (In Psalm. XXXVI. conc. II)».
Il rimorso è come una guardia, un cane appostato su la soglia del male per fare giustizia del peccato. Non appena voi avrete commesso la colpa, egli abbaierà, vi morderà, e lacererà senza darvi tregua; Il rimorso è il verme roditore della coscienza; egli si leva furibondo contro l\’anima colpevole e in mille guise la strazia, dandole un saggio della collera di Dio, che si appresta a colpirla; esso è la tribolazione, l\’angoscia, vale tutti i dolori presenti e futuri. La coscienza è un vero tribunale domestico, dice S. Gregorio di Nazianzo, vale egli da solo più di mille testimoni (In Genes.). Saulo persecutore intende una voce che gli grida: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Dura impresa è per te ricalcitrare contro il pungolo del rimorso (Act. IX, 4-5). Nerone medesimo confessa che l\’immagine della madre sua, da lui trucidata, sempre gli stava innanzi a tormentarlo e dilaniarlo; che si sentiva continuamente sferzato dalle furie e bruciato da fiaccole ardenti (DION. In Nerone). Ah! come è vero che l\’occhio il quale si chiude alla colpa, si apre alla pena! (S. GREG. In Genes.) e che, siccome coloro che condannati a morte, stanno aspettando nel carcere l\’ora della ferale esecuzione, passano il tempo fra angosce, affanni e tormenti più cocenti talvolta della morte stessa; così quelli che hanno l\’anima macchiata di colpe, sono divorati senza posa, in mezzo a tutti i diletti terreni, dal verme del rimorso (IOANN. CHRYSOST. Hom. XLII, de Nequitia deput.).
Uscite e vedete, dice il Signore, i cadaveri dei violatori della mia legge; il verme che li rode non morrà, e il fuoco che li divora non si spegnerà; essi saranno per sempre un oggetto di terrore a chi li rimira (ISAI. LXVI, 24). Il medesimo ripete Gesù. Cristo nel Vangelo: « Il verme loro non muore » (MARC. IX, 47). Uditene la conferma dalla bocca dell\’empio Antioco: Io mi sento abbattuto, il sonno è fuggito dai miei occhi, il cuore mi manca in petto, tanti sono gli affanni che sento! Io ho detto a me stesso: In quale afflizione mi trovo immerso, in quale baratro di tristezza sono mai caduto, io un dì sì felice e corteggiato nella mia potenza! Ah, ora mi ricordo dei mali che ho fatto in Gerusalemme, dove ho rubato tutto l\’oro e l\’argento, e ridotto in schiavitù gli abitanti. lo riconosco che per ciò sono cadute sopra di me tutte queste disgrazie; ed ecco che me ne muoio, consunto da grande melanconia, in terra straniera (I Mach. VI, 12-13). Le medesime pene noi vediamo in Adamo, in Caino, nei fratelli di Giuseppe, nel traditore Giuda, perché il rimorso stringe la coscienza, richiama alla memoria la colpa e con i suoi violenti rimproveri, punisce, flagella e non dà tregua. Si avvera quello che dice S. Bernardo: «Nella mia propria casa, in mezzo alla mia famiglia ho degli accusatori, dei testimoni, dei giudici e dei carnefici. La coscienza mi accusa, la memoria testimonia, la ragione fa da giudice, la volontà tiene il luogo di prigione, il rimorso è il carnefice, il tormento, il supplizio (De interiori domo, c. XIV)».
«Il male perseguita i peccatori» – leggiamo nei Proverbi (XIII, 21); perché la colpa commessa perseguita chi l\’ha fatta: ne turba la coscienza, la preme ed agita affinché dappertutto il reo si ricordi del suo misfatto, tremi ed aspetti la vendetta divina… «Un\’anima macchiata di peccato, chiude in sé certi non so quali interiori carnefici; o piuttosto, una tale coscienza è carnefice a se stessa», diceva Pacato (In Paneg. Theodos. imp. XLIII). Sì, il rimorso si stringe addosso al colpevole, come l\’avvoltoio su la sua preda; e quale scempio non ne fa! Non vi è tormento, nota S. Gregorio che si possa paragonare col tormento che strazia un\’anima peccatrice, perché quando l\’uomo soffre all\’esteriore, si rifugia in Dio; ma una coscienza sregolata non trova Dio in se medesima; e allora dove può essa trovare consolazioni? dove cercare riposo, conforto, pace? (In Psalm. CXLII). Quale dolore più acerbo di quello che dà la ferita interiore della coscienza? dice S. Ambrogio; quale giudizio più severo di quel giudizio domestico il quale fa sì che il reo vede il suo delitto e se lo rimprovera? (Offic. 1. III, c. IV).
La morsicatura del peccato è la morsicatura del serpente; è una furia che incalza, agita, spaventa; da qualunque parte vi volgiate, dovunque andiate, il vostro peccato è con voi, si avviticchia alla vostra coscienza; è un male inquieto che non vi lascia un momento di riposo, cosicché a tutta ragione vi stanno su le labbra quei lamenti di Sionne: «Il mio peccato mi ha gettata nella desolazione, e abbeverata di dolori» (Lament. I, 13). S. Ambrogio commentando quell\’energica frase di Michea: il rimorso vi strazierà come donna in doloroso parto (IV, 9) dice: perché tali dolori sorprendono il peccatore? perché egli concepisce e genera l\’iniquità: non essendovi dolore così grande come il rimorso che lacera la coscienza, non vi è peso più grave del peso dei peccati. Esso abbatte l\’anima, l\’atterra, sicché non può quasi più rialzarsi, e certamente non lo potrebbe, se non lo soccorresse la grazia di Dio. O figlio mio, come opprimente è il carico della colpa! (De Offic. 1. III). Chi lo porta, va ripetendo con Giobbe: i miei giorni se ne andarono, i miei pensieri si dispersero tormentandomi il cuore; il giorno è per me notte buia, la luce è volta in densa caligine (XVII, 11-12).
Ma udiamo anche, su questo argomento, la voce della filosofia pagana: «La coscienza colpevole, è per l\’anima come un\’ulcere per il corpo», sentenzia Plutarco (De Tranquill. animae), il quale ci riporta anche quel detto d\’Epitteto: «I nostri genitori ci confidano, ragazzi, a pedagoghi; Iddio ci consegna, fatti adulti, alla nostra coscienza, perché ci guardi»; e quell\’altro d\’Isocrate: «Non abbiate speranza di nascondervi, quando commettete azione vergognosa, perché, dato il caso che la celiate agli uomini, voi ve la vedrete sempre dinanzi chiaramente». Seneca scriveva che il primo e più atroce supplizio di quelli che peccano, sta nell\’avere peccato; nessun misfatto resta impunito; il tormento del delitto è nel delitto medesimo (Epist. XXVII). «O triste ricordo, esclama Quintiliano, o terribilissimo fra i tormenti, è quello di un\’anima colpevole! (Declamat. XI)». E donde provennero, dice Filostrato, i furori di Oreste, se non dall\’essersi levato contro la madre? La coscienza è quella che punisce allorché si fa il male (Vita Apoll.. c. VII).
4. GRANDE DISGRAZIA È PER IL PECCATORE NON SENTIRE PIÙ IL RIMORSO. – È spacciato quell\’infermo che non sente più il suo male; così è del peccatore che non sente più il rimorso della coscienza, perché l\’ha soffocato… Cessato il battito del polso, cessa la vita; il polso per il peccatore è il rimorso; finché questo si fa sentire, vi è speranza di guarigione; ma cessato questo, la salute del peccatore è disperata. Il segnale più certo e più terribile dell\’abbandono di Dio e dell\’eterna riprovazione, è la cessazione del rimorso. Quando un colpevole non prova più rimorsi e si rallegra di non essere più turbato nei suoi piaceri, allora egli arriva fino a vantarsi dei suoi misfatti; non pensa più né a pentirsene, né a cessare; vi perdura in tutta sicurezza; ah! per lui tutto è perduto! egli è maledetto nel tempo e nell\’eternità… Un\’anima colpevole che dilaniata dai rimorsi sente la sua colpa, può essere che presto o tardi rientri in se stessa e muti vita; ma tacendo il rimorso, più non apprende la sua colpa, e quindi come mai si convertirà?
Segnalata grazia di Dio è per il peccatore il rimorso, dice S. Ambrogio. Sentire, ascoltare il rimorso, prova che la coscienza non è ancora interamente pervertita; chi sente il bruciore della ferita, ne desidera la guarigione e prende gli opportuni rimedi. Quando si sente, vi è speranza di vita (Offic. lib. II, c. V)… Dio manda i rimorsi per turbare la tranquillità nelle passioni; per far comprendere la disgrazia che è il peccato; e per portare il colpevole a rientrare in se stesso, ad emendarsi, a dimandare perdono, a condurre una vita nuova.
«Se le nostre iniquità, o Signore, esclamava Geremia, depongono contro di noi, operate a cagione del vostro nome, perché le nostre iniquità sono innumerevoli; contro di voi abbiamo peccato» (IEREM. XIV, 7). Osservate qui, come ci avverte Origene, la potenza del rimorso, che è il censore e la guida dell\’anima (In Gen.). Perciò 1° il rimorso è un freno prima del peccato, perché genera in noi l\’aborrimento al peccato… 2° è un castigo salutare dopo il peccato, perché ne mostra l\’enormità ed il disordine… «Io chiuderò il cammino della colpa con spine, dice Iddio, e l\’uomo dirà: io andrò e ritornerò al mio sposo, a Dio; perché io era più felice allora che non al presente» (OSE. II, 6-7). Dio chiude la via del peccato con le spine dei rimorsi… Come un ragazzo è battuto con verghe perché si corregga, così il peccatore è flagellato dai rimorsi affinché si arresti e cambi via…
5. MEZZI PER EVITARE I RIMORSI. – Voi perirete tra le nazioni, e la terra nemica vi consumerà, disse Iddio nel Levitico al popolo d\’Israele. E se alcuno di voi sopravvive, egli languirà nella terra dei suoi nemici, a cagione delle sue iniquità, e sarà afflitto per i suoi peccati, finché confessi le sue mancanze; io camminerò contro di lui, finché il suo cuore incirconciso si umilii (XXVI, 38-61). Da queste parole si ricava che il mezzo per evitare il rimorso, sta nello schivare il peccato, che solo lo genera: e il mezzo per calmarlo, attutirlo e cacciarla, sta nel pentirsi dei peccati commessi, correggersene e farne penitenza. «Volete voi non sentire mai rimorsi? dice S. Isidoro: vivete santamente; la vita santa è sempre nell\’allegrezza e nella pace (Soliloq. lib. II)».