1. Che cosa è l’indurimento?
2. Si va all’indurimento per gradi.
3. Il cuore indurito è cieco.
4. Il cuore indurito è ribelle.
5. Il cuore indurito disprezza tutto.
6. Il cuore indurito abusa dei mezzi di salute.
7. L’indurito imita il demonio.
8. L’indurito studia il male per commetterlo e se ne vanta.
9. Il cuore indurito è una sentina di vizi.
10. Perseveranza nell’indurimento.
11. È quasi impossibile uscire dall’indurimento.
12. Cause dell’indurimento.
13. Segni dell’indurimento.
14. Disgrazie e castighi dell’indurimento.
15. L’indurimento è opera dell’uomo.
1. CHE COSA È
L’INDURIMENTO. – «Qual è che si chiama cuore indurito?
domanda S. Bernardo, e risponde: È quello che non inorridisce
di se medesimo, perché non sente più nulla. È
quello che la compunzione non ispezza, la pietà non
ammollisce, le preghiere non commuovono, le minacce non scuotono, i
flagelli intristiscono. Esso è ingrato ai benefizi, sordo ai
buoni consigli, spietato nel giudicare, spudorato nelle cose
disoneste, temerario nei pericoli della salute, inumano con i suoi
simili, superbo con Dio, dimentico del passato, non curante del
presente, imprevidente del futuro. Del passato altro non ricorda che
le ingiurie ricevute, perde il presente, chiude gli occhi
sull’avvenire, eccetto che per vendicarsi. E per comprendere tutti in
una parola i mali di così orrendo male, si chiama cuore
indurito quello che non ha nessun timore di Dio, nessun rispetto agli
uomini (De Consid., lib. I)».
L’indurimento è: 1° la
malizia di colui che vuole peccare e non fare il bene; 2° un così
forte ed ostinato attaccamento a ciò che è proibito,
che non si vuole abbandonarlo né per ammonizioni, né
per consigli, né per minacce, né per promesse, né
per ricompense, né per castighi, né per ispirazioni, né
per grazie.
Un cuore indurito: 1°
non vuole comprendere, per timore di dover fare il bene (Psalm.
XXXV, 3). Medita l’iniquità ad animo calmo, tiene il piede in
tutte le strade non buone; non si rifiuta ad alcuna ribalderia (Ib.
4).2° Si rallegra quando fa il male e gode dei più enormi
delitti (Prov. II. 14). Quando uno si compiace delle cose
vergognose è arrivato al fondo della disgrazia; poiché
è disperata la guarigione di colui che fa dei vizi un affetto,
un abito… 3° Il cuore indurito corre tutta la via del male, si
burla di Dio e della virtù… 4° Il suo peccato diventa
quasi indistruttibile, incurabile la sua piaga… 5° Non
arrossisce dei suoi fatti per quanto maliziosi e vergognosissimi…
6° E incorreggibile… 7° Dio l’abbandona, lo rigetta. lo
disprezza, lo maledice… 8° Flagellato da Dio, non sente più
nulla, ha soffocato perfino i rimorsi… 9° L’abito gagliardo e
inveterato di fare il male gli rende quasi impossibile fare il bene e
schivare il peccato… 10° S. Paolo dice che un tal cuore
accumula sopra di sé il furore di Dio, che è
abbandonato al reprobo senso; lo chiama figlio di perdizione, vaso
destinato all’esterminio. pieno di furore, che trabocca nei peggiori
misfatti… 11° Questo cuore aggiunge iniquità ad
iniquità, peggiora di più in più la deplorevole
e disperata sua condizione, macchiandosi di sempre nuove immondizie,
tuffandosi di ora in ora, di momento in momento, sempre più
profondamente nella sterminata cloaca delle più vituperose e
laide passioni…
2. SI VA ALL’INDURIMENTO PER
GRADI. – L’abitudine è il primo grado che mena in fondo
all’abisso dell’indurimento…; il secondo è la cecità
dello spirito che nasce dall’abito del peccato…; il terzo è
l’impudenza, l’ostinazione nella volontà di peccare,
l’impenitenza…; il quarto è il disprezzo di Dio…; il
quinto è la disperazione e dov’è la disperazione tutto
è perduto per il cielo, non vi resta più che un inferno
eterno…
I giusti ascendono al
cielo per gradi opposti, che sono i gradi delle virtù, poiché
vanno da una virtù ad un’altra e la pratica della virtù
diventa una santa abitudine da cui vengono tanti lumi soprannaturali.
Rischiarati dall’alto, non hanno più volontà propria,
ma la volontà di Dio è la loro volontà; essi non
amano altri che Dio, non sperano che in lui; perseverano in questo
invidiabile stato e vi crescono e la loro unione con Dio va crescendo
di giorno in giorno, di modo che mentre sono ancora in terra col
corpo, la loro anima è nel cielo, si tengono il paradiso in
pugno, secondo quelle parole del Profeta: «Andranno di virtù
in virtù, finché giungano a vedere il Dio degli dèi
in Sion» (Psalm. LXXXIII, 7).
2. IL CUORE INDURITO
È CIECO. – L’uomo indurito giace in un abisso oscuro, privo di
ogni luce e la pietra del suo indurimento chiude l’entrata del
baratro in cui è sepolto (IOANN. XI, 38). Parlare di Dio, di
religione, di virtù a un cuore indurito è opera vana; è
come parlare una lingua sconosciuta… Il cuore indurito non vede più
né i suoi doveri, né la legge, né le grazie, né
i castighi di Dio. Di lui può dirsi quello che Isaia diceva
del popolo giudeo: il suo cuore è accecato; i suoi occhi sono
chiusi; nulla tanto teme quanto di vedere la luce, d’intendere la
verità, di avere il buon senso, di convertirsi, di essere
guarito dei suoi mali (ISAI. VI, 10). Egli può applicarsi quel
lamento di Geremia: «L’anima mia è caduta nella fossa,
mi seppellirono sotto un macigno» (Thren. III, 53).
Chi non esclamerà
con l’Apostolo: «O Galati insensati, chi v’accecò lo
spirito così che non vogliate più obbedire alla
verità?» (Gal. III, 1).
4. IL CUORE INDURITO
È RIBELLE. – Invece di guardare l’Oriente che è Dio,
l’indurito si volge all’Occidente che è il mondo, il demonio,
la carne, dice S. Agostino (Homil.). Egli tiene con Dio la
condotta di Vasti col re Assuero; come questa, all’invito che le fece
il re di andare a lui, rispose con disprezzante rifiuto (ESTH. I,
12), così l’indurito all’invito del Re dei re, che lo chiama a
sé con la grazia, con le sante ispirazioni, con le prediche,
con i benefizi, risponde con ischerno e con superbia: «No, non
mi piegherò mai al tuo volere» (IEREM. II, 20).
Ma ascoltiamo quello
che dice il Signore: «Io vi ho chiamati, così si lagna
per bocca del Savio, e voi mi avete volto le spalle; ho steso la mano
e non vi fu chi ponesse mente: avete sdegnato i miei consigli, non
avete curato le mie minacce» (Prov. I, 24-25).
«Essi
indurirono i loro cuori più che macigno, dice per bocca di
Geremia, non vollero ritornare a me; ruppero il mio giogo, spezzarono
i miei vincoli di amore» (IEREM. V, 3-5). «A chi parlerò
io, a chi domanderò che mi ascolti? le loro orecchie sono
incirconcise e non possono udire; la parola del Signore fa loro onta,
e non l’accoglieranno punto» (Id. VI, 10). «Ah!
cuori di pietra! io vi ho chiamati e voi non mi avete risposto»
(Id. VII, 13).
«Io ho
comandato loro che ascoltassero la mia parola, che camminassero per
le strade che aveva loro indicato ed io sarei stato loro Dio, ed
essi, mio popolo, avrebbero goduto ogni bene. Ora essi invece di
ascoltarmi ed obbedirmi, si sommersero sempre più nei
depravati desideri della loro carne; invece di avanzare,
indietreggiarono» (Id. VII, 23-24). «E non
contento di chiamarli io con sante ispirazioni, ho ancora inviato ad
essi di buon mattino i miei servi, i profeti, dicendo: Lasci ognuno
la cattiva strada e si applichi a fare il bene, ma non mi ha dato
retta nessuno» (Id. XXXV, 15).
Profeta Ezechiele, «la casa
d’Israele non vuole udire la tua parola, perché ha fronte di
bronzo e cuore di macigno» (EZECH. III, 7). Anche per mezzo di
Zaccaria il Signore si lagna che alle esortazioni da lui fatte al suo
popolo, di convertirsi ed emendarsi dei pessimi suoi desideri e
costumi, egli aveva risposto col disprezzo e con la noncuranza
(ZACH. I, 4).
Sì, Iddio dice
continuamente al mondo, io vostro Dio, vostro creatore e redentore,
vostro padrone e re, voglio regnare su di voi, colmarvi di beni,
salvarvi; ma il mondo indurito gli risponde: No, non vogliamo che voi
regniate sopra di noi; altro re né vogliamo, né
riconosciamo eccetto la nostra volontà, il demonio, le
passioni (LUC. XIX, 14), (IOANN. XIX, 15).
5. IL CUORE INDURITO DISPREZZA
TUTTO. – L’uomo caduto nell’indurimento di cuore, si ride di tutto,
disprezza tutto; la legge, la grazia, i sacramenti, la parola di Dio,
la religione, la coscienza, la vita, la morte, il giudizio, il cielo,
l’inferno, il tempo, l’eternità, Dio medesimo, sono per lui
nomi vani. Nessuno poi disprezza tanto se medesimo, quanto
l’indurito… Inoltre abbiamo veduto che egli non dà retta a
nessuno; ora il non ascoltare nessuno, vuol dire disprezzare tutti.
«I cuori
induriti, dice S. Cipriano, disprezzano i precetti di Dio, unico
farmaco alle loro piaghe: non vogliano fare penitenza; impudenti e
sventati prima di commettere il male, vi si ostinano caparbi dopo che
l’hanno commesso. Quando dovevano tenersi in piedi, caddero; e quando
dovrebbero prostrarsi e umiliarsi, vogliono stare in piedi (Lib.
de Lapsis)».
«Quando uno è giunto, nel suo
indurimento, a tale audacia e impudenza che più non esita, più
non teme, più non trema al commettere
il male, si deve
ritenere disperato», scrive S. Bernardo (In Declamat).
Infatti, secondo l’osservazione del Savio, l’empio dà
segno di essere caduto nel profondo dell’empietà, quando tutto
disprezza (Prov. XVIII, 3). Dal fondo della loro malvagità,
i cuori induriti non solamente non cercano il Salvatore, ma lo
fuggono non appena egli si avvicina a loro. Essi stanno infinitamente
lontani da Dio, e quando egli viene a loro, lo disprezzano. La
malattia del cuore indurito è un’avversione al rimedio, una
nausea, un disgusto dei beni eterni. Voi gli mostrate la terra
promessa ed egli si volge all’Egitto; la manna celeste gli mette
schifo e ribrezzo. La pecora sbrancata non riconosce più la
voce del pastore che la chiama e le tende le braccia, ma si ostina a
starsene tra le zanne del lupo che la divora…
Il cuore indurito è
morto; egli è divenuto simile a un sasso, dice la Scrittura (I
Reg. XXV, 37). Niente può smuoverlo, né carezze, né
minacce, né premi, né pene; sfida perfino i fulmini ed
i castighi di Dio, sotto i quali, invece di rompersi, s’indurisce
come macigno, dice Giobbe, e s’insalda come incudine battuta dal
martello (IOB. XLI, 15). «Sono sommersi, nel profondo, scrive
S. Bernardo, gli induriti non si svegliano punto al tuono delle
minacce divine, non tremano dello spaventoso loro pericolo (In
Declamat.)».
Gesù disse che i defunti
nei sepolcri avrebbero inteso la voce del Figliuolo dell’uomo e
sarebbero usciti dalla caligine della morte (IOANN. V, 25). Or dunque
non vi sarà più mezzo di richiamare a vita i cuori
induriti, troppo più veramente morti che non i defunti stessi,
morti quatriduani, le cui viscere già corrotte da abiti
invecchiati, mettono orrore? non vi sarà modo da rimpolpare
queste ossa aride e disseccate?..
6. IL CUORE INDURITO
ABUSA DEI MEZZI DI SALUTE. – L’indurito abusa della grazia, della
preghiera, del tempo, ecc. La sua ingratitudine la sua disobbedienza,
la sua ostinazione lo intristiscono e peggiorano. Ne è esempio
Faraone, il quale quando vide cessare la pioggia e la grandine e le
folgori, si ostinò nel suo peccato e lo aggravò (Exod.
IX, 34).
Di loro scrive S.
Paolo, che per quanto si cerchi d’istruirli, non si arriva mai a far
capire loro la verità. Sono uomini di spirito corrotto, che
hanno perduto la fede (II Tim. III, 7-8). Non possono più
offrire quello che loro si dice (Hebr. XII, 20).
Avviene nell’ordine spirituale
come nel materiale; la cera esposta al sole o al fuoco si fonde e il
fango s’indurisce; così i giusti che sono come cera innanzi a
Dio, si sciolgono sotto l’influsso dell’amor divino, mentre i cuori
induriti copia del cuore di Faraone, i quali non sono che fango,
tanto più disseccano e s’induriscono, quanto più Dio
cerca d’infiammarli del fuoco del suo amore. Ah sì! è
pur troppo vero che il cuore indurito non fa che indurirsi di più,
quando o si avvisa con carità, o si minaccia della collera di
Dio, come già deplorava Geremia: «Voi li avete percossi,
o Signore, ed essi non si compunsero; indurirono la fronte loro più
che sasso e non vollero ritornare a voi» (IEREM. V, 3). Quanto
più si studia attorno a loro la grazia, la pazienza, la bontà,
la giustizia di Dio, tanto più cresce la loro durezza e
ostinazione.
Questi tali diventano
più malvagi e più empi a proporzione che Dio loro offre
più validi e più preziosi mezzi di salute. Osservate
coloro che non vogliono soddisfare al precetto pasquale, che
resistono ad una grazia straordinaria di missioni, di giubileo, di
esercizi spirituali, e li vedrete più tristi che prima;
giungono perfino a burlarsi di quelli che corrispondono alla
grazia… «In essi vi è il furore del serpente, dice il
Salmista, il furore dell’aspide sordo, ma che è tale perché
si tura le orecchie per non intendere» (Psalm. LVII, 4).
7. L’INDURITO IMITA
IL DEMONIO. – Del cuore indurito si può dire: «So dove
abiti, tu abiti col demonio» (Apoc. II, 13). L’uomo
indurito vive con i demoni, alla loro scuola, sotto la loro tutela e
vive della vita dei demoni e dei dannati. Parecchi dottori dicono che
è tale l’orgoglio: di Satana, tanta e cosi ostinata la sua
perfidia nel male, che se Dio gli dicesse: Umiliati, chiedimi perdono
ed io ti libererò dal fuoco eterno, egli preferirebbe di
rimanersene eternamente infelice, piuttosto che confessarsi
colpevole, umiliarsi, pentirsi e implorare perdono. Ora anche i cuori
induriti preferiscono l’inimicizia di Dio, la dannazione, al
pentirsi, all’umiliarsi e al mutar vita. «Essi strinsero un
patto con la morte, come dice Isaia, si allearono con l’inferno»
(XXVIII, 15).
8. L’INDURITO STUDIA
IL MALE PER COMMETTERLO E SE NE VANTA. I cuori incalliti nel
peccato meditano il delitto e vi si addestrano come ad un lavoro
(Psalm. LXIII, 6); si vantano della loro malizia (Psalm.
LI, 1); si rallegrano del male che commettono e godono delle cose più
infami (Prov. II, 14).
Il loro indurimento è come
un letto in cui stanno comodamente dormendo; come il diavolo, essi
non provano più nessun gusto per il bene e godono soltanto del
male e solo in questo trovano contentezza e gioia; vi sono attratti
come da naturale, irresistibile istinto; il male è loro
familiare, se ne compiacciono, vi si dibattono e vi dimorano
soddisfatti come i porci nel brago.
Questa razza di
peccatori, che non vuole convertirsi, non solamente pretende scusare
e giustificare i suoi delitti, ma li esalta e se ne vanta (ISAI. III,
9), e quasi le pare di non gustare tutta la soddisfazione delle sue
intemperanze, se non le espone, come dice Tertulliano, alla luce del
giorno, in faccia al cielo e alla terra (Ad Nation. lib. I. n.
16). Vedeteli quei superbi cuori induriti che si vantano della loro
licenza; che credono di innalzarsi sopra tutte le cose umane col
disprezzo di tutte le leggi divine; che hanno il pudore medesimo in
conto di cosa puerile e indegna, perché vi è in esso un
certo qual timore; vedeteli come non solamente disprezzano, ma
oltraggiano pubblicamente la Chiesa, il Vangelo, la coscienza
dell’umanità!
Disgraziati! essi sono davvero in fondo
dell’abisso e perciò tutto disprezzano, ma badino che invece
di gloriarsene, dovrebbero pensare alla vergogna e all’ignominia che
li aspettano (Prov. XVIII, 3). Essi scherniscono le
ammonizioni e chi le fa; ridono dei misfatti e non conoscono rossore;
si burlano del pudore e della modestia, mettono in ridicolo i
pericoli, le perdite, l’anima, lo spirito, il cielo, si beffano di
ogni diritto divino ed umano, del sacro e del profano, degli angeli e
di Dio di cui arrivano a negare la Provvidenza ed anche l’esistenza
medesima. Si burlano della coscienza, dei supplizi, della virtù,
di ogni correzione, del perdono, del rimedio. Sono frenetici
disperati che ridono di tutto; coperti d’infamia e di disonore, se ne
vantano; sono questi, dice Malachia, i confini estremi dell’empietà
(I, 4). E chi arriva a tali estremi, si può paragonare alla
femmina spudorata, la cui fronte non è più capace di
rossore (IEREM. III, 3).
9. IL CUORE INDURITO
È UNA SENTINA DI VIZI. – E’ sentenza del Savio,
che l’uomo di cuore duro, di mente caparbia, cadrà in
tutti i peccati (Prov. XXVIII, 14); tutto in lui è
sozzura, dice S. Paolo, l’anima e la coscienza (Tit. l, 15).
All’uomo indurito si possono applicare quelle parole d’Isaia: «Dalla
testa ai piedi egli è tutto una piaga e le sue piaghe
inverminiscono tutti i giorni. Or dov’è la benda per
fasciarle, il rimedio per medicarle?» (ISAI. l, 6). Egli non
vuole lasciare questo deplorevole e spaventoso stato: ecco l’ultimo
eccesso del male!
10. PERSEVERANZA NELL’INDURIMENTO. – «I
peccatori induriti nel male vorrebbero sempre vivere, per peccare
sempre, scrive S. Gregorio; e lo dimostrano chiaramente col non
cessare mai di peccare per tutto il tempo in cui vivono. Vuole dunque
la giustizia di Dio, che quelli i quali non vollero cessare dal
peccato mentre vissero, siano puniti con un supplizio che mai non
cessi (De Poenit. c. LX)». Vogliono peccare con audacia
e sfrontatezza e non cessare mai di peccare; peccano del continuo e,
sempre amando il peccato, stringono un patto eterno col peccato, con
la morte, del demonio, con l’inferno.
Di questi tali parla
Iddio quando dice: «Violatori della mia legge, io vi ho
conosciuti fin dall’utero di vostra madre; io sapeva che sareste
stati ostinati peccatori» (ISAI. XL VIII, 8). «Io vi ho
chiamati e voi non mi avete risposto; ho parlato e voi non mi avete
dato ascolto» (ISAI. LXV, 12). Io ho detto loro: ascoltate la
mia parola ed io sarò vostro Dio, e voi sarete mio popolo; ma
essi non vi badarono e corsero sfrenati dietro le depravate cupidigie
del loro cuore corrotto… Ed ai miei profeti che in ogni tempo ho
loro inviato per invitarli a me, voltarono le spalle, li caricarono
di molestie, non vollero chinare il capo e fecero peggio dei padri
loro (IEREM. VI, 23, 36). E quando mai questa genia penserà a
convertirsi? (OSE. VIII, 5). Quanto tempo durerà questa
volontà perversa? E dove trovare una pazzia più stolta
che quella di rifiutare la guarigione offertaci dal Signore? chiede
stupito S. Girolamo (Sup. Math.).
Chi vuol averne un
esempio, risponde S. Gregorio, osservi l’indurimento dei Giudei i
quali non riconoscono ancora Gesù Cristo per Messia, benché
leggano tutti i giorni le profezie che lo dinotano e vedano i
miracoli ch’egli opera in loro adempimento. Gli elementi
insensibili riconobbero il loro autore e il cuore dei Giudici, più
duro dei macigni, si è rifiutato di riconoscerlo; non vollero
fare penitenza (Moral.). Osservate Giuda, dice il Crisostomo,
nonostante la bontà di Gesù Cristo egli si ostinò
nel suo colpevole indurimento, vendette il suo maestro, e disperato
s’impiccò. Peccatori induriti, non imitate Giuda! (Homil.
I, in prodit. Judae).
11. È QUASI
IMPOSSIBILE USCIRE DALL’INDURIMENTO. – «È impossibile
(cioè difficilissimo), scriveva S. Paolo agli Ebrei, che
coloro i quali furono già illuminati, che provarono il dono
del cielo, ricevettero lo Spirito Santo e si nutrirono della parola
di Dio e delle meraviglie del secolo avvenire e che poi caddero,
ritornino a penitenza: poiché riceve la benedizione di Dio
quella terra che, coltivata e innaffiata, produce quel che è
necessario al coltivatore, ma se altro non dà che spine e
rovi, essa è abbandonata, maledetta e destinata al fuoco».
(Hebr. VI, 4-8). E più oltre il medesimo Apostolo
ripete: «Se noi pecchiamo volontariamente dopo di aver
conosciuto la verità, non c’è ormai più vittima
per i nostri peccati» (Hebr. X, 2.6). Ora che cosa
dobbiamo dire di coloro che non solo caddero, ma tanto spesso
ricaddero, da formare l’abitudine e indurirvisi?
«L’uomo
pervertito difficilmente si emenda», leggiamo nell’Ecclesiaste
(I, 15). Udite infatti come parla di sé un tale che ne fece la
triste esperienza: «Io mi sentiva incatenato non da vincoli
esterni, ma dalla mia ferrea volontà. Il mio nemico teneva
prigioniera la mia volontà e quindi aveva formato una catena
con la quale mi costringeva a suo talento (Confess.)».
L’uomo incallito nel male rarissimamente si converte, perché
non vuole; egli vuole continuare a offendere Dio, si ritira e lo
maledice. E senza Dio, come è possibile ravvedersi?…
Tuttavia non bisogna disperare: tutto è possibile a Dio; egli
è onnipotente insieme e misericordiosissimo; il perdono da lui
concesso ad altri grandi peccatori ci è caparra della sua
volontà di salvare anche gli induriti, ma non bisogna
perseverare nel peccato.
12. CAUSE
DELL’INDURIMENTO. – Una prima causa dell’indurimento, notata già
da S. Agostino, sta nella forza dell’abitudine cattiva che accascia e
soffoca l’anima, così che le toglie perfino il respiro
(Confess.). Una seconda cagione, è la trascuranza
nell’ascoltare la parola di Dio… Una terza proviene
dall’accecamento della mente e dall’affetto al peccato, per cui
si rigetta e si disprezza il timor di Dio… Una quarta, e
principalissima, è l’orgoglio. Il cuore superbo è duro
ed inflessibile.
13. SEGNI
DELL’INDURIMENTO. – Cinque sono i segni, che si possono, anche
chiamare effetti, dell’indurimento: 1° la cecità
spirituale, alla quale accenna Giobbe: «Andranno brancolando
come nelle tenebre e vacillando come ubriachi» (IOB. XII, 25);
2° la sordità volontaria la quale ci fa dire a Dio:
«Allontanatevi da noi, che non ne vogliamo sapere della scienza
dei vostri precetti» (IOB. XXI, 14); 3° il disprezzo di Dio
e degli uomini: «L’empio, quando è giunto in fondo
all’abisso, disprezza» (Prov. XVIII, 3); 4°
l’ostinazione a non volersi correggere…; 5° il torpore ed il
sonno spirituale…
14. DISGRAZIE E CASTIGHI
DELL’INDURIMENTO. – Quando le vergini stolte si presentarono alla
porta dello sposo evangelico, trovandola chiusa, si diedero a bussare
e gridare: Apriteci, o Signore; ma n’ebbero per risposta: Andatevene,
perché non vi conosco (MATTH. XXV, 11-12). Or se vi è
un essere che Dio non conosca è l’uomo indurito. Ma chi non è
conosciuto da Dio, non è nemmeno conosciuto dal cielo, né
dagli angeli, né dai beati; non è conosciuto che dal
demonio, dalla morte, dall’inferno; vedete dunque in quale
disgrazia si trova l’uomo indurito nel male.
«Guai, esclama
S. Agostino, a quei cuori di sasso, dai quali Iddio si allontana e
fugge! (Confess.)». Infatti, dice Isaia, il cuore
dell’empio è un mare sempre in burrasca (LVII, 20), e la pace
non è fatta per lui (XLVIII, 22). Ah! lo stato di una persona
incallita nel male è uno stato di morte già da questa
vita! Abbandonata al reprobo senso, essa è come una barca
sconquassata che fa acqua da tutte le parti, abbandonata alle onde.
Ma se è
infelice in vita, per la mancanza di ogni vera gioia, molto più
disgraziato sarà in morte l’uomo dal cuore duro, dice il Savio
(Eccli. III, 27); infatti molte volte non si osa nemmeno
avvisarlo del pericolo che corre, per timore che non si possa indurre
a ravvedimento e così Dio permette che muoia com’è
vissuto… In quell’istante supremo, il suo cuore si inaridisce a tal
punto, che non ha più nessuna fiducia e la speranza passata si
cambia, dice Giobbe, in una punta acutissima di dolore e di
disperazione per il presente (XI, 20): «Egli vedrà, dice
il Salmista, si arrabbierà, batterà i denti e schizzerà
livore e il desiderio suo andrà perduto» (Psalm.
CXI, 9).
«Questi
peccatori mormorano e bestemmiano contro Dio, continua il Profeta, ma
il Signore li ode, l’ira sua s’infiamma e scoppia su di loro il fuoco
della sua vendetta» (Psalm. LXXVII, 19-20); «ed
essi precipiteranno nell’abisso della perdizione, dove non vedranno
più luce in eterno» (LIV, 23). – In aeternum non
videbit lume» (XLVIII, 19). «Essi amarono la
maledizione e l’avranno; rigettarono la benedizione e si allontanerà
da loro. La maledizione li investirà da capo a piedi, entrerà
come acqua nelle loro interiora, penetrerà come olio fin
dentro le loro midolle» (Psalm. CVIII, 16-17).
A questi tali domanda
S. Paolo: «Forse vi credete di misconoscere impunemente le
ricchezze della bontà e sapienza e longanimità di Dio,
non sapendo che la sua benignità fa così, per chiamarvi
a penitenza? Ah! sappiate che con la vostra durezza e impenitenza vi
accumulate un tesoro di collera per il giorno della vendetta e della
manifestazione del giusto giudizio di Dio» (Rom. II,
4-5).
Peccatori induriti,
voi fuggite Dio, ma non vi sottraete alle sue vendette… La paga di
una volontà ostinata e caparbia sarà la pena eterna
dell’inferno. «Benché commesso nel tempo, dice S.
Bernardo, il peccato di un cuore ostinato nell’indurimento ha per
castigo una pena eterna, perché quel misfatto che fu breve nel
tempo o nell’azione è di lunga durata, se si guarda nella
pertinacia della volontà, per cui il peccatore se non morisse,
mai cesserebbe dal voler peccare; vorrebbe anzi sempre vivere per
peccare sempre (Epistola CCLIII)».
Dio stesso dice: «Se
voi non mi ascoltate e non osservate tutti i miei precetti; se
calpestate i miei comandi e non fate conto dei miei giudizi
nell’adempimento di quello che vi ho ordinato, se violate la mia
alleanza, io per prima cosa vi porrò tra le strette della
povertà e vi accenderò in seno tale ardore, che ne
avrete consumati gli occhi; mi volgerò contro di voi e cadrete
mietuti dal ferro nemico; verserò sopra di voi, per castigarvi
del vostro indurimento, sette volte più di mali che su gli
altri; spezzerò l’orgoglio della vostra durezza e renderò
per voi il cielo di ferro e la terra di bronzo; ogni vostro lavoro
riuscirà infecondo, la terra non darà più messi,
gli alberi non porteranno più frutto. Scatenerò le
fiere che divorino voi e i vostri greggi. Se vi rifiutate ancora al
pentimento e vi ostinate nel contrariarmi, anch’io vi avverserò
e vi percuoterò senza tregua; menerò la spada
vendicatrice, vi colpirò con la peste e vi consegnerò
schiavi in potere dei vostri nemici. Voi perirete e terra straniera
consumerà i vostri cadaveri» (Levit. XXVI).
«Udite quel che dice il Signore degli Eserciti, il Dio
d’Israele: Io farò piovere su questo paese e su tutte le sue
città tutti quei mali che ho annunziato; perché
s’indurirono nel non dare ascolto alle mie parole» (IEREM.
XIX, 15). «Voi vi siete rifiutati ai miei comandi e perciò
io vi dichiaro che vi abbandonerò, voi che pretendete di
restare liberi alla spada, alla peste, alla fame» (IEREM.
XXXIV, 15-17). E, quasi per incarnare e mostrare viventi sotto gli
occhi di tutti, queste sue minacce, ordina al profeta Osea d’imporre
ad una sua figlia il nome di – Senza misericordia; – perché,
dice, «io non avrò più oltre compassione della
casa d’Israele; ma mi dimenticherò affatto di loro»
(OSE. I, 6).
Il danno più terribile che
possa toccare a un peccatore è quello di essere abbandonato da
Dio; è questa la prova dell’impenitenza e dell’ostinazione per
parte del peccatore, dell’abbandono e della riprovazione per parte di
Dio. Dimenticato da Dio, l’uomo indurito non ha più nulla da
sperare da Dio, dalla sua grazia, dalla sua sapienza. La causa di
quest’abbandono del Signore è che l’uomo indurito si allontana
lui per il primo da Dio e chi dimentica e abbandona Dio, ben si
merita di essere alla sua volta abbandonato e dimenticato da Dio.
Tale fu il castigo inflitto ai Giudei deicidi…
L’indurito Faraone è
percosso da dieci terribili piaghe e finisce con l’annegare travolto
in fondo al Mar Rosso. Il braccio della divina giustizia non si è
ancora irrigidito e gl’imitatori di Faraone nell’indurimento
incontreranno come lui severissimo castigo.
L’accecamento è proprio
dell’intelligenza; l’indurimento della volontà; ma l’uno
e l’altro sono attaccamento al peccato, causa di peccato, pena
del peccato… L’uno e l’altro conducono direttamente
all’abbandono di Dio, all’impenitenza finale, alla riprovazione
eterna…
15. L’INDURIMENTO È OPERA
DELL’UOMO. – Quantunque si dica talora che Dio acceca, indurisce,
abbandona l’uomo, questo avviene però solo
indirettamente, perché l’indurimento è un’affezione, un
attaccamento colpevole, diretto, per il quale l’uomo rigetta la
grazia, vi frappone ostacoli volontari per impedire l’azione della
misericordia divina; ora essendo questo impedimento un frutto della
volontà e dell’ostinazione dell’uomo, non si può negare
che sia un peccato grave il quale obbliga, per così dire,
Iddio ad allontanarsi dall’anima e, ritirandosi Dio, l’uomo non
può più rialzarsi, e cade nell’indurimento; perciò
è l’uomo che propriamente, direttamente, attivamente si
acceca, s’indura e si abbandona al suo reprobo senso.
Dio acceca e indurisce l’uomo: 1°
permettendo che si accechi e s’indurisca…; 2° togliendogli a
poco a poco, perché se lo merita, non la grazia sufficiente,
ma la grazia efficace e l’abbondanza delle sue grazie…; 3°
lasciando al demonio maggior potere su l’uomo,..; 4° presentando
all’uomo occasioni di caduta, occasioni che del resto sono
circostanze in se stesse o buone, o indifferenti, come per esempio,
la vista di persone di diverso sesso, le ricchezze, gli onori, le
avversità, la fortuna; Dio prevede che per queste occasioni
l’uomo cadrà nel peccato, ma liberamente, di suo proprio
volere e che vi si indurerà; ma egli non gli porge quelle
occasioni per farlo cadere, poiché Dio non tenta nessuno, e
non vuole direttamente la perdita di alcuno, essendo morto per la
salute di tutti, ma per provarlo, per dargli occasione di merito, per
fargli un bene. Così per esempio, Dio indurò Faraone,
percotendolo con le piaghe d’Egitto, in questo senso che, sebbene
l’intenzione sua nell’inviargliele fosse che Faraone si umiliasse ed
obbedisse, tuttavia questo re, irritato per i castighi che lo
flagellavano, divenne più ostinato e indurito contro Dio,
Perciò l’indurimento di Faraone proviene direttamente dalla
sua volontà, è tutta sua colpa…
Dio indurisce il peccatore non
avendo pietà di lui, abbandonandolo al suo indurimento ed ai
suoi peccati. Supponiamo che un padre adottivo voglia colmare di
ricchezze e di beni il figlio che ha adottato; se questo figlio si
ride del suo benefattore, lo burla, lo disprezza, chiameremo noi
colpevole il padre quando abbandoni e discacci questo ingrato? e se
questo ribelle diventa infelice, di chi sarà la colpa?… In
Dio, indurire, significa non avere pietà, abbandonare perché
quel tale merita di essere abbandonato; Dio non abbandona mai per il
primo; se si allontana dall’uomo, lo fa perché l’uomo
l’ha costretto ad allontanarsi…
Isaia e Davide
spiegano in modo chiaro ed evidente come i peccatori s’induriscono
essi stessi propriamente e direttamente per loro malizia. «Quando
voi stenderete le mani verso di me, dice Iddio, io distoglierò
gli occhi miei da voi; voi pregherete ed io non vi darò
ascolto, perché le vostre mani grondano sangue. Lavatevi,
cancellate dagli occhi miei la malizia dei vostri pensieri, cessate
dall’ingiustizia, imparate a fare il bene, amate la giustizia,
sollevate l’oppresso, proteggete l’orfano, difendete la vedova. Poi
venite e doletevi di me, se i vostri peccati, ancorché più
rossi dello scarlatto non diventeranno più bianchi della neve,
più candidi che lana monda» (Isai. I, 15-18). Ed
il Salmista ci dice: «Se oggi udite la voce del Signore, non
indurite i vostri cuori» (Psalm. XCIV, 8). Dunque non è
Dio che indurisce direttamente l’uomo; ma è l’uomo che lo
costringe a negargli la sua grazia.
Questo si vede
chiaramente in Faraone, infelice modello di tutti gli induriti,
poiché dalla Scrittura apertamente si ricava: 1° che Dio
gli spedì ben dieci volte Mosè con intimazione che
desse libertà agli Ebrei di uscirsene dall’Egitto; Iddio
voleva dunque l’uscita, la partenza del suo popolo, non l’indurimento
di Faraone e se lo percosse delle piaghe lo fece per obbligarlo con i
flagelli a fare quello a cui non poteva persuaderlo con le parole…
2° «Iddio, come riflette San Fulgenzio, punì
severamente la caparbietà di Faraone; ora Dio non è
autore di quelle cose ch’egli vendica e punisce (Epistola
IV)». 3° Il testo sacro lascia a Faraone tutta intera la
colpa del suo indurimento; infatti si legge nell’Esodo, che «vedendo
Faraone che gli si dava tregua, aggravò il suo cuore»
(VIII, 15); e poco dopo ripete: «Vedendo Faraone, che la
pioggia, la grandine e i tuoni erano cessati, aggravò il suo
peccato e indurì il suo cuore» (IX, 34-35).
Né a questo si
oppone il testo di S. Paolo: «Dio fa misericordia a chi gli
talenta e indurisce chi vuole» (Rom. IX, 18), se si
prende nel suo vero senso che risulta dal contesto ed è che i
Giudei incrudeliti e quanti ne seguono le orme, furono rigettati per
effetto di giustizia; i cristiani che hanno creduto e quanti credono,
sono giustificati, i Giudei furono rigettati per essere condannati,
perché i cristiani abbracciarono la fede di Gesù
Cristo, che i Giudei non vollero accettare… Sono i Giudei che
s’indurirono positivamente e direttamente essi medesimi, ed ecco
perché divennero vasi di collera e di dannazione, ma sono essi
che si resero tali per loro colpa e per volontaria impenitenza.
Dio è sempre pronto ad
avere compassione e ad usare misericordia con chi la implora, anzi
non cessa mai di offrircela… Il bene e la predestinazione vengono
da Dio; il male e la dannazione dall’uomo… L’uomo solo può
peccare e pecca; Dio solo lo libera dal peccato, quando l’uomo non
metta né voglia mettere ostacolo all’azione della grazia
divina…