Compiendosi mille anni dal “battesimo” della Rus’ di Kiev (Ucraina), il Papa si rivolge ai popoli slavi per sottolineare il ruolo storico che essi hanno avuto per la diffusione della fede cristiana in vastissimi territori
I. Uniti nella grazia sacramentale
1. Andate in tutto il mondo, ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (cf. Mc 16,15; Mt 28,19).
Dalla tomba dei santi apostoli Pietro e Paolo in Roma, la Chiesa cattolica desidera esprimere a Dio Uno e Trino la propria profonda gratitudine, perché queste parole del Salvatore hanno trovato mille anni fa il loro compimento sulle rive del Dniepr, a Kiev, capitale della Rus’, i cui abitanti – sulle orme della principessa Olga e del principe Vladimiro – furono “innestati” in Cristo mediante il sacramento del Battesimo.
Seguendo il mio predecessore Pio XII di venerata memoria, il quale volle celebrare solennemente il 950° anniversario del Battesimo della Rus’ (cf. Pii XII “Epistula ad Cardinalem Eugenium Tisserant, Sacrae Congregationis pro Ecclesia Orientali Secretarium”, die 12 maii 1939: AAS 31 [1939] 258-259), desidero con questa lettera esprimere lode e gratitudine all’ineffabile Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, per aver chiamato alla fede e alla grazia i figli e le figlie di molti popoli e nazioni, che hanno accolto il retaggio cristiano del Battesimo amministrato a Kiev. Essi appartengono prima di tutto alle nazioni russa, ucraina e bielorussa nelle regioni orientali del continente europeo. Mediante il servizio della Chiesa che ebbe inizio nel Battesimo a Kiev, questo retaggio è giunto oltre gli Urali a molti popoli dell’Asia settentrionale, fino alle coste del Pacifico ed anche più lontano. Davvero, fino ai confini della terra è corsa la loro voce (cf. Rm 10,18).
Rendendo grazie allo Spirito della Pentecoste per tale estensione di un retaggio cristiano risalente all’anno del Signore 988, vogliamo prima di tutto concentrare la nostra attenzione sul mistero salvifico dello stesso Battesimo. E questo – come insegna Cristo Signore – il sacramento della rinascita “da acqua e da Spirito” Santo (Gv 3,5), che introduce l’uomo, fatto figlio adottivo di Dio, nel regno eterno. E san Paolo parla dell’”immersione nella morte” del redentore per “risorgere” insieme a lui ad una nuova vita in Dio (cf. Rm 6,4). Così dunque i popoli slavi orientali che abitavano nel grande principato della Rus’ di Kiev, scendendo nell’acqua del santo Battesimo, si affidarono – quando venne per loro la pienezza del tempo (Gal 4,4) – al piano salvifico di Dio. Giunse così ad essi la notizia delle “grandi opere di Dio” e, come una volta a Gerusalemme, venne anche per loro la Pentecoste (cf. At 2,37-39): immergendosi nell’acqua del Battesimo, essi sperimentarono “l’abluzione della rinascita” (cf. Tt 3,5).
Quanto è eloquente, nel rito bizantino, l’antica preghiera per la benedizione dell’acqua battesimale, che la teologia orientale si compiace di assimilare alle acque del Giordano, nelle quali entrò il Redentore dell’uomo, per ricevere il battesimo di penitenza, come facevano gli abitanti della Giudea e di Gerusalemme (cf. Mc 1,5): “Concedi ad essa… Ia benedizione del Giordano; rendila sorgente d’incorruzione, dono di santità, assoluzione di peccati…. Tu, Signore di tutte le cose, dimostrala acqua di redenzione, acqua di santificazione, purificazione del corpo e dello spirito, liberazione dai vincoli, remissione delle colpe, illuminazione delle anime, lavacro di rigenerazione, rinnovamento dello spirito, grazia di adozione, veste di incorruzione, fonte di vita… Mostrati, o Signore, anche in quest’acqua e trasforma chi in essa sta per essere battezzato, affinché deponga l’uomo vecchio… e rivesta l’uomo nuovo, che si rinnova ad immagine di colui che lo ha creato; affinché a lui completamente unito mediante il Battesimo con una morte simile alla sua, diventi partecipe della sua risurrezione e, avendo custodito il dono del tuo Santo Spirito…, possa ricevere il premio della celeste vocazione e sia annoverato tra i primogeniti ascritti nel cielo” (Preghiera di benedizione dell’acqua battesimale, la cui più antica testimonianza si trova nel Cod. Vat. Barberini greco 336, p. 201. Si veda, inoltre “Trebnik” la benedizione solenne dell’acqua battesimale nel giorno dell’Epifania)
Coloro che erano lontani si sono trovati immersi, mediante il Battesimo, in quel circuito di vita, nel quale la Santissima Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – fa dono di sé all’uomo e crea in lui un cuore nuovo, liberato dal peccato e capace di obbedienza filiale al disegno eterno dell’amore. Al tempo stesso quei popoli e i loro singoli componenti sono entrati nell’ambito della grande famiglia della Chiesa, nella quale possono partecipare alla sacra Eucaristia, ascoltare la Parola di Dio e renderle testimonianza, vivere nell’amore fraterno e condividere in reciproco scambio i beni spirituali. Ciò era simbolicamente espresso negli antichi riti del santo Battesimo, quando i neobattezzati, avvolti in bianche vesti, si recavano in processione dal battistero verso l’assemblea dei fedeli radunati nella cattedrale. Tale processione era insieme l’introito liturgico e il simbolo del loro ingresso nella comunità eucaristica della Chiesa, Corpo di Cristo (Cfr. il “Tipico della Grande Chiesa”, ed. J. Mateos in “Orientalia Christiana Analecta” 116, Roma 1963, pp. 86-88. Non minore era lo splendore del rito del Battesimo a Roma, come si può vedere negli “Ordines Romani” dell’Alto Medio Evo).
2. In questo spirito e con tali sentimenti desideriamo prendere parte alle celebrazioni e alla gioia per il millennio del Battesimo della Rus’ di Kiev. Ricordiamo quell’avvenimento secondo il modo di pensare proprio della Chiesa di Cristo, cioè in spirito di fede. Fu, quello, un evento di enorme importanza. Le parole del Signore in Geremia: “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà” (Ger 31,3), hanno trovato piena attuazione in rapporto a quei nuovi popoli e alle loro terre. La Rus’ di Kiev è entrata nel contesto della salvezza ed è diventata essa stessa tale contesto. Il suo Battesimo ha dato inizio ad una nuova ondata di santità. È divenuto un momento significativo dell’impegno missionario della Chiesa, una nuova importante tappa nello sviluppo del cristianesimo: l’intera Chiesa cattolica volge il suo sguardo a tale evento e partecipa spiritualmente alla gioia degli eredi di quel Battesimo.
Rendiamo grazie a Dio misericordioso, Dio unico nella Santissima Trinità, Dio vivo, Dio dei padri nostri; rendiamo grazie a Dio Padre di Gesù Cristo, e a Cristo stesso, che nel sacramento del santo Battesimo dona lo Spirito Santo allo spirito umano. Rendiamo grazie a Dio per il suo piano salvifico di amore, lo ringraziamo per l’obbedienza che gli è stata prestata da parte dei popoli, delle nazioni, delle terre e dei continenti. È naturale che questa obbedienza abbia avuto condizionamenti storici, geografici, umani. È compito degli studiosi esaminare ed approfondire tutti gli aspetti politici, sociali, culturali, economici dell’accettazione della fede cristiana. Sì, sappiamo e sottolineiamo che, quando si riceve Cristo mediante la fede e si fa esperienza della sua presenza nella comunità e nella vita individuale, si producono frutti in tutti i campi dell’umana esistenza. Infatti il legame vivificante con Cristo non è un’appendice alla vita, né un suo ornamento superfluo, ma è la sua definitiva verità. Ogni uomo, per il fatto stesso di essere tale, è chiamato a partecipare ai frutti della redenzione di Cristo, alla sua stessa vita.
Con somma venerazione ci chiniamo, dopo questi mille anni, davanti a questo mistero e ne meditiamo la profondità e la forza, prima in coloro che sono stati i “protagonisti” del Battesimo della Rus’ e successivamente in ognuno e in tutti coloro che hanno seguito le loro orme, accogliendo nel Battesimo la potenza santificatrice del Paraclito.
II. Quando venne la pienezza del tempo…
3. “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4).
La pienezza del tempo viene da Dio, ma la preparano gli uomini e viene per gli uomini e mediante gli uomini. Ciò vale per la “pienezza del tempo” nella generale economia della salvezza, che ha, pure essa, il suo condizionamento umano e la sua storia concreta. Ma ciò vale anche per il momento dell’approdo dei singoli popoli al porto della fede salvifica: per la loro “pienezza del tempo”. Anche il millennio del Battesimo e della conversione della Rus’ ha una sua storia. Il processo di cristianizzazione dei singoli popoli e nazioni è un fenomeno complesso e richiede molto tempo. Nel territorio della Rus’ esso fu preparato dai tentativi compiuti nel secolo IX dalla Chiesa di Costantinopoli (Cfr. la lettera enciclica con cui il Patriarca Fozio, nell’867, annunzia che la gente chiamata “Rhos” aveva accolto un vescovo. Ep. I, 13: PG 102, 736-737; cf. anche “Les regestes des actes du patriarcat de Costantinople I”, II a cura di V. Grumel, Paris 1936, n. 481, pp. 88-89). Successivamente, nel corso del secolo X, la fede cristiana cominciò a penetrare nella regione grazie ai missionari, che venivano non solo da Bisanzio, ma anche dai territori dei vicini slavi occidentali – i quali celebravano la liturgia in lingua slava secondo il rito instaurato dai santi Cirillo e Metodio – e dalle terre dell’Occidente latino. Come attesta l’antica Cronaca cosiddetta di Nestor (“Povest’ Vremennykh Let”), nel 944 esisteva a Kiev una chiesa cristiana, dedicata al profeta Elia (“Povest’ Vremennykh Let”, ed D.C. Likhacev, Mosca-Leningrado 1950, pp. 235ss). In questo ambiente, già preparato, la principessa Olga si fece liberamente e pubblicamente battezzare verso il 955, rimanendo poi sempre fedele alle promesse battesimali. A lei, nel corso della visita a Costantinopoli del 957, il patriarca Poliecto avrebbe rivolto un saluto in qualche modo profetico: “Benedetta sei tu tra le donne russe, perché amasti la luce e cacciasti via le tenebre. Perciò ti benediranno i figli russi fino all’ultima generazione” (Cfr. Filaret Gumilevskyj, “Vite dei Santi”, t. luglio, Pietroburgo 1900, p.106 . Olga, però, non ebbe la gioia di vedere cristiano il figlio Svjatoslav. La sua spirituale eredità fu raccolta dal nipote Vladimiro, il protagonista del Battesimo del 988, il quale accettò la fede cristiana e promosse la conversione, stabile e definitiva, del popolo della Rus’. Vladimiro ed i nuovi convertiti sentirono la bellezza della liturgia e della vita religiosa della Chiesa di Costantinopoli (Si veda, a riguardo, il racconto della Povest’ Vremennykh Letm sopra citata). Fu così che la nuova Chiesa della Rus’ attinse da Costantinopoli l’intero patrimonio dell’Oriente cristiano e tutte le ricchezze ad esso proprie nel campo della teologia, della liturgia, della spiritualità, della vita ecclesiale, dell’arte.
Tuttavia, il carattere bizantino di questo retaggio fu sin dall’inizio trasferito in una nuova dimensione: la lingua e la cultura slave diventarono un nuovo contesto per ciò che finora trovava la propria espressione bizantina nella capitale dell’Impero d’Oriente ed anche in tutto il territorio che ad esso fu unito attraverso i secoli. Agli slavi orientali la parola di Dio e la grazia ad essa unita giunsero così in una forma a loro più vicina dal punto di vista culturale e geografico. Quegli slavi, accogliendo la parola con tutta l’obbedienza della fede, desideravano al tempo stesso esprimerla nelle proprie forme di pensiero e con la propria lingua. In questo modo si realizzò quella particolare “inculturazione slava” del Vangelo e del cristianesimo, che si ricollega alla grande opera dei santi Cirillo e Metodio, i quali, da Costantinopoli, portarono il cristianesimo, nella versione slava, nella Grande Moravia e, grazie ai loro discepoli, ai popoli della Penisola Balcanica.
Fu così che san Vladimiro e gli abitanti della Rus’ di Kiev ricevettero il Battesimo da Costantinopoli, dal più grande centro dell’Oriente cristiano, e, grazie a questo, la giovane Chiesa fece il proprio ingresso nell’ambito del ricchissimo patrimonio bizantino, della sua eredità di fede, di vita ecclesiale, di cultura. Tale patrimonio divenne subito accessibile alle vaste moltitudini degli slavi orientali e poté essere assimilato più facilmente, poiché la sua trasmissione sin dall’inizio fu favorita dall’opera dei due santi fratelli di Tessalonica. La Scrittura e i libri liturgici vennero dai centri culturali religiosi degli slavi, che avevano accolto la lingua liturgica da essi introdotta.
Vladimiro, grazie alla sua saggezza e alla sua intuizione, mosso dalla sollecitudine per il bene della Chiesa e del popolo, accettò nella liturgia, in luogo del greco, la lingua paleoslava, “facendone uno strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano in tale lingua”. (“Slavorum Apostoli”, 12). Come ho scritto nella Epistola Enciclica “Slavorum Apostoli”, (cf. “Slavorum Apostoli”, 11-13), i santi Cirillo e Metodio, anche se consapevoli della superiorità culturale e teologica della eredità greco-bizantina che portavano con sé, ebbero tuttavia il coraggio, per il bene dei popoli slavi, di servirsi di un’altra lingua ed anche di un’altra cultura per l’annuncio della fede.
In tal modo la lingua paleoslava costituì nel Battesimo della Rus’ un importante strumento, anzitutto per la evangelizzazione e, in seguito, per l’originale sviluppo del futuro patrimonio culturale di quei popoli, sviluppo divenuto in molti settori una ricchezza della vita e della cultura dell’intero genere umano.
Bisogna, infatti, sottolineare con tutta fermezza, per fedeltà alla verità storica, che secondo la concezione dei due santi fratelli di Tessalonica, con la lingua slava si introdusse nella Rus’ lo stile della Chiesa bizantina, che a quel tempo era ancora in piena comunione con Roma. E questa tradizione in seguito è stata sviluppata in modo originale e forse irripetibile, in base alla cultura indigena ed anche grazie ai contatti con i vicini popoli di Occidente.
4. La pienezza del tempo per il Battesimo del popolo della Rus’ venne, dunque, alla fine del primo millennio, quando la Chiesa era indivisa. Dobbiamo ringraziare insieme il Signore per questo fatto, che rappresenta oggi un auspicio ed una speranza. Dio ha voluto che la madre Chiesa, visibilmente unita, accogliesse nel suo grembo, già ricco di Nazioni e di popoli, ed in un momento di espansione missionaria sia in Occidente sia in Oriente, questa sua nuova figlia, nata sulle rive del Dniepr. C’era la Chiesa di Oriente e c’era la Chiesa d’Occidente, ognuna sviluppatasi secondo proprie tradizioni teologiche, disciplinari liturgiche, con differenze anche notevoli, ma esisteva la piena comunione tra l’Oriente e l’Occidente, tra Roma e Costantinopoli, con relazioni reciproche.
Ed è stata la Chiesa indivisa di Oriente e di Occidente che ha ricevuto ed ha aiutato la Chiesa di Kiev. Già la principessa Olga aveva chiesto all’imperatore Ottone I, ed ottenuto nel 961, un Vescovo “qui ostenderet eis viam veritatis”, il monaco Adalberto di Treviri, il quale si recò effettivamente a Kiev, dove tuttavia il permanente paganesimo gli impedì di svolgere la sua missione. (La notizia è data da alcune fonti tedesche: così “Lamperti Monachi Hersfeldensis opera”, ed. O. Holter-Egger, 1894, p. 38). Il principe Vladimiro avvertì che c’era questa unità della Chiesa e dell’Europa, perciò intrattenne rapporti non solo con Costantinopoli, ma anche con l’ Occidente e con Roma, il cui Vescovo era riconosciuto come colui che presiedeva la comunione di tutta la Chiesa. Secondo la “Cronaca di Nikon”, vi sarebbero state legazioni tra VIadimiro ed i Papi del tempo: Giovanni XV (che gli avrebbe mandato in dono, proprio l’anno del Battesimo del 988, alcune reliquie di san Clemente papa, con chiaro riferimento alla missione dei santi Cirillo e Metodio, i quali da Cherson avevano portato a Roma quelle reliquie) e Silvestro II. (cf. la “Nikonoskaja Letopis” ad 6494, in “Polnoe sobranie russkich letopisej”, IX, Sti Petersburg 1862, p.57). Bruno di Querfurt, dallo stesso Silvestro II mandato a predicare col titolo di “archiepiscopus gentium”, verso il 1007 visitò Vladimiro, chiamato “rex Russorum” (cf. Petri Damiani “Vita beati Romualdi”, c. XXVII: PL 144, 978 , in “Fonti per la storia d’Italia”, 94, Roma, 1957, p. 58). Più tardi, anche il Papa san Gregorio VII diede il titolo regale ai principi di Kiev nella sua lettera del 17 aprile 1075, indirizzata a “Demetrio (Isjaslaw) regi Ruscorum et reginae uxori eius”, i quali avevano mandato il figlio, Jaropolk, in pellegrinaggio ad “limina Apostolorum”, ottenendo che il regno fosse posto sotto la protezione di san Pietro (cf. Gregorii VII Registrum, II, 74, ed. E. Caspar, in “Epistulae selectae in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis” separatim editae, t. II, ristampa 1955, pp.236-237). Merita di essere sottolineato questo riconoscimento, da parte di un Pontefice romano, della sovranità acquistata dal principato di VIadimiro, il quale grazie al Battesimo del 988 aveva consolidato anche politicamente il suo Stato, favorendone lo sviluppo e facilitando l’integrazione dei popoli abitanti entro i suoi confini di quel tempo e quelli successivi. Questo gesto profetico di entrare nella Chiesa e di introdurre il proprio principato nell’orbita delle Nazioni cristiane, gli portò il lodevole titolo di santo e di Padre delle Nazioni, che da quel principato trassero la loro origine.
Così Kiev, col Battesimo, divenne crocevia privilegiato di culture diverse, terreno di penetrazione religiosa anche dell’Occidente, come attesta il culto di alcuni santi venerati nella Chiesa latina, e, col decorrere del tempo, un importante centro di vita ecclesiale e di irradiazione missionaria con un vastissimo campo di influenza: verso Occidente fino ai monti Carpazi, dalle sponde meridionali del Dniepr sino a Novgorod e dalle rive settentrionali del Volga – come già detto – fino alle sponde dell’Oceano Pacifico ed oltre. In breve, attraverso il nuovo centro di vita ecclesiale, quale divenne Kiev dal momento in cui ricevette il Battesimo, il Vangelo e la grazia della fede raggiunsero quelle popolazioni e quelle terre che oggi sono legate al Patriarcato di Mosca, per quanto riguarda la Chiesa ortodossa, ed alla Chiesa cattolica ucraina, la cui piena comunione con la sede di Roma fu rinnovata a Brest.
III. Fede e cultura
5. Il Battesimo della Rus’ di Kiev segna, dunque, l’inizio di un lungo processo storico, in cui si sviluppa e si espande l’originale profilo bizantino-slavo del cristianesimo nella vita sia della Chiesa sia della società e delle Nazioni, che trovano in esso, lungo i secoli ed anche oggi, il fondamento della propria identità spirituale.
Nel corso successivo della storia, quando tempestose vicende colpirono ripetutamente e profondamente questa identità, proprio il Battesimo e la cultura cristiana – attinta dalla Chiesa universale e sviluppata in base alle innate ricchezze spirituali – divennero le forze che decisero della sua sopravvivenza.
Vladimiro ricevette il Battesimo aprendosi, insieme col suo popolo, alla potenza salvifica di Cristo, conformemente alle parole di Pietro riferite dagli Atti degli Apostoli: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12). Accogliendo questo nome, che è “al di sopra di ogni altro nome” ed invitando i missionari della Chiesa ad iscrivere questo nome nel cuore degli slavi della Rus’ di Kiev, perché “ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11), egli vedeva in esso anche un elemento decisivo per quel progresso civile ed umano, che tanta importanza riveste per l’esistenza e per lo sviluppo di ogni Nazione e di ogni Stato. Egli, perciò, si ricollegò alla decisione della nonna, sant’Olga, e diede forma definitiva e stabile alla di lei opera.
Il Battesimo di VIadimiro il Grande e, successivamente, del Paese da lui dipendente, ebbe una grande importanza per l’intero sviluppo spirituale di questa parte d’Europa e della Chiesa, come per tutta la cultura e la civiltà bizantino-slava.
L’accoglimento del Vangelo non equivaleva soltanto all’introduzione di un nuovo e prezioso elemento nella struttura di quella determinata cultura; era, piuttosto, l’immissione di un seme destinato a germogliare e a svilupparsi sulla terra, nella quale era stato gettato, e a trasformarla nella misura del proprio sviluppo, rendendola capace di generare nuovi frutti. Tale è la dinamica del Regno dei cieli: esso è simile “a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami” (Mt 13,31-32).
In tal modo il patrimonio spirituale della Chiesa bizantina, introdotto nella Rus’ di Kiev mediante la lingua slava, divenuta lingua liturgica, si arricchì via via sulla base del locale patrimonio culturale grazie ai contatti con i paesi cristiani limitrofi, e venne adeguandosi progressivamente ai bisogni e alla mentalità dei popoli abitanti di quel grande principato.
6. L’utilizzazione della lingua slava come strumento di trasmissione del messaggio di Cristo e di reciproca comprensione ebbe influssi positivi sulla stessa sua diffusione e sviluppo.
Essa ne trasse la spinta per una trasformazione dall’interno e per un progressivo nobilitarsi, divenendo lingua letteraria, e perciò uno dei più importanti fattori capaci di decidere della cultura di una Nazione, della sua identità e della sua forza spirituale. Sul territorio della Rus’ questo processo si è dimostrato quanto mai duraturo, ed ha portato frutti copiosissimi. Il cristianesimo in tal modo è venuto incontro alle aspirazioni degli uomini alla verità, al sapere e allo sviluppo autonomo sulla base dell’aspirazione evangelica e del dinamismo della rivelazione.
Grazie all’eredità cirillo-metodiana lì è avvenuto l’incontro dell’Oriente con l’Occidente, l’incontro dei valori ereditati con quelli nuovi. Gli elementi del retaggio cristiano sono penetrati nella vita e nella cultura di quelle Nazioni. Essi hanno offerto ispirazione alla creatività letteraria, filosofica, teologica ed artistica, dando luogo ad una forma del tutto originale della cultura europea, anzi della cultura semplicemente umana. Anche oggi la dimensione universale dei problemi degli individui e delle società, presentata dalla letteratura e dall’arte di quelle Nazioni, suscita nel mondo un’incessante ammirazione. Essa nasce e cresce dalla concezione cristiana della vita e trova in questa un punto fermo di riferimento quanto al modo di pensare e di parlare riguardo all’uomo, ai suoi problemi e al suo destino.
A questo comune patrimonio, a questo bene comune gli slavi orientali hanno portato durante i secoli il proprio contributo originale, specialmente riguardo alla vita spirituale e alla devozione loro proprie. A questo contributo la Chiesa di Roma riserva lo stesso rispetto ed amore che essa nutre per il ricco patrimonio di tutto l’Oriente cristiano. Gli slavi orientali hanno elaborato una storia, una spiritualità, tradizioni liturgiche ed usanze disciplinari loro proprie, in sintonia con la tradizione delle Chiese di Oriente, come pure alcune forme di riflessione teologica sulla verità rivelata che, mentre si diversificano da quelle in uso nell’Occidente, sono allo stesso tempo ad esse complementari.
7. Tale realtà è attentamente considerata dal Concilio Vaticano II. Il decreto sull’ecumenismo, infatti, afferma tra l’altro: “Non si deve parimenti dimenticare che le Chiese d’Oriente hanno fin dall’origine un tesoro, dal quale la Chiesa d’Occidente ha preso molte cose nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell’ordine giuridico” (“Unitatis Redintegratio”, 14). E stimolanti spunti di riflessione sono pure offerti da quanto il Decreto conciliare afferma circa la ricchezza della liturgia e della tradizione spirituale della Chiesa di Oriente: “È pure noto a tutti con quanto amore i cristiani d’Oriente celebrino la sacra liturgia, specialmente quella eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura, con la quale i fedeli uniti col Vescovo hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità, fatti “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4). Perciò con la celebrazione dell’Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, e con la concelebrazione si manifesta la loro comunione” (“Unitatis Redintegratio”, 15).
Inoltre, le tradizioni teologiche dei cristiani d’Oriente sono “eccellentemente radicate nella Sacra Scrittura, sono coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori ascetici Orientali e tendono ad una retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità cristiana” (“Unitatis Redintegratio”, 17).
La spiritualità degli slavi orientali, che è una particolare testimonianza della fecondità dell’incontro dello spirito umano con i misteri cristiani, non cessa di esercitare un influsso salutare sulla coscienza della Chiesa intera. Degna di particolare menzione è la loro caratteristica devozione per la passione di Cristo, la sensibilità per il mistero della sofferenza collegata con l’efficacia redentrice della croce. Forse all’affermarsi di tale spiritualità non fu estraneo il ricordo della morte innocente di Boris e di Gleb, figli di Vladimiro, uccisi dal loro fratello Svjatopolk (cf. “Acta Sanctorum”, sept. 2, Venetis 1756, pp.633-644).
Questa spiritualità trova la sua più completa espressione nella lode resa al “dolcissimo” (“sladcajsi”) nostro Signore Gesù Cristo nel mistero della sofferenza e della “kenosi”, che egli ha fatto sue nell’incarnazione e nella morte in croce (cf. Fil 2,5-8). Allo stesso tempo, però, essa s’illumina, nella liturgia, della luce del Cristo risorto, anticipata in qualche misura dallo splendore della trasfigurazione sul monte Tabor, manifestata pienamente nella gloria del giorno della risurrezione (“voskresienie”), rivelata al mondo dallo Spirito disceso sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco nella Pentecoste. Tale esperienza diventa incessantemente porzione di coloro che ricevono il Battesimo. Come non menzionare, in questo contesto, i cristiani che sono vissuti e vivono in tutte quelle regioni, i quali nella morte e risurrezione di Cristo hanno tante volte trovato, nel corso di questi mille anni, forza e sostegno per offrire la loro testimonianza di fedeltà al Vangelo non solo con la quotidiana coerenza della vita, ma anche con le sofferenze coraggiosamente affrontate non di rado fino alla prova suprema del sangue?
Questa forma della “kenosi” di Cristo, nella concezione della Chiesa di Kiev, si è impressa profondamente nel cuore degli slavi orientali, è stata ed è per loro fonte di grande forza nelle molteplici contrarietà che sono insorte sul loro cammino.
8. Nell’opera di consolidamento della Chiesa e di “inculturazione” del cristianesimo tra gli slavi orientali – come, del resto, in tutta la Chiesa di Oriente – è stato inestimabile l’influsso della vita monastica. Kiev si è distinta relativamente presto con la famosa “Pecerskaja Lavra” (Monastero delle Grotte), fondata dai santi Altonio (+ 1073) e Teodosio (+ 1074).
Non a caso, dunque, il monaco, specialmente il cosiddetto “starec” (anziano), era considerato guida spirituale sia dai grandi scrittori russi che dai semplici contadini. I monasteri divennero centri di vita liturgica, spirituale, sociale e persino economica. I sovrani si rivolgevano ai monaci come a consiglieri, giudici, diplomatici e maestri.
Le parole “culto” e “cultura” hanno la stessa radice. Anche tra gli slavi d’Oriente il culto cristiano ha suscitato uno straordinario sviluppo della cultura in tutte le sue forme.
L’arte religiosa risulta pervasa da profonda spiritualità e da alta ispirazione mistica. Chi nel mondo non conosce oggi le famose e venerate icone delle Chiese orientali, le magnifiche Cattedrali di santa Sofia a Kiev e a Novgorod risalenti all’XI secolo, le chiese e i monasteri così caratteristici nel paesaggio di quelle terre? La letteratura di Kiev è in grandissima parte religiosa. I nuovi inni e canti ecclesiali sono quasi un’emanazione delle forme native della tradizione musicale. Né deve essere dimenticato che le prime scuole nella Rus’ sono sorte proprio nell’XI secolo. Tutto questo, sia pur menzionato in modo così breve, costituisce un’incancellabile testimonianza della straordinaria fioritura religiosa e culturale, generata dal Battesimo della Rus’ di Kiev.
Quanto pertinente appare, dunque, l’osservazione del Concilio Vaticano II: “La Chiesa… nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce ed accoglie tutta la dovizia di capacità e consuetudini dei popoli, in quanto sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva” (“Lumen Gentium”, 13).
IV. Verso la piena comunione
9. Il Battesimo della Rus’ si compì – come ho già rilevato – in un tempo in cui erano ormai sviluppate le due forme del cristianesimo: l’orientale, collegata con Bisanzio e l’occidentale, collegata con Roma, mentre la Chiesa continuava a rimanere una e indivisa. Questa considerazione, in noi che celebriamo il millennio del Battesimo ricevuto dai popoli orientali slavi a Kiev, non può non accendere ancor maggiormente il desiderio della piena comunione in Cristo di queste Chiese sorelle e spingerci a intraprendere nuove ricerche e a fare nuovi passi per favorirla. Questo anniversario non è soltanto un ricordo storico e un’occasione per preparare elaborazioni scientifiche e per fare bilanci, ma è anche, e soprattutto, un incentivo per volgere la nostra sensibilità pastorale ed ecumenica dal passato verso l’avvenire, per rafforzare la nostra nostalgia dell’unità ed intensificare la nostra preghiera.
Sì, ambedue le Chiese, la Cattolica e l’Ortodossa, oggi più che mai decise a ritrovare, nonostante le difficoltà nate da secolari malintesi, la comunione intorno alla mensa eucaristica, guardano con particolare attenzione e speranza, in questo millennio, a tutti i figli e le figlie spirituali di san Vladimiro.
D’altra parte, il graduale ritorno all’armonia tra Roma e Costantinopoli, come pure fra le Chiese che rimangono in piena comunione con questi centri – e come non pensare ai molteplici incontri bilaterali così ricchi di suggestioni per la densità dello scambio dei rispettivi doni spirituali, nutriti da tradizioni cosi diverse e feconde? – non potrà che influire positivamente, in particolar modo oggi, sugli eredi ortodossi e cattolici del Battesimo di Kiev. E forse il ricordo di tale evento, che sta all’origine della loro vita nuova nello Spirito Santo, contribuirà ad affrettare, con l’aiuto di Dio, l’ora del “bacio di pace”, scambiato reciprocamente come frutto di una decisione matura, nata nella libertà e nella buona volontà dallo spirito originario che animava la Chiesa indivisa, segnata dal genio cristiano dei santi Cirillo e Metodio. Quale vantaggio costituirebbe per l’intero Popolo di Dio, se gli eredi ortodossi e cattolici del Battesimo di Kiev, scossi dalla rinnovata coscienza della comunione iniziale, sapessero raccoglierne la sfida e ripetere ai cristiani del nostro tempo il messaggio ecumenico che ne promana, sollecitandoli ad accelerare il passo verso la meta della piena unità, voluta da Cristo! Ciò, oltretutto, eserciterebbe un benefico influsso anche in quel processo di distensione nel campo civile, che tante speranze suscita in quanti operano per la convivenza pacifica nel mondo.
10. La dimensione universale e quella particolare costituiscono due sorgenti coessenziali nella vita della Chiesa: la comunione e la diversità, la tradizione e i tempi nuovi, le antiche terre cristiane e i nuovi popoli che approdano alla fede. La Chiesa è riuscita ad essere una e insieme differenziata. Accettando l’unità come primo principio (cf. Gv 17,21s.), essa è stata pluriforme nelle singole parti del mondo. Ciò vale in modo peculiare per la Chiesa occidentale e per quella orientale prima della reciproca progressiva estraniazione. In rapporto a quel periodo, il Concilio Vaticano II osserva: “Le Chiese d’Oriente e d’Occidente hanno seguito per molti secoli una propria via, unite però dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale sotto la direzione della Sede romana di comune consenso accettata, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina” (“Unitatis Redintegratio”, 14).
Ed anche quando la piena comunione fu infranta, ambedue le Chiese conservarono fondamentalmente integro il deposito della fede apostolica. L’universalità e la pluriformità non hanno cessato, malgrado la tensione esistente, di scambiarsi a vicenda doni inestimabili.
Consapevole di tale realtà, il Concilio Vaticano II ha aperto, in materia di ecumenismo, una fase nuova, che sta arrecando frutti promettenti. Il decreto conciliare sull’ecumenismo, già citato più volte, è espressione della stima e dell’amore che la Chiesa cattolica nutre per la ricca eredità dell’oriente cristiano, del quale mette in rilievo l’originalità, la diversità e, nello stesso tempo, la legittimità. Esso dice tra l’altro: “Fin dai primi tempi le Chiese d’Oriente seguivano discipline proprie, sancite dai santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. E siccome una certa diversità di usi e consuetudini, sopra ricordata, non si oppone minimamente all’unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento della sua missione, il sacro Concilio, onde togliere ogni dubbio, dichiara che le Chiese d’Oriente, memori della necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline, come più consone all’indole dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle anime” (Unitatis Redintegratio”, 16).
Dal decreto risulta chiaramente la caratteristica autonomia disciplinare, di cui godono le Chiese orientali: essa non è conseguenza di privilegi concessi dalla Chiesa di Roma, ma della legge stessa che tali Chiese possiedono sin dai tempi apostolici.
11. Nell’ora del dialogo, che si sta sviluppando ed è in costante progresso, fra le Chiese e le comunità ecclesiali di fronte al solenne Millennio del Battesimo della Rus’ – un fatto che ci rimanda con tanta nostalgia alla Chiesa indivisa, comprendente tutte le Chiese particolari sia dell’Oriente che dell’Occidente, ed alla fervida preghiera di Cristo nel cenacolo per l’unità di tutti i credenti (cf. Gv 17,20) -, dobbiamo ricordare che la piena comunione è un dono e non sarà soltanto frutto degli sforzi e desideri puramente umani, benché questi siano indispensabili e condizionino tante cose.
Il peccato è entrato nel mondo a causa dell’uomo, ma “la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza in tutti gli uomini” (cf. Rm 5,12.15). L’assiduità “nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera” (At 2,42), è un dono di Dio, perché è un nuovo modo di esistere dell’uomo. È un pieno “essere insieme” nella Santissima Trinità. La prima sorgente di tale comunione è la grazia del Battesimo: mediante il Battesimo noi entriamo nell’unità della Chiesa disseminata in tutto il mondo, nell’unità voluta e fondata da Cristo, la quale, malgrado le differenze e le difficoltà, è rimasta sostanzialmente in vigore nell’arco dei primi dieci secoli; entriamo in quell’unità, di cui ci parla oggi il Battesimo della Rus’. Che tutti i cristiani ritornino ad essa e diventino una comunità di uomini i quali, rimanendo in piena comunione con Cristo, offrono questa loro ricchezza a tutti i membri dell’intera umanità. Questo chiediamo allo Spirito Santo, datore dei doni innumerevoli, grazie ai quali le singole persone e le comunità umane entrano in comunione con Cristo. In lui, nello Spirito Santo, la vita della Chiesa raggiunge profondità e dimensioni inaspettate. Il sentire e vivere la presenza del Paraclito e dei suoi doni è peculiare caratteristica della tradizione orientale, la cui profonda dottrina pneumatologica costituisce una ricchezza preziosa per tutta la Chiesa.
È in questa luce che vediamo svilupparsi i multiformi, diversificati e fruttuosi contatti nei quali ha trovato espressione, in questo periodo post-conciliare, il nostro comune impegno di attiva obbedienza alla volontà di Dio percepita nel suo Spirito.
La ricca esperienza della piena comunione, vissuta nel primo millennio, ma dimenticata durante tanti secoli da ambedue le parti, sia per noi e per i nostri sforzi ecumenici una luce, un incoraggiamento e un costante punto di riferimento.
V. L’unità della Chiesa e l’unità del continente europeo
12. Percorrendo la via dell’ecumenismo, la Chiesa cattolica fissa lo sguardo sulla missione dei santi fratelli di Tessalonica, come ho detto nella epistola enciclica “Slavorum Apostoli”.
Significativo nella loro missione è un particolare “profetismo ecumenico”, benché tutti e due abbiano operato nel periodo in cui la cristianità era indivisa. La loro missione ebbe inizio in Oriente, ma i suoi sviluppi permisero di mettere in rilievo il legame e l’unità con Roma, con la Sede di Pietro. La loro intuizione apostolica della “koinonia”, nella Chiesa è oggi intesa sempre più profondamente, in questa epoca di crescente nostalgia per l’unità di tutti i cristiani e per il dialogo ecumenico. Essi hanno presentito che le nuove Chiese dovevano – dinanzi alle differenze e alle discussioni sempre più accentuate – salvare e rafforzare la piena e visibile comunione dell’unica Chiesa di Cristo. Infatti queste nascevano sul terreno dell’originalità propria dei vari popoli e delle rispettive aree culturali, ma dovevano nello stesso tempo conservare fra loro l’unità essenziale, in conformità con la volontà del divino fondatore. Per questo la Chiesa, nata dalla missione dei santi Cirillo e Metodio, avrebbe portato come iscritto in se stessa uno speciale sigillo di quella vocazione ecumenica, che i due santi fratelli avevano così intensamente vissuto. Nello stesso spirito nasceva anche – come ho già detto – la Chiesa di Kiev.
Quasi all’inizio del mio pontificato, nell’anno 1980, ebbi la gioia di proclamare i santi Cirillo e Metodio patroni d’Europa, accanto a san Benedetto.
L’Europa è cristiana nelle sue stesse radici. Le due forme della grande tradizione della Chiesa, l’occidentale e l’orientale, le due forme di cultura si integrano reciprocamente come i due “polmoni” di un solo organismo (cf. “Redemptoris Mater”, 24). Tale è l’eloquenza del passato; tale è l’eredità dei popoli che vivono nel nostro continente. Si potrebbe dire che le due correnti, l’orientale e l’occidentale, sono diventate simultaneamente le prime grandi forme dell’inculturazione della fede, nell’ambito delle quali l’unica e indivisa pienezza, affidata da Cristo alla Chiesa, ha trovato la sua espressione storica. Nelle diverse culture delle nazioni europee, sia in Oriente sia in Occidente, nella musica, nella letteratura, nelle arti figurative e nell’architettura, come anche nei modi di pensare, scorre una comune linfa attinta ad un’unica fonte.
13. Al tempo stesso tale eredità diventa, in questo scorcio del XX secolo, una sfida particolarmente pressante all’unità dei cristiani. Una sincera aspirazione all’unità è presente oggi negli animi, quale presupposto di quella convivenza pacifica tra i popoli, in cui sta il bene di tutti. È un’aspirazione che muove la coscienza dei cittadini, compenetra la politica e l’economia. I cristiani devono essere consapevoli delle sorgenti religiose e morali di tale sfida: Cristo “è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,14). Dio “ci ha riconciliati con sé mediante Cristo ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2Cor 5,18). Questa realtà, quest’opera di Cristo ha oggi un suo particolare riflesso nella viva nostalgia dell’umanità per l’unità e la fraternità universale. Il desiderio dell’unità e della pace, del superamento delle diverse barriere e della composizione dei contrasti – così come il richiamo stesso del passato dell’Europa – diventa un segno stimolante dei nostri tempi.
Non esiste vera pace, se non sulla base di un processo di unificazione nel quale ogni popolo possa scegliere, nella libertà e nella verità, le vie del proprio sviluppo. D’altra parte, un tale processo è impossibile, se manca un accordo circa l’unità originaria e fondamentale, che si manifesta in diverse forme non antagoniste ma complementari, le quali hanno bisogno l’una dell’altra e si cercano reciprocamente. Perciò, siamo profondamente convinti che la via verso la vera pace può essere raddrizzata in modo incomparabile nelle menti, nei cuori e nelle coscienze umane, mediante la presenza e il servizio di quel segno di pace che è – per sua natura – la Chiesa obbediente a Cristo e fedele alla sua vocazione.
Esprimiamo piena fiducia in tutti gli sforzi umani, che mirano a togliere di mezzo le occasioni di tensioni e di conflitti mediante la via pacifica del dialogo paziente, degli accordi, della comprensione e del rispetto reciproci.
È vocazione dell’Europa, nata su fondamenti cristiani, una particolare sollecitudine per la pace nel mondo intero. In molte zone del mondo la pace manca, oppure è gravemente minacciata. È necessaria, perciò, una costante e concorde cooperazione del continente europeo con tutte le nazioni in favore della pace e del bene, al quale ogni uomo e ogni comunità umana hanno un sacrosanto diritto.
VI. Uniti nella gioia del millenio con Maria Madre di Gesù
14. I misteri e gli avvenimenti brevemente ricordati nella presente lettera, visti e meditati alla luce delle indicazioni del Concilio Vaticano II e nella prospettiva storica del Millennio, diventano per noi una sorgente di gioia e di consolazione nello Spirito Santo.
Tenendo conto dell’importanza del Battesimo della Rus’ di Kiev nella storia dell’evangelizzazione e della cultura umana, ben si comprende come io abbia desiderato richiamare su di esso l’attenzione dell’intera Chiesa cattolica, invitando tutti i fedeli a comune preghiera. La Chiesa di Roma, costruita sul fondamento della fede apostolica di Pietro e di Paolo, si rallegra di questo Millennio e di tutti i frutti maturati nel corso delle generazioni: i frutti della fede e della vita, dell’unione e della testimonianza fino alla persecuzione e al martirio in conformità con l’annuncio di Cristo stesso. La nostra partecipazione spirituale alle solennità del Millennio si riferisce all’intero Popolo di Dio: fedeli e pastori, che vivono ed operano in quelle terre santificate mille anni or sono dal lavacro battesimale. Nella gioia di questa festa ci uniamo a tutti coloro che nel Battesimo, ricevuto dai loro antenati, riconoscono la sorgente della propria identità religiosa, culturale e nazionale; ci uniamo a tutti gli eredi di questo Battesimo, a prescindere dalla confessione religiosa, dalla nazionalità e dal luogo di abitazione; a tutti i fratelli e le sorelle ortodossi e cattolici. In particolare, ci uniamo a tutti i diletti figli e figlie delle nazioni russa, ucraina, bielorussa: a quelli che vivono nella loro patria, come anche a quelli che risiedono in America, in Europa occidentale e in altre parti del mondo.
15. In maniera speciale questa è certo la festa della Chiesa ortodossa russa, avente il suo centro a Mosca e che noi chiamiamo con gioia “Chiesa sorella”. Proprio essa ha assunto in gran parte l’eredità dell’antica Rus’ cristiana, legandosi e rimanendo fedele alla Chiesa di Costantinopoli. Questa Chiesa, così come le altre Chiese ortodosse, ha veri sacramenti, segnatamente – in virtù della successione apostolica – l’Eucarestia e il Sacerdozio, grazie ai quali rimane unita alla Chiesa cattolica con legami strettissimi (cf. “Unitatis Redintegratio”, 15). E insieme con le Chiese menzionate essa intraprende intensi sforzi per “conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni, che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali” (“Unitatis Redintegratio”, 14).
In questo solenne momento storico la comunità cattolica partecipa alla preghiera e alla meditazione sulle “grandi opere di Dio” (cf. At 2,11) ed invia alla millenaria Chiesa sorella, mediante il Vescovo di Roma, il bacio di pace, come manifestazione dell’ardente desiderio di quella perfetta comunione che è voluta da Cristo ed è iscritta nella natura della Chiesa.
Le celebrazioni millenarie di tutti gli eredi del Battesimo di Vladimiro e la nostra partecipazione, che nasce da un bisogno del cuore, alla loro gioia e al loro ringraziamento, porteranno a tutti – è nostra profonda convinzione – una luce nuova, capace di penetrare le tenebre del difficile, secolare passato: la luce stessa, che sempre di nuovo nasce e giunge a noi dal mistero pasquale, dal mattino della Pasqua e della Pentecoste.
16. Una speciale espressione della nostra unione e partecipazione al Millennio del Battesimo della Rus’, come anche dell’ardente desiderio di arrivare alla piena e perfetta comunione con le Chiese sorelle orientali, è costituita dalla proclamazione stessa dell’anno mariano, come è esplicitamente detto nell’enciclica “Redemptoris Mater”: “Anche se ancora sperimentiamo i dolorosi effetti della separazione, avvenuta più tardi…, possiamo dire che davanti alla Madre di Cristo ci sentiamo veri fratelli e sorelle nell’ambito di quel popolo messianico, chiamato ad essere un’unica famiglia di Dio sulla terra” (“Redemptoris Mater”, 50).
Il Verbo incarnato, da lei dato alla luce, rimane per sempre nel suo cuore, come ben manifesta la famosa icona “Znamenie”, la quale presenta la Vergine orante col Verbo di Dio inciso sul cuore. La preghiera di Maria attinge in modo singolare alla potenza stessa di Dio: essa è un aiuto e una forza di ordine superiore per la salvezza dei cristiani. “Perché, dunque, non guardare a lei tutti insieme come alla nostra Madre comune, che prega per l’unità della famiglia di Dio e che tutti “precede” alla testa del lungo corteo dei testimoni della fede nell’unico Signore, il Figlio di Dio, concepito nel suo seno verginale per opera dello Spirito Santo?” (“Redemptoris Mater”, 30).
Ai nostri fratelli e sorelle nella fede auguriamo che il patrimonio del Vangelo della croce, della Risurrezione e della Pentecoste non cessi di essere “via, verità e vita” (cf. Gv 14,6) per tutte le generazioni future.
Eleviamo per questo con tutto il cuore la nostra preghiera alla Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 gennaio – nella festa della conversione di san Paolo – dell’anno 1988, decimo di pontificato.