I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Martirio


1. Eccellenza del martirio.

2. Forza e coraggio del martiri.

3. La forza dei martiri viene da Dio.

4. Pace e gioia del martiri In mezzo
al tormenti.
5. Trionfo della religione nei
martiri.

6. Varie specie di martirio.


1. ECCELLENZA DEL MARTIRIO. –
«Parecchi, dice Daniele, saranno eletti, purificati e provati
come fuoco. Cadranno sotto la spada, saranno gettati in schiavitù
ed alle fiamme. Abbattuti, si rialzeranno… Cadranno per essere
saggiati e forbiti e purificati fina al tempo stabilito» (DAN.
XI, 33-35).
Il martirio è,
secondo S. Cipriano, la fine dei peccati, il termine dei pericoli, la
guida alla salute, il cammino alla pazienza, il padrone del cielo. Di
pregio inestimabile è la gloria del martirio, vittoria senza
macchia, trionfa senza oppressione. Imitando Gesù, il martire
ha l’onore di dividerne i patimenti. Com’è preziosa questa
morte che compra l’immortalità con l’effusione del sangue! O
quanto si compiace Gesù Cristo di combattere e vincere per
mezzo di tali servi! «I tormenti sono penne che mi trasportano
in cielo» (De laud. Martyr.).
Come sono preziose le ferite dei martiri! esclama S. Eucherio; esse
ci porgono l’occasione di mutare questa breve e misera vita
nell’eterna e beata. Quante ferite riceve il martire, tante palme
prende dalla mano medesima di Dio (Epl. de
Martyr
.).
«Tutti i tormenti scrive S. Leone furono
inventati per la gloria dei martiri, e gli strumenti del loro
supplizio servirono alla pompa del loro trionfo (Serm. de S.
Laurent
.)». Sentenza verissima, avuto riguardo non
solamente all’altra, ma anche alla presente vita, perché gli
strumenti dei martiri divennero. reliquie e oggetti di venerazione.
In questa doppio senso Tertulliano chiamava il martirio, «nobilissimo
ed onorevolissimo genere di morte» (Apolog. c. XXXIX).
Il sangue dei martiri
spegne il fuoco dell’inferno. Morte beata che riceve l’eterna corona
di una vita di virtù! Chi è condannato per il nome del
suo Dio, è un martire, dice Clemente Alessandrino, egli è
fratello di Gesù Cristo, figlio dell’Altissimo, tabernacolo
dello Spirito Santo (Strom.
lib. II).
S. Cipriano chiama il
martirio battesimo di fuoco e lo esalta sopra il battesimo di acqua
come più fecondo di grazie, di ordine più elevato, di
onore più splendido. – Gli angeli ne sono i ministri; dopo che
si è ricevuto, non si pecca più; corona la fede e
unisce a Dio per sempre coloro che trae fuori da questo mondo. Col
martirio gli occhi si chiudono alla terra, ma si aprono al cielo;
l’anticristo minaccia e tormenta, ma Cristo protegge e salva; il
martire incontra la morte, ma l’immortalità lo segue; perde il
mondo, ma guadagna il paradiso. O ricca permuta! la vita temporale e
transitoria si spegne, ma le succede quella eterna (Exhort.
ad Martyr
.).
Che felicità uscire di
questo mondo pericoloso, malvagio, perverso, seminato di miserie e
d’inganni! che fortuna scampare con gloria da un mare di angosce e di
tormenti, chiudere in un punto e per sempre gli occhi, per non più
vedere il mondo e gli uomini corrotti e aprirli nel medesimo istante
per vedere Gesù Cristo, la Santissima Trinità, la
corona e il trono di gloria riservato al martire!
Ma ascoltiamo quello
che ne dicono i martiri medesimi, scrivendo a San Cipriano: Qual più
grande felicità, qual più splendida gloria per un uomo,
che quella di confessare Gesù Cristo in mezzo ai manigoldi, ai
carnefici e sotto la mannaia, confessarlo tra i più atroci e i
più svariati tormenti, quando il sangue scorre a rivi, le
carni penzolano a brandelli, le ossa scricchiolano slogate e tutto
ciò per effetto del proprio libero volere! Quale ventura più
gloriosa e più felice, che quella di lasciare la terra e
andare al cielo, abbandonare gli uomini e volarsene con gli angeli;
spezzare i ceppi ed essere liberato dagli ostacoli del secolo,
acquistare la libertà e trovarsi al cospetto di Dio? Che cosa
vi è che ci dia più lustro e decoro. e ricchezza, che
quella di diventare, confessando il nome di Gesù Cristo,
compagni della sua passione, coeredi della sua gloria; conservare
immacolata l’anima propria con la professione della fede; ricusarsi
di ubbidire a leggi inumane, ingiuste e sacrileghe che manomettono la
religione, e vendicare con pubblica testimonianza le leggi di Dio;
vincere la morte, terrore di ogni uomo, e ricevere per mezzo di
questa morte, la quale non dura più che un momento, la vita
eterna; trionfare di tutti i carnefici e di tutte le torture; amare i
supplizi in virtù degli insegnamenti della fede; non curare né
la vita né la morte? O nobile, eroico ed immacolato trionfo!
(S. CYPR. Epist.
lib. V, c. XII).
Dal suo carcere Paolo
scriveva agli Efesini: «Io Paolo prigioniero di Gesù
Cristo» (Eph.
III, 1). Essere incatenato per Gesù Cristo, è titolo
più nobile, più eccellente, dice il Crisostomo, che
essere apostolo, dottore, evangelista; è tale dignità
che in suo confronto la dignità di re perde il suo pregio. Chi
ama Gesù Cristo e arde di zelo per lui, preferisce di essere
prigioniero per la gloria del suo nome, anziché godere
tranquillamente la felicità del cielo. Non forma così
splendida corona al suo capo un diadema tempestato di gemme, come una
catena di ferro portata per amore di Gesù Cristo. Se mi
lasciassero la scelta tra l’essere con gli angeli attorno al trono di
Dio, e lo starmene chiuso in prigione con Paolo, io non esiterei a
preferire la prigione. Niente può stare al confronto con
questa schiavitù! Paolo rapito al terzo cielo era meno beato
che tra le catene; io amo meglio patire con Gesù Cristo, che
regnare con lui. O beate catene! Dalle quali anche Pietro fu avvinto,
e liberato poi da un angelo. Ora se mi si dicesse: Vuoi tu essere
l’angelo che scioglie i ceppi di Pietro, ovvero Pietro legato in
catene? Io scelgo, direi, la condizione di Pietro; il ferro che gli
strinse le carni è più gran dono che la potestà
di arrestare o dare il moto al mondo, di comandare agli elementi, di
scacciare i demoni. Il martirio è l’atto più perfetto
di fede, di speranza, di carità, di religione, di forza, per
ciò procura la più splendida corona e su la terra e in
cielo (Homil. VIII).
Il sublime trionfo di Gesù Cristo, dice anche Prudenzio,
consiste nei patimenti dei martiri; soffrire, morire tra i più
atroci supplizi ed essere calmo, sereno, giulivo, ecco il trionfo dei
trionfi (In Martyr.).



2. FORZA E CORAGGIO
DEI MARTIRI. – E’ per noi un titolo di gloria il vincere, quando
siamo condotti innanzi ai tribunali, e battuti e vilipesi e
condannati; è questo per noi un vestimento di palme, un carro
trionfale, dIceva Tertulliano a nome dei cristiani nel suo
Apologetico, i martiri sono invincibili: 1° perché hanno
la fede e la speranza in Gesù Cristo, per i cui meriti Dio
concede loro abbondanza di grazie, li tiene saldi, coraggiosi e
forti; 2° perché vivono della speranza di una vita
migliore e della risurrezione gloriosa e perché sanno come Dio
renderà loro incorruttibili e gloriose quelle membra che
espongono ai tormenti; 3° perché pensano che poca e breve
cosa sono i tormenti, in paragone della mercede immensa ed eterna che
ne avranno. Questi pensieri sostengono, incoraggiano e rallegrano. i
martiri in mezzo alle più violente torture, ai più
atroci spasimi. Tutti i martiri spiegarono un coraggio straordinario
e invincibile. Guardate i sette fratelli di cui si parla nel 2°
libro dei Maccabei: preferiscono lasciare la vita tra inauditi
supplizi, anziché macchiarsi, col mangiare cibi vietati. Si
tengono fedeli alla legge di Dio e al feroce persecutore che li
tenta, rispondono: – Che cerchi tu da noi, e che vuoi sapere? Noi
siamo pronti a morire prima che violare le leggi tramandateci dai
padri nostri… Nella loro madre poi che forza eroica non risplende!
Essa li incoraggia, se li vede morire sotto gli occhi, e martire
della sua fede, perde ella medesima la vita…Il giudice Asclepiade
ordina che a Romano di Antiochia siano lacerate le carni in modo da
metterle a brani. Fa’ pure, gli risponde il santo martire, feriscimi
e lacerami da ogni parte; quanto più mi laceri, tanto più
ti ringrazio; perché queste ferite saranno come altrettante
bocche con le quali loderò e predicherò Gesù
Cristo; quante saranno le piaghe, tante saranno le voci che
benediranno e glorificheranno Iddio (In Vita).
Di S. Celerino
martire così scrive S. Cipriano: Egli era carico di catene, ma
aveva lo spirito libero; sottoposto a diverse torture, riuscì
più forte di loro; prigioniero, dominò coloro che lo
tenevano in ferri; steso sul rogo, comparve più grande di
coloro che stavano ritti della persona; vittima, si mostrò più
gagliardo dei suoi uccisori; sentenziato, apparve più nobile
dei suoi giudici; e benché avesse i piedi legati, tuttavia
atterrò il serpente, lo vinse e gli schiacciò la testa
(San CYPR. Epist.
1. IV, c. V). Prudenzio attesta di S.
Vincenzo martire nelle Spagne, che l’eculeo, la prigione, i graffi di
ferro, i pettini, i carboni ardenti, le graticole infocate, la morte,
tutto fu per lui un trastullo (In Martyr.).
Davvero che non ho
mai trovato persona, gridava il prefetto Modesto, accennando a S.
Basilio là presente, che abbia osato parlarmi con tanto
ardire! – Questo è perché, gli rispose l’illustre
pontefice, non ti sei fino ad ora imbattuto in un vescovo (Stor.
eccles
.).
Ingiuria il Cristo,
diceva il proconsole di Smirne a Policarpo, e avrai salva la vita:
Sono novanta anni, rispondeva il santo vescovo, che lo servo, non mi
ha mai fatto altro che del bene, e perché io dovrei
ingiuriare? Non mai; sarò fedele fino alla morte (In
Vita
).
Io sono frumento di
Gesù Cristo, scriveva il vescovo di Antiochia S. Policarpo,
bisogna che sia macinato dai denti delle belve, se voglio diventare
pane degno di essere offerto a Gesù Cristo… O il fuoco mi
riduca in cenere, o una croce mi consumi con morte lenta e crudele, o
mi sbranino tigri furiose, leoni affamati, o mi pestino il corpo, o
mi sloghino le ossa, o mi mettano a brani, facciano insomma della mia
persona quello che vogliono i demoni, tutto sopporterò con
gioia, purché io giunga al possesso di Cristo (Epist.
ad Rom
.).
Mentre andava al
supplizio, S. Cecilia diceva: Morire martire non è sacrificare
la gioventù, ma è un farne cambio con un’altra
migliore; è dare fango e ritirare oro; è lasciare una
piccola e diroccata capannuccia per un ampio, magnifico palazzo,
splendente di gemme; è dare una cosa peritura e vile per
riceverne una imperitura e pregevolissima (Act.
S. Caecil. mart.
).
Così
apostrofava S. Agata l’inviato del giudice Quinziano: Che cosa
aspetti, o Afrodisio? Flagella, taglia, squarcia, lacera, brucia,
pesta questo mio corpo, toglimi la vita; quanto più mi farai
soffrire, tanto maggiori grazie e favori mi procurerai dallo sposo
mio Gesù Cristo. Sia che Quinziano mi sguinzagli contro i
leoni, sia che arroventi le caldaie, sia che affili le punte dei
coltelli; apra anche, se lo può, le porte dell’inferno, e
adoperi per tormentarmi non solamente tutta la violenza degli uomini,
ma anche la rabbia dei demoni; io sopporterò tutto e morirò
vergine cristiana.. Io non temo né le minacce né le
crudeltà sue, perché Dio, al quale ho consacrato il
corpo e, l’anima mia mi custodirà. Afrodisio poi, rendendo
conto a Quinziano di ciò che aveva visto e udito e
dell’impressione che avevano fatto su Agata le lodi, le promesse, le
minacce, diceva che riuscirebbe più facile cangiare in molle
cera i duri sassi o il ferro in piombo, anziché strappare dal
cuore di Agata il suo amore per Gesù Cristo e per la castità.
Per amore di Gesù essa tutto calpesta, e nessun tormento le
sembra grave; ad altro non pensa giorno e notte, se non che a morire
per lui (SURIO, Vite de’ Santi).
Racconta S. Ambrogio
che la vergine Agnese richiesta in matrimonio dal figlio del prefetto
di Roma, gli rispose che Gesù suo sposo era infinitamente più
bello, più nobile, più ricco e più grande di
lui. E aggiunse: Via da me, fomento di peccato, alimento di morte; io
appartengo a Gesù Cristo; vedi quest’anello, pegno della
fedeltà che gli ho promesso; la sua generosità è
più grande, il suo potere più esteso, il suo sguardo è
più attraente, il suo amore è più dolce di tutto
ciò che tu possa offrirmi. Io sono sposa a colui la cui madre
è vergine, il cui padre non conosce donna; gli angeli lo
servono; il sole e gli astri s’inchinano al suo splendore; risuscita
i morti col su o fiato, guarisce gli infermi col solo toccarli;
infinite ed eterne sono le sue ricchezze. A lui solo conservo la mia
fede, a lui solo mi affido; lui amando sono casta, lui toccando sono
monda, lui sposando rimango vergine (S. AMBROS. Serm.
XC).
Avendo il pro console
dimandato alla vergine martire Serapia, dove fosse il tempio di quel
Gesù ch’ella adorava, e qual sacrifizio gli offerisse, si udì
rispondere: – Mantenendomi in castità, io sono il tempio di
Gesù Cristo a cui offro me stessa in sacrifizio. – Orbene,
replicò il proconsole, se ti si toglie la castità,
cesserai di essere il tempio di Gesù Cristo? – La vergine gli
rispose allora con quelle parole di S. Paolo: Se alcuno fa oltraggio
al tempio di Dio, il Signore lo sterminerà. E infatti,
essendosi quell’empio e crudele giudice provato ad oltraggiarla, Dio
la preservò con grande e potente prodigio (SURIO, In
Vita
).
Tale è il coraggio e la
forza che spiegarono tutti i martiri. Ammirabile è la loro
vita, ma più ammirabile ancora è la loro morte.

3. LA FORZA DEI
MARTIRI VIENE DA DIO. – Donde traevano i martiri tanta forza e tanto
eroismo? dall’aiuto di Dio. Essi si burlavano dei giudici e dei
carnefici, come se non provassero nessun dolore o patissero in un
corpo estraneo, scrive S. Efrem. Se avete supplizi più duri e
atroci, metteteli pure in opera, alcuni dicevano. Altri gridavano di
mezzo alle fiamme: Come mai? il vostro fuoco ci pare ghiaccio, le
vostre torture sono fiacche, le battiture leggere, i vostri aculei
sono di legno tarlato. Voi non avete supplizio che basti ai nostri
desideri e alle nostre forze; noi siamo disposti a tormenti assai più
lunghi e più crudeli. Né le graticole infocate, né
le fiamme ardenti, né le caldaie piene di olio o di pece
bollente, né le lame roventi, né i pettini di ferro, né
i cavalletti, né le cataste, né le fiere potevano
intimidire quei generosi e fedeli soldati di Gesù Cristo; Gesù
pativa in essi e ne addolciva le pene (Encom.
Martyr
.).
Ecco come il braccio di Dio sa
venire in soccorso di coloro che vivono, combattono, muoiono per la
fede. Non pochi martiri attestarono che non sentivano nemmeno i
tormenti che li straziavano. O miracolo commovente dei fortunati
effetti che produce la grazia e la bontà di Dio!



4. PACE E GIOIA DEI
MARTIRI IN MEZZO AI TORMENTI. – Ma lo spettacolo che nei martiri
sorprende e commuove di più, è il vederli allegri e
giubilanti in mezzo ai più crudeli supplizi. Cantando inni di
ringraziamento a Dio, ripetevano col grande Apostolo: «Come
abbondano in noi i patimenti di Cristo, così abbonda in noi,
per la grazia di Gesù Cristo, la consolazione e la gioia»
(II Cor I, 5). Ovvero:
«Noi godiamo e giubiliamo tra le pene che ci straziano»
(Ib. VII, 4).
Camminando dietro le orme di Gesù Cristo, cercavano anch’essi,
a suo esempio, la felicità e la gioia nella croce (Hebr.
XII, 2). S. Vincenzo, per esempio, burlandosi del tiranno Daciano,
chiamava nuziale convito le più orribili torture e diceva di
averlo sempre desiderato e che nessun altro lo aveva servito meglio
di lui in questo suo desiderio (SURIO, In
Vita
).
Tanto grande e sicuro
era il bene che i martiri si aspettavano; tanto gloriosa la mercede
loro promessa e così dolce il possesso, scrive S. Agostino,
che la luce di quaggiù era per loro un nulla; disprezzavano la
spada come irrugginita, schernivano i supplizi come impotenti; il
cuore nuotava nell’allegrezza. Andavano dal rogo al cielo! (De
Martyr
.). La gioia dei martiri fra le torture
è il trionfo di Dio stesso, dice S. Girolamo.
Non solamente i martiri godevano
tra i supplizi, ma l’allegrezza loro cresceva col moltiplicarsi e
crescere dei loro patimenti. Quella gioia veniva loro dal cielo,
sgorgava dal cuore di Gesù Cristo ed era un saggio anticipato
del gaudio eterno.



5. TRIONFO DELLA
RELIGIONE NEI MARTIRI. – Il sangue dei cristiani è feconda
semente, diceva Tertulliano ai persecutori pagani, e più la
nostra falce ne miete, più il loro numero aumenta (Apolog.
c. XXVIII). Infatti, chi considera la pazienza, la forza, la
serenità, la perseveranza dei martiri, il loro numero
grandissimo, i vari generi di supplizi inventati per abbatterne la
costanza ed in ogni più crudele maniera messi in opera sui
loro corpi, senza mai scuoterne l’animo; chi attentamente contempla
quella moltitudine di persone di ogni età e condizione,
vecchi, ragazzi e verginelle che correvano lieti al supplizio; costui
non può fare a meno di riconoscere che la religione per la
quale così si muore è una religione divina, è la
sola vera religione. Perciò soltanto nella Chiesa cattolica,
apostolica, romana s’incontrano martiri, degni di questo nome. I
martiri spandevano l’odore celeste della conoscenza di Dio e della
sua legge; le nazioni pagane ne meravigliavano e un segreto impulso,
lento talvolta e non di rado subitaneo, li spingeva a credere alla
verità del Vangelo ed a Gesù Cristo. Di questo modo la
predicazione del Vangelo trionfò su la bocca degli apostoli;
la fede soggiogò l’infedeltà, la verità dissipò
l’errore, la carità estinse l’odio, la pazienza superò
ogni sorta di tormenti e le più crudeli morti. Spesso alla
vista del numero, della rassegnazione e dell’allegrezza dei martiri,
i giudici, i carnefici, i custodi delle prigioni si convertivano,
abbracciavano il Cristianesimo e divenivano martiri alla loro volta.
Si trovavano trasformati di peccatori in apostoli, di leoni in
agnelli, di grandi peccatori e riprovati, in grandi santi e abitatori
del cielo…
«La vita si è manifestata, dice S.
Giovanni, e noi l’abbiamo veduta e le rendiamo testimonianza, e vi
annunziamo la vita eterna, la quale era presso il Padre, e a noi
apparve. Noi vi predichiamo quello che abbiamo veduto e inteso»
(1 IOANN. l, 2-3). Noi ve la predichiamo con gli insegnamenti, con la
vita, con i patimenti, col martirio, con la morte.



6. VARIE SPECIE DI
MARTIRIO. – L’avventurata sorte dei martiri è degna certamente
di essere ambita. Ora tutti noi possiamo parteciparvi, ciascuno nel
suo stato, perché vi sono altri generi di martirio, oltre
quelli di sangue, e degni anch’essi di grande merito, e di ricca
mercede. Non nella sola effusione del sangue per la fede sta il
martirio, scriveva S. Gerolamo, ma anche la perfetta soggezione alla
volontà di Dio merita un tal nome (Epitaph.
S. Paul
.). Non sempre, né a tutti si
presenta l’occasione di essere perseguitati, avverte S. Gregorio, ma
anche la pace ha il suo martirio; poiché chi non deve piegare
il capo sotto la mannaia del carnefice, può almeno sottoporre
al fendente della spada spirituale i carnali desideri che sente
nascere dentro di sé (Homil. III
In Evang
.). E
questo genere di martirio, col quale si assoggetta la carne allo
spirito, sebbene, come osserva S. Bernardo, non rattristi così
la vista come quello che ha per strumento il ferro e il fuoco, non è
tuttavia meno degno di premio, perché più penoso a
cagione della sua durata (Serm.
XXX in Cant.).
Vi sono tre martirii
che non esigono lo spargimento del sangue; e sono tuttavia assai
meritori: 1° essere ricco e vivere interamente distaccato dai
beni della terra, come Giobbe e Davide; 2° fare larghe limosine
in una condizione ristretta, ad esempio di Tobia e della Vedova del
Vangelo; 3° mantenersi casto nella gioventù, a imitazione
di Giuseppe in Egitto… «Conservare intatta la purità,
dice S. Gerolamo, porta seco un certo qual martirio» (Ut sup.).
Anche la povertà volontaria è un
vero martirio; un vero e continuo martirio sono i tre voti che si
fanno in religione, di castità, povertà, obbedienza,
quando siano gelosamente conservati… Una vita impiegata nelle opere
di pietà e di carità cristiana equivale ad un mirabile
martirio… Tutto il merito del martirio ha finalmente la morte che
s’incontra per servizio degli infermi affetti di pestilenza. Un
memorabile esempio ce ne offre il Martirologio romano, dove
sotto la data del 28 febbraio si legge: Ad Alessandria commemorazione
dei santi preti, diaconi, e altri fedeli in gran numero, i quali, ai
tempi di Valeriano imperatore, in giorni in cui infieriva un’orribile
pestilenza, portarono soccorso agli ammalati esponendo la loro vita
alla morte; venerati perciò come martiri della pietà
dei primi cristiani.
Volete voi sapere,
domanda S. Pier Damiani, come in seno alla pace che ora gode la
Chiesa, potete sostenere il martirio? Ascendete il tribunale della
vostra ragione e condannatevi alla tortura. Faccia il pensiero da
accusatore, lo spirito da giudice, la coscienza pentita da esecutore
e manigoldo; un torrente di lagrime sgorghi dai vostri occhi e vi
solchi le guance. Con questa imitazione del martirio, voi arriverete
alla dignità di coloro che versarono il loro sangue per la
fede (Serm. de S. Apollinar.).
Grande e sublime martirio, dice S. Lorenzo Giustiniani, è
quello di esporre la propria vita per Gesù Cristo. I pii
missionari, le venerabili religiose che lasciano le loro case, amici,
parenti e patria per andare in remote, barbare contrade a strappare
anime all’errore, al delitto, al demonio e darle a Cristo; questi
eroi ed eroine della fede che si espongono ad ogni privazione, a
mille rischi, a cento morti per sì nobile fine, avranno un
merito uguale a quello dei martiri. Ascoltate quello che dice un vero
martire, che fu anche martire della carità, S. Paolo: «Miei
fratelli, scriveva ai Corinzi (I, XV, 31), io muoio ogni giorno per
la vostra gloria, in Gesù Cristo nostro Signore» (Serm.
de S. Martin
.).
Nessuno si scusi,
dicendo: I felici tempi del martirio sono passati; i persecutori
scomparvero; Nerone, Decio, Diocleziano tramontarono; perché
ciascuno è spiato da nemici che lo perseguitano. Non passa
istante senza che qualche nemico, sia poi esso il demonio, il mondo,
o la carne, vi stia ai fianchi; talora si uniscono tutti e tre a
congiurare ai danni vostri. Resistete da prodi; trionfate, e voi
avrete la palma del martirio. Se voi fuggite quelli che v’invitano al
vizio, se li respingete risoluti, come il casto Giuseppe, voi sarete
martiri del pudore. Se sopportate senza stancarvi le ingiurie e le
ingiustizie, sarete martiri della pazienza. Se accettate con gioia
gli insulti e gli obbrobri, sarete martiri dell’umiltà..,. Se
adempite esattamente le ingiunzioni dei superiori, anche troppo gravi
e penose, sarete martiri dell’obbedienza. Qual cosa più
confortevole e consolante? Vi è forse martirio più
rigoroso di quello per cui volontariamente soffre la fame tra i
conviti, si veste dimesso e povero in mezzo alle ricchezze, si
preferisce la penuria all’abbondanza? Forse che non meriterà
la corona di martire colui che si tura le orecchie alle promesse del
mondo, respinge le tentazioni del demonio e, cosa più gloriosa
ancora, trionfa di se stesso e frena la concupiscenza che si ribella?
Ricordate, per essere coraggiosi nella lotta, che tale vita è
un battesimo di sangue, un martirio continuo. Sì, è un
martirio ed un certo quale spargimento di sangue, l’affliggere ogni
giorno il proprio corpo e ridurlo in ischiavitù: il confessore
che ha versato il proprio sangue per Gesù Cristo, riceve una
corona di rose; il martire della purità una corona di gigli.
Questo non ignorava S. Pacomio il quale ad un monaco che voleva
uscire dal chiostro per andarsene in cerca del martirio, sensatamente
rispose: Corri da valoroso, figliuol mio, l’arringo del monaco, e
combatti costantemente; se osservi la regola e cerchi di piacere a
Gesù Cristo, tu avrai presso Dio il merito del martirio (Vite
de’ Padri
).
Rallegriamoci con coloro che
sacrificarono la vita per il nome di Gesù Cristo…; invidiamo
la loro fortuna, e dal momento che vi sono più sorta di
martiri, cerchiamo di diventare tali anche noi in qualche modo, per
meritarne la splendida corona…