…LA PRUDENZA. Prudenza naturale e soprannaturale. Soggetto e oggetto della prudenza. Prudenza, virtù intellettuale e morale specifica. Parti soggettive della prudenza. Parti integrali della prudenza. Parti potenziali della prudenza. Obbligatorietà della prudenza. Vizi opposti alla prudenza. …
Trattato di Teologia morale
PARTE III
I DOVERI DELL’UOMO NEI SUOI RAPPORTI CON IL PROSSIMO
4. DIRITTI E DOVERI SOCIALI
B) I DOVERI CONNESSI CON LA GIUSTIZIA E LE ALTRE VIRTÙ CARDINALI
2. I DOVERI DELLE ALTRE VIRTÙ CARDINALI
Resta da parlare di virtù connesse non più per via di una certa subordinazione, ma per coordinazione alla virtù della giustizia e di cui non si è ancora fatto cenno. La giustizia è la virtù che fa dare a ciascuno ciò che gli è dovuto, regolatrice prossima quindi di tutta l’attività pratica morale in rapporto a Dio e al prossimo, corredata di un ricco corteggio di virtù annesse, il grosso dell’esercito spirituale, Ma perché la giustizia si attui integralmente, occorre l’ausilio delle altre virtù cardinali. La fortezza e la temperanza (di cui si è già parlato) con le virtù annesse moderano i sentimenti che potrebbero impedire l’attuazione della giustizia e delle altre virtù. La prudenza apre la via, come la virtù che dirige gli atti al debito fine e fa discernere e usare i mezzi buoni: virtù di orientamento pratico quindi e la prima delle virtù morali, guida insieme con il corteggio delle virtù annesse alle altre; avanguardia dell’esercito spirituale.
I. LA PRUDENZA (385).
1. Prudenza naturale e soprannaturale.
La prudenza (dal lat. prudentia, quasi prae-videntia) è un abito intellettivo; è la virtù per cui la ragione pratica detta quello che si deve fare nel caso concreto dell’ordine morale (386). Può essere virtù acquisita o infusa; di questa particolarmente ci occupiamo.
La prudenza soprannaturale o infusa è la virtù infusa soprannaturalmente per cui l’intelletto pratico, illustrato mediante la fede e mosso dallo Spirito Santo, giudica e comanda che cosa debba farsi in ogni singolo caso, affinché l’azione risponda al fine soprannaturale oppure che cosa debba evitarsi, perché non rispondente allo stesso fine soprannaturale. Differisce dalla prudenza naturale o acquisita; a motivo della causa efficiente (la prudenza naturale viene acquistata mediante la ripetizione degli atti, quella soprannaturale è infusa da Dio insieme alla grazia santificante) e a motivo della estensione e del principio-motivo (la prudenza naturale presuppone solo l’intelligenza, conosciuta naturalmente, dei primi principi morali e il rettoappetito del bene naturale; quella soprannaturale invece suppone la fede informata dalla carità). La virtù infusa abbraccia tutti gli atti che devono essere indirizzati verso il fine ultimo della vita umana. Non così la virtù naturale, la quale talvolta si riferisce ad azioni riguardanti un fine subordinato.
2. Soggetto e oggetto della prudenza.
La prudenza ha come suo soggetto prossimo la ragione pratica; ha come oggetto materiale gli atti umani intrinseci all’agente a qualsiasi virtù appartengano, e in via principale questi atti in quanto attualmente necessari o utili al fine rettamente inteso e propostoci; come oggetto formale quindi la verità pratica di questi atti in concreto, ossia con la loro vera conformità con il fine prossimo e ultimo e conseguentemente la loro bontà, contenuta nel giusto mezzo, lontano da eccesso o da difetto.
Atto dunque proprio della prudenza è il dettame pratico concreto dei mezzi attualmente idonei al fine ossia alla vita morale, il che importa vari atti o funzioni. S. Tommaso ne enumera tre: deliberare, giudicare, ordinare (bene consultare; recte iudicare; imperare seu praecipere) (387).
In queste tre fasi risultano chiare le funzioni della prudenza: dopo il consiglio (consilium) e la deliberazione pratica, la prudenza comanda anche l’esecuzione del giudizio pratico mediante le altre potenze. Da ciò il rapporto tra prudenza e coscienza. La prudenza applica le conclusioni della scienza morale ai casi singolari e contingenti, mentre la coscienza, come atto concreto di prudenza, giudica e comanda che cosa debba farsi od omettersi nel caso concreto.
La prudenza, si è già detto, risiede nella ragione e precisamente nella ragione pratica (388). Può dirsi prudente colui che sa prevedere le varie circostanze come pure le diverse conseguenze di una determinata azione da compiersi (389).
Tutto questo è compito evidentemente della sola ragione: ma della ragione ordinata all’azione. Infatti la ragione speculativa ha la funzione di conoscere per conoscere; al contrario quella pratica consiste in un discernimento e in una deliberazione al fine di porre ovvero omettere una determinata azione (390).
3. Prudenza, virtù intellettuale e morale specifica.
Da quanto si è detto è chiaro che la prudenza è anche virtù intellettuale. Occorre però notare subito che intelletto pratico non è soltanto, nel suo senso pieno, quello che formula giudizi relativi all’agire o al non agire, ma è quello che giudica, delibera e comanda in seguito al moto della volontà disposta ad agire. La prudenza presuppone dunque la volontà del bene virtuoso.
Allorquando noi esercitiamo la nostra ragione pratica per dirigere i nostri bisogni materiali ed intellettuali, i nostri lavori, i nostri affari ecc., non si tratta ancora di prudenza come virtù. Questa si avrà solo se si esercita in vista di un fine moralmente buono, ricercato efficacemente dalla volontà (391). Il giudizio o discernimento della prudenza rimane sotto il controllo e l’intimazione del volere morale. Anche nella prudenza soprannaturale o infusa esso è sotto la guida dell’impulso della carità che lega a Dio.
È proprio tale finalità morale che caratterizza il giudizio o discernimento della prudenza.
Occorre ricordare che, a prescindere dalle virtù teologali, vi sono tre principali categorie di virtù: le virtù intellettuali di ordine speculativo; le virtù intellettuali di ordine pratico e le virtù morali. Sono virtù intellettuali speculative: la saggezza e la scienza. Tali virtù, mirano a conoscere il vero, sia che si tratti del vero in quanto spiegazione ultima delle cose (è la saggezza filosofica), sia che si tratti del vero ottenuto attraverso il ragionamento ovvero per induzione (conoscenza scientifica).
Come ogni altra virtù intellettuale, ordinata al perfezionamento dell’intelletto, anche la prudenza discerne il vero, ma il vero pratico, vale a dire l’azione da realizzare in quanto essa e conforme alla legge del bene ed alla volontà di Dio, Non è quindi una pura virtù intellettuale. La prudenza si distingue ancora dalla virtù intellettuale pratica, ordinata alle opere di arte, di mestiere, alle produzioni di ogni genere. Non può confondersi con l’arte. Quest’ultima si affianca alla prudenza, trattandosi per ambedue di un perfezionamento dell’intelligenza pratica; luna e l’altra sono regolatrici di opera e di azione. Differiscono profondamente però quanto ai fini rispettivi. Il fine della prudenza è quello di regolare la destinazione suprema dell’uomo e, da questo punto di vista, ha la sua perfezione morale. Al contrario l’arte persegue un fine limitato particolare. Ovviamente alla diversità dei fini fa riscontro la diversità dei mezzi impiegati. Per questo l’arte risponde ad una definizione diversa e precisa: recta ratio factibilium.
La prudenza è dunque ancora una virtù morale perché suppone la rettificazione della volontà innanzi a tutto il bene morale: essa compie l’ufficio di discernere azioni buone ogni qualvolta siano richieste. La sua attività è al servizio della volontà già ordinata al bene ed anzi essa stessa è precettiva del bene (392)
La prudenza applica infine il suo discernimento alle azioni in cui intervengono tutte le altre virtù: giudica che cosa occorre fare praticamente ed in concreto per essere giusto, forte, temperante in tutti i casi die si presentano. Ogni atto virtuoso può dirsi materia e oggetto della virtù della prudenza in quanto sottoposto al suo giudizio, che ne detta l’obbligazione ed il giusto mezzo ragionevole (393). Per questa sua funzione moderatrice essa si distacca dal piano delle altre virtù morali che rientrano nel suo ambito. La prudenza per essere perfetta, oltre supporre la rettitudine dell’appetito – da cui la sua moralità – ha pure necessità dell’aiuto delle altre virtù morali, risultando queste intimamente connesse ed integrandosi a vicenda. Ma anche le altre virtù morali dipendono dalla prudenza, non potendo esistere virtù morale fuori del giusto mezzo della ragione stabilito appunto dalla prudenza.
L’abito della prudenza dispone il soggetto a bene agire in ordine al bene onesto, ossia al fine ultimo, che è Dio. Non si confonde tuttavia con le virtù teologali, le quali hanno come oggetto proprio immediato Dio stesso, mentre la prudenza ha il bene da fare, per raggiungere Dio come sommo bene.
È evidente però quanto intimamente questa virtù soprannaturale sia legata con le virtù teologali; con la fede, che è fondamento della vita soprannaturale ed illumina di sé tutto l’ordine soprannaturale, fine, mezzi, atti, coronamento, da essa quindi la prudenza prende le mosse, il lume, il tono: con la speranza, che imprime alla vita soprannaturale il suo impulso e la sua direttiva; da essa quindi la prudenza avrà spinta e sostegno anche nelle prove più dure e ad essa servirà prestando i necessari e utili mezzi e presidi per il conseguimento della meta: con la carità, che di se riscalda ed infiamma tutta la vita soprannaturale; da essa quindi la prudenza trarrà il calore di vita feconda che la tramuta da freddo calcolo in palpito e fervore di azione e di elevazione, anzi di unione con Dio e con l’umanità.
4. Parti subiettive della prudenza.
Sappiamo che ognuna delle virtù cardinali è come un centro attorno a cui si muove un corteggio di virtù in certo senso minori e quindi si soglion chiamare parti di quella virtù, parti subiettive, integrali o potenziali. Parti subiettive della prudenza sono le specie minori in cui si distingue; esse possono ridursi: alla prudenza monastica o personale, che riguarda il governo del singolo, e alla prudenza governativa o collettiva, che riguarda il governo della comunità; questa a sua volta può suddistinguersi in economica o domestica se riguarda la famiglia o comunità minori, e politica se riguarda la società perfetta, sia civile che ecclesiastica; alla politica si riduce la prudenza amministrativa, la militare, la internazionale e così via.
5. Parti integrali della prudenza.
Sono le attitudini che concorrono a perfezionarla. Di esse alcune mirano a perfezionare l’aspetto conoscitivo, e cioè la memoria del passato, l’intelligenza del presente, la docilità, la solerzia e la ragionevolezza; alcune a perfezionare l’aspetto precettivo, e cioè la provvidenza, la circospezione e la cautela. La memoria del passato è il tesoro delle esperienze che orientano e danno norma per regolarsi sul presente. L”intelligenza è la retta conoscenza e valutazione pratica delle circostanze nelle quali ci si trova attualmente ad agire. La docilità (docibilitas) dispone a ricevere e far tesoro delle lezioni proprie ed altrui del presente e del passato. La solerzia o sagacia anima e sprona e sorregge nella vigile esplorazione del da fare. La ragionevolezza pondera e valuta a fil di logica tutti questi elementi. La provvidenza spinge innanzi quanto può l’attenzione come per prevedere il futuro che è conseguenza del passato e del presente, e predispone i mezzi. La circospezione gira tutto intorno il lungo raggio della provvidenza. La cautela o accortezza considera attentamente i pericoli o i danni che possono venirne e a predisporne efficacemente i mezzi preventivi,
6. Parti potenziali della prudenza.
Sono le virtù minori che da essa come da matrice germogliano e ad essa a loro volta servono; stanno ad essa come le potenze all’anima che delle potenze stesse si serve per agire; esse sono il buon consiglio, il buon senso, il senso dell’eccezione. Il buon consiglio (eubolia) è l’abito di ben ricercare e trovare a tempo e luogo opportuno i mezzi convenienti al fine. Il buon senso (synesis) è l’abito di ben giudicare e valutare secondo le regole comuni. Il senso dell’eccezione (gnome) è l’abito di saper distinguere i casi che esorbitano più o meno dalle norme comuni e saperne tenere il giusto conto secondo l’esigenza di superiori princìpi; esso guida e modera la retta applicazione della norma e la moderata applicazione dell’equità e dell’epicheia.
Sappiamo che nell’ordine soprannaturale oltre alla grazia e alle virtù infuse vengono inseriti nell’anima i doni dello Spirito Santo, che sono speciali disposizioni per cui l’anima santificata viene resa facile e pronta agli impulsi dello Spirito Santo in ordine all’attività salutare ossia all’esercizio delle virtù. Dei sette doni dello Spirito Santo quello che meglio risponde alla virtù della prudenza è il consiglio, che è una certa illuminazione divina per la quale l’uomo, come consigliato da Dio, prontamente e nettamente vede quello che in concreto deve fare in ordine al fine soprannaturale. Questo dono si trova in ogni anima giustificata e permarrà anche nella vita beatifica, sia pure con altro atteggiamento.
7. Obbligatorietà della prudenza.
La obbligatorietà della prudenza emerge dalla sua stessa natura. Essendo infatti essa recta ratio agibilium ossia la retta ragione pratica, ed essendo l’uomo tenuto ad agire secondo ragione, ne segue che è tenuto a coltivare e praticare l’abito del retto ragionare in ordine all’ultimo fine che è tutta la ragion d’essere della nostra vita libera o morale. È chiaro quindi che il giusto mezzo che è fondamentale esigenza della virtù, impone qui una particolare vigilanza per tenersi lontani dai due estremi, di eccesso e di difetto.
8. Vizi opposti alla prudenza.
Ogni peccato in qualche modo deriva dalla stoltezza o dall’imprudenza (la quale si oppone direttamente alla coscienza). Tuttavia non proprio ogni peccato proviene dalla mancanza di prudenza. Qui intendiamo per peccati o vizi contrari alla prudenza tutte quelle mancanze che si oppongono in modo diretto ai tre atti propri della prudenza (ben consigliare, giudicare e comandare). Tali mancanze possono verificarsi o per difetto o per eccesso.
A) Si oppongono alla prudenza per difetto: le quattro specie di ” imprudenza “, che sono:
a) la precipitazione, opposta all’eubolia;
b) la inconsiderazione, che segue sempre la precipitazione, ma può esistere anche senza di essa; si oppone alla sinesi e allo gnome;
c) la incostanza, che è un deflettere dal proposito emesso;
d) la negligenza, che comporta una mancanza di atto interno di ragione che non comanda ciò che dovrebbe o nel modo in cui dovrebbe.
B) Si oppongono alla prudenza per eccesso:
a) la prudenza corporale, ordinata al bene corporale come a fine ultimo della vita. È la prudentia carnis di cui parla S. Paolo (394);
b) l’astuzia, l’inganno e la frode, nomi eloquenti per se stessi;
c) l’eccessiva preoccupazione delle cose temporali e future.
I vizi contrari alla prudenza, se eccedono per difetto, hanno come fonte spesso la lussuria; se per eccesso, l’avarizia (395), Perciò mezzi efficaci per raggiungere la prudenza sono: la fervente orazione a Dio, luce delle nostre anime; il controllo delle passioni disordinate e specialmente dell’avarizia e lussuria; e infine la considerazione degli eventi sub specie aeternitatis.
NOTE
385 Per un excursus storico, cfr. O. LOTTIN, Les débuts du traité de la prudence au Moyen-Age, in Rech. de théol. anc. et medièv. (1932) 203-207; ID., Principes de morale, II, Louvain 1947, 191-194, 201-211; P. LUMBRERAS, De prudentia (2a-2ac-47-56), Madrid ecc. 1952. Per la trattazione dottrinale, cfr. S. Theol. 2-2, q. 47-56 con i commenti di C. R. BILLUART, L. LESSIO, TH. PEGUES, H. D. NOBLE; inoltre M.-A. JANVIER, La prudence cbrétienne, Paris 1917, J, LECLERCQ, La vie en ordre, Bruxelles 1958, 207-214; H. D. NOBLE, Prudence, in DTC, XIII, 1023-76; M. CASTELLANO, L’auriga delle virtù, in Tahor, 5 (1952) 485-91; R. SPIAZZI, II dono del consiglio, ib., 531-50; D. CAPONE, Prudenza e coscienza. Roma 1968; F. Cocco, Prudenza, in Diz. enc. di teologia mor., 2a ed,, 784-792.
386 Cfr. la definizione di Aristotele, da cui è tratta la definizione di Cicerone e S. Agostino (Ethic. 6, c. 5, De officis, III, 47; Lib. 83 quaest,, q. 61).
387 S. Theol. 2-2, q. 47, a. 8.
388 S. Theol. 2-2, q. 47, a. 2.
389 S. Theol. 1-2, q. 47, ad 1.
390 Ragione speculativa e ragione pratica nella filosofia scolastica non costituiscono due facoltà distinte, bensì due modi distinti di applicarsi a conoscere.
391 S. Theol. 2-2, q. 47, a, 4, ad 2
392 S. Theol. 2-2, q. 48, a. 4
393 S. Theol. 1-2, q. 54, a. 1-4. Per questo è detta auriga virtutum.
394 Rom. 8, 6-8; Gal. 5, 16.
395 S. Theol. 2-2, q. 55, a. 8.