I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Maldicenza

1. Stragi della maldicenza.

2. Malignità dei maldicenti.

3. Enormità del delitto di
maldicenza.
4. Quanto sia frequente la
maldicenza.

5. Il maldicente si dipinge da se
stesso.

6. Dio punisce i maldicenti.

7. Bisogna opporsi alla maldicenza.

8. Mezzi per opporsi alla maldicenza.

1. STRAGI DELLA
MALDICENZA. – «Chi detrae all’altrui fama in occulto, è
come serpente che morde in silenzio» (Eccle. X, 11).
Con la sua imprudenza o malignità
il maldicente ferisce suo fratello, turba la pace, distrugge la
carità, rompe l’unione, scandalizza chi l’ode e dà
origine a contese, a litigi, a odi, a rancori, a desideri di
vendetta. La lingua del serpente è tripartita, fa quindi tre
ferite ad un tempo; così è della lingua del detrattore;
con essa ferisce la propria coscienza peccando, lacera la riputazione
del prossimo, offende l’orecchio e l’anima di chi l’ascolta. Però
il maldicente fa una piaga più profonda che non il serpente,
perché la sua morsicatura è più nascosta, più
nocevole, più dolorosa. Il serpe non ferisce che il corpo; la
maldicenza ferisce la fama, il cuore, l’intelligenza. Mentre morde,
il serpe non ferisce se medesimo; il maldicente, al contrario,
ferisce se stesso e gli altri.
Il malèdico si
può paragonare alla vipera, perché come questa inietta
il veleno nella ferita che apre, così quello dà
morsicature avvelenate; anzi può dirsi che morde soltanto per
ispargere il suo veleno. La sua condotta richiama a mente quella
frase del Salmista: «Veleno di aspide si nasconde sotto le loro
labbra» (Psalm. CXXXIX, 4). La morsicatura dell’aspide
rende il sangue tutto nero, la maldicenza annerisce la riputazione
del prossimo.
«Gran male è
la maldicenza, scrive il Crisostomo (Homil. in Psalm.C ),
demonio turbolento che non lascia un istante in pace l’uomo. Da essa
nascono gli odi, si producono i dissensi, s’infiammano le contese, si
generano i sospetti. Di un amico essa te ne fa, senza ragionevole
motivo, un nemico; mette a soqquadro le famiglie; arma città
pacifiche; scioglie i legami della pace che è sì bella;
spezza il potente vincolo della carità. Chi si abbandona alla
maldicenza diviene schiavo del demonio». La maldicenza rompe
l’amicizia; uccide l’amor fraterno; può rovinare una
famiglia, una società, ed anche una nazione, è la
nemica mortale dell’ordine.
L’uomo che sparla del
suo prossimo è dal Savio paragonato ad una freccia, ad una
spada, ad un giavellotto (Prov. XXV, 18). S. Bernardo dice:
«La lingua malèdica non è forse una vipera? Sì
certo, e crudelissima, perché attossica di un fiato tre
persone (quella che sparla, quella di cui si sparla, quella che
ascolta). Una tal lingua non è forse una lancia? Sì, e
quanto acuta! poiché ferisce di un colpo tre persone. La loro
lingua è spada affilata, dice il profeta. E spada a due tagli,
o piuttosto a tre, e troppo più funesta che non la lancia con
cui fu trapassato il costato a Gesù crocefisso. Leggerissima
cosa è una parola perché vola rapidissima, ma alle
volte ferisce assai gravemente, passa come lampo, ma brucia e
scoscende come fulmine; penetra facilmente nell’anima, ma
difficilissimamente ne esce» (De triplic. custodia). Il
maldicente è, dal medesimo santo, paragonato ad un lebbroso,
ad un appestato che comunica il suo male a chi lo accosta. La morte
dell’uomo, in quanto è un essere corporale, comincia con la
lingua e si estende poco per volta al cuore; la morte dell’uomo, in
quanto è un essere morale, comincia anche molte volte dalla
lingua, cioè dalle parole e infetta passo passo la volontà
ed il cuore. Il malèdico e chi gli porge volentieri orecchio,
portano ambedue il demonio nel loro seno (Serm. de Detract.).
«Dire male del
prossimo, scrive Cicerone, è più contro natura, che la
morte, che il dolore, che qualunque disgrazia possa accadere nel
corpo o nella fortuna; perché la maldicenza toglie la
concordia e rende impossibile il vivere sociale (De Offic)».
«Chi bistratta un amico assente, dice Orazio, chi può
fingere ed inventare quello che non vide e non può tenere in
sé quello che gli fu confidato, costui è un cattivo
cittadino da cui tu, o romano, tieniti guardato».
Il maldicente vi
scopre i segreti degli altri, ma tradirà anche i vostri e
abuserà della vostra confidenza. «Col mormorare, dice il
Crisostomo, voi divorate vostro fratello, fate profonde morsicature
al prossimo. S. Paolo scriveva queste terribili frasi: «Se vi
mordete e vi divorate gli uni gli altri, badate che non vi
distruggiate reciprocamente (Gal. V, 12). Voi non avete, no,
dato di morso coi denti nelle carni del vostro fratello, ma avete
traforato la sua anima, sparso su di lui funesti sospetti e attirato
sopra di voi e sopra parecchi altri, innumerevoli mali (Hom.
III)». S. Bernardo dice: «Ogni malèdico svela se
stesso mostrando che il suo cuore è vuoto di carità.
Poi a che altro mira nel detrarre, se non a rendere spregiato o
odioso colui di cui sparla, presso quelli che prende a confidenti
delle mormorazioni? (Serm. XXIV in Cant.)».
Ma udite come parla
del maldicente il Signore medesimo nell’Ecclesiastico: «Il
sussurrone macchia l’anima sua e sarà odiato da tutti»
(XXI, 31). Se voi soffiate sopra un carbone, esso si accenderà
e diventerà bragia; ma se vi sputate sopra, si spegnerà;
ora l’una e l’altra cosa sono l’opera della bocca. La lingua a tre
punte ha rovinato molte persone e le ha fatte raminghe fra i popoli.
Ha atterrato floride città e forti castelli, ha spesso
rovinato la casa dei grandi. Ha distrutto le virtù d’intere
nazioni, ha prostrato genti bellicosissime. La lingua a tre tagli ha
fatto bandire dalla casa donne di carattere virile e le ha private
del frutto dei loro lavori. Chi le dà retta, non godrà
pace e non avrà un amico su cui riposare. Il colpo di una
sferzata produce una lividura, ma un colpo di lingua rompe le ossa.
Molti caddero sotto il taglio della spada, ma il loro numero è
di gran lunga inferiore a quello di coloro che perirono per il taglio
della loro lingua: Felice chi è al sicuro dalla lingua
perfida, che non n’ebbe mai a provare la collera né portare il
giogo, che non fu stretto dai suoi ceppi; perché questo giogo
è un giogo di ferro, questi ceppi sono ceppi di rame. La morte
ch’essa dà è morte terribile ed è da desiderare
il sepolcro anziché provarla (Eccli. XXVIII, 14-25).
La Scrittura paragona la lingua
mormoratrice ad una spada, ad una sferza, ad una lingua di serpente e
di vipera, al fuoco, al leone, al leopardo, alla morte, all’inferno,
per indicare quanto sia pericolosa, quante stragi meni, e come sia
necessario il guardarsene, temerla e detestarla: dice che di rame
sono le catene e di ferro il giogo, perché intendiamo che è
cosa crudele, insopportabile, dura, infrangibile, mortale.
«I maldicenti,
dice Geremia, hanno teso la loro lingua come arco per lanciare
menzogne; sono divenuti formidabili su la terra, perché vanno
di male in male e non vollero conoscere il Signore. Stia ognuno in
guardia contro il suo vicino e non si fidi di suo fratello, perché
ne troverà che lo soppianteranno… La loro lingua è
saetta che impiaga: parlano per ingannare; hanno nella bocca parole
di pace con gi amici, mentre con la mano loro tendono di soppiatto il
laccio (Ierem. IX, 3-4, 8). Questi tratti del profeta ci
dicono: 1° Che la lingua ci è stata data per Iddio, cioè
perché sia un arco posto a servigio della verità e
della benedizione; e il mormoratore l’adopera per la menzogna e la
maledizione… 2° I detrattori sono formidabili, perché si
tirano dietro la folla che li segue e l’applaude o per timore, o per
debolezza, o per rispetto umano… 3° Vanno di male in male, da
una maldicenza all’altra, da una mormorazione ad una calunnia, ecc…
4° Non conoscono più il Signore, non se ne danno più
pensiero… 5° Studiano a danneggiare coloro che li avvicinano…
6° In presenza vostra si infingono vostri amici e vi lodano: in
vostra assenza vi si volgono contro e vi lacerano… 7° Assalgono
le persone d’indole mite, di carattere dolce e puro, le canzonano, le
sbeffeggiano, le malmenano… 8° Di tutto s’informano, tutto
spiano: in tutto mettono mano e bocca, di tutto vogliono sentenziare
per mettere in mala mostra, biasimare, vituperare, diffamare,
vendicarsi, sbranare, distruggere… 9° Sono maestri matricolati
di finzioni, di raggiri, di soperchierie, di ipocrisie, di menzogne,
d’ingiustizia, e non rifuggono dal profittare di ogni vizio, per
abbindolare la loro vittima, colpirla, sterminarla.
La lingua malèdica non
trova mai nulla di bene. Siete povero? vi rende vile, abietto,
dispregevole… Siete ricco? Vi accusa di avarizia, di cupidigia, di
ambizione… Vi mostrate affabile, manieroso, servizievole? vi mette
in sospetto d’ipocrita, di licenzioso, di traditore… Avete ingegno?
siete un orgoglioso, un vanerello… State in silenzio? siete un
ingrognato, un inutilaccio… Parlate? vi dà patente di
blaterane, noioso, stucchevole… Digiunate? vi mortificate? vi
chiama bacchettone, baciapile… Mangiate e bevete? vi battezza col
nome di ghiottone, buontempone, bevitore, ecc… La sacra Scrittura
dà alla lingua del detrattore il nome di dente e a ragione;
perché una tal lingua rompe e mette a brani la riputazione del
prossimo, come i denti spezzano e maciullano il pane.

2. MALIGNITÀ
DEI MALDICENTI. – «Ecco, dice il Salmista che i peccatori hanno
teso l’arco e preparato le saette per ferire nell’oscurità i
retti di cuore» (Psalm. X. 2). «La tua barca, o
mormoratore, è stata feconda di malizia e la tua lingua ordiva
inganni» (Psalm. XLIX, 19). I maledici si rallegrano
degli effetti che produce l’infame loro lingua. Ad essi in modo
speciale si può applicare quel detto dei Proverbi:
«Menano vanto del male che fanno, tripudiano di gioia in mezzo
alle più enormi
nefandezze»
(Prov. II, 14). La brama dei malèdici è di
mortificare, ferire, nuocere… Non vi è persona più
cattiva e più crudele del detrattore; si potrebbe chiamare
senz’iperbole l’antropofago vivente in mezzo alle nazioni civili…

3. ENORMITÀ DEL DELITTO DI MALDICENZA. –
Secondo il parere di uomini prudenti e saggi, sono molti quelli che
si dannano a cagione del peccato di maldicenza e di calunnia. Tanto
più grave e pericolosa è la mormorazione, quanto più
è cosa ordinaria farne poco conto, considerarla come
un’inezia, oscurarla dandole colore di zelo. «Gettando la
fiaccola della discordia e dello scompiglio tra una società di
fratelli, i maldicenti imitano Giuda e tradiscono Gesù
Cristo», dice il Venerabile Beda (In Prov.). S. Bernardo
dice: «Se al giorno del giudizio dovremo rendere conto di ogni
parola oziosa ed inutile, quanto più stretta, ragione ci sarà
chiesta di ogni parola mordace, ingiuriosa, bugiarda! (Serm. de
tripl. custod
.)».
Tutti quelli che
mormorano peccano contro la carità che è la regina
delle virtù; ora senza la carità, il resto è un
nulla… «Pensino e vedano i malèdici, dice S. Gregorio,
in quanti peccati si impigliano con le loro maldicenze: raffreddano e
spesso anche spengono del tutto l’amor del prossimo nell’anima di
coloro che li ascoltano; sono gli amici e i servi del demonio; gli
assalitori, gli avversari di Dio» (Homil. in Evang.).
D’altronde la maldicenza è un male quasi irrimediabile…
La gravità della mormorazione si rileva:
1° dalla qualità di colui che sparla; 2° dallo stato
di quegli di cui si parla; 3° dal male che se ne dice…; 4°
dal numero degli uditori…; 5° dagli effetti e dalle conseguenze
della maldicenza…; 6° dall’intenzione e dalla cagione che muove
al mormorare.

4. QUANTO SIA
FREQUENTE LA MALDICENZA. – «Dov’è colui che non abbia
mai mancato con la lingua?» domanda il Savio (Eccli.
XIX, 17); e chiama fortunato colui che non si trovò mai
esposto alle saette di una lingua maledica, che non n’ebbe mai ad
incontrare la vendetta, che non ne portò mai il giogo, che non
fu mai legato dalle sue catene (Id. XXVIII).
La mormorazione è
un vizio così divulgato e comune, che s’incontra
dappertutto… Nessuno va immune dalle ferite delle lingue malediche
e poche sono le lingue che più o meno non s’imbrattino di
questo lezzo. «Noi imitiamo i sorci, dice Plauto: rodiamo quasi
sempre e quotidianamente ci nutriamo di roba che non ci appartiene»
(Ita LAERT.). Anche S. Gerolamo lamenta, scrivendo a Celanzia,
che poche persone sappiano astenersi dalla mormorazione, e constata
che questa passione, la quale spinge l’uomo a sguinzagliare la sua
lingua a danno del prossimo, è universale. Si arriva a
rimediare a tutti gli altri difetti; ma ben di rado a questo.
In cento maniere si può
mormorare: 1° scoprendo il male; 2° esagerandolo…; 3°
travestendo e incolpando le azioni del prossimo…; 4° negando le
sue buoni intenzioni…; 5° diminuendo gli elogi che altri gli
rivolge…; 6° spargendo il dubbio…; 7° tacendo quando si
dovrebbe parlare…; 8° lodandolo fiaccamente…; 9°
osservando un silenzio malizioso…; 10° con lettere, scritti,
libercoli, canzoni e simili…

5. IL MALDICENTE SI
DIPINGE DA SE STESSO. – Essendosi Davide fatto reo di un doppio
delitto, di un adulterio cioè e di un omicidio, il Signore gli
inviò il profeta Natan che gli disse: Due uomini, l’uno ricco,
l’altro povero, abitavano un medesimo paese. Il ricco aveva pecore e
buoi in abbondanza, mentre il povero non possedeva altro che una
piccola pecora, da lui comprata e che aveva allevato presso di sé,
insieme con i suoi figli, nutrendola del suo pane e ponendosela a
riposare sul proprio seno. Capitò un forestiero in casa del
ricco e costui per dargli da mangiare, rubò al povero la sua
pecorella e con questa imbandì la cena al suo ospite…
Sdegnato di tanta iniquità, Davide giurò a Natan che
quel tale, figlio di peccato, per aver rubato la pecora al poverello,
gliene avrebbe restituite quattro. E allora Natan a Davide: «Tu,
o re, sei quest’uomo» (II Reg. XII, 7). O Davide! tu
condanni il ricco di cui ti parlò il profeta; ebbene questo è
il tuo ritratto. La medesima risposta si può dare al malèdico.
Voi trovate, gli si potrebbe a buon diritto rinfacciare, voi trovate
difetti in tutte le persone; nessuno agli occhi vostri è
perfetto. Ora, lo siete voi più degli altri? Riserbate per voi
i rimproveri, i consigli di cui fate pompa verso gli altri, volgete
contro di voi, che ben ve li meritate, i fulmini che scagliate contro
gli altri. Voi dite: il tale non ha religione; ma badate che voi
parlate di voi medesimo; perché l’apostolo S. Giacomo ci
assicura che chi non frena la lingua ha una religione non verace
(IACOB. I, 26). Voi accusate il prossimo d’orgoglio; ma vi dimostrate
voi medesimo orgoglioso; perché se foste umile non
sentenziereste degli altri… Tizio è imprudente, voi dite, e
non vi accorgete che accusate voi medesimo, mettendo in mostra quanta
sia la vostra imprudenza nell’assalirlo. – Caio è ingiusto,
voi andate dicendo, ma dov’è la vostra giustizia nel
biasimarlo? Chi vi ha stabilito giudice? – Quel tale si abbandona
all’intemperanza, voi dite; ma vi è forse cosa più
intemperante o intemperanza più odiosa di quella della lingua
malèdica? – Voi accusate ora questo ora quello di mancanza di
carità; ma nessuno ne mostra così poca come il
mormoratore. Voi dipingete il vostro ritratto.
Notate che il malèdico
assale tutte le virtù ed egli non ne possiede nessuna: attacca
la religione, l’umiltà, la prudenza, la giustizia, la
temperanza, la carità dei suoi fratelli; ed è questa
una prova palpabile che in lui non vi è né religione,
né giustizia, né umiltà, né prudenza, né
rIservatezza, né carità… La lingua che flagella gli
altri, comincia dal flagellare senza pietà se medesima. Voi
fate il ritratto di tutti quelli che conoscete, ma ne dipingete
solamente il lato vizioso o difettoso, ed è molto se lasciate
travedere in lontananza ed a tinte sbiadite qualche virtù! Voi
non pensate che questo falso ritratto riproduce la vostra fisonomia;
la vostra lingua ha gareggiato col più abile pennello; voi
siete quel desso.
«Chi si applica
a conoscere se medesimo loda gli altri», diceva l’abate
Giovanni (Vit. Patr). Attaccando l’onore e la riputazione del
prossimo, accusandolo, diffamandolo. accusiamo, condanniamo e
copriamo di obbrobrio noi medesimi; infatti si dà cosa più
odiosa della maldicenza? vi è azione che tanto ci disonori
quanto l’essere conosciuti per diffamatori? Voi attaccate gli altri,
ma siete voi senza macchia? Perché non ricordate la sfida di
Gesù ai Giudei maligni e invidiosi che gli avevano condotto
innanzi la donna adultera che volevano lapidare (IOANN. VIII, 7)?
«Perché mai, diceva loro altra volta il Salvatore,
perché vedete la festuca nell’occhio del fratello e non vi
accorgete del tronco che è nel vostro? Con qual fronte potete
dire a vostro fratello: lascia che ti cavi questa festuca
dall’occhio, mentre non vedete il trave che imbratta il vostro?
Ipocrita! comincia a liberare il tuo, poi netterai quello del tuo
prossimo» (Luc. VI, 42).
Il colmo poi dell’ingiustizia sta
in ciò che il più mordace mormoratore il quale pretende
e si affoga il diritto di malmenare, denigrare, lacerare il prossimo,
s’impenna e strepita se un altro si permette di pungerlo con un
frizzo. Egli il perfetto, l’inviolabile! O accecamento!

6, DIO PUNISCE I
MALDICENTI. – «Il mormoratore è maledetto»,
leggiamo nell’Ecclesiastico (XXVI, 15) e l’autore dei
Proverbi ci avvisa che Dio odia ed abomina coloro che seminano
la discordia tra i fratelli (VI. 19). Ora siccome non vi è
persona che semini discordie, risse, contese tra gli individui e le
famiglie, più che il mormoratore, ne segue che nessuno più
di lui è abominato da Dio il quale se ama più di tutto
la carità, non deve odiare nulla più che la maldicenza,
nemica e capitale distruggitrice della medesima.

7. BISOGNA OPPORSI
ALLA MALDICENZA. – Prendere parte alla detrazione è un
rendersi partecipe della colpa di colui che la fa. «Il malèdico
e chi gli porge l’orecchio, portano ambedue Satana nel loro cuore»,
dice S. Bernardo (Serm. de Detract.). Anzi è dovere di
buon cristiano impedire, quanto è possibile, ogni
mormorazione. Davide afferma di sé, che castigava chi dicesse
male in segreto del suo prossimo (Psalm. C. 5). Possidonio ci
narra nella Vita di S. Agostino, c. XXII, che questo grande
vescovo aveva fatto scrivere su la parete della sala da pranzo questo
distico: – Quisquis amat dictis absentum rodere vitam – Hanc
mensam vetitam noverit esse sibi.

8. MEZZI PER OPPORSI
ALLA MALDICENZA. – Il primo mezzo per impedire la maldicenza sta nel
fuggire dai maldicenti. «Tenete lungi da voi la bocca malèdica,
dicono i Proverbi, e fuggite le labbra mormoratrici»
(IV, 24). «Non far lega coi detrattori, perché verrà
repentinamente la loro perdizione» (Prov. XXIV, 21-22).
«Fa’ alle tue orecchie una siepe di spine, dice
l’Ecclesiastico, non dare ascolto alla lingua mordace e chiudi
con porta e chiavistello la tua bocca» (XXVIII, 28). Non
frequentate i ciarloni né i maldicenti, diceva Socrate (Anton.
in Meliss
.).
Il secondo mezzo per
arrestare la maldicenza e schivarla consiste nell’usare grande
prudenza nel conversare. Udite l’avviso del Savio: «Fondi il
tuo oro e il tuo argento e formane una bilancia su cui pesare le tue
parole, un morso col quale frenarti la bocca. E sta attento a non
peccare di lingua» (Eccli. XXVIII, 29-30). «Se hai
udito qualche discorso contro il tuo prossimo, si spenga in te e sii
certo che non ti farà morire» (Id. XIX, 10).
Quindi l’avvertimento di S. Ambrogio: «Non macchiare la
tua bocca col racconto delle altrui colpe; non dir male di chi pecca,
ma compatiscilo (Offic. t. I)».
Il terzo mezzo è
di parlare con dolcezza a chi sparla. «Una risposta dolce calma
la collera» – leggiamo nei Proverbi (XV, 1). S. Giovanni
Crisostomo da questo conchiude che sta in noi, il rendere buoni i
maligni, purché, imitando Davide, ci porgiamo umili, dolci,
mansueti, caritatevoli negli atti e nelle parole (Homil.).
Il quarto mezzo è
di fare il volto triste e severo in faccia al malèdico.
«Perché se fate buon viso al mormoratore, dice il
Venerabile Beda, lo incoraggiate a continuare; se al contrario lo
ricevete freddo e gli fate viso severo, lo distoglierete dal dire
volentieri quello che non sa essere volentieri udito (In
Sentent.
)».
Parecchi altri mezzi possono giovare a impedire
o evitare la mormorazione: 1° fare aperta opposizione al
maldicente, riprendendolo con forza e senza rispetto umano; 2°
mostrare di non dare retta a quello che dice…; 3° volgere il
discorso su altro tema…; 4° punirlo, se dipende da noi..; 5°
fargli conoscere il suo fallo…; 6° una delle cagioni della
maldicenza è l’amor proprio; sradichiamolo dal nostro cuore, e
non sparleremo di nessuno…; 7° non dimentichiamo mai che noi
vediamo così bene i difetti degli altri, perché siamo
ciechi su i nostri.
Se noi facciamo una
vita regolata e buona, non dobbiamo inquietarci per nulla di quello
che si dice di noi… Ripetiamo quello che diceva S. Agostino a
Secondo manicheo: «Fa’ pure di Agostino quel giudizio che ti
aggrada; purché la coscienza non mi rimorda di nulla innanzi a
Dio, non m’importa nulla delle vostre parole e dei vostri giudizi
(Contra Secundum manich., c. I)».
Mettendo in opera questi mezzi, si potrà
arrestare o prevenire la maldicenza; ma come riparare alle
conseguenze? Sebbene molto difficile, non è però
impossibile. Bisogna: 1° dir bene della persona di cui si è
intaccata la fama; 2° scusare la sua colpa, o giustificarne le
intenzioni; 3° dire che non aveva abbastanza riflettuto; 4°
confessate schiettamente di aver avuto torto; 5° principalmente
riparare, per quanto è possibile, i danni cagionati con la
mormorazione.

Vedi anche:
LINGUA.