…I PECCATI CONTRO LA RELIGIONE IN GENERE. Culto falso. Culto superfluo. SUPERSTIZIONE. Idolatria. Divinazione. Oniromanzia. Astrologia. Sortilegio. Vana osservanza. Magia. Il maleficio. Metapsichica (investigazione)….
Trattato di Teologia morale
PARTE I.
L’UOMO DI FRONTE A DIO
IV. LA RELIGIONE
(terza parte)
3. I PECCATI CONTRO LA RELIGIONE
I. I PECCATI CONTRO LA RELIGIONE IN GENERE.
La virtù della religione, nella sua esteriorizzazione, è soggetta agli sbandamenti e ai difetti cui vanno soggette tutte le manifestazioni dell’uomo.
Fedele alla sua teoria che la virtù sta nell’uso del mezzo giusto, S. Tommaso distingue gli atti che si oppongono per eccesso e quelli per difetto: i primi sono compresi nella superstizione (superstitio), i secondi nella irreligiosità.
Le mancanze per difetto sono ben comprensibili: tentazione di Dio, bestemmia, spergiuro, sacrilegio e simonia.
II. SUPERSTIZIONE (280).
Può sembrare invece strano, ad un osservatore superficiale, che si possa mancare per eccesso alla virtù della religione! Dio non è nostro Padrone nel senso più assoluto della parola? Si può dare a Dio più di quello che Gli è dovuto? In questo senso certamente la religione non può avere nessun eccesso, perché l’uomo darà a Dio solo quello che già è di Dio, e la distanza è tanto enorme, che non si potrà mai colmare. Ma si può mancare per eccesso alla virtù della religione (secundum quantitatem proportionis, come dice S. Tommaso) (281) in due maniere:
a) mescolando agli atti di culto delle circostanze riprovevoli o vane, chiaramente contrarie al debito culto che dobbiamo a Dio. L’est modus in rebus degli antichi vale anche per gli atti di religione e tutto ciò che è degenerazione del nostro equilibrio umano, è condannabile nel culto di Dio e lo rende deforme;
b) il culto non è tributato a Dio, ma direttamente o indirettamente a creature, per quanto siano esse eccelse. Ambedue queste forme vanno sotto il nome generico di superstizione, culto vizioso (282).
1. Sotto la prima specie, cioè quanto al modo, si hanno due generi particolari di mancanze: culto falso e culto superfluo.
a) Culto falso.
E’ il culto per cui si onora il vero Dio, ma in modo proibito da Dio stesso o dalle leggi della Chiesa o dalla stessa legge naturale. Mancherebbe in questo senso chi, per es., volesse mantenere ancora in vigore l’antico rito giudaico, abrogato con la venuta di Cristo; un laico che si arrogasse il diritto di compiere uffici sacerdotali o colui che, anche con intendimento buono, inventasse falsi miracoli per attirare l’attenzione su di sé, o anche per attirare il popolo al culto di Dio. La ragione è che con queste falsità si adultera il vero culto.
b) Culto superfluo.
È quello il quale, benché non tocchi la gravità del culto falso, tuttavia aggiunge al sano e dovuto culto divino circostanze inutili, stolte o sconvenienti che sono senz’altro fuori delle consuetudini della Chiesa e molte volte vanno anche contro quel buon senso e quella serietà che si richiedono nelle relazioni fra l’uomo e il suo Dio, e sono quasi sempre frutto di squilibrio intellettuale o di inutili morbosità. La gravità di queste mancanze non è così esiziale come le precedenti, sia per la parvità di materia, sia perché, nella maggior parte dei casi, la semplicità o l’ignoranza di chi le commette tolgono buona parte della malizia della vera superstizione. Sotto questa specie cadono le varie stolte devozioni popolari non fondate su ragioni dogmatiche, come la recita di certe formule in certo numero e in determinate ore del giorno (preghiere a catena ecc.), il volere ascoltare la S. Messa solo da un sacerdote che abbia un determinato nome o abbia la statura di Gesù ecc. (283).
2. Le superstizioni invece che vanno sotto la seconda specie (la deviazione si ha ratione rei quae colitur), sono: l’idolatria, che consiste nel tributare culto divino a creature o a un falso Dio; la divinazione a cui può ridursi lo spiritismo e la vana osservanza, comprendendo sotto quest’ultima la magia e il maleficio. Questi ultimi eccessi si propongono il contatto col mondo preternaturale, indipendentemente da quelle che sono le relazioni legittime stabilite da Dio.
Presuppongono un patto col demonio e attribuiscono a lui delle perfezioni di Dio; si distinguono in quanto la divinazione (e potremmo dire anche lo spiritismo) ha per solo fine di conoscere cose occulte, mentre la vana osservanza (e quindi magia e maleficio) è ordinata ad effetti esterni, ad atti materiali.
a) Idolatria (284). L’idolatria (e¹idô´lôn latreía [eidolon latreia] = culto degli idoli) rende alle creature il culto dovuto a Dio (latria), sia dirigendolo all’immagine di una falsa divinità (idolo), presa per la divinità stessa (idolatria volgare), sia all’idolo creduto come manifestazione o materializzazione o abitazione della divinità, sia a qualunque altra creatura (sole, luna, imperatore ecc.). Si distingue la idolatria formale, quella cioè congiunta alla sincera volontà di rendere culto latreutico alla creatura, e la idolatria materiale o finta, che simula esternamente il culto di latria, senza però procedere dalla volontà di adorare la creatura (p. es. per paura della morte). La idolatria formale è perfetta quando si crede veramente nella divinità della creatura, è imperfetta quando non parte da una tale falsa supposizione, ma da un altro motivo, p. es. odio a Dio o volontà di ottenere qualche cosa dal demonio. Essendo la natura del demonio e le sue facoltà superiori all’umana natura e circondate di un certo mistero, il demonio può facilmente diventare oggetto di simile culto.
La S. Scrittura sia del Vecchio che del Nuovo Testamento parla con estrema severità di questo peccato, che reputa inoltre una aberrazione intellettuale (285). E davvero l’idolatria costituisce il reato di lesa maestà divina, tributando l’onore dovuto a Dio solo alla creatura. È però evidente che l’idolatria materiale, che manca dell’elemento interiore e per ciò di significato reale, è meno grave della formale, che realmente onora la creatura come dio. Però, dato che negli atti di culto pubblico il significato dell’atto dipende anche dalla estimazione comune e dall’uso, la idolatria materiale, oltre essere peccato di scandalo e costituire una grave mancanza al dovere di confessare esternamente la fede, costituisce pure un vero reato contro la virtù della religione. Oggettivamente la idolatria formale perfetta è più grave di quella imperfetta, perché all’idolatria aggiunge l’incredulità, e introduce un altro dio accanto al vero Dio. Ma quanto alla responsabilità soggettiva è più grave l’imperfetta, che è, senza alcuna attenuante, peccato di pura cattiva volontà, mentre la perfetta ha l’attenuante dell’ignoranza, e la materiale quella della paura.
b) Divinazione (286).
La divinazione è, come si è detto, l’arte di conoscere e annunziare il futuro contingente o le cose nascoste mediante comunicazione con forze occulte. È un atto di indole religiosa. Perciò, dove non entra l’elemento religioso, non c’è divinazione; così quando si procede per via di deduzione scientifica, o per via di congettura, o per mezzo di abilità psicologica, o comunque quando per la procedura adoperata si ammette una spiegazione naturale (chiaroveggenza, rabdomanzia, telepatia e anche chiromanzia, intesa come studio, in base ai segni della mano, degli aspetti caratterologici e tendenziali dell’individuo). Questa spiegazione però deve avere un fondamento ragionevole, che varia secondo i rispettivi stati di cultura e di civiltà, e non un fondamento frivolo e ridicolo, quale spesso viene addotto dai fautori dello spiritismo e di altre così dette scienze occulte.
La comunicazione con le forze occulte può essere esplicita o espressa e implicita o tacita. È esplicita quando esse vengono chiamate in aiuto, sia evocandole, sia implorando che si manifestino per mezzo di segni. Nel primo caso si cerca di ottenere l’evocazione dei morti (necromanzia) o altre apparizioni, ovvero si pretende che le forze occulte invadano la persona invocante o un’altra persona che ha speciali disposizioni al riguardo, il medium (pitonismo, medianità, spiritismo: divinazione personale o diretta). Nel secondo caso (divinazione reale o indiretta) si può avere una divinazione naturale o una divinazione artificiale, la prima procede da segni casuali, la seconda da segni cercati o procurati dall’osservatore. Come specie di divinazione naturale elenchiamo: l’astrologia, la chiromanzia, la oniromanzia, intese come mezzi di predizione del futuro; come specie di divinazione artificiale, per es. quella che adopera le sorti, le carte, i ” giudizi di Dio ” ovvero ordalie, ecc.
La comunicazione colle forze occulte è tacita o implicita, se i mezzi per conoscere il futuro o le cose nascoste sono di indole tale da richiedere o favorire il loro intervento, anche se non vengono espressamente invocate.
Numerosissime sono le forme di divinazione inventate dall’ingegno umano, ma non sono rimaste sempre le stesse, o meglio se ne sono aggiunte sempre di nuove alle già logore, ma non morte forme di ieri (287).
La divinazione sia con espressa sia con tacita invocazione delle forze occulte è oggettivamente peccato grave.
Infatti, essendo escluso che Dio o le forze spirituali a Lui obbedienti possano cooperare ai metodi frivoli e agli scopi spesso insani della divinazione, ed essendo altresì impossibile che essi siano sottoposti a qualunque forza evocatrice umana, non rimane che l’identità delle forze occulte con le forze infernali. Perciò la loro invocazione, tacita o espressa che sia, è sempre una provocazione all’aiuto e alla collaborazione di satana, nemico dichiarato di Dio e degli uomini.
È ora una grave ingiuria verso Dio attribuire al diavolo la conoscenza certa del futuro contingente, che, come dipendente dalla libera volontà, è noto a Dio solo.
In ogni caso l’uomo con quest’arte si espone a pericoli gravissimi nell’ordine spirituale.
In quei casi, dove non è chiaro l’intervento demoniaco per la frivolezza delle operazioni, l’uomo sempre si espone al pericolo di essere tratto in inganno riguardo alla sua eterna salvezza ed alla fede da colui che è “il padre della menzogna dall’inizio”.
Lo stesso vale per le consultazioni seriamente fatte, perché costituiscono il reato di cooperazione formale ai peccati sopra esposti.
Dopo ciò s’intendono le gravissime proibizioni della S. Scrittura (288).
Si avverta però che non e peccato quando indovino e consultante agiscono per scherzo manifesto, senza attribuire alcun valore religioso, ai loro atti. Anche l’indovino, che agisce unicamente per frode, non commette peccato contro la religione; commette però peccato grave di scandalo e di ingiustizia. Spesse volte i consultanti commettono solo peccato veniale perché agiscono per semplicità o ignoranza.
Scendendo un po’ al dettaglio, ecco alcune esemplificazioni ed applicazioni di principi:
1) Oniromanzia. I sogni sono prodotti, da cause naturali, ma è certo, e ne testimonia la S. Scrittura, che alle volte Dio si serve dei sogni per comunicare qualcosa agli uomini (289). Ma siccome anche il demonio ha potere sulla fantasia degli uomini, non si può negare che possa causare dei sogni. Bisogna essere molto prudenti prima di affermare che un sogno viene da Dio: deve trattarsi di una cosa degna di Lui, onesta, che spinga al bene e che lasci l’anima tranquilla. Affidarsi troppo ai sogni, quando c’è dubbio che non vengano da Dio, è peccato grave (290). Fare od omettere qualche volta delle azioni per timore di un sogno non eccede il veniale, purché non ci sia la cieca fiducia nel sogno fatto. Gravissimo è il peccato di colui che desidera comunicare col demonio attraverso i sogni.
2) Astrologia. Se si tratta di astrologia naturale che si fonda su cause conosciute e predice, per congettura, o per calcolo, eventi futuri, è cosa lecita. Se invece la astrologia pretende di divinizzare con certezza assoluta su avvenimenti futuri contingenti, cioè dipendenti dalla libera volontà umana, allora è peccaminosa.
3) Sortilegio. Bisogna distinguere: se si tratta (sortes divisoriae), col sortilegio, di por termine ad una lite, è lecito, perché è come un contratto al quale si sottopongono ambedue le parti. Quando, invece, col sortilegio (sortes consultoriae) si indaga se una cosa si debba fare o no, si ha il peccato di superstizione se si aspetta il responso dal demonio; se si aspetta esplicitamente da Dio la decisione, si ha il peccato di tentazione di Dio, a meno che non ci sia, nel caso, l’ispirazione divina, di cui si hanno esempi nella Scrittura (291).
Della moderna rabdomanzia e radiestesia si dirà in seguito.
c) Vana osservanza (292).
Vana osservanza è il tentativo di ottenere qualche effetto con l’impiego di mezzi che né per natura loro, né per istituzione ecclesiastica o divina sono a ciò adatti. È meglio detta osservanza vana, quando senza espressa invocazione del demonio si vuole ottenere con mezzi sciocchi (amuleti, corni, ferri di cavallo) una scienza, la salute fisica, la difesa da disgrazie, e la cognizione di eventi futuri per coordinarvi la propria condotta.
Così definita, la vana osservanza abbraccia pratiche varie, la cui sistematica catalogazione interessa piuttosto il folklore e la storia delle religioni che non la morale.
La vana osservanza diviene stregoneria quando s’invoca il demonio o per operare effetti mirabolanti (magia) o per nuocere con il suo intervento (maleficio).
La stregoneria, come si dirà appresso, è sempre peccato grave, perché c’è l’invocazione del demonio. Ma anche la vana osservanza di per sé lede gravemente la virtù della religione, ma spesse volte l’ignoranza, il timore sconsiderato, una sciocca speranza scusano da colpa grave.
La colpa qui sta nell’attribuire alle creature ciò che loro non spetta e nell’attendere da esse ciò che solo da Dio si deve aspettare, regolando la propria vita su vani segni. In questo appunto sta la malizia di tutte le forme di superstizione, quando non vi sia la malizia maggiore di ricorso esplicito o implicito all’opera del demonio.
Non è da confondersi colla vana osservanza l’uso legittimo di medaglie, acqua santa e pii esercizi, di determinato numero di giorni (novene) ecc. Qui non si tratta di attribuire a quegli oggetti una efficacia che non hanno, o della volontà di cattivare il divino per mezzo di alcuni procedimenti tecnici, ma della confidenza nelle preghiere della Chiesa, sposa di Cristo, che ha benedetto questi oggetti, della speranza nella protezione del Santo, il quale viene simbolicamente invocato colla osservanza di usanze venerande della Chiesa, a nessuna delle quali però si attribuisce una efficacia sicura, oltre quella che conviene alla preghiera secondo le disposizioni dell’orante e la convenienza delle cose domandate in relazione colla salvezza eterna. Non è da escludersi però che qualche volta, presso gente poco istruita e poco praticante, queste specie di devozione degenerino in osservanza superstiziosa.
d) Magia (283).
Il nome deriva dai Magi che erano una delle sei tribù del popolo dei Medi (294), i cui membri forse appartenevano alla classe sacerdotale ed osteggiarono Zoroastro nella sua opera di riforma dell’antica religione del paese.
In genere può dirsi l’arte di dominare le forze della natura e della vita con poteri, almeno apparentemente, superiori all’uomo oppure l’arte di conseguire effetti che sono o che appaiono superiori alle loro cause naturali, e perciò sono o sembrano misteriosi.
Non si tratta dunque come nella divinazione della conoscenza di cose occulte, ma nella produzione di cose insolite. Se questi effetti insoliti tendono a danneggiare il prossimo, più propriamente prendono il nome di maleficio.
La magia si dice bianca, quando è tutta fondata sull’abilità del prestigiatore e sulla illusione o ignoranza di chi osserva e non si accorge della proporzione tra causa ed effetto. Si dice nera o diabolica o semplicemente stregoneria, quando un potere occulto permette al mago di ottenere effetti superiori alla efficienza dei mezzi realmente adoperati. Questo potere occulto gli proviene o si presume provenirgli non da Dio, ma dal demonio.
È in questa comunicazione vera o presunta con il demonio l’elemento peccaminoso della magia nera (la vera magia di cui qui parliamo), mentre nulla per sé può moralmente rimproverarsi alla magia bianca.
Che il diavolo operi nel mondo è certo (295), ma può l’uomo invocarlo e renderselo soggetto per compiere delle opere? La Scrittura riporta fatti che indiscutibilmente non si possono qualificare di magia, ma certo la toccano molto da vicino.
Consideriamo due fatti del Vecchio Testamento:
a) i maghi del re Faraone che gareggiano in abilità con Mosè ed Aronne (295);
b) un vero racconto di negromanzia che abbiamo nel secondo Libro dei re (297). Saul si reca dalla pitonessa di Endor per consultare il morto Samuele. Se fosse stato proprio il demonio a prendere le sembianze di Samuele, avremmo un caso autentico di magia, ma ci possono essere altre spiegazioni (298). La predizione si avvera in pieno, per cui ci può essere stata la mano miracolosa di Dio, ma non è da escludere l’intervento diabolico. Anche il diavolo, sul futuro contingente che è in mano di Dio, lavora di congetture; ma essendo più intelligente di noi e avendo più elementi di indagine, le sue congetture sono più vicine al reale, benché la differenza sia solo di grado dalle nostre, non di specie.
Nel Nuovo Testamento, non si hanno fatti di vera magia, tolta la citazione dei nomi di due grandi maghi: Simone di Samaria e Barjesu di Pafo. Contro il primo, l’apostolo Pietro avrebbe esperito il primo esorcismo (299).
S. Paolo enumera le opere di magia tra le opere della carne (300).
Più numerose sono le testimonianze dei Padri. La letteratura patristica che tratta del demonio è veramente abbondante: caduta dei primi angeli, lotta dei demoni contro Dio, conseguente tentativo di deturpare l’uomo, la più bella creatura dell’amore di Dio, potenza dei demoni sul mondo esterno, specialmente sulla parte che ha più di tenebroso e misterioso, e anche sul corpo dell’uomo, fino alla ossessione e al possesso, sono tutti temi molto trattati e sviluppati negli scritti dei Padri.
Riguardo alla magia in particolare, esiste presso i Padri un pensiero tradizionale; parlano tutti contro la magia, ma non negano la sua esistenza (301).
S. Giustino, nel dialogo con Trifone, afferma che il demonio ha ingannato gli uomini per mezzo dei maghi d’Egitto e dei falsi profeti al tempo d’Elia (302).
Per parecchi Apologisti, i demoni hanno sempre abitato gli idoli dei pagani, e fondano questa asserzione sul versetto: tutti gli dèi di popoli sono idoli vani (303). Tertulliano non dubita di dire che i maghi operano con la potenza dei demoni dell’inferno (304) (per quos et mensae divinare consueverunt(305).Ed Origene “I maghi che hanno commercio cogli spiriti e che li evocano secondo le regole dell’arte magica, per assoggettarli al loro volere, si vedono esauditi se il nome o la potenza di Dio, o una forza superiore ai demoni non vi porrà ostacolo” (306). S. Cipriano dice che i demoni si nascondono nelle statue degli dei, animano le interiora delle vittime, ispirano gli indovini, guidano il volo degli uccelli (307). E S. Agostino: “Se vogliamo negare questi prodigi ci mettiamo contro la verità delle sacre Scritture, alle quali invece noi crediamo ” (308). ” … Il demonio è attratto non come un animale dal cibo, ma come un intelligente da un segno”(309).
L’esperienza, poi, testimonia il grande sviluppo della superstizione presso tutti i popoli e in tutti i tempi, di modo che l’esistenza di una magia vera (nera), in mezzo a tutto questo marasma di piccole e grandi superstizioni è proprio difficile negarla completamente. La Chiesa, lungo il corso dei secoli, è insorta più e più volte a condannare questo commercio demoniaco e spesso anche le apparenze di questa misteriosa e perfida arte, specialmente quando era usata a danno del prossimo col maleficio.
Già nel Decreto di Graziano, il canon episcopi, attribuito erroneamente al Concilio di Ancira, prende decisamente posizione contro la magia (310).
Numerosissimi sono i documenti pontifici che testimoniano, non solo come la Chiesa non è per nulla responsabile del diffondersi della magia, ma come si sia opposta sempre all’invasione di queste pratiche riprovevoli.
Meritatamente famosa è la bolla di Innocenzo VIII: Summis desiderantes affectibus, del 5 dicembre 1484, nella quale il Pontefice ammette i fenomeni di magia fino al commercio amoroso col demonio. Non contiene definizioni dottrinali, ma espone solo dei fatti e stabilisce delle pene (iuxta earum [personarum] demerita, corrigere, incarcerare, punire et mulctare) (311)
Leone X ha due bolle contro la magia: Supernae, del 5 maggio 1514 (312), ed un’altra del 14 febbraio 1521 (313). Assai severa è la bolla: Coeli et terrae di Sisto V, del 5 maggio 1586 (314). Alzarono ancora la voce Gregorio XV con la Omnipotentis Dei del 20 marzo 1623 (315) e Urbano VIII col documento Inscrutabilis del 1° marzo 1631 (316).
Anche i Concili particolari spesso si occuparono delle pratiche dei maghi e sancirono pene, alle volte severissime. Così il Concilio di Elvira del 305 (317); il Concilio di Paderborn del 785 e di Praga del 1346 (318).
Nel sec. IX sono da segnalarsi gli scritti contro la magia del vescovo Agobardo di Lione (319) e di Burcardo di Worms (320).
Nel sec. XV la storia segnala una specie di epidemia di superstizione, che acquista proporzioni colossali con la Riforma. Ed è logico. Il protestantesimo pessimista non fece che accentuare il potere del demonio sul mondo.
Invase tutti i campi, questa mania delle scienze occulte, e fino al sec. XVII la realtà della magia è ammessa senza difficoltà da teologi e giuristi (321). Il Suarez giunge a dire che non si possono negare questi fenomeni senza errare nella fede, come del resto aveva detto S. Agostino (322). I teologi moderni parlano più prudentemente. L. Gardette e Vermeersch, ad es., dicono che né fede, né esperienza si impongono una soluzione inoppugnabile: c’è molta probabilità.
Il ricorso al demonio nella magia, come nella divinazione può essere duplice: a) esplicito, e si ha quando uno, scientemente e liberamente invoca a voce il demonio, perché intervenga in qualche opera col suo potere, o fa il patto che, posti tali segni, il diavolo produca tale effetto;
b) implicito, quando il peccatore non chiama direttamente il demonio, ma pone dei mezzi inadatti, e, conoscendo l’inefficacia della causa posta, guarda oltre detta causa e aspetta con fermezza l’effetto.
Ambedue questi casi sono peccati di superstizione.
Ricordiamo anzitutto che nel ricorso diretto c’è sempre pericolo grave di idolatria e di perversione.
Particolarmente col ricorso esplicito:
a) l’uomo entra in società col più grande nemico di Dio e dell’uomo stesso;
b) c’è sempre pericolo che il demonio fornisca una notizia falsa o nociva allo stesso richiedente;
c) si perverte l’ordine stabilito da Dio, il quale non diede potestà all’uomo di servirsi del potere dei demoni a suo capriccio (323);
d) l’invocazione diretta raramente avviene senza qualche segno di onore al diavolo, il che costituisce una grave ingiuria a Dio. Riguardo alla cosa chiesta, nel ricorso diretto c’è sempre peccato grave, sia che la cosa sorpassi il potere del demonio, p. es. risuscitare un morto, sia che si domandi cosa che rientra nel suo potere. Nel primo caso si ha evidentemente l’attribuzione al demonio di un potere che è esclusivo di Dio, nell’altro il demonio viene sempre ad usurpare qualcosa dell’eccellenza divina e dell’onore dovuto a Dio, e si ha la negazione implicita della Divina Provvidenza.
L’implicita invocazione del demonio per sé costituisce grave peccato di superstizione, perché si ha un commercio col demonio, che è volontario in causa. Per avere l’invocazione implicita è necessario che chi pone la causa sia conscio della sua inettitudine, e tuttavia voglia porla lo stesso e attenda con fermezza l’effetto cercato. In questo caso non è scusato dal peccato mortale nemmeno chi protesta di non volere invocare il demonio, perché in pratica agisce contro le sue stesse proteste.
Fuori di questi casi, nel ricorso implicito si possono dare delle cause scusanti dal peccato mortale. Lemkuhl le riduce a tre: semplicità ed ignoranza; imperfezione dell’atto volontario; timore od incertezza nella adesione. Bisogna considerare le condizioni di spirito e di intelligenza di chi pone gli atti di vana osservanza. Non si vorranno certo accusare di vana osservanza grave certe piccolezze di cui è piena la vita della gente semplice ed ignorante del basso popolo. È certo che sono cose pericolose che portano qualcosa di superstizioso, ma è anche certo che questa gente non ne avverte tutta la malizia e non pensa neppure lontanamente ad un intervento del demonio. Si avrebbe peccato grave se qualcuno, anche con la scusante dell’ignoranza, ordinasse tutta la sua vita a queste superstizioni: allora si avrebbe una mancanza grave contro la Divina Provvidenza, perché si ordinerebbe tutta la propria vita su vani segni, come se Dio si servisse di cose tanto meschine per governare il mondo. Scusa pure dal peccato mortale la mancanza di seria volontà. Si verifica spesso che uno ponga qualche atto di magia o divinazione più per curiosità e per gioco che per volontà ferma di regolarsi su queste superstizioni. Se poi chi ha posto la causa non attende l’effetto con ferma fede, ma con fede vacillante e con timore, è scusato da peccato mortale. Comunemente, nel ricorso implicito, si ha sempre qualche causa scusante, per cui tutti i moralisti dicono che raramente detto ricorso raggiunge il peccato mortale.
Divinazione, magia e vana osservanza non cambiano specie morale al peccato contro religione, perché poco importa che il ricorso al demonio si sia fatto per sapere o per fare qualcosa; è lo stesso commercio che è peccaminoso. Invece si deve accusare in confessione se il ricorso fu esplicito o implicito, perché il confessore possa meglio giudicare se il peccato fu mortale o veniale, e principalmente perché il ricorso esplicito spesso comprende altri peccati: idolatria, bestemmia, ecc.
Anche in questi peccati ha parte principale l’intenzione dell’agente, indipendentemente dal fatto oggettivo posto. Se uno crede di porre un’azione superstiziosa grave, anche se l’effetto che ne consegue è del tutto naturale, costui pecca gravemente; viceversa, chi pensa di porre una causa naturale sufficiente, che poi è inefficace all’effetto voluto, l’effetto non è imputabile al soggetto che l’ha cercato.
Se vi è dubbio se l’effetto provenga da causa naturale o soprannaturale, purché ci sia una probabile ragione che l’effetto possa provenire da causa naturale, p. es. per qualche caso analogo, giacché ci sono molte cause naturali a noi ancora ignote, è lecito usare questo mezzo o rimedio, ma è sempre bene preporre una protesta di voler escludere ogni intervento del demonio. Se invece l’effetto è certamente non naturale, ma si dubita solo se provenga da Dio o dal diavolo, è illecito porre la causa, perché gli interventi miracolosi di Dio sono da provarsi, non da presumersi; mancando le prove, si deve ascrivere quell’effetto al demonio.
Tutti questi principi generali valgono sia per la vana osservanza come per la magia, divinazione, maleficio.
e) Maleficio (323)
Particolare riguardo merita il maleficio, che è un atto di magia a danno del prossimo.
Nel maleficio, oltre alla malizia del ricorso al demonio, si ha la mancanza alla carità e alla giustizia, che chiede riparazione. Si conoscono due specie di malefici; filtro amatorio, col quale, per opera del demonio, si istilla in una persona un amore o un odio intensi verso un’altra; e il veneficio, col quale si danneggia un altro nella persona o nei beni. Sarebbe imprudente negare il maleficio, che Dio può permettere (325), ma più imprudente ancora sarebbe credere a tutti i fatti imputati ad azioni di maleficio. E’ opinione comune che il filtro amatorio non tolga la libertà, ma che il colpito possa resistere con la grazia di Dio.
Quali sono i rimedi contro il maleficio? Ci possono essere i rimedi naturali della medicina, oppure, nell’insufficienza di questi, gli esorcismi, i Sacramenti e la distruzione dei segni coi quali il demonio nuoce o del maleficio da parte del malefico stesso.
Si può avvicinare il malefico e costringerlo, anche con la forza, a togliere il maleficio se si sa certamente che egli può farlo senza usare un nuovo maleficio. Se poi costui vorrà usare un nuovo maleficio per cacciare il primo, la colpa è tutta sua, perché l’altro ha diritto di chiedere quello che si può fare rettamente, anche se poi di fatto il malefico preferisca fare la stessa cosa in modo illecito. Se però il malefico non può togliere il maleficio se non con uno nuovo, non è lecito obbligarlo, perché si collaborerebbe colpevolmente al suo stesso peccato. Se si dubita che il malefico userà un nuovo maleficio per togliere il primo, non è lecito chiedere, e se egli si offre, ci si deve prima accertare con quale mezzo annullerà il primo maleficio. E’ lecito porre un segno contrario a quello stabilito dal malefico col demonio, purché detto segno sia onesto.
Queste le conclusioni morali sui vari peccati di superstizione, sulle quali concordano tutti i teologi.
Ma se così chiare e facili sono le conclusioni morali, non altrettanto chiari sono i fenomeni quando si presentano al nostro giudizio. Sono manifestazioni troppo complesse, nelle quali buona parte può avere il demonio, ma altrettanta può averne la nostra ignoranza. La sfera delle nostre cognizioni va sempre aumentando, e nuovi campi sempre più vasti e più impensati si presentano ancora vergini all’indagine umana.
f) Metapsichica (investigazione).
Oggi con un unico nome i fenomeni paranormali cioè i fenomeni che starebbero al di là da quelli studiati dalla psicologia normale, si sogliono, con termine coniato dal Richet (1905), indicare con un unico nome: fenomeni metapsichici e metapsichica (326) viene chiamata l’investigazione dei fenomeni extranormali, parapsicologici.
Volgarmente si suole indicate anche con il termine di occultismo il complesso dei fenomeni che non ammettono o sembrano non ammettere una spiegazione naturale.
Si vorrebbe ancora con numerose società, con un’abbondante letteratura, con non pochi uomini di scienza appassionati a queste vicende dare un indirizzo scientifico all’indagine dei molti ed eterogenei fenomeni paranormali. Quest’indirizzo prese le mosse alla fine del secolo XVIII, dalle investigazioni del Mesmer e dei suoi seguaci sul cosiddetto magnetismo animale, da cui derivarono i moderni metodi ipnotici e, ancor più di recente, quelli psicanalitici.
Una particolare ipotesi interpretativa di fenomeni metapsichici prese poi il nome di spiritismo, in quanto si ritennero prodotti da anime di trapassati, evocate appositamente.
I fenomeni medianici si distinguono in fisici e psichici. Fra i fenomeni fisici si possono ricordare: i tavolini semoventi, la telecinesi (movimento di oggetti senza controllo apparente, levitazione di corpi solidi), la ectoplasmia (fuoruscita di speciale sostanza dal corpo del medium, cioè dalla persona con il cui concorso si producono i fenomeni studiati dalla metapsichica), manifestazioni di carattere acustico (i così detti raps, colpi), ottico (globuli luminosi, fosforescenze, ecc.); chimico, termico (i soffi freddi) e gli apporti (introduzione di oggetti in luogo chiuso attraverso le pareti).
Fra i fenomeni psichici i più significativi sono i fenomeni di: autoscopia (capacità di guardare gli organi interni del proprio corpo), di eteroscopia (se si tratta di corpo altrui), di noscopia (lettura del pensiero), criptoscopia (capacità di scoprire gli oggetti nascosti), di scrittura automatica (il soggetto scrive come guidato da un’intelligenza estrinseca su cose impossibili a conoscersi per virtù propria); i fenomeni di colpi e suoni aventi caratteristiche intelligenti e finalistiche (azioni rumorose o brani musicali eseguiti senza contatto fisico con gli strumenti, interpretabili quale linguaggio secondo una legge convenuta), di trasposizione dei sensi (per cui al soggetto sembra di vedere con le orecchie, ecc.), di. mutamenti di personalità (disgregazioni della personalità, personalità alternanti, ecc.), di xenoglossia (medium che parla e scrive in lingue ignote), di premonizione (fenomeni paranormali di previsione), di chiaro veggenza (potere di vedere eventi o enti senza l’uso dei sensi empirici), di criptestesia pragmatica (particolare forma di chiaroveggenza), di telepatia.
Dato lo scopo della scienza di dedurre dai fatti le leggi che li governano, la prima condizione per uno studio scientifico dei fenomeni medianici è quella di avere dei fatti autentici da sottoporre ad esame. Essendo di fronte a fenomeni non ripetibili a volontà, di carattere piuttosto occulto, in cui la curiosità o altro da ansa spesso al dilettantismo di molti cultori incompetenti, al trucco, all’esagerazione, la metapsichica fa proprio qui alla base dei fatti il suo primo naufragio, trovandosi di fronte un materiale abbondantissimo, ma di dubbio valore scientifico.
D’altra parte una certezza scientifica di valore generico, relativa all’insieme della paranormalità dei fenomeni non si può negare, mentre riesce più difficile verificare quali fatti o serie di fatti siano degni di fede. Si può dire, allo stato odierno, che non vi è quasi nessuna certezza per i fenomeni di xenoglossia, un po’ maggiore per quelli di scrittura automatica, ancor maggiore per i colpi finalistici. Gravi dubbi gravano sulla premonizione, specialmente quando trattasi di eventi futuri dipendenti dalla libera volontà dell’uomo, pur dovendosi ammettere alcuni fatti.
Certezza scientifica sembrano invece godere i fenomeni psichici della chiaroveggenza.
I fenomeni, rapidamente accennati, sono stati oggetto di svariatissime interpretazioni, che valgono ancor meno dei fatti. Si possono ridurre tutte le interpretazioni date a due categorie: a) spiritico-occultistica l’una, che fa dipendere i fenomeni metapsichici dall’azione di spiriti di defunti o, comunque, di forze extra-umane; b) scientifica, almeno nell’intenzione, l’altra, che si appella come a cause a forze fisiche o fisio-chimiche, meccanismi iperfisici, implicanti l’azione di un particolare fluido di una sostanza ectoplasmica, di una quarta dimensione spaziale, di speciali radiazioni cerebrali, manifestazioni allucinatorie, dissociative od anche dell’io sublimale (Meyers), di un sesto senso (Baervald) ecc.
In pratica, poiché la metapsichica non è, allo stato attuale, uscita ancora dalla sfera dell’empirismo volgare, molto cammino dovrà essere fatto per arrivare a delle conclusioni plausibili. Anzi forse non ci si arriverà mai, se a priori sì respinge qualsiasi possibile intervento preternaturale.
Ma questo intervento non può essere certo quello voluto dallo spiritismo.
Lo spiritismo nella forma attuale (327) risale al 1847, allorché si sarebbe iniziata nei pressi di New York una serie di conversazioni, a base di un alfabeto convenzionale, tra l’undicenne Kate Fox e lo spirito disincarnato di un defunto, che avrebbe risposto alle interrogazioni postegli a base di colpi (raps) sulla parete e, più tardi, percuotendo il pavimento con il piede di un tavolino (tavolini parlanti o semoventi). A. Kardek, fin dal 1857, pretese dare una spiegazione a base fìlosofico-scientifica dei fenomeni, rifacendosi a forme di filosofia neoplatonica e parlando dell’uomo, come constante di un corpo fisico, dissolventesi con la morte, di uno spirito indistruttibile e perfettibile, e di un perispirito (corpo fluidico) che durante la vita legherebbe lo spirito al corpo e, dopo la morte, resterebbe aderente allo spirito e sarebbe lo strumento per le comunicazioni dei defunti con il mondo dei vivi (328). Su questa base tutta una ricca letteratura pseudo-scientifica fornì ampi ragguagli sul disincarnarsi degli spiriti, sul loro modo di esistenza, sulle ragioni che inducono gli spiriti a riaccostarsi ai viventi, ecc.
Il medium sarebbe la persona con il cui concorso si producono i fenomeni di comunicazione tra il mondo degli spiriti e quello terreno (il nome è oggi esteso alla persona con il cui concorso si producono i fenomeni studiati dalla metapsichica, qualsiasi interpretazione si dia loro).
Lo speciale tipo di sonno [trance == estasi) che i medium sogliono presentare durante il manifestarsi dei fenomeni, che si svolgono con il loro concorso, è assimilabile al sonno ipnotico, per quanto la caduta in trance sia spontanea e manchino perciò gli speciali accorgimenti etero ed auto-ipnotici, propri dell’ipnotismo (329).
La religione insegna che tra le anime dei defunti e noi non deve intercedere altra relazione che spirituale, a base di ricordi di preghiere. Dio non può consentire alle nostre morbose curiosità e non può quindi permettere che le anime, le quali solo a Lui sono sottoposte, rispondano alle nostre chiamate, soddisfino i nostri desideri di temeraria presunzione di penetrazione nel regno delle anime separate. Perciò, se è vero che si abbiano talora delle risposte da parte di esseri intelligenti non di questo mondo (sopra si è detto quanto incerto sia il materiale raccolto nel campo della fenomenologia metapsichica), questi non possono essere che spiriti maligni (330).
Se anche di vere apparizioni e risposte di spiriti non vi sia ombra (è facile il trucco e l’inganno in evocatori, vittime di morbosa sensibilità, curiosità, credibilità) siccome gli interrogatori di spiriti chiedono proprio e desiderano una comunicazione con il mondo invisibile, commettono un atto contro la religione, perché, come sempre in materia morale, è l’intenzione che determina la moralità o immoralità dell’atto, anche solamente tentato.
Né si può dire che le sedute spiritiche giovino alla fede, confermandola ed occasionandola nell’immortalità dell’anima e nella vita futura. Non è fede quella che per credere chiede l’esperienza sensibile.
Le sedute spiritiche non giovano neppure, anzi nuocciono alla salute del corpo, essendo dannose per la salute mentale, specialmente quando chi vi partecipa non si trovi in perfette condizioni di equilibrio neuro-psichico, che in pratica non si avverano quasi mai.
Sono queste ragioni più che sufficienti per giustificare la proibizione fatta ai fedeli dalla Chiesa di assistere alle sedute spiritiche, pur senza pronunziarsi sulla natura delle medesime (331).
La trasgressione, specie se abituale, di un tale precetto della Chiesa costituisce peccato grave.
Quando però si tratti di persone competenti, che non cercano la soddisfazione di una morbosa curiosità, ma l’indagine seria di tante leggi di natura ancora inesplorate, tali esperienze, che si restringano ai soli fenomeni fisici e meccanici, condotte in modo da non nuocere né alla salute, né alla moralità del medium e degli astanti non sono proibite.
– Da non confondersi con lo spiritismo è la radiestesia e l’uso del famoso e discusso “pendolo”, con cui l’operatore riuscirebbe a mettersi in contatto mentale con l’oggetto dell’indagine, cioè con qualunque entità, occulta ai sensi empirici dell’uomo, o, meglio, al normale meccanismo della nostra conoscenza (si tratti di acqua, petrolio, metalli, ecc., nascosti nel sottosuolo; utilità e dosatura dei cibi, medicinali, concimi; diagnosi e terapia delle malattie; lettura di plichi chiusi; correzione degli errori; ritrovamento delle cose smarrite; determinazione degli eventi futuri, anche liberi; accertamento della paternità, del sesso del feto, della vita e morte e del luogo d’abitazione delle persone, del pensiero e degli interni sentimenti altrui, degli autori delle opere d’arte, dei responsabili dei crimini, ecc.).
Ma, come per i fenomeni metapsichici, anche qui, soprattutto relativamente alle manifestazioni più complesse ed elevate, manca finora la certezza scientifica. Ciò dipende dal fatto che la letteratura sulla radiestesia da cui, evidentemente, dovrebbe ritrarsi e il complesso dei fenomeni e la loro descrizione particolare – nella sua quasi totalità – (come, del resto, si verifica anche per la metapsichica) manca di serietà scientifica, anche quando l’autore con richiami di psicologia, di geologia e di fisica, tenti di rivestire l’esposto con apparenza dotta (332).
NOTE
280 S. Theol. 2-2, q. 92; I. B. THIERS, Traité des superstitions selon l’Ecriture, les décrets des conciles, les sentiments des Saints Pères et des théologiens, Paris 1679; P. SEJOURNÉ, in DTC, XIV, 2763-2824; G. HEDLEY, The superstìtions of the irreligious, New York 1951; C. ZUCKER, Psychologie de la superstition, Paris 1952; F. FERRAIONI, Le streghe e l’inquisizione. Superstizioni e realtà. Roma 1955.
281 S. Theol. 2-2, q. 92, a. 1, ad. 3.
282 S. ALFONSO, Theol. mor., 1. 3, n. 1, ed. L. Gaudé, I, Romae 1905, 370,
283 Spetta agli Ordinati locali il dovere di vigilare, perché il culto divino si conservi puro da qualsiasi superstizione.
284 F. SUAREZ, De virtute religionis, u. 3, 1. 2, e. 3-6; S. TOMMASO, S. Theol. 2-2, q. 94; A. MICHEL, Idolatrie, in DTC, VII, 602-669; W. SCHMIDT, Manuale di storia comparata delle religioni, Brescia 1934; P. PALAZZINI, II monoteismo nei Padri Apostolici e negli Apologisti del II° secolo, Roma 1946, passim.
285 Cfr. ad. es.: Es 20, 2-5, 23; Dt 4, 15-19; 5, 6-10; Sap 13, 14; Rm 1, 18-25, 1 Cor 8,4-5; 10, 14-20.
286 S. ALFONSO, Theol, mor. I. 3, n, ) ss;, ed. L. Gaudé, I, Romae 1905, 371; S. TOMMASO, S. Theol. 2-2, q. 95, H, LECLERQ, Divination, in DACL, IV, 1198-1212; T. ORTOLAN, Divination, in DTC, IV, 1442-1445; J. DE TONQUÉDEC, Introduction a l’etude du merveilleux et du miracle, Paris 1938; I. CAREZZO, De moderno occultismo, Casali Montisferrati 1941; Frate Fuoco, Occultismo e suoi fenomeni1. Alba 1941; G. CONTENEAU, La divination, Paris 1940; E. LANGTON, La demonologie, Paris 1951; F. M. PALMÈS, Metapsichica e spiritismo, Roma 1952; C, BALDUCCI, Gli indemoniati, Roma 1959.
287 Ricordiamo alcune delle più usate forme degli antichi che ne avevano parecchie e ben distinte con nomi propri. Oracolo era il responso dell’indovino che veniva direttamente dagli dèi; la necromanzia si aveva quando il vate evocava i morti, perché dessero il loro responso; l’oniromanzia, se si tratta solo di interpretare un sogno; l’aruspicio quando l’augure presumeva leggere la risposta da dare nelle viscere degli animali; si aveva la geomanzia, idromanzia, aeromanzia, piromanzia, secondo che l’indovino consultava qualche figura o impronta fatta per terra, o i movimenti, d’altra parte innocenti, dell’acqua, dell’aria e della fiamma del fuoco. Forme più semplici erano: l’astrologia, non quella naturale che ha un fondamento di verità, in quanto è scientificamente provato che anche gli astri più lontani hanno una qualche influenza sulla terra e quindi sugli uomini che l’abitano; ma quella che pretendeva di leggere il destino di un individuo segnato tra stella e stella nelle inconoscibili e sconfinate vie del cielo; l’auspicio, quando si cercava di interpretare i giri di una rondine svolazzante intorno al suo nido; augurium, se l’indovino presumeva trarre indizi per conoscere il futuro dal modo di comportarsi degli animali; sortilegio, che si svolgeva in varie maniere, come aprire a caso un libro, affidandosi alla prima frase che capitasse sott’occhio, ecc. Cfr. PH. SCHMIDT, Astrologische Plaudereien. Gcschichte, Wesen u. Kritik der Astrologie, in Stimmen der Zeit, 149 (1951-1952) 308-309; L. THOKN-DIKE, Traditional medieval tracts concerning engraved astrological Images, in Melanges Auguste Pelzer, Louvain 1947.
288 Lv 20, 6, 27; Dt 18, 10-12.
289 Cfr. Gn 37, 6 ss., 41, 1 ss,; Nm 12, 6; 1 Re 3, 5; Est 11, 2; Dn 7, 1 ecc.
290 Cfr. Lv 19, 26: nec observabitis somnia; cfr. anche Dt 18, 10; Ger 27, 9 ecc.
291 1 Sam 10, 20-21; At 1, 15-26.
292 S. Theol. 2-2, q. 96; A. D’ALES e L. ROURE, Superstition, in DAFC, IV, 1561-1569, G. BELLUCCI, Gli amuleti, Perugia 1907; II)., Folklore di guerra, Perugia 1920; A. BEUGNET, Amulette, in DTC, I, 1124-1125; R. Corso, La rinascita della superstizione nell’ultima guerra, Roma 1920; A. GEMELLI, Folklore di guerra, in Vita e Pensiero, gennaio (1917); H. LECLERQ, Amulettes, in DACL, 1, 1784-1860; A. LE ROY, Amulette, in DAFC, I, 123-124; R. PETTAZZONI, Le superstizioni, in Atti del Congresso di etnografia italiana, Perugia 1912, 135-143; E. VILLIERS, Amulette und Talismano und andere geheime Dinge, 1927; I, MARQUÉS-RIVIÈEE, Amulettes, Talismani et pentacles, Paris 1938; F. FERRAIONI, Le streghe e l’inquisizione – Superstizioni e realtà; Roma 1955.
293 Cfr. B. OIETTI, Synopsis rerum moralium et iuris pontificii1 Roma 1912,2534-2544 (con molta bibliografia antica); L. GARDETTE, Magie, in DTC, IX, 1510-1527; I. DE TONQUÉDEC, Les maladies nerveuses ou mentales et les manifestations diaboliques, Paris 1938; E. BOZZANO, Profili primitivi e manifestazioni supernormali, Verona 1941; PH. ENCAUSSE, Sciences occultes et désequilibre mental, Paris 1943; G. ROBINET, Le diable, sa vie, san oeuvre, Lyon 1945; G. B. ALFANO, Piccola enciclopedia di scienze occulte, Napoli 1949; E. DELCAMBRE, Le concept de sorcellerie dans le duché de Lorraine au XVI et au XVII siede, Nancy 1951 ; F. IDOARTE, Brujerias en la Montana de Navarra en el sigio XVI, in Hispania sacra, 4 (1951) 193 ss,; F. FERRAIONI, Le Streghe e l’inquisizione – Superstizioni e realtà, Roma 1955, P, CALLIARI, II diavolo è forte, Dio è debole?, Brescia 1973.
294 ERODOTO; Historia, I, 101. Solo nel mondo classico i maghi furono confusi con i sacerdoti della religione babilonese, dediti ad opere di astrologia e magia, donde, a poco a poco, specialmente per influsso del Medio Evo, si formò la figura del mago della favola. Comunque, i maghi erano sempre ritenuti come sapienti e grandi studiosi e probabilmente costituivano la classe dirigente (cfr. PLINIO il VECCHIO, Historia natur., XXXI, 1; CICERONE, De divinatione, I, 23). La parola ebraica corrispondente a mago era applicata solo ai sacerdoti caldei; dal Settanta in poi vengono chiamati maghi gli astrologi e i negromanti; Giuseppe ebreo estende la parola alla teurgia; Filone la usa per disegnare gli incantatori egiziani che gareggiarono con Mosè, finché Plutarco ne fregia i sacerdoti di Cibele. Di qui il senso spregiativo che si trova nella traduzione della Volgata e che è rimasto ed ha attecchito specialmente e dapprima in Occidente.
295 1 Pt 5, 8-9.
296 Es 7, 2 ss.
297 1 Sam 28, 7-25, Cfr. ancora 2 Sam 9, 22.
298 Cfr. il commento di M. M. SALES, il vecchio Testamento, v, II, Torino 1934,374-375.
299 Cfr. Actus Petri cum Simone: B. ALTANER, Patrologia, Torino 1944, 39, n. 52.
300 Gal 5, 20.
301 E. MANGENOT, Démon, in DTC, IV, 339-384.
302 PG 6, 636.
303 Sal 95, 5,
304 PL 1, 404.
305 Ib. 411.
306 ORIGENE, Contro Gelso, 1, 1,
307 PL 4, 574.
308 PL 41, 716.
309 PL 41,716.
318 C. 26, C. 5, 12.
311 Bull. Sacr. Rom. Pont., V, Aug. Taur. 1860, 296.
312 Ib., t. V, 613.
313 Ib., t, V, 767.
314 Ib., t. VIII, 646.
315 Ib., t. XII, 795.
316 Ib., t. XIV, 211.
317 Conc, di Elvira, e, 6, MANSI, II, 6.
318 Conc. di Praga, MANSI, XXVI, 75; Conc. di Paderborn, HEFELE-LECLERQ, III b, 993.
319 PL 104,147-158.
320 PL 140,831-833.
321 Cfr. SUAREZ, De Relig., t. III, 1. II, e. XIV, n, 5.7,
322 In Gen. ad lit. 2, 17-37.
323 S. Theol., 2-2, p. 96, a. 2 ad 3. La tendenza della cultura odierna è di negare l’esistenza del demonio, Cfr. al contrario il recente studio, raccomandato dalla S, Congr. per la dottrina della fede; fede mima e demonologia, in L’Osservatore Romano, 26 giugno 1975, pp. 6-7.
324 Cfr. H. DENECHEAU, Contre la mauvais esprits et les maléfices, Nueil-sur-Layon 1952.
325 Cfr. L. PANTANI, Manuale theorico-practicum theologiae mor., IlI, Romae 1950, 148-149.
326 Cfr. CH. RICHET, Traitè de métapsychique, Paris 1955; E. SERVANO, La ricerca psichica, Milano 1933; I, B, RHINE, Extra-sensory perception, Boston 1934; E. BOZZANO, Indagini sulle manifestazioni supernormali, Città della Pieve 1940; I. CAREZZO, De moderno occultismo et de scientiis occultis in Italia, Casali Montisferrati 1941; I. B. RHINE, The Reach of the Mind, New York, trad. ital., sotto il titolo: I poteri dello spirito (trad. G. D’ÀGNANO), Roma 1949; F, M. PALMÉS, Metapsichica e spiritismo, Roma 1952, P. CASTELLI, Lo spiritismo, Vicenza 1955; C. BALDUCCI, La possessione diabolica. Roma 1975.
327 Nell’antichità si è spesso parlato di evocazione dei defunti (Libro dei morti, Dt 18, 9-12; 1 Sam 28; ERODOTO, I, 92; PAUSANIA, III, 17; PLUTARCO, De sera numinis vindicta, X, XVII; CICERONE, Tusc., I, 8; ORAZIO, Satire, I, 8; PLINIO, Historia natur., XL, 5; TACITO, Annales, II, 28; TERTULLIANO, Apolog., 23; LATTANZIO, Div. inst., IV, 27 ecc.
328 Sul moderno spiritismo, cfr. E. BOZZANO, Dei fenomeni premonitori, presentimenti, sogni profetici, chiaroveggenza nel futuro, Roma 1914; ID., Dei fenomeni d’infestazione, Roma 1919; A. ZACCHI, Lo spiritismo e la sopravvivenza dell’anima, Roma 1922; C. M. DE EREDIA, Spiritism and common sense. New York 1922; L. ROURE, Spiritismo, in DAFC, III, 1478, L, ROURE) Lo spiritismo davanti alla scienza ed alla religione, Milano 1928; G. M. PETAZZI, Spiritismo moderno, Trieste 1934; H. THURSTON, La Chiesa e lo spiritismo, Milano 1950; A, ALVAREZ DE LINERA, Metapsiquica