1. L’adulazione è un errore ed una menzogna. — 2. Chi ci adula, si burla di noi. — 3. Pericoli e danni dell’adulazione e delle lodi. — 4. Bisogna fuggire e disprezzare l’adulazione e le lodi. — 5. Non bisogna mai lodare se stesso. — 6. Non bisogna gloriarsi che in Dio.
1. L’ADULAZIONE È UN ERRORE ED UNA MENZOGNA. — Cosa mendace è lodare, dice S. Bernardo (Epist. XVIII, ad Petr.), cosa vana è ringalluzzirsi delle lodi; ciarlatano è chi vien lodato e bugiardo chi loda. Altri adula e mentisce, altri è adulato e ingannato. Sì, gli adulatori sono ingannatori che, come dice il Salmista, mentre con la lingua vi benedicono, col cuore vi maledicono: — Ore suo benedicebant, et corde suo maledicebant (Psalm. LXI, 5); difatti vani sono i figlioli degli uomini, bugiardi i nati d’Adamo posti nelle bilance; onde tutti insieme ingannano più che la vanità” — Vani filli hominum, mendaces filii in stateris: ut decipiunt ipsi de vanitate in idipsum (Psalm. LXI, 9).
Appena che altri ci loda, scriveva Seneca (Epist. LIX), noi tosto ne siamo inebriati; se ci chiamano persone dabbene, prudenti, perfette, crediamo subito e ne godiamo; tutto ciò che l’adulazione spudorata versa sul nostro capo ci sembra cosa a noi dovuta; ci mostriamo dello stesso parere con i nostri adulatori, benché conosciamo che mentiscono continuamente.
Le adulazioni, le lodi non sono che fiato, e chi se ne pasce, si pasce di vento.
2. CHI CI ADULA, SI BURLA DI NOI. — A quel modo, dice S. Giovanni Crisostomo (Homil. XVII, in Epl. ad Rom.), che i ragazzi intrecciano per trastullo corone d’erba e posandosele a vicenda sul capo, si burlano di coloro che le cingono; così quelli che vi lodano e vi accarezzano, vi coronano d’erba e vi canzonano dietro le spalle. Allorché dunque noi diamo orecchi all’adulazione, c’incoroniamo a vicenda di fiori apparenti. E piacesse a Dio che fosse sempre non più che una corona di fiori simulati! ma il peggio si è, che quest’illusoria corona ci torna funesta, perché ci fa perdere tutto quel po’ di bene che ci troviamo avere. Calpestando pertanto il nulla dell’adulazione, io la fuggo; e quand’anche centinaia e migliaia di persone mi lodino, mi esaltino, io tengo le dicerie loro in quel conto che il cinguettio di garruli uccelli. Se considerate gli adulatori con gli occhi della fede, essi vi compariranno più vili dei vermi della terra, e le lodi loro più vane del fumo e dei sogni.
“L’uomo savio, soggiunge S. Cirillo, si sente straziare l’animo quando viene lodato in presenza, perché, come pudica fanciulla, la vera virtù non può, senz’arrossire, essere esposta agli sguardi altrui e come fulgida stella si eclissa e si nasconde al comparire del sole” (lib. II, Apol. moral., c. XXVIII).
3. PERICOLI E DANNI DELL’ADULAZIONE E DELLE LODI. — È Sentenza di Pitagora che bisogna far buon viso quando siamo biasimati, non mai quando siamo lodati. A suo giudizio i piaggiatori rappresentano i più detestabili e pericolosi nemici. (Ant. in Meliss. p. I, e. LII).
Cratete diceva che quelli i quali vivono in mezzo agli adulatori, diventano traditori dei loro doveri, e sono come vitelli tra un branco di lupi (id. ivi).
Bione, a quel tale che gli domandava quale fosse l’animale più nocivo, rispose che, tra i feroci, è il tiranno; tra i domestici, è l’adulatore (id. ivi).
Diogene chiama l’adulazione un laccio di miele, che strangola l’uomo circondandolo carezzevolmente (id. ivi).
L’imperatore Costantino aborriva gli adulatori a segno, che chiamavali ladri e tignuole del suo palazzo (Storia ecclesiast.).
Si narra dell’imperatore Sigismondo, che avendo dato uno schiaffo ad un adulatore, questi gli disse: — Perché mi percuotete, o Imperatore? — e l’Imperatore a lui: — Perché mi mordi, o adulatore? (Nella sua Vita). E con ragione chiamò morsi le lodi dei lusingatori, perché già aveva notato il Salmista che i discorsi di questa razza di gente scorrono dolci come il miele, blandi come l’olio, e intanto feriscono come saette: — Molliti sunt sermones eius super oleum, et ipsi sunt iacula (Psalm. LIV, 22).
“Che cosa è l’adulazione, lasciò scritto S. Cirillo (Apol. moral.), se non una melodia da sirene, un canto insidioso, un suono ingannatore, e la voce mentitrice della iena? Mentre infatti accarezza l’orecchio con soave armonia, spegno la luce della ragione, corrompe la bellezza della virtù col suo fiato pestifero e con dente vorace distrugge quanto vi è nell’anima di fiorito e di rigoglioso. L’adulazione suona dolce, penetra soavemente, ma colpisce di morte e guasta senza rimedio tutto ciò che tocca, e non risparmia i beni inferiori, ma anzi in peggior modo li distrugge: quando piace, nuoce”.
Troviamo nella Scrittura che mentre Tobia dormiva gli cadde dal nido d’una rondine sterco caldo su gli occhi, ed egli ne restò cieco (tob. II, 11). Non sono forse quelle rondini una figura degli adulatori che con le continue lodi gonfiano il prossimo con parole mielate, spandendo l’olio intossicato dell’adulazione sul capo e su gli occhi di chi fa loro buon viso ne offuscano la vista interiore, lo accecano e gli danno il capogiro?
“L’adulatore che ha già perduto l’anima sua, cerca anche di perdere la vostra, dice S. Bernardo (Epl. II, ad Falcon.). Le sue parole sono iniquità e inganno; il suo linguaggio è carezzevole, ma artificioso e insinuante. Piange, e nel suo pianto v’è tranello; tu disprezza quelle lusinghe, calpesta quelle promesse. Gradita, ma pericolosa è la lode che dice al peccatore quello che a lui va a genio. È olio e latte soavissimo sì, ma mortalmente venefico. Il discorso dell’adulatore è più blando che olio, ma acuto più che saette”.
A questo proposito S. Agostino nota che vi sono nel mondo due sorta di persecutori: quelli cioè che calunniano o ammazzano, e quelli che adulano; ma è più a temere la lingua dell’adulatore, che non la mano del carnefice o la parola del calunniatore (In Psalm. LXIX).
Plinio paragona l’adulatore alla iena, e come questa, egli scrive, imitando la voce umana invita e poi sbrana l’incauto che se le avvicina, così i piaggiatori non cessano dal lodare, finché non abbiano tirato con sé alla rovina gli adulati. L’adulazione è, per gl’insensati che vi prestano udito, quello che è l’olio per le mosche, le formiche, e per quasi tutti gl’insetti: essi nell’olio trovano la morte, e quelli che delle lodi si compiacciono, nelle lodi medesime incontrano la loro ruina. Il veleno dell’adulazione è mortifero principalmente agli spiriti deboli, leggeri e troppo pieghevoli.
Ordinariamente gli adulatori svergognano coloro che lodano; con una mano gettano fiori, coll’altro fango: l’adulatore infatti suppone che la persona ch’egli va adulando è vana, desiderosa di vanagloria e delle lodi umane; perciò lascia capire che egli la tiene per uno spirito abbietto, un’anima vile, e degna di disprezzo… “Non compiacciamoci dunque, conchiude S. Basilio, per lodi le quali fanno traviare dal sentiero della verità quelli che le danno” (Ant. in Meliss. p. I, c. 51).
Le adulazioni e gli onori portano alla vetta dell’orgoglio, dice S. Gregorio Nazianzeno (Ant. in Meliss. p. I, e. 51).
Il cane è il nemico della lepre, e l’adulatore nemico dell’uomo, sentenzia Plutarco; e quindi detestateli come seduttori, egli ci grida: fuggiteli, abbominateli come i vostri più crudeli avversari (Ant. in Meliss.).
Ciò posto, si capisce il senso di quelle parole di S. Ignazio : “Coloro che mi lodano, mi flagellano” — Laudantes me flagellant (Apud Maxim. serm. XLIII); e di quelle altre di Gesù Cristo: “Guai a voi quando gli uomini vi benediranno : perché così facevano coi falsi profeti i padri di costoro” — Vae cum benedixerint vobis homines: secundum haec enirn faciebant pseudoprophetis patres eorum
(Luc. VI, 26).
“Le vostre lodi, predicava S. Agostino ai suoi uditori, ci sono di peso e di pericolo; le tolleriamo, ma ne tremiamo” (Serm. V, In Matth.). E quanto pericolo in esse s’incontri, lo riconosce anche Seneca in quelle parole: “La lode rende sfrenata la licenza; l’adulazione fa insuperbire la mente” (De Ira, lib. II). E questo pensiero faceva dire a S. Agostino: “Chi da voi biasimato, o Signore, cerca un compenso nelle lodi degli uomini, non troverà in loro un difensore al vostro giudizio, ed essi non ve lo strapperanno di mano, quando lo precipiterete nell’Inferno” (Confess., lib. X, s. XXXVI).
“L’uomo che tiene un linguaggio finto e di adulazione col suo amico, tende una rete ai suoi piedi” sta scritto nei Proverbi — Homo qui blandis fictisque sermonibus loquitur amico suo, rete expandit gressibus eius (Prov. XXIX, 5) : perché lo spinge alla superbia, lo inclina a guardare i vizi come inezie, se non anche a tenerli in conto di virtù, l’attrae, colle sue scuse e lodi, a trascurare la virtù senza timore. Questo fu anche confessato da Plutarco, che lasciò detto: “L’adulatore attira e stringe in un laccio colui che egli seduce, e lo lascia crivellato di ferite” (Tract. De
differ. adulatoris et amici). Quindi Diogene (Orat. III de Regno) avvertiva che si dovesse riguardare l’adulazione come il più obbrobrioso dei vizi, perché corrompe quanto v’ha di più onesto e santo nella vita; ed il delitto dei piaggiatori è da lui messo al pari con quello dei falsi monetari.
4. BISOGNA FUGGIRE E DISPREZZARE L’ADULAZIONE E LE LODI. — “Noi parliamo, scriveva il grande Apostolo ai Tessalonicesi, non come per piacere agli uomini, ma a Dio che esamina i nostri cuori. Perciò il nostro linguaggio non fu giammai di adulazione come sapete: Dio ne è testimonio. Né cercammo gloria dagli uomini, né da voi, né da altri” [I Thess. II, 4-6). Ed ai Galati: “E di Dio o degli uomini ch’io cerco l’approvazione? Cerco io forse di piacere agli uomini? Se tuttora piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Galat. I, 10).
E questo consiglio di fuggire gli adulatori lo dava anche il Savio, sia là, dove dice : “Figlio mio, se i peccatori ti vorranno allettare con lusinghe, non lasciarti ingannare da loro” — Fili mi, si te ìactaverint peccatores, ne acquiescas eis (Prov. 1, 10); sia quando ci avverte che la virtù dell’uomo è messa alla prova dalle lodi degli uomini, come l’oro e l’argento dal fuoco — Quomodo probatur in conflatorio argentum et in fornace aurum: sic probatur homo ore laudantis (Ib. XXVII, 21). Sì, a quel modo che il fuoco purga dalla scoria l’oro e l’argento, così la lode scopre la virtù o il vizio, la sincerità o la vanità dell’uomo. S’egli è veramente buono e virtuoso, disprezza e schiva l’adulazione. Gli umili respingono la lode, i vani e i superbi se ne gonfiano e insolentiscono. La sola virtù adunque e il vero merito consistono nel disprezzare la lode, come la vera gloria sta nello sprezzare la gloria…
“Il cuore sinceramente umile, dice S. Gregorio (Moral, lib. XXII, c. 5), o non riconosce il bene che ode dire di sé, o teme che si dica il falso; o se veramente riconosce di avere quei meriti, teme, appunto per questo, di rendersi indegno di mercede da Dio. Ed a ragione egli teme, perché considera che, dove non sieno vere le lodi tributategli, dovrà forse sostenerne più duro giudizio da Dio; e, quando sieno vere, è posto in pericolo di perdere il premio”.
S. Giovanni Crisostomo insegna che il disprezzo delle lodi e della gloria umana ci rende simili a Dio: infatti, come Dio non ha punto bisogno delle lodi e della gloria degli uomini, essendo Egli esistito prima della creazione del mondo, mentre quelle non erano, ed esistendo nell’eternità dove quelle più non saranno, tale ancora appare colui che non si cura della gloria e della lode umana; e da ciò conchiude: “Quando ti sembra troppo duro il calpestare le lodi e la gloria umana, devi dire a te stesso: Se disprezzi queste cose, diventi simile a Dio e riuscirai tosto a vincere la vanagloria” (Homil. in Epl. ad Titum).
A questo proposito fa l’esempio di S. Ignazio di Loyola, il quale era solito dire: “Se voglio essere atto alle cose di Dio, devo temere e schivare con ogni cura quelli che temerariamente m’adulano” (In eius Vita). E S. Macario sentenzia, che chi considera il disprezzo come un soggetto di merito, la povertà come vera ricchezza, non morrà, ma vivrà in eterno (Vite dei Padri, lib. VII, c. 38).
5. NON BISOGNA MAI LODARE SE STESSO. — Vanitosi sono quelli che si lodano, scrive S. Bernardo (Epl. ad Fulcon.); ed il Savio ci da’ per regola di renderci meritevoli che altri ci lodi, ma che ci guardiamo bene dal lodarci noi medesimi — Laudet te alienus et non os tuum (Prov. XXVII, 2), perché sarebbe questa una vanità e una vanteria da sciocco…
“Pazzia stragrande, dice il Crisostomo, è lodar se stesso non ispintovi da necessità ineluttabile” (Homil. V, de Laudib. Pauli). Ed è per questo che S. Paolo dopo di aver parlato di sé stesso ai Corinzi, aggiunge: “Io mi sono dimostrato insensato, nel parlarvi così, ma voi mi avete costretto ” – Factus sum insipiens, vos me coegistis (II Cor. XII, 11).
“E’ cosa veramente stomachevole, dice Temistio, l’udire chi fa il suo elogio” (Apud Stobacum).
Davvero che il lodare se stesso è cosa sconveniente e da stolto, perché si lodano le proprie azioni solo per orgoglio e per desiderio di lode e per questo appunto non si merita che disprezzo. Chi si loda e si vanta, condanna e disonora sé stesso, perché la sua lode ingenera in lui il vizio. Inoltre è anche cosa vergognosa perché un tale testimonio non è degno di fede, ed è tenuto in conto di falso e mentitore. E in verità: perché lodarsi? se uno è sconosciuto, è inutile lodarsi; se non lo è, gli conviene non dimenticare che la vera virtù ama nascondersi…
6. NON BISOGNA GLORIARSI CHE IN DIO. — Si può essere lodati nelle cose buone, dice S. Gregorio (Apud Ant. in. Meliss. p. I, c. 41), perché la lode stimola l’emulazione; l’emulazione la virtù; la virtù procura il benessere. La lode provocata dalle buone opere, soggiunge il Crisostomo (id. ibid.) inspira la voglia di farne ancora delle migliori; ma conviene riferire tutto a Dio, secondo l’espressione di S. Paolo: “Chi si gloria, si glorii nel Signore” — Qui gloriatur, in Domino glorietur (I Cor. I, 31).
Quando i Santi sono lodati diventano più Santi, sia aumentando le loro virtù, per rendersi più degni delle lodi, sia abbassandosi sempre più per l’umiltà ed elevandosi tanto più verso Dio, mediante continui e grandi ringraziamenti. Essi infatti non dimenticano che di per sé soli, data la loro corrotta natura, altro non hanno di proprio che la concupiscenza ed il peccato; ed esclamano col Profeta: “Non a noi, o Signore, ma al nome tuo dà gloria: per la tua misericordia e la tua verità” — Non nobis, Domine, non nobis, sed Nomini tuo da gloriam: super misericordia tua et veritate tua (Psalm. CXIII, 9-10); e con S. Ignazio di Loiola: “Tutto a maggior gloria di Dio” — Ad maiorem Dei gloriam (In Vita).
Non proibisco la gloria, predicava il Crisostomo (Homil. II, in Ept. ad Tit.}, però stimo quella che non ci viene dagli uomini, ma bensì da Dio, che è la sola vera. Cerchiamo unicamente di essere lodati da Dio; allora noi disprezzeremo tutto ciò che è umano. Che l’uomo vi lodi o no, nulla importa a vostro danno; se poi vi biasima, non vi fa nessun danno. Si deve stimare soltanto la lode che proviene da Dio, come solo da temersi è il biasimo che infligge Dio.
NOTE in latino omesse