1. Motivi che ha il cristiano di gioire.
2. Dove si trova la vera gioia?
3. La gioia cristiana rende invincibile.
4. La gioia cristiana sopporta tutto.
5. Le anime illuminate e pie hanno per loro eredità la gioia.
6. La gioia cristiana è testimonio di una buona coscienza.
7. Soavità della gioia cristiana.
1. MOTIVI CHE HA IL
CRISTIANO DI GIOIRE. – Gesù Cristo è la nostra gioia…
«Colui che si rallegra in Gesù Cristo, dice S. Agostino,
non può patire inganno nelle sue consolazioni (Sent.
XC) ». Il santo abate Apollonio,
inculcava che, non si pensasse con tristezza alla propria salute,
essendo noi gli eredi del regno celeste. Che i pagani siano tristi,
che i giudei piangano, che i cuori impenitenti siano infelici, bene
sta, ma i cristiani devono vivere nella gioia (Vit.
Patr. ).
La gioia cristiana ha
per principio e motivo, 1° la misericordia di Dio, secondo
l’esortazione dell’Ecclesiastico:
«Gioisca l’anima vostra nella sua misericordia» (Eccli.
LI, 37).
2° La speranza in Dio… «Io
ho posto la mia speranza in colui che è la salute eterna,
diceva Baruch, e la gioia mi è venuta da colui che è
santo» (BAR. IV, 22).
3° La promessa di Dio… «Sono io che
consolerò», dice il Signore (ISAI. LI, 12); e annunzia
che, venuto il Messia, le vergini avrebbero danzato di gioia, e i
giovani e i vecchi tripudiato di allegrezza; che il lutto sarebbe da
lui cangiato in giubilo, che li avrebbe consolati e riempiti di
gaudio per ristorarli del loro dolore; che avrebbe inebriato l’anima
dei sacerdoti e colmato dei suoi beni il popolo suo (IEREM. XXXI,
13-14).
4° La gioia cristiana è
fondata sui meriti e sulla bontà di Gesù Cristo.
5° Sui mezzi che abbiamo di
salvarci quali sono i sacramenti e la preghiera… .
6° Sui meriti che possiamo
acquistarci in ogni cosa, col riferirla a Dio.
7° Sull’obbligo
che Dio ci ha imposto di stare allegri. «Figlia di Sion, egli
ci dice, canta inni di lode; Israele, rallegrati ed esulta»
(SOPH. III, 14). E perché tanta festa? Perché il
Signore vostro Dio. è in mezzo di voi; egli è il Dio
forte, il vostro Salvatore; egli si rallegrerà in voi,
riposerà nel vostro amore, ed esulterà di gioia con voi
(Ib. 17). «Gioisci
e loda il Signore, o figlia di Sionne, dice ancora Iddio, perché
ecco che io vengo e abiterò in mezzo di te» (ZACH. II,
10). «Servite al Signore nell’allegrezza», – cantava il
Salmista (Psalm. XCIX,
1).
8° Finalmente
questa gioia cristiana è fondata su le grazie e sui favori che
Dio sparge sui fedeli suoi servi. «Fate festa, dice S.
Bernardo, perché già avete ricevuto i doni della mano
sinistra di Dio: gioite, perché aspettate i regali della sua
mano destra. La sua sinistra vi alza e vi sorregge, la sua destra vi
accoglie e vi stringe al seno. La sua sinistra guarisce e giustifica,
la destra abbraccia e beatifica. Nella sinistra tiene i meriti, nella
destra le ricompense; con la sinistra ci dà le medicine, con
la destra porge le consolazioni (Serm. IV in
vig. Nativ.)».
2. DOVE SI TROVA LA
VERA GIOIA? – La vera gioia si trova in primo luogo nel Signore,
secondo quello che diceva S. Paolo ai Filippesi: «State allegri
nel Signore; ve lo ripeto, state allegri» (Philpp.
IV, 4). Rallegratevi, commenta S. Anselmo, non nel secolo, ma nel
Signore; poiché come nessuno può servire a un tempo due
padroni, così nessuno può stare allegro e nel Signore e
nel secolo: queste due gaie sono opposte tra di loro come la notte e
il giorno (In Ep. ad Philipp. IV, 4).
Quindi il real
profeta attestava di sé, che «il corpo e l’anima sua si
erano rallegrati nel Dio vivente» (Psalm.
LXXXIII, 2); ed eccita i giusti a fare festa nel Signore, a gioire ed
esultare in lui, che darà loro quanto desiderano (Psalm.
XCVI,
15?).
(Psalm.
XXXVI,
4); e Tobia esclamava:
«Per me starò allegro nel Signore» (TOB. XIII,
9); e Anna, la madre di Samuele, si rallegrava nel pensiero del
Messia (1 Reg. II, 1).
Dice Isaia: «Farò
festa nel Signore, e l’anima mia esulterà di gaudio nel mio
Dio; perché mi ha vestito con le vesti di salute, mi ha ornato
dei gioielli della giustizia, come uno sposo inghirlandato della sua
corona, e come una sposa adorna dei suoi monili» (ISAI. LXI,
10). «Quanto a me, esclama il profeta Abacuc, mi rallegrerò
nel Signore, ed esulterò in Dio mio Gesù» (III,
18). Questo profeta, seicento anni prima della venuta di Gesù
Cristo, l’annunzia per nome ed in lui si rallegra; poiché
prevedeva che da lui sarebbe liberato, come siamo noi, dal peccato,
dal demonio, dalla concupiscenza, dalla carne, dal mondo, e colmato
di grazia e di favori.
A ragione pertanto il
profeta Baruch animava Gerusalemme a guardare verso l’oriente e a
considerare la gioia che a lei veniva dal Signore (BAR. IV, 36). A
ragione il Salmista esortava all’allegrezza quelli che cercano il
Signore (Psalm, CIV,
3) ed esclamava: «Voi siete venuto in mio soccorso, o Dio, ed
io me ne sono consolato» (Psalm.
LXXXV, 16).
Questa gioia che deve
avere il cristiano non è già la gioia secondo il senso
della natura; ma è gioia secondo la ragione illuminata e
fortificata dalla fede e dalla grazia… La gioia spirituale è
un saggio, un’anticipazione della gioia celeste. Di qui quella
sentenza di S. Agostino: «Chi cerca Dio, cerca la gioia; perché
quanto si avvicina a Dio, tanto resta illuminato, fortificato, amato
da Dio il quale solo è la vera gioia dell’uomo; egli solo ne
appaga le brame, e non solo dell’uomo, ma anche dell’angelo (Sent.
IX)… E altrove il medesimo santo così
pregava: «Lungi da me, lungi dal vostro servo tenete l’idea di
stimarmi felice, qualunque gioia io provi all’infuori di voi; ma fate
che io gusti quella gioia che l’empio non conosce, e che voi date a
coloro che vi servono. Questa gioia siete voi medesimo; è la
vita beata di godere con voi, di voi e per voi: ecco la vera gioia,
non ve n’è altra fuori di questa (Confess.
l. X, c. XXII); perché ci avete creati
per voi solo, e il nostro cuore non trova pace, fino a tanto che in
voi non riposi (Ib..
1. I, c. I)».
«L’unica
schietta gioia, dice S. Bernardo, è quella che viene dal
Creatore, non dalla creatura, e che nessuno può rapirti quando
la possiedi; a paragone di questa, ogni altra allegrezza è
pianto, ogni dolcezza è amarezza, ogni diletto è noia,
ogni bellezza è sporcizia; insomma ogni piacere è
molestia». La gioia perfetta non viene dalla terra, ma dal
cielo; non scaturisce da questa valle di lagrime, ma dal giardino
della città celeste (Epistola
CXIV).
La gioia in Dio,
notava già il Crisostomo, è la sola che non ci può
essere tolta, tutte le altre gioie sono mutabili e transitorie; ma la
gioia in Dio è stabile, immutabile, e così grande che
riempie tutto il cuore. Le altre gioie non ci rallegrano in modo da
dissipare la tristezza e la noia, anzi ne sono la sorgente; ma chi si
rallegra e gioisce in Dio, beve alla fonte della vera gioia. A quella
guisa che non appena una scintilla è caduta nel mare, vi resta
spenta, così avviene a colui che ripone in Dio la sua felicità
e la sua gioia; resta tutto affogato in quest’oceano senza sponde e
la sua gioia invece di diminuire, si aumenta (Homil.
ad pop. XVIII).
Il vero cristiano in Dio solo trova il riposo e
la pace; in esso solo sono le vere gioie. Le allegrezze del mondo, le
gioie prodotte dalle passioni non dànno il riposo e la pace,
ma in esse si trova il turbamento e il rimorso… «Colui che
vuole godere in se stesso e di sé sarà triste, dice
ancora S. Agostino, ma chi cerca in Dio la propria gioia sarà
in continuo gaudio (Tract. XXIV, in Joann)».
La vera gioia si
trova in secondo luogo in una vita santa. «Volete sapere il
modo di non vivere mai in tristezza? domanda S. Bernardo: vivete
santamente. Una vita santa ha per indivisibile compagna la gioia; la
coscienza del reo è sempre tra vagliata da foschi pensieri (De
inter. Domo, c. XLV)… «Qual cosa più
preziosa e più dolce a un cuore, osserva ancora il medesimo
santo, qual cosa più sicura e tranquilla in questa terra, che
una coscienza retta? Essa non teme né la perdita degli averi,
né i patimenti, né i rimproveri; la morte invece di
spaventarla, le si presenta come messaggera di gioia» (De
Considerat. lib. I).
La stessa cosa avevano già osservato due
pagani, Cicerone e Seneca. Il primo scriveva a Torquato, che la
coscienza di una volontà diritta è la massima delle
consolazioni in mezzo alle pene della vita; l’altro pretendeva da
Lucinio che vivesse contento; e interrogato da questo onde poteva
attingere quella continua contentezza gli rispondeva: In una buona
coscienza, in buoni consigli, in buone azioni, nel disprezzo delle
cose fugaci, in una condotta irreprensibile.
La vera gioia si trova in terzo
luogo nell’umiltà; secondo l’esortazione di Giuditta:
«Aspettiamo umilmente la consolazione del Signore» (IUD.
VIII, 20).
Si trova in quarto
luogo nell’amore e nel timore di Dio. Il timore del Signore è,
come dice l’Ecclesiastico,
gloria, trionfo, sorgente di gioia, corona di allegrezza. Il timor di
Dio rallegrerà il cuore, gli porterà la gioia,
l’esultanza, la lunghezza dei giorni. Chi teme il Signore avrà
gioia in fine di vita e benedizione nel giorno della sua morte
(Eccli. I, 11-13).
Si trova in quinto luogo nei
pensieri consolanti del cielo, di Gesù Cristo, dei benefizi di
Dio, della sua presenza, della sua dimora e cooperazione in noi,
della Beata Vergine, dei santi, ecc.
Si trova in sesto
luogo nella mortificazione della carne e dei sensi. Se noi rinunziamo
ai diletti dei sensi, Dio ci darà delizie assai più
dolci; in vece di piaceri carnali ce ne fornisce di spirituali,
sostituisce gioie eterne alle temporali, le divine alle umane. Davide
che ne aveva fatto la prova, diceva: «L’anima mia ricusò
le consolazioni terrestri; mi ricordai del Signore e mi sentii
giubilare il cuore» (Psalm.
LXXXVI, 3). Infatti le gioie spirituali gustate una volta rendono
insipido ogni piacere del senso.
Si trova in settimo luogo nella
preghiera e nella meditazione. «Io, dice il Signore, l’attirerò
a me, lo condurrò nella solitudine e gli parlerò al
cuore» (OSE. II, 14). Io gli parlerò interiormente alla
sua mente, alla sua volontà riempirò il suo cuore di
consolazione; gli terrò un linguaggio tutto miele; ne
appagherò le brame; me lo stringerò al seno ben vicino,
al cuore. Gli comunicherò il mio spirito consolatore.
Si trova in ottavo
luogo nella virtù; lo sentì anche Seneca che scrive:
«Solo la virtù produce una gioia perpetua e sicura
(Epistola XXVII)»;
perché la virtù, è la pratica della legge di
Dio. Ora, dice S. Basilio, «rallegrarsi in ciò che è
secondo la legge del Signore, questo è un rallegrarsi nel
Signore, ed è vera gioia (In reg.
brevior., reg. CXCIV)».
Si trova finalmente nelle lagrime
del pentimento; Una sola lagrima versata sui peccati passati,
contiene più soavità e dolcezza, e quindi gaudio, che
non tutti i piaceri del mondo e della carne insieme uniti.
3. LA GIOIA CRISTIANA
RENDE INVINCIBILE. – «Credete che avete motivo di rallegrarvi
quando siete fatti bersaglio a varie tentazioni», scrive S.
Giacomo (IACOB. I, 2). «Vedendo S. Paolo, dice il Crisostomo,
che le tentazioni gli si accumulavano addosso come la neve, godeva e
si rallegrava come se fosse vissuto in mezzo al paradiso… Infatti
nessuna arma è così poderosa, quanto il gioire secondo
il Signore (De S. Paulo)».
Ai suoi religiosi che
vivevano nella mortificazione e nell’austerità, San Antonio
non sapeva inculcare nulla di meglio che la gioia spirituale nella
quale egli vedeva il più forte scudo ed il più potente
rimedio contro ogni maniera di tentazioni e di prove. «Vi è,
soleva dire, un mezzo efficacissimo a conquidere il nemico, ed è
la gioia spirituale; scioglie i tranelli del demonio e ne dilegua le
insidie come fumo; non soltanto le teme, ma l’e affronta, le insegue,
le sgomina. No, credetemi, non vi è nulla che più
sicuramente superi e atterri i nostri nemici, quanto la gioia e la
contentezza spirituale». (Ap. Sanct.
Athanas.).
I demoni tripudiano
quando riescono a spegnere e anche solo a illanguidire la gioia
spirituale in un’anima. «Ma ricordatevi, dice S. Agostino, che
il demonio è come cane legato alla catena da Gesù
Cristo; può abbaiare e lacerare le vesti, ma non può
mordere se non chi vuol essere morso; può assaltare, ma non
gettare a terra, e perde la speranza anche solo di persuadere, quando
vede l’uomo stare fermo, generoso, lieto ed allegro (Civit.
Dei, L II, c. 8)». Perciò
afferma Origene, che quanti atti di gioia noi facciamo in Dio, tanti
colpi di verga scarichiamo sul diavolo (De Elcana).
Con questa gioia spirituale noi ci
attiriamo la grazia e i lumi divini; vediamo i pericoli e li
scansiamo; i nostri nemici, vedutisi scoperti e conosciuti, se ne
fuggono.
4. LA GIOIA CRISTIANA
SOPPORTA TUTTO. – Attestano gli Atti Apostolici che avendo il
sinedrio ordinato che gli Apostoli fossero flagellati perché
annunziavano Gesù Cristo, questi uscirono dal concilio allegri
ed esultanti, perché erano stati stimati degni di patire
contumelie per il nome di Gesù (Act.
V, 40-41); ed il grande Apostolo diceva di essere inondato di gioia
in mezzo. ad ogni tribolazione (II Cor
VII, 4); e ai Colossesi scriveva: «Io mi rallegro nei miei
patimenti per voi» (Coloss.
I, 24). Per voi, cioè per ottenere merito a voi con i miei
travagli e per lasciare a voi esempio del come mantenervi d’animo tra
le croci e le persecuzioni. E questo esempio vediamo riprodotto al
vivo in quel detto di S. Francesco d’Assisi: «Tanto è il
bene ch’io m’aspetto, che ogni pena m’è diletto » (In
Vita).
«Gesù
Cristo godeva, come dice il Crisostomo, in mezzo ai suoi supplizi.
Chiamava giorno suo il giorno della crocifissione. Così devono
fare i cristiani. I patimenti sono pene rispetto al corpo, ma sono
gioie rispetto allo spirito. Non è nell’indole delle croci
considerate in se stesse, il dare la gioia, ma solo di quelle croci
che si portano per Gesù Cristo, e con l’aiuto dello Spirito
Santo. Queste dànno la gioia e il riposo, principalmente per
l’eternità» (Homil. ad pop.).
Ah! solo dalla croce del Salvatore stilla gioia perfetta!
La gioia cristiana
mitiga, addolcisce e rende meritorie le afflizioni e le prove; e
talora arriva a far sì che chi le patisce non se ne accorga,
come accadde a molti martiri ed anche ad altri santi, per virtù
dell’Onnipotente. Quante anime non conta il Cristianesimo, le quali
ben lungi dal temere patimenti, li desiderano, li invocano, li
accolgono a braccia aperte: anime che imitano colui che scriveva: «Il
Signore ha posto nella mia carne un pungolo, licenziò l’angelo
di Satana a schiaffeggiarmi. Perciò io mi volsi a Dio
supplicandolo che me ne liberasse; ma egli mi rispose: Ti basta la
grazia mia, perché la virtù nella debolezza si
perfeziona. Volentieri adunque io giubilerò e mi glorierò
delle mie infermità, affinché in me abiti la forza di
Cristo. Perciò mi rallegro nelle mie debolezze, negli
obbrobri, nelle strettezze, nelle persecuzioni, negli stenti che
sopporto per Cristo; perché allora sono forte, quando mi
conosco debole e fiacco» (II Cor.
XII, 10). S. Paolo attingeva la gioia nelle sue prove, dal merito
medesimo inerente alle prove; e questa gioia rendeva le prove non
solo tollerabili, ma desiderate…
Chi patisce con tristezza e senza
rassegnazione, patisce di più e patisce senza merito. Chi
soffre con gioia, soffre meno e acquista di grandi meriti. Il Signor
nostro Gesù Cristo che conosceva il pregio delle afflizioni,
diceva: «Beati quelli che soffrono, felici quelli che piangono»
(MATTH. V, 10). Se è felicità soffrire, ne segue che si
deve soffrire con gioia; perché è la gioia nei
patimenti che procura la felicità.
5. LE ANIME ILLUMINATE E PIE HANNO
PER LORO EREDITÀ LA GIOIA. «Essi, cioè i
giusti, si rallegreranno al vostro cospetto, o Signore, diceva già
Isaia, come mietitori ricchi del loro raccolto, come vincitori nel
dividersi le spoglie» (ISAI. IX, 3). Il Signore dice: «I
miei servi mieteranno nell’abbondanza e voi patirete la miseria; i
miei servi saranno dissetati, e voi morrete di sete; essi gioiranno,
e voi sarete confusi; intoneranno, nel giubilo dei loro cuori,
cantici di allegrezza e di lode, e voi manderete strida col cuore
spezzato, gemerete nella tristezza del vostro spirito» (ISAI.
LXV, 13-14).
A conferma del detto
del Salmista: «Starà il giusto in festa e in gioia»
(Psalm. L VII, 10),
noi abbiamo la vita degli anacoreti del deserto, dei quali narra
Palladio, che mettevano stupore in chi li vedeva raggiare di tanta
gioia in mezzo agli orrori della solitudine; così dolce e
grande era il gaudio loro, che non si era visto mai l’uguale su la
terra, anche per riguardo all’allegrezza corporale, perché non
si vedeva nessuno di loro di volto oscuro e triste (In
Lausiac. C. LII). E ad elogio di ogni santo
può ripetersi quello che dell’apostolo Andrea diceva S.
Bernardo: «Andò alla croce non solo rassegnato e
paziente, ma volenteroso, lieto e giubilante, quasi che
s’incamminasse ad un banchetto, ad incomparabili diletti».
6. LA GIOIA CRISTIANA
È TESTIMONIO DI UNA BUONA COSCIENZA. – «La più
sicura prova che si ha di essere in grazia di Dio è la gioia
spirituale», sentenzia S. Bonaventura (Speculum
c. III); facendo eco a S. Paolo che aveva notato come frutto dello
Spirito Santo la gioia (Galat.
V, 22).
«La buona
coscienza, scrive S. Agostino, è tutta nella speranza; e la
speranza è il fondamento della gioia» (Soliloq.);
S. Ambrogio, spiegando quel testo dei Proverbi
(XV, 15): «Una coscienza tranquilla è un festino
continuo, esclama: Che nutrimento più appetitoso di quello di
cui si ciba un’anima pura ed innocente? » (Offic.).
«Non già le grandezze, dice il Crisostomo, non le
ricchezze, non la potenza, non la forza, non qualunque altra cosa di
questo mondo dànno la gioia all’anima e al cuore, ma solo la
buona coscienza ha il segreto di procurarla» (Homil.
ad pop.).
7. SOAVITÀ
DELLA GIOIA CRISTIANA. – «Dove trovare cosa più dolce;
scriveva Tertulliano, che essere amato da Dio, conoscere Dio,
detestare l’errore, ottenere il perdono dei propri peccati? Qual
piacere più soave che disprezzare la voluttà e il
mondo, essere libero della libertà dei figli di Dio, avere una
coscienza monda, non temere la morte, calpestare le false divinità,
cacciare i demoni, vivere di Dio e per Iddio? Questi diletti, questi
spettacoli dei cristiani, sono santi, perpetui, gratuiti (De
Spectac., c. XXVIII)».
Le gioie cristiane sono prodotte dall’intima
unione del Verbo con l’anima. Ora dove trovare una felicità
uguale? In quest’unione casta, immacolata, vi è un
festino continuo, e sovente vi si mangia l’agnello pingue, dice S.
Lorenzo Giustiniani. Vi si gusta la pace interiore, la tranquillità
sicura, la felicità tranquilla, una grande dolcezza, una fede
calma, una società amabile, i baci dell’unità, le
delizie della contemplazione, la soavità nello Spirito Santo.
Là è la porta del cielo, l’ingresso al paradiso, dal
talamo nuziale la sposa scende bene spesso al cielo, e sovente lo
Sposo divino discende dal cielo verso la sposa. Ella vive senza
timore, senza inquietudine intorno alla sua salvezza; penetra nelle
sublimi dimore dello Sposo, come nella casa del suo diletto, nella
sua propria possessione; poiché per riscattarla, lo Sposo si è
venduto egli medesimo e a lei si è dato. Per redimerla ha
lottato con le tentazioni, ha combattuto contro gli spiriti malvagi,
e contro di loro combatte tuttora. Non da temeraria, ma da
confidente, ella entra negli appartamenti dello Sposo; poiché
se vi fu un tempo in cui era come straniera alla città santa,
al presente essa ne è divenuta la concittadina insieme coi
santi; è divenuta la sposa del Verbo e, per un privilegio
d’amore, tutto ciò che è dello sposo a lei appartiene.
Infatti il vero amore niente serba esclusivamente ad uso suo, ma dà
a larga mano e quello che ha e se stesso; ed in forza della medesima
legge, della medesima carità, che lo spinge a dare quello che
possiede, si serve egli anche di quello che hanno gli altri. E per
questa esuberanza di mutuo amore, vi corre tra l’anima e il Verbo una
perfetta famigliarità in parole, in confidenza, in sicurezza
della grazia e della gloria, senza distinzione di condizione (De
inter, Conflictu).
«La gioia dei
giusti è, dice il Crisostomo, una vera nuova creazione
dell’anima e del corpo, il presagio e il fiore dell’eterno
frutto. Perciò l’Apostolo esorta i fedeli a gioire del
continuo nel Signore» (Homil. ad pop.),
«La
tranquillità della coscienza, scrive S. Ambrogio, e la
sicurezza dell’innocenza formano la vita felice (Offic.)».
A ragione pertanto Clemente di Alessandria chiama la vita dei giusti
un giorno di continua santità, festa e letizia (Lib.
Stromat); poiché
qual cosa può temere dal secolo, dice S. Cipriano, chi ha nel
secolo per suo tutore Iddio? (Epistola ad
Martyr).
«Non vi è
gioia che uguagli la gioia del cuore, dice Rabano; nessuna gioia
terrena si può paragonare con la gioia della vera sapienza che
consiste nella verità, nella contemplazione della verità,
nella conoscenza di Dio» (De adep.
virtut.).
Nell’anima che gioisce nel Signore, si
verificano alla lettera e nel loro vero senso le parole del Signore:
«Io verserò su di voi la pace a guisa di un fiume, e la
gloria delle nazioni come un torrente; sarete portati tra le braccia,
e i popoli vi carezzeranno su le ginocchia come bimbi lattanti. Io vi
consolerò come la madre consola il bambino, e Voi ne gioirete.
Vedrete, e ne andrà in giubilo il vostro cuore, le vostre ossa
si rianimeranno come l’erba; i servi del Signore conosceranno il suo
braccio» (ISAI. LXVI, 12-14); quel braccio che avrebbe attirato
secondo la profezia di Osea, gli uomini con catene di amore (OSE. XI.
4).
Ecco come parla chi
poté confrontare questa gioia con quella del secolo: «Oh!
quanto mi fu dolore a un tratto essere privo delle gioie insipide e
leggere del mondo di modo che mi pareva una gioia indicibile il
perdere quello che poco prima parevami il colmo della sventura
perdere! Poiché tu le cacciavi da me, tu, o somma e vera
dolcezza; sì, tu le snidavi e in vece loro, entravi tu, più
soave di ogni piacere e di ogni gioia (Confess.,
1. VIII, c. XI) ».
La gioia cristiana è il
segno di una buona e pia volontà; è l’ornamento e il
fiore delle virtù. Per il possesso di Gesù Cristo la
gioia del cuore non ha misura, l’anima si rinnova e si sente
sopraffatta da una dolcezza ineffabile; ottiene l’intelligenza
spirituale, i lumi della fede l’aumento della speranza, il fuoco
della carità, l’affetto della compassione, lo zelo della
giustizia, il diletto delle virtù. L’anima in braccio alle
gioie spirituali ha nell’orazione famigliari colloqui con Dio, si
accorge che è ascoltata e sovente esaudita; parla con lui a
faccia a faccia ed ascolta quello ch’egli le dice, guadagna a sé
il suo Dio, gli fa dolce ma forte violenza, lo incatena con la sua
preghiera tutta spirante consolazioni e gioie celesti…
Beata e felice le mille volte
dunque l’anima fedele che corrisponde alle grazie di Gesù
Cristo! Essa trova e riceve fin da questa vita il centuplo di quello
che ha sacrificato per Cristo; è contenta, ricca e in pace; si
assicura con la buone opere il conseguimento dell’eterno gaudio degli
eletti nella celeste Gerusalemme, di maniera che passa dalla gioia
della grazia alla gioia della gloria, dal fiume delle delizie che
gusta in Dio quaggiù in terra all’oceano infinito dell’eterno
possesso di Dio…