1. La grazia e le sue specie.
2. Gesù Cristo autore della
grazia.
3. Necessità della grazia.
4. La grazia non distrugge il libero
arbitrio.
5. Perché Dio dà la
grazia?
6. Perché Dio concede più
grazie agli uni che agli altri?
7. In quali modi Dio ci comunica le
grazie?
8. Desiderio che ha Gesù
Cristo di comunicare le sue grazie. 1. LA GRAZIA E LE SUE
SPECIE. – La parola grazia viene dal latino gratis datum dato
gratuitamente e la Chiesa la definisce un aiuto soprannaturale che
Dio ci dà perché facciamo il bene ed evitiamo il male.
Molti generi di grazie distinguono i teologi, alle quali dànno
nomi e definizioni speciali; accenneremo le principali.
La grazia si divide
in abituale o santificante, ed attuale. La grazia
abituale è quella che rimane in noi, e ci mantiene
nell’amicizia di Dio. Essa non si trova mai in un cuore macchiato di
colpa grave. La grazia attuale è un soccorso che Dio concede
più o meno sovente.
La grazia attuale si divide poi:
1° in grazia dello spirito, o grazia di luce, e in grazia della
volontà, o grazia di azione. 2° Si divide in grazia
operante e cooperante, la quale eccita, aiuta, previene, accompagna,
in grazia sufficiente e grazia efficace. La grazia operante è
un soccorso che Dio mette in noi senza di noi. La grazia cooperante è
quella che opera col concorso della nostra volontà. La grazia
eccitante è simile a quella che opera; essa ci anima, ci
sollecita a fare quel dato bene, e schivare quel dato male. La grazia
che aiuta è simile a quella che coopera. La grazia preveniente
è quella che precede o un’altra grazia, o il libero consenso
della volontà. La grazia che segue o accompagna è
quella che si unisce ad un altra grazia, o al libero consenso della
volontà.
La grazia sufficiente è
quella che, sebbene possa ottenere l’effetto per il quale è
data, ne è tuttavia privata a cagione della malizia e della
debolezza della creatura. La grazia efficace è quella che
arriva il suo scopo, produce il suo effetto…
2. GESÙ CRISTO
AUTORE DELLA GRAZIA. – «Ah! se tu conoscessi il dono di Dio,
diceva Gesù alla Samaritana, e chi è colui che ti
chiede da bere, forse gliene domanderesti tu a lui; ed egli ti
darebbe dell’acqua viva… Chiunque beve dell’acqua di questo pozzo,
sente di nuovo la sete; ma chi berrà dell’acqua che io sono
per dargli, non patirà mai più sete… Anzi l’acqua che
gli darò io, si farà in lui fonte di acqua zampillante
per la vita eterna (IOANN. IV, 10, 13, 14)». Un’altra volta
gridava nel tempio: «Chi ha sete, venga a me e beva» (Id.
VII, 37). Egli medesimo, il divin Salvatore, si paragonava poi alla
vite, all’albero, i cui tralci e rami in tanto hanno succo in quanto
lo traggono dal tronco. Esortava quindi i suoi credenti a tenersi
bene uniti; perché siccome il tralcio non dà più
nessun frutto, se è reciso dalla vite, così essi non
possono fare nulla di buono per la vita eterna, se si separano da
lui. Anzi, minaccia loro che saranno gettati al fuoco, come un secco
ramo o sarmento (IOANN. XV, 1-6).
Dice S. Agostino:
«Quando Iddio rimunera i nostri meriti, che altro fa se non
rimunerare i suoi doni? (Confess. 1. IX, c. XIII)»;
questo appunto canta la Chiesa in una delle sue orazioni: «Coronando,
o Signore, i nostri meriti coronate i vostri doni (In Praefat.
missae iuxta rit. gallic.)».
«Tutto quello
che riceviamo di buono, ogni dono perfetto viene dall’alto, insegna
S. Giacomo, e discende dal Padre dei lumi, presso il quale non
avviene cambiamento né ombra di alternativa» (IAC. I,
17). S. Paolo annunziando che comparve nel mondo e si manifestò
a tutti gli uomini la grazia del Salvatore (Tit. II, 11), ci
avverte, che la salvezza in virtù della fede ci viene dalla
grazia e non da noi, perché è un dono di Dio. – Quindi
S. Agostino esclamava: «Datemi, o Signore, quello che
comandate; poi comandatemi pure tutto quello che volete (Lib. X
Confess. c. XIX)».
La stessa cosa
indicava Isaia dicendo che «si sarebbero attinte con gioia le
acque alle sorgenti del Salvatore» – Haurietis aquas in
gaudio de fontibus Salvatoris (ISAI. XII, 3); ad essa preludiava
Davide con quelle parole: «Tu hai, o Signore, preparato nella
tua bontà quel che è necessario al povero»
(Psalm. LXVII, 11).
La gloria delle più
grandi opere del cristiano si deve tutta riferire a Gesù
Cristo che è la causa intera di tali opere le quali, benché
fatte liberamente dall’uomo, in virtù della sua natura e
del suo libero arbitrio, traggono tuttavia ogni loro dignità
dalla grazia di Gesù Cristo. Quindi un’opera di carità
per esempio, tiene dall’uomo il suo carattere di libertà; è
un’opera libera, non necessaria, non forzata, ma ottiene da Gesù
Cristo di essere sopranaturale, d’incontrare il gradimento di Dio, e
di meritare la gloria eterna. A Gesù Cristo solo dunque è
dovuta la lode, la gloria, la riconoscenza: Egli cede liberalmente
all’uomo che opera, tutto l’utile, il merito, il prezzo della
buona azione, ma ne riserva a sé tutta la gloria, secondo
quello che disse per mezzo d’Isaia: «Non darò ad altri
la mia gloria » (ISAI. XLVIII, 11). Perciò leggiamo
nell’Apocalisse, che i ventiquattro vegliardi mettevano
le loro corone ai piedi del trono, cantando: Degno sei, o nostro
Signore Iddio, di ricevere la gloria, l’onore, la potenza, perché
hai creato ogni cosa (V, 12).
Tutti i patimenti,
le lotte, le vittorie dei santi devono tornare ad onore del re del
cielo, perché innanzi a lui deve piegarsi ogni ginocchio in
cielo, su la terra, nell’inferno, secondo l’espressione del grande
Apostolo (Philipp. II, 10).
La grazia in generale
e le grazie tutte in particolare sono di appartenenza così
propria e necessaria di Gesù Cristo, che egli è per
antonomasia l’angelo della nuova Alleanza, perché 1° ha
spento la collera e tolta l’inimicizia di Dio contro l’uomo. Egli è
dunque l’angelo dell’alleanza, ossia della riconciliazione, chiamato
perciò da Isaia: «Principe della pace» (IX, 6), e
da S. Paolo: «Nostra pace» (Eph. II, 14). Difatti
quando noi eravamo morti nel peccato, egli ci ha chiamati a nuova
vita in se stesso, rimettendo ci le nostre colpe e cancellando la
sentenza di condanna contro di noi; egli l’ha rivocata e abolita
coll’affiggerla alla croce (Coloss. II, 13-14).
2° Gesù Cristo ha
stabilito una nuova alleanza (essendo sciolta quella mosaica) tra Dio
e gli uomini, in virtù della quale Dio si obbliga verso i
cristiani a dare loro la grazia e la vita eterna; e questi a loro
volta si legano verso Dio, a credere in Gesù Cristo suo
Figlio, ad obbedirlo, a praticare la sua legge, ad imitare la sua
vita…
3° Egli è disceso dal
cielo su la terra come un angelo, ed ha vestito la carne umana, per
unire in sé il fango al Verbo, la terra al cielo, l’uomo a
Dio, col legame dell’unione ipostatica, con la natura umana da lui
presa nel casto seno dell’immacolata Vergine Maria sua madre,
formando così la più stretta ed intima alleanza…
4° Nell’ultima cena, la
vigilia della sua morte, egli ha fatto il suo testamento, espressione
dei suoi ultimi voleri, e l’ha sanzionato con l’istituzione
dell’Eucaristia, dicendo: «Questo è il sangue della
nuova alleanza» (MATTH. XXVI, 28).
5° Gesù Cristo, nella
sua qualità di angelo del Testamento, ha portato dal cielo
quest’alleanza agli uomini; l’ha rassodata su la terra per trentatré
anni, con le sue fatiche, con i suoi sudori, con i discorsi, con i
viaggi, con i lavori suoi, con la fame, con la sete, col freddo, col
caldo; e in ultimo non solamente l’ha confermata e suggellata col suo
sangue, ma se l’è comprata e l’ha fatta cosa sua, sborsando il
prezzo necessario a una tanta riconciliazione, e ad una sì
intima alleanza; prezzo equivalente ed accettabile in tutta
giustizia, e questo prezzo vale per tutte le nazioni, per tutti i
secoli, quando pure durasse il mondo milioni di anni, ed anche in
eterno. Infatti i santi nel cielo parteciperanno a quest’alleanza per
la gloria nell’eternità; Gesù Cristo l’ha recata
in paradiso ed è stata da lui confermata, avendo in mira la
gloria celeste. Perciò, avendo compiuto quest’alleanza, ascese
per il primo glorioso al cielo, chiamandovi i suoi fedeli e dicendo
loro che lo seguissero… .
3. NECESSITÀ DELLA GRAZIA.
– È sentenza perentoria di Gesù Cristo, che senza di
lui nessuno non può fare nulla (IOANN. XV, 5). A tal punto,
dice l’Apostolo, che non
bastiamo di per noi
medesimi a produrre pensiero che valga, ma la possibilità ce
ne viene da Dio (II Cor. III, 5).
«Sapete che
cosa abbiamo del nostro, dice S. Agostino; nient’altro se non il
peccato e la menzogna. E se qualche barlume in noi si trova di verità
e di giustizia, lo attingiamo a quel tonte al quale dobbiamo anelare
nel deserto di questo secolo, affinché ristorati da qualche
goccia, non veniamo meno per la strada (De cognit. verae vitae)».
«Perché la volontà dell’uomo, soggiunge il
Crisostomo, non basta a nulla se non è aiutata dal soccorso
soprannaturale (Homil. in Epl. ad Ephes.)».
Il peccatore resta
schiacciato sotto il peccato come sotto il peso di una montagna; egli
è imprigionato; e non può uscire dal carcere, né
scuotersi di dosso il peso, né sciogliersi le catene, senza la
grazia di Dio. «E’ necessario, dice S. Bernardo, che
l’unzione spirituale della grazia rafforzi la nostra debolezza, che
Gesù alleggerisca con la grazia, che è nella religione,
le molte e varie croci che vanno congiunte con l’osservanza della
legge divina e della penitenza cristiana; poiché né si
può seguire Gesù Cristo senza croci, né
sopportare la durezza delle croci, senza il lenimento della grazia
(De Consid.)». «A quel modo, dice S. Agostino, che
non si vide mai cavallo o leone domarsi da se stessi, ma si richiede
per domarli l’opera dell’uomo; cosi l’uomo non si doma da
se medesimo, ma ci vuole l’opera di Dio (Serm. IV, De Verb.
Dom. in Matth.)». Non la natura, ma la grazia lavora
l’uomo…
«L’anima,
scrive il medesimo dottore, è la vita del corpo; Dio è
la vita dell’anima (De Cognit. verae vitae); e la grazia è
l’anima dell’anima (De grat. et lib. Arbitr.); quindi, siccome
il corpo muore quando è separato dall’anima, così muore
l’anima quando è separata da Dio (De Cognit. verae vitae)».
La grazia può dirsi il respiro dell’anima, ed è così
indispensabile il respiro dell’anima, come la respirazione dell’aria
al benessere del corpo; e quello che la respirazione opera nel corpo,
la grazia l’opera nell’anima; poiché essa non trova nessun
merito nell’uomo, ma li produce tutti (De grat. et lib. Arbitr.).
L’uomo cade senza
Dio, ma più non si rialza se non soccorso da Dio. L’uomo
non abbisogna di Dio né del suo soccorso per peccare
mortalmente e precipitare nell’inferno, ma non sorgerà mai dal
peccato mortale, non uscirà dall’inferno senza la grazia
divina. Che più? Non solamente l’uomo non può rialzarsi
senza Dio, ma neppure camminare o muovere il passo… «Se il
Signore, diceva Davide, non edifica egli medesimo la casa, invano vi
lavorano attorno i muratori; se il Signore non custodisce egli la
città, inutilmente vi fa scolta chi la custodisce»
(Psalm. CXXVI, 1-2). Così appunto accadde agli apostoli
sul mare di Tiberiade dove, dopo aver faticato tutta la notte nel
gettare le reti, non erano riusciti a prendere nulla; ma non appena
si misero all’opera confortati dalla parola di Gesù Cristo,
fecero sì abbondante pesca, che le reti si rompevano per il
troppo peso (Luc. V, 5,6). Anche la Sposa dei Cantici
confessa che ha bisogno di essere aiutata a seguire il suo diletto,
per mezzo dell’odore dei suoi profumi, e di ciò lo prega
(Cant. I, 3). Neppure noi non possiamo camminare, correre,
volare, per la strada della virtù, per la via del cielo, se
non siamo attirati dal profumo della grazia divina.
4. LA GRAZIA NON
DISTRUGGE IL LIBERO ARBITRIO. – La grazia attrae liberamente e non
necessariamente. Essa infatti ci attrae e conduce, come osserva S.
Cirillo, per mezzo degli ammonimenti, della dottrina, della
inspirazione che continuamente ci fa sentire (Catech.). E S.
Agostino così spiega la cosa: «Non credete che siate
tratti vostro malgrado; lo spirito è condotto dall’amore; non
la forza, ma la dilezione porta ad operare. A più buon diritto
dobbiamo dire che l’uomo è tratto a Gesù Cristo perché
l’uomo tende alla verità, alla felicIta, alla giustizia, alla
vita eterna, e Gesù Cristo è tutto questo. Tale
violenza è fatta al cuore, non alla carne. Perché
dunque smarrirvi? Credete e voi verrete, amate e sarete tratti. Non
immaginatevi che questa violenza sia dura, penosa; essa è
dolce e soave; è la dolcezza per essenza che vi attira.
Forsechè la pecora non è attirata quando, avendo fame,
si vede porgere innanzi dell’erba? Per me io credo che non è
punto trascinata suo malgrado, ma è il desiderio, la voglia
che la conduce. Similmente è di voi: venite a Gesù
Cristo; e se non vi sentite attirare, dimandate di essere attirati»
(Serm. II de Verb. Domini).
A quelli che
opponevano: ma se ogni azione è da Dio, se la sua grazia fa
tutto, invano voi mi esortate, invano m’intimidite e mi atterrite,
invano mi ordinate di obbedire; S. Giovanni Crisostomo rispondeva con
la Scrittura, che Dio in sul principio creò l’uomo e lo lasciò
in potere dei suoi consigli; gli pose dinanzi l’acqua e il fuoco,
dandogli facoltà di stendere la mano a quello che più
gli talentasse: gli propose la vita e la morte, il bene e il male,
con promessa di dargli quello che avesse scelto di suo arbitrio
(Eccli. XV, 14, 17-18). E ricordava anche loro quel testo del
Deuteronomio (XXX, 13-16): «Considera che ti ho posto
sott’occhi quest’oggi la vita e i beni, la morte e i mali, affinché
tu ami il Signore tuo Dio, e viva» (Homil. ad pop.).
L’uomo deve dunque corrispondere alla grazia, se vuole che essa
operi in lui…
La grazia tocca,
sollecita la volontà dell’uomo, affinché liberamente
consenta a seguire la grazia e vi cooperi, ma non la costringe
punto… Quel detto dell’Apostolo: «Dio è che opera in
noi il volere e il fare secondo che a lui piace» (Philipp.
II, 13), è spiegato dal Crisostomo e dagli altri dottori
cattolici in questo senso, che Dio aiuta, aumenta, mette in azione la
prontezza, la disposizione della volontà per fare il bene…
«Dio, scrive S. Agostino, muove e dà impulso, purché
l’uomo voglia liberamente pentirsi, amare e fare qualsiasi altro bene
(De grat. et lib. Arbitr.)». Dio eccita e dà la
grazia per far sì che vogliamo; tocca a noi corrispondere per
parte nostra alla grazia…
Dio opera in noi, con la sua grazia, il volere,
ma in modo diverso da quello che tenne nel creare il cielo e la
terra, ecc. Creando il cielo e la terra, ha fatto loro una necessità
di esistere; mentre alla volontà umana fa produrre un’azione
libera per mezzo della persuasione, degli allettamenti, delle dolci
sollecitudini, delle carezze, della bontà, del terrore, della
forza interna, delle soavi consolazioni. Egli opera non già
fisicamente, ma moralmente…
La Chiesa insegna con
S. Agostino, che ogni inizio di buona volontà, di fede, di
salute, viene dalla grazia preveniente e perseverante. Dio fa che noi
vogliamo e che adempiamo quello che vogliamo (De grat. et lib.
arbit.). Dio opera in noi il fare, continuandoci la medesima
grazia con cui ha operato il volere. Quando un atto esteriore è
difficile, come il martirio, egli allora comunica la forza di
operare, confermando ed animando l’uomo con una nuova grazia.
S. Bernardo, parlando della grazia e del libero
arbitrio, spiega in modo ammirabile, come Dio operi in noi queste tre
cose: il pensare, il volere, il fare. Opera in noi, senza di noi, la
prima cosa che è il pensare; opera in noi, con noi, la
seconda, cioè il volere; opera in noi, per mezzo di noi, la
terza, che è il fare. Quando però sentiamo avvenire in
noi invisibilmente queste cose, guardiamoci dall’attribuirle o alla
volontà nostra che è inferma o alla necessità
divina che non esiste, ma solo alla grazia di cui siamo ripieni. E la
grazia che eccita il libero arbitrio, quando c’infonde il desiderio;
guarisce, quando cambia l’affetto; fortifica per condurre all’opera;
conserva per preservare dalla caduta. Opera in un col libero arbitrio
ch’essa previene e precede, per eccitare il pensiero; segue ed
accompagna nel resto, che è il volere ed il fare. Previene nel
pensiero per far cooperare nel volere e nel fare. Quindi il
cominciamento appartiene tutto e solo alla grazia; il volere e il
fare avvengono per la grazia ed il libero arbitrio, non separati, ma
insieme congiunti; operano tutti e due ad un tratto, non a vicenda,
per il volere ed il fare. La grazia non lavora da sé, ed il
libero arbitrio da sé; ma agiscono tutti e due sul tutto, con
un lavoro individuale (De grat. et lib. arbitr.).
«Per la grazia
di Dio, confessa di sé l’Apostolo ai Corinzi, io sono quel che
sono e la sua grazia non è rimasta sterile in me; ma ho
lavorato più di tutti loro, non già io da me, ma la
grazia di Dio con me» (I, XV, 10). Non dicono chiaro
queste parole di S. Paolo, che la grazia e la volontà operano
insieme d’accordo?
«Attirami,
esclama la Sposa dei Cantici, ed io correrò dietro le tue
orme, tratta all’odore dei tuoi profumi» (Cant. I, 3).
Ah sì! conducetemi, o Signore, con la vostra grazia, dai vizi
alla virtù, dall’ignoranza alla fede ed alla conoscenza di
voi, dalla carne allo spirito, dalla tiepidezza al fervore, dal
principio al compimento dell’opera, dalle cose facili e piccole
alle grandi ed eroiche, dagli affetti terreni ai celesti, dal timore
all’amore, dalla voluttà alla mortificazione della carne, alla
croce… Noi siamo tratti e condotti dalla grazia non per mezzo di
catene o di sferze, ma per la forza dell’amore, secondo le parole del
profeta Osea: «Io li trarrò a me coi legami coi quali si
traggono gli uomini, coi vincoli dell’amore» (OSE. XI, 4).
Perciò S. Agostino sentenzia: «Amate e sarete tratti (De
grat. et lib. arbitr.)».
Dio ci ha dato il libero arbitrio
e ad esso concede di cooperare alla grazia la quale lo eccita al ben
fare e Dio coopera con noi per mezzo della grazia… Il libero
arbitrio da solo non può nulla; la grazia non costringe
nessuno; la grazia poi e il libero arbitrio, accordandosi insieme,
fanno il bene; questo bene è meritorio per la grazia e la
cooperazione volontaria alla grazia…
5. PERCHÈ DIO DÀ LA
GRAZIA? – Dio dà la sua grazia per puro amore verso di noi…
Dio opera in noi il volere e il fare, per mezzo della sua grazia,
affinché la sua buona volontà si adempia in noi e da
noi e per poi; acciocché noi viviamo santamente e felici
quaggiù, ed egli possa premiarci nell’eternità, tale
essendo la misericordiosa volontà di Dio nel concederci le sue
grazie… O cielo! che vergogna per la pigrizia umana! Dio è
più disposto a darci la grazia, che noi a riceverla; più
s’adopera egli a chiamarci all’eterna salvezza, di quello che
c’impieghiamo noi per andare al cielo: Quando dà, dà
del suo e con piacere; quando ricusa di dare e punisce, ricusa e
punisce con dispiacere; e solo in noi trova i motivi di agire così…
Vi è in Dio
un’inclinazione infinita, un desiderio immenso di comunicarsi, che
proviene dall’infinita perfezione e dalla pienezza del suo essere;
pienezza sì grande, che egli s’impiega a riversarla nelle
creature e specialmente negli uomini; sebbene la conservi sempre
tutta intera, per quanta ne comunichi. «Dio è nelle
creature intelligenti quello che è il sole nelle cose
sensibili», dice il Nazianzeno (In Distich.).
Quindi, siccome il sole spande da tutte le parti i suoi raggi per
illuminare, scaldare, vivificare e fecondare, senza che per questo
perda nulla dei suoi raggi, così Dio spande i raggi della sua
beneficenza su tutte le creature, su tutti gli uomini, per
rischiararli con i lumi della sua sapienza, infiamma del suo amore
gli angeli e gli uomini, li vivifica per la vita della grazia e della
gloria, senza nulla scemare della sua pienezza infinita.
L’incarnazione, le prove, la predicazione, i miracoli, la passione,
la morte, i sacramenti, la missione dello Spirito Santo, la cura
speciale di tutta la Chiesa e di ciascun fedele, sono gli effetti
della sollecitudine di Dio a nostro riguardo. «Per le viscere
della misericordia di Dio, ci ha visitati colui che si leva nelle
altezze dell’Oriente», cantava Zaccaria, il padre del Battista
(Luc. I, 78).
«La grazia di
Dio, scrive S. Prospero, regna per mezzo della persuasione, delle
esortazioni, dei buoni esempi, del timor dei pericoli, dei miracoli,
delle inspirazioni, dei consigli, della fede, dell’intelligenza che
dà, degli ardori con cui accende il cuore» (De Vocat.
gent. lib. II, c. X). Sì, la grazia ci è data
affinché illumini lo spirito, ecciti la volontà,
purifichi l’anima, infiammi il cuore di amore, semini la vita di
buone opere e conduca alla vista ed all’eterno godimento di Dio nel
regno della gloria…
«La grazia,
dice S. Agostino, ci è data affinché noi vogliamo, ed è
essa stessa che comincia in noi il bene; quando noi vogliamo, essa
compie i noi quello che ha cominciato. Ci previene per guarirei, ci
accompagna per conservare in noi la sanità spirituale; ci
previene per chiamarci, ci segue per glorificarci; ci previene per
far che viviamo piamente, ci accompagna per farci vivere eternamente
con Dio (De grat. et lib. arbitr., c. XVII)». Insomma,
la grazia ci si dà perché conosciamo, amiamo, serviamo
Dio fedelmente in questa vita e lo possediamo per sempre
nell’eternità. Ci si dà per nostro bene temporale e
spirituale, nel tempo e nell’eternità.
6. PERCHÈ DIO
CONCEDE PIÙ GRAZIE AGLI UNI CHE AGLI ALTRI? – «Perché
uno è tratto dalla grazia e non un altro? domanda S. Agostino,
e risponde: non sentenziarne, se non vuoi sbagliare (De grat. et
lib. arbitr.)». E da quando in qua Dio è tenuto
verso l’uomo?.. Egli è padrone dei suoi doni e libero di darli
a chi vuole… Egli non deve nulla all’uomo; dél resto dà
con usura a chi corrisponde fedelmente alle sue grazie… Vi sono
molti ingrati, increduli, empi, indurati; a costoro Dio non deve
niente altro che castighi… Essi abbandonano Dio per i primi; e Dio
si ritira e li lascia; non hanno se non quello che si meritano…
Forse che vorreste obbligare Dio a dare qualche cosa a colui che non
prega, che ricusa anzi di pregarlo?.. a colui che vorrebbe sempre
vivere per peccare sempre?.. Deve Iddio qualche cosa a chi si abusa
di tutto? «La grazia non si concede. se non a chi veglia sopra
se stesso», dice il Crisostomo (Homil. in Epl. ad Rom.).
«E chi sei tu, o uomo, domanda S. Paolo, che osi chiedere
ragione a Dio? Si è mai veduta una stoviglia dire allo
stovigliaio: Perché mi hai tu foggiata così e non così?
E nell’arbitrio dello stovigliaio di fare d’una medesima creta un
vaso per uso onorevole, ed un vaso per uso vile» (Rom.
IX, 20-21).
«Dio, come
osserva S. Agostino, rende male per male perché è
giusto, bene per male perché è buono; bene per bene
perché è buono e giusto; la sola che non fa è di
rendere male per bene, non essendo egli ingiusto (De grat. et lib.
Arbitr.)»… E certo che per tutta l’eternità
nessun reprobo potrà mai dire: Io sono irreparabilmente
perduto, non per colpa mia, ma per colpa di Dio. Sarà anzi
costretto a confessare che si è dannato per propria colpa: che
sarebbe in cielo, se l’avesse voluto. Dio non condanna se non quelli
che meritano di essere dannati, come non nega mai il paradiso a
quelli che se lo guadagnano. Perché lagnarci? La nostra
perdizione viene da noi (OSE. XIII, 9). Adoperiamoci a conoscere,
amare, servire Dio con tutto l’animo e con tutte le forze è
stiamo certi che saremo tra gli eletti…
7. IN QUALI MODI DIO CI COMUNICA
LE GRAZIE? – In quattro modi Iddio si avvicina all’uomo e gli
comunica le grazie:
1° Illuminando la mente,
acciocché veda quello che bisogna conoscere. ..
2° Per mezzo dell’istruzione,
affinché sappia quello che deve praticare…
3° Col ricupero o con
l’aumento dell’amicizia di Dio…
4° Col diletto interno delle
cose spirituali… Questi sono i principali mezzi con cui Iddio
attrae a sé l’uomo e gli partecipa le sue grazie.
8. DESIDERIO CHE HA
GESÙ CRISTO DI COMUNICARE LE SUE GRAZIE. – A persuaderci del
vivo, immenso desiderio di cui arde Gesù Cristo, di darei le
sue grazie, basta ricordare l’incarnazione, la vita, i
patimenti, la morte… Questo suo vivo desiderio è espresso in
quelle sue parole agli apostoli: «Io languivo della brama di
mangiare con voi questa Pasqua» (Luc. XXII, 15) e in
quelle altre che rivolse ai Giudei: «Se alcuno ha sete, venga a
me e beva» (IOANN. VII, 37). «Io sono venuto a portare
il fuoco della
carità nel mondo;
ed è mio sommo ed unico voto che si accenda» (LUC.
XII, 49). E che altro voleva dire quella sua parola detta dalla croce
– Sitio (IOANN. XIX, 28), se non questo: ho sete della fedeltà
e della corrispondenza degli uomini alle mie grazie?… Non è
Dio che ci dice per bocca del Savio: «Dammi, o figliuol mio, il
tuo cuore» (Prov. XXIII, 26); e nell’Apocalisse:
«Ecco che io me ne sto alla porta e busso: chi ascolterà
la mia voce e mi aprirà, io entrerò in casa sua e
mangerò con lui, ed egli meco» (III, 20)?
Continua