…COLPE CONTRO LA PUREZZA. Nell’ambito della vita coniugale. Fuori dell’ambito della vita coniugale. Altre specificazioni. Masturbazione, omosessualità, rapporti prematrimoniali, deviazioni extra-coniugali. Sacrilegio, incesto, ratto, stupro, ecc. COLPE INDIRETTE E LUSSURIA LARVATA. LE OFFESE AL PUDORE. a) Scritti e letture. b) L’impudicizia del vestito. c) Il ballo….
Trattato di Teologia morale
PARTE II.
DOVERI DELL’UOMO VERSO SE STESSO
3. RISPETTO DELLA VITA SESSUALE
I. I DUE SESSI NEI DISEGNI DI DIO (II)
V. COLPE CONTRO LA PUREZZA
Tutto ciò che non è effettivamente ordinato o non è obiettivamente ordinabile ai fini stabiliti da Dio per l’unione dei due sessi, costituisce una violazione sostanziale dell’ordine ed è quindi peccato. Trattandosi, d’altra parte, di ordine essenziale per l’uomo, oggettivamente e intrinsecamente il peccato è grave, perché direttamente ed essenzialmente opposto alla carità.
L’ordine può essere violato sia nell’ambito della vita coniugale od in contrasto con i suoi diritti e le sue leggi, o al di fuori di essa.
1. Nell’ambito della vita coniugale costituiscono colpa oggettivamente grave tutte le pratiche anticoncezionali comunemente dette malthusiane o meglio neo-malthusiane (424) qualunque sia il mezzo o il modo usato per rendere sterile l’unione. La loro diretta opposizione al fine procreativo del matrimonio le rende intrinsecamente illecite e quindi incapaci di essere giustificate, qualunque sia il motivo che le suggerisca.
Quanto poi al coniuge innocente, il quale non di rado “soffre piuttosto il peccato che esserne causa”, egli non commette colpa, se per ragione veramente grave, permette la perversione dell’ordine dovuto, purché l’atto non sia fin dal principio intrinsecamente corrotto, ma ripeta la sua malizia dalla successiva frode dell’altro coniuge, e purché memore anche in tal caso delle leggi della carità, non trascuri di dissuadere il coniuge dal peccato ed allontanarlo da esso.
Qualunque esperienza extra-coniugale con altra persona da parte di uno dei due coniugi, anche se incompleta, è colpa grave e costituisce il peccato specifico di adulterio (425). E siccome non può considerarsi estraneo al matrimonio ossia alla mutua traditio l’affetto, che anzi esso ne è l’elemento spirituale ed in certo senso principe, la fedeltà coniugale può essere tradita anche solo spiritualmente, mediante relazioni affettive di ordine sessuale con altre persone (adulterio spirituale).
Oltre a queste colpe altri disordini possono contaminare la vita matrimoniale, Può darsi tuttavia che non sempre l’ordine stabilito da Dio sia sostanzialmente violato, ma che il disordine sia solo accidentale e, quindi, veniale.
2. Fuori dell’ambito della vita coniugale: qualunque colpa diretta e volontaria di impurità, in questo caso, è oggettivamente grave. Le ragioni di siffatta gravità (ex toto genere suo, come dicono i teologi) sono diversamente spiegate dai vari autori (426). Alcuni intendono dedurla dal pericolo che deriverebbe alla virtù da una valutazione meno rigida, essendo assai difficile fermarsi sulla china; altri ricorrono ad altri motivi.
A noi sembra che il vero motivo di detta gravità vada ricercato nell’intrinseca e sostanziale corruzione e inversione dell’ordine da Dio stabilito, che ritrovasi in qualsiasi esperienza venerea extra-coniugale, essendo tale sforzo di attività orientato esclusivamente al matrimonio. Ciò spiega perché, mentre nell’ambito della vita coniugale, ove sia rispettato l’ordine essenziale voluto da Dio, può esservi corruzione accidentale del medesimo, per la carenza di una delle varie qualità richieste per la completa moralità dell’atto umano, al di fuori di quell’ambito non è possibile avere parvità di materia.
Qualunque altra ragione o sa di estrinsecismo, o non è applicabile a tutti i casi, o per lo meno non si dimostra cogente. Così, ove ci si arresti alla ragione di pericolo, si può al più arrivare ad una presunzione di universalità e perpetuità, ma tale presunzione dovrà necessariamente cadere dinanzi alla verità.
Tuttavia perché si applichi il sopra esposto principio, si richiede, dal punto di vista obiettivo, che si tratti di colpe di impurità, e dal punto di vista soggettivo, che esse siano dirette.
I moralisti infatti, oltre alle colpe di impurità, riconoscono, come distinte, anche quelle di sensualità (427). Sebbene non sia facile definire cosa essa sia e quali i suoi limiti, può dirsi, in maniera generica, che essa stia ai margini della sfera propriamente venerea, e che la stessa indefinibilità ed elasticità del suo contenuto sia dovuta proprio a questo. Essa, in fondo, dipende dall’unità del composto umano e dalla connessione esistente fra le varie sensazioni.
Si comprende, pertanto, perché in tale sfera si possa dare una più larga graduazione nella misura della colpa, sì da incidere sulla stessa specie teologica a seconda della maggiore o minore prossimità con le esperienze strettamente veneree.
Parimenti quando tali esperienze non siano direttamente volontarie ma, solo indirettamente imputabili, le colpe varieranno di grado e di specie, in conformità ai principi che regolano tale forma di causalità.
Infine, come per qualsiasi altra specie di peccato, anche là dove non c’è parvità di materia, può esservi imperfezione soggettiva di atto, che renda la colpa non pienamente imputabile, e quindi veniale.
3.Altre specificazioni. La violazione dell’ordine fissato da Dio per l’incontro dei due sessi ed il connesso uso delle facoltà a ciò ordinate può verificarsi in forme specificamente diverse.
Così secondo una classificazione generale le colpe che, pur corrompendo l’ordine, seguono tuttavia la linea dell’istinto (peccati secondo natura) si distinguono specificamente – e se ne comprende facilmente la ragione – dai peccati nei quali tale linea non è seguita a causa dell’inversione o della perversione dell’istinto stesso (peccati contro natura). Alla seconda categoria appartengono il vizio solitario (autoerotismo, masturbazione), l’omosessualità, la bestialità ed altri eccessi (428). Alla prima la fornicazione.
4. Oggi, spesso e con tenace insistenza si suole mettere in dubbio la costante dottrina cattolica circa la malizia grave della masturbazione, della omosessualità, dei rapporti prematrimoniali, nonché di alcune deviazioni extra-coniugali,
a) Secondo non pochi autori i dati sociologici e psicologici dimostrerebbero che la masturbazione, specialmente giovanile, sarebbe un fenomeno, del tutto normale nell’evoluzione fisica e psichica dell’uomo e molte cause sia conscie che inconscie diminuirebbero sostanzialmente la capacità di una decisione profondamente intesa e responsabile. La vera malizia grave si avrebbe soltanto quando ed in quanto provenga da narcisismo egoistico, perché allora (e allora soltanto) si avrebbe l’opposizione alla finalità della sessualità, che è comunicazione amorosa tra persone di diverso sesso.
Quest’opinione contraddice alla dottrina costante della Chiesa, che sempre (anche se a volte con argomenti filosofici non del tutto concludenti a dovere, ma sempre migliorantesi nel decorso dei tempi), senza esitazione e quasi intuitivamente, ha ritenuto la malizia grave della masturbazione, per la ragione che in essa manca del tutto l’amplesso amoroso ordinato alla procreazione di persone unite in matrimonio (429).
Nella Sacra Scrittura non si trova forse esplicitamente condannata la masturbazione; ma implicitamente viene deplorata nella generale riprovazione di ogni attività sessuale fuori del matrimonio, che S. Paolo indica come unica forma per condurre ordinariamente una vita sessuale (1 Cor 7, 1 ss). I dati sociologici e psicologici valgono ad indicare la frequenza di questo disordine secondo i tempi, i luoghi e le persone, ma non costituiscono una norma decisiva per giudicare della moralità dei fatti, attesa, soprattutto, la debolezza umana a causa del peccato originale.
È vero che questo disordine, oggettivamente grave, per immaturità, inibizioni, squilibri psichici ed altre cause interne ed esterne viene spesso commesso, senza che vi sia una decisione personale pienamente responsabile e perciò soggettivamente non si ha il peccato grave. Questa costatazione, però, non può essere presa come norma generale, ma è da ammettere, anzi, la sostanziale libertà e responsabilità dell’uomo finché non si dimostri il contrario.
Il giudizio completo va formato da tutto il modo di agire, non solo quanto a carità e giustizia, ma anche quanto al particolare precetto, se cioè vengono dal soggetto adoperati i rimedi naturali e soprannaturali che, con secolare esperienza, l’ascesi insegna.
b) II disgiungere l’ordinamento procreativo da ogni e singolo atto coniugale, che ha condotto molti a parlare della liceità della contraccezione, ha avuto come conseguenza anche di ribaltare del tutto la tradizionale dottrina della Chiesa circa l’omosessualità, che giustamente, al lume della psichiatria più seriamente scientifica distingue tra tendenze cogenti e viziosamente acquisite.
Gli omosessuali (ritengono questi autori) per loro indole sono così costituiti, per esistenziale inclinazione, che, al di fuori della loro volontà, sono attratti solo dal loro sesso. E questa tendenza è da ritenere in loro come immutabile e connaturale. E perciò (concludono) per tali persone l’omosessualità determina la norma propria di moralità alla stessa maniera che per altri è la eterosessualità.
c) Sempre la distinzione fatta tra il significato e l’ordinamento unitivo a quello procreativo nei singoli atti sessuali ha indotto coloro che insistono solamente nel valore unitivo dell’intercomunione amorosa a dichiarare leciti, almeno in alcune circostanze, i rapporti prematrimoniali fatti tra due giovani che intendono sposarsi ed abbiano già l’affetto coniugale. Ciò può avvenire, ad es., quando la celebrazione del matrimonio viene impedita per colpa altrui oppure quando queste intimità siano necessarie per conservare inalterato l’amore tra i due.
Contro tale tesi è da riaffermare che l’amore tra fidanzati, anche se maturo e ordinato al matrimonio, finché non diventa amore coniugale col contratto matrimoniale o col sacramento, è privo della base necessaria a che le intimità coniugali siano degne della dignità umana e della finalità dell’attività sessuale.
Tutte, infatti, e singole le attuazioni sessuali debbono contenere l’ordinamento alla procreazione e all’educazione veramente umana della prole; e questa trova la possibilità di sicura attuazione solo nel matrimonio stabile e non in una mera promessa di matrimonio.
L’opinione contraria viene contraddetta in vari luoghi della S. Scrittura, oltre nei testi della Genesi (Gen 1, 27-38. 2, 24). Si leggano i brani del libro di Tobia (4, 13; 8, 4-10) ed alcuni della I lettera di S. Paolo ai Corinti (6, 13 ss; 7, 8-9, 27-28).
Viene anche contraddetta dall’insegnamento continuo teorico e pratico della Chiesa (430).
Dal punto di vista scientifico, va inoltre osservato che è stato assodato che la unione fisica prematrimoniale finisce per bloccare l’ascesa dell’amore ai suoi livelli più alti di totale fusione.
Le manifestazioni di intimità di tipo coniugale, avulse da quel contesto di tempo e di spazio, proprio della fusione di due esistenze, rappresentano infatti una espressione incoerente, che tende a far prevalere il culto dell’attimo e del piacere. L’incontro fisico, inoltre, fuori del suo contesto di pienezza, esalta i suoi significati meno preziosi e altera le sue migliori valenze, provocando blocchi di tipo regressivo nel processo di crescita dell’amore.
Contro il ricorso al rapporto prematrimoniale si oppone, poi, anche una ragione di carattere sociale.
Il gesto sessuale crea, per sua struttura, un mutuo vincolo di appartenenza oggettiva e da vita ad un centro di interessi e di rapporti sostanzialmente comunitari. Da quel momento si costituisce nel corpo sociale una nuova cellula con diritti e doveri reciproci.
È compito della comunità prima che un nuovo nucleo familiare si costituisca, verificare che tutti i. requisiti per la sua legittima costituzione siano presenti, annunciare a tutti i cittadini che i due intendono sposarsi e dichiarare infine che il nuovo nucleo è venuto a far parte della società.
Di conseguenza l’atto sessuale prima del matrimonio, per quanto possa sembrare espressione di intenso amore e di intesa personale, è fuori di ogni diritto, perché è fuori dal contesto che lo perfeziona, in quanto non si sono verificate le condizioni della costituzione legittima del nuovo nucleo sociale.
A giustificazione dell’atto sessuale preconiugale si portano in genere dai fidanzati due motivazioni: quella di considerare il rapporto intimo come una ” prova d’amore ” e l’altra di voler sperimentare una certa intesa di tipo coniugale.
Nel primo caso il dono del proprio corpo non costituisce più ” prova d’amore ” e, se l’amore è autentico e reciproco, non c’è bisogno di avere una controprova di affetto, usando come strumento di prova un atto che, di fronte ai valori di fusione e di piena accettazione già raggiunti, è certamente il meno ” probante “; se poi con l’espressione ” prova d’amore ” si intende dare come un ” pegno ” della futura unione, allora l’espressione fisica dell’amore assume un degradante aspetto di venalità, oltre a compromettere la libertà di una ulteriore scelta. D’altra parte, un autentico amore non richiede caparre.
Nel secondo caso, una vera esperienza coniugale è impossibile, in quanto di coniugale non vi è che il rapporto fisico.
Oggi certamente si impone un approfondimento intorno al. Significato della sessualità umana e il giovane va aiutato a conoscersi nelle sue componenti umane e ad indirizzarsi costantemente verso le costruzioni più formative ed equilibratrici dell’amore.
Il divieto dei rapporti intimi prematrimoniali non è un ” no ” all’amore e alla piena fusione di due personalità; ma è solo esigenza di contenimento dell’amore nelle sue condizioni migliori finché raggiunga la sua forma perfetta che è esigenza di convivenza organizzata (431).
d) Si insegna ancora oggi che è da considerarsi lecita l’attività sessuale in alcune unioni stabili di fatto, per quanto adulterine, tra coniugi, uno dei quali o ambedue siano legati da precedente matrimonio, naufragato irrimediabilmente.
Queste unioni irreversibili, specie quando vi siano già dei figli nati dalla nuova unione o vi sia vincolo civile, possono creare un rapporto di animi veramente coniugale. E ciò darebbe diritto anche ad un’attività sessuale coniugale, in quanto necessaria per conservare l’armonia ed il reciproco aiuto in ogni senso.
Questa opinione si oppone del tutto alla dottrina della chiesa sulla illiceità del divorzio e l’invalidità del secondo matrimonio, finché viva il primo coniuge.
Qualunque sia il rapporto di animo tra le parti conviventi, non può questo rapporto di fatto creare il vincolo matrimoniale quale voluto dal Creatore. L’affetto reciproco non è un motivo per giustificare l’attività sessuale, anche se la convivenza è di fatto inevitabile.
Se noi dovessimo accettare le suesposte tesi oggi proposte da alcuni teologi cattolici in materia di rapporti pre-matrimoniali, masturbazione e rapporti extra-coniugali, valutazione del celibato e verginità, dovremmo rinunciare a secoli di cristianesimo e ritornare ad una condizione di moralità sociale forse più arretrata di quella del mondo pagano, al primo affacciarsi del cristianesimo con una propria etica sessuale.
5. Alla malizia comune della colpa contro la virtù della castità, nelle varie categorie di peccati, si possono aggiungere altri elementi che o ne modifichino la figura specifica o costituiscano un nuovo disordine, per la sua opposizione ad altre virtù, ad es. alla religione, alla pietà, alla giustizia ecc.: sacrilegio, incesto, ratto, stupro, ecc.
E non è neppure difficile comprendere come nello stesso ambito di una determinata forma di impurità, la colpa in cui si ha il pieno appagamento dell’istinto genesiaco sia specificamente distinta da quelle che ne costituiscono solo l’inizio interno (peccati di pensiero, di desiderio) o esterno (lussuria esterna imperfetta).
A proposito di quest’ultima distinzione notiamo subito che di frequente il peccato interno non rimane esclusivamente tale, ma ad esso si accompagna, direttamente o indirettamente, un principio di esterna soddisfazione dell’istinto.
a) I peccati di pensiero (432).
II pensiero come tale, anche se termina al male, non è in sé cattivo. Contrariamente alla volontà che si porta sulla cosa e ad essa moralmente si assimila, le facoltà conoscitive assimilano a sé l’oggetto. La conoscenza del male, anche se talvolta pericolosa, non è in sé un male, e la riflessione sul medesimo può riuscire anche di vantaggio allo spirito. La colpa consiste nell’approvazione e nel compiacimento del male.
A parlare propriamente il peccato di pensiero consiste per l’appunto in questo, nell’approvazione del male; e la sua specificazione morale è data dalle varie note, su cui cade siffatta approvazione. Lo stesso compiacimento, qualora termini, non già all’oggetto del pensiero, ma al pensiero stesso, non, è necessariamente cattivo.
Ma comunemente i così detti peccati di pensiero sono ben altra cosa: essi indicano il pensiero, meglio la immaginazione ricercata o accolta come causa o stimolo del piacere impuro attuale che ad essa si accompagna (delectatio morosa). Per questo solo impropriamente può parlarsi di peccato interno ed ancor più impropriamente si parla di peccato di pensiero. Per questo ossia per codesta sua funzione strumentale, per cui l’oggetto dell’immaginazione ha valore solo in quanto serve ad eccitare ed alimentare il piacere venereo, le note specifiche dell’oggetto non incidono generalmente sulla malizia del pensiero stesso, a meno che al piacere sensibile attuale non si aggiunga l’approvazione dell’oggetto o il desiderio del medesimo.
b) II desiderio, infatti, almeno quando è assoluto o, come suoi dirsi efficace (l’efficacia, nel caso, è considerata solo in rapporto al desiderio, non già alla sua attuazione), ripete la sua moralità dall’oggetto com’è in sé, con tutte le sue note specifiche, anche se alcune di esse dispiacciono. Nel caso, invece, di desiderio condizionato o inefficace, la condizione può aver valore di esclusione di alcuni aspetti della colpa o addirittura di tutto il disordine implicito nell’oggetto. Ciò, però, non avrebbe luogo qualora il desiderio fosse subordinato unicamente all’ipotesi assurda della liceità di un atto intrinsecamente cattivo (farei ciò, se non fosse peccato): non è possibile spogliare della sua malizia ciò che si oppone all’ordine naturale, e la volontà che appetisce tale oggetto è necessariamente cattiva.
È opportuno, inoltre, riflettere che anche nel caso in cui il desiderio fosse condizionato da circostanze valevoli ad escludere qualsiasi colpa oggettiva, il peccato potrebbe aver egualmente luogo sia per il pericolo connesso con siffatta attività dello spirito, sia per la facile connessione dell’attuale piacere impuro ricercato attraverso al desiderio.
c) Gli stessi princìpi valgono per la valutazione etica del gaudio ossia dell’approvazione e del compiacimento relativo ad esperienze passate. Oltre al resto, anche in questo caso va tenuto presente il carattere strumentale che spesso il ricordo del passato può assumere ed assume di fatto nei confronti del piacere presente.
d) Analoga osservazione può essere fatta circa gli atti esterni incompleti di autoerotismo, la cui diversità materiale non muta la loro natura specifica. Invece tutte le volte in cui l’azione esterna costituisce l’inizio di un rapporto con altra persona, la colpa assume la malizia specifica dell’atto consumato (433).
VI. COLPE INDIRETTE E LUSSURIA LARVATA.
1. Come abbiamo già accennato, il disordine nelle facoltà ordinate da Dio alla conservazione e propagazione della specie può essere non voluto direttamente, ma solo indirettamente permesso (434). In tale caso, ove ci sia imputabilità, questa è solo indiretta. E che tale imputabilità possa aversi, si rileva facilmente se si tiene presente l’influsso causale che, sia pure accidentalmente, la nostra attività esercita oltre i confini segnati dagli obiettivi direttamente voluti, e se si considera che la purezza, al pari di qualsiasi altra virtù, non si esaurisce tutta in precetti negativi, ma obbliga anche ad aver cura che dalla propria causalità non venga leso quell’ordine, di cui essa sta a custodia.
Tuttavia tale imputabilità non può aver un’identica gravità in tutti i casi, ma è naturalmente proporzionata al maggiore o minore nesso di causalità esistente tra l’atto direttamente inteso e l’effetto che da esso deriva. Sicché ove questo sia remotissimo può essere anche d’ordinario trascurato, ed anche quando non sia tale può essere lecitamente permesso, se esiste un motivo proporzionatamente grave.
In tale calcolo è da tener presente la gravità dell’effetto previsto e la natura dell’azione che si pone, osservando che la prossimità del vincolo causale non si misura necessariamente dalla maggiore o minore frequenza dell’effetto causato, ma dalla maggiore o minore affinità fra causa ed effetto. In linea di principio può dirsi che l’imputabilità di moti disordinati che non sono direttamente voluti, non è generalmente grave, se il disordine non raggiunge la completezza dell’esperienza impura e se l’azione da cui dipende non è dello stesso ordine.
2. Se tutto ciò è vero in linea di principio, nell’esame e nella valutazione pratica dei casi concreti non può essere dimenticata l’efficacia che esercitano motivi non sempre pienamente coscienti sulla nostra attività, specie in una sfera in cui gli istinti violenti, profondi, e quasi mai pienamente domati, cercano continuamente di emergere e di essere soddisfatti, introducendosi nella vita cosciente sotto la maschera di motivi indifferenti od onesti (lo studio, l’amicizia, la pietà ecc.). Si hanno allora i fenomeni che alcuni teologi indicano col nome di lussuria larvata.
Naturalmente la stessa indole di fenomeni che sono tali in quanto si nascondono o cercano di nascondersi alla coscienza, fa sì che il giudizio circa la responsabilità soggettiva sia molto difficile. Ne, d’altra parte, com’è ovvio, possono tradursi sul terreno morale tutte le osservazioni e le aberrazioni del freudismo (435). La responsabilità in questi casi, più che nei singoli atti, va per lo più ricercata nella causa che favorisce o non si preoccupa di eliminare il fenomeno, una volta che se ne sia acquistata coscienza, soprattutto se esso sia diventato frequente od abituale.
VII. LE OFFESE AL PUDORE.
Una forma di violazione degli obblighi positivi derivanti dalla virtù della purezza è costituita dalle offese al pudore, che è, come dicevamo, l’aspetto espressivo e difensivo della virtù della purezza.
Naturalmente tutto ciò che è impuro, se ha un’espressione esterna, è anche impudico. In senso proprio, però, si dicono impudichi quegli atti che, pur avendo un rapporto di affinità o di connessione con l’oggetto impuro, in sé sono ambigui, capaci cioè di diversa interpretazione e motivazione; e sono impudichi solo quando manchi un’interpretazione ed una causa onesta che li giustifichi (436). La stessa materiale nudità può essere onesta o impudica, se comandata ad es. da seri motivi di salute o dettata da desiderio di esibizionismo (437).
Vi è, pertanto, differenza tra nudo e osceno; comunemente è detto osceno il solo nudum allectans. Secondo noi tale allettamento, perché si abbia l’oscenità, non basta che sia passivo, ma deve essere attivo, ossia intenzionale, almeno implicitamente. Che anzi non è neppure necessario l’effettivo allettamento passivo, ma è sufficiente che esso ci sia nell’intenzione di chi opera o nell’opera stessa.
In quanto espressione di sentimento impuro, l’impudicizia deve essere valutata secondo i criteri accennati parlando della lussuria larvata; in quanto costituisce un pericolo per la purezza propria od altrui, va giudicata tenendo conto della natura e della gravita del pericolo e dei motivi che determinano l’atto.
È superfluo rilevare al riguardo che la casistica in tale campo è assai abbondante e varia. Ci limiteremo, pertanto, solo ad alcuni casi.
a) Scritti e letture (438).
Il pericolo può provenire o dalla tesi che si propone o si difende, oppure dalle passioni che la lettura immediatamente eccita nella più parte delle persone normali (439). In molti casi il pericolo di essere attirati nell’orbita di un determinato modo di pensare e di valutare alcune azioni è tanto più grave quanto meno avvertito: le idee guaste passano allora per la scala di servizio (Bacteref).
D’altra parte la prossimità del pericolo che deriva dalle letture oscene non deve essere valutata in senso temporaneo, ma in senso causale: certe immagini, anche se immediatamente non inducono alla colpa, possono essere, col loro successivo ritorno spesso ossessionante, occasione anche prossima di peccato (440).
Ma, anche in questo campo, vanno tenute sempre presenti le circostanze soggettive.
Analogo giudizio può essere dato relativamente agli spettacoli (441), avvertendo, però, che questi parlano più immediatamente ai sensi, a tutti i sensi ed impegnano di più l’attenzione dello spirito. Bisogna, peraltro, distinguere gli spettacoli che assorbono quasi completamente lo spirito nell’audizione e nel gusto della musica, dagli altri nei quali, invece, l’interesse è suscitato soprattutto dalla trama o dagli atteggiamenti delle persone.
b) L’impudicizia del vestito (442).
Il vestito serve certamente a riparare il corpo dalle intemperie. Ma esso è anche ordinato a ricoprire le nudità e ad esprimere il pudore: la narrazione del libro del Genesi dopo il peccato originale è chiara e significativa. Vedere nel vestito niente altro che la sublimazione della fase dell’infatuazione e della tendenza esibizionistica è concezione psicoanalitica che risente del carattere aberrante e paradossale di tutta la dottrina, per cui si da valore universale ed assoluto ad esperienze che hanno un campo assai limitato e spesso anormale.
Non neghiamo, infatti, che alcune forme di vestire risentano della tendenza esibizionistica e siano talvolta più provocanti e pericolose della stessa cruda nudità. Ma non si può, se non arbitrariamente, estendere a tutte le forme ciò che è proprio di alcune.
Questo, invece, si può e si deve ammettere, che il vestito, oltre alle finalità sopra accennate, ha anche, per le sue varie forme, un significato, diverso da caso a caso, ma che nella maggior parte dei casi ha carattere sociale più che individuale. Si ricordi, a tale proposito, quanto è Stato già osservato circa l’individuazione secondaria del pudore. È stato allora rilevato, oltre al resto, che tale individuazione non è del tutto arbitraria, ma segue il più delle volte le indicazioni stesse della natura.
Pertanto nella valutazione morale dell’abbigliamento si devono considerare i seguenti elementi: la naturale esigenza del pudore ed il significato che assumono in determinati ambienti e tempi alcune forme di vestire. Quanto alla naturale esigenza del pudore, essa è in rapporto con le caratteristiche sessuali del corpo umano e con la sede dell’istinto genesiaco, acquistando maggiore o minore gravita a seconda della natura di tali caratteri. Detta esigenza è in contrasto con qualsiasi forma di esibizionismo, sia che esso si attui attraverso al denudamento di certe parti del corpo sia che cerchi attraverso allo stesso vestito di mettere in evidenza le caratteristiche proprie del sesso.
Atteso il carattere naturale della suddetta esigenza, essa è lesa anche nel caso in cui una determinata moda sia dettata nel singolo, non già da desiderio esibizionistico, ma da altro motivo. Non si può tuttavia negare che l’animo di chi indossa un determinato vestito ha una certa, sia pure accidentale, incidenza sulla sua stessa procacità, e che, ove manchi il desiderio di esibizionismo, i differenti motivi possono essere tenuti presenti per attenuare od anche eliminare la colpa, se siano tali da giustificare la permissione dello scandalo.
D’altra parte, è da osservarsi die la tendenza esibizionistica, la quale non è da contendersi con la semplice vanità, è più frequente e forte nella donna che nell’uomo, può acquistare talvolta un vero carattere ossessionante e spesso tende a mascherarsi dei più svariati pretesti.
Per tale motivo e per la comune, aperta o larvata, ricerca di sensualità da cui è spesso dominato l’uomo nei suoi rapporti sociali con la donna, riteniamo non si debba essere eccessivamente facili a pensare che le abitudini e l’ambiente riescano a purificare del tutto ed a rendere comunemente innocui certi usi, che sono in contrasto con il pudore, cosi come è inteso dalla morale cristiana.
c) Il ballo (443).
A volte si parla dell’indifferenza o irrilevanza etica del ballo in sé considerato, a prescindere cioè dalle circostanze che lo accompagnano. Il principio ha bisogno di essere ben chiarito e delimitato.
Il ballo, infatti, ha un suo significato ed una sua finalità: esso tende ad esprimere o a suscitare determinati sentimenti. I movimenti ritmici del corpo, e la musica che comunemente li accompagna e li regola, hanno difatti tale capacità. Si ha, così, la danza religiosa come la danza di guerra. Così come si ha la danza erotica. Non sembra, pertanto, che si possa parlare, nella maggioranza dei casi, di indifferenza etica oggettiva del ballo: ciò può aver luogo solo quando la finalità perseguita sia realmente irrilevante sotto il profilo morale.
La finalità della danza suole tradursi nella musica e nei movimenti. E questi possono essere più o meno pericolosi per la purezza. In genere può dirsi che il ballo moderno, attesa la sua finalità e la sua natura, non è scevro di pericoli. Né si possono applicare senz’altro al medesimo le osservazioni e i giudizi dei vari moralisti sui balli del loro tempo.
D’altra parte, non si possono, per un’esatta valutazione, trascurare le altre circostanze (di tempo, di luogo, di persone, ecc.), cosi come è necessario considerare le reazioni di varia natura che esso suscita nei singoli. Bisogna infine, considerare che il ballo è un’azione a due e più persone e che, pertanto, anche per esso valgono i principi relativi alla cooperazione e alla carità.
NOTE
424 Cfr. J. CREUSEN, L’onanisme conjugal, in Nouv. Rev. Théol. 59 (1932) 133-134; 403-410; M. BOLDRINI, Origine e frutti del neo-malthusianismo, in II matrimonio cristiano, Milano 1931, p. 172 ss.; V. FALLON, La ligue des familles nombreuses, Bruges 1921; F. DERMINE, A propos de l’onanisme conjugal: les devoirs du confesseur, in Collationes tournacenses, 29 (1933) 81-92, 237-250, 393-410, 549-567; A, THEMMEN, Quatorze instructions sur le mariage, Paris-Tournai 1933, 85 ss.; A. GOUGNARD, Les enseignements de l’encyclique “Casti connubii”, in Collectanea mechliniensia, 9 (1935) 4-23; B. ZIERMANN, Abusus matrimonii, in Theol. prakt. Quoralschr., 92 (1939) 304-309; F. TER HAAE, Casus conscientiae de praecipuis huius aetatis vitiis eiusque remediis, II, Taurini 1939, 127-175; WERNER SCHOLGEN, Zur pastoralen Beurteilung des Abusus matrimonii, in Théol. Und Glaube, 34 (1942) 215-218; A. BONNAR, o. e., 90 ss.; L. SCREMIN, Neomalthusianismo e protestantesimo, in Dizionario di morale professionale per i medici, Roma 1949, 460-473; S. GOLZIO, La polemica sulla popolazione e il controllo delle nascite, in Civitas, 1 (1951), 25-35; G, B. GUZZETTI, Sguardo storico-morale ai problemi della popolazione, in Scuola Cattolica, 79 (1951) 283-343; A. LANZA – P, PALAZZINI, Theologia moralis, Appefìdix. De castitate et luxuria, 107 ss,; A. BOSCHI, Problemi morali del matrimonio, 91 ss.; Enc. Humanae vitae, nn. 14, 17; AAS 60 (1968) 490-491, 493-495; D. TETTAMANZI, Humanae vitae. Commento all’enciclica sulla regolamentazione delle nascite, Milano 1968.
Circa il 1800 l’inglese Malthus insegnò che l’aumento della popolazione mondiale era eccessivo in proporzione all’aumento dei mezzi necessari al sostentamento, per cui, allo scopo di evitare povertà e miseria, era necessario diminuire il numero delle nascite, II mezzo da Malthus proposto era la continenza coniugale volontaria e quindi un mezzo non biasimevole dal punto di vista morale. Molti dietro di lui hanno insistito sulla necessità della limitazione delle nascite per gli stessi e per altri motivi più egoistici e meno elevati. Ma soprattutto hanno deviato dalla dottrina di Malthus, inventando e propagando altri mezzi per evitare la concezione, cioè i così detti strumenti preservativi; mezzi innaturali e peccaminosi (dai discepoli di Malthus detti neo-malthusiani).
425 Cfr. A. STANDAERT, De restitutione propter adulterium, in Collationes gandavenses (1926) 114 ss.; C, CORSANEGO, La repressione romana dell’adulterio, Roma 1936; R. PARAYRE, Adultere, in DTC, I, 468 ss.; E. MAGNIN, Adultere, in DDC, I, 221-250; A. CHRETINON, Adultere, in Dictionn. de Sociologie, I, 111-116; F. LIUZZI, Adulterio, in EC, I, 352-354; V. VANGHELUWE, De restitutione ob adulterium, in Collationes brugenses, 44 (1948) 283-298; A. LANZA – P. PALAZZINI, Theologia moralis, Appendix, 133 ss; J FUCHS, De castitate et de ordine sexuali, Romae 1963; Conc. ecum. Vaticano II, cost. past. Gaudium et spes, n. 49.
426 Cfr. V. VANGHELUWE, De intrinseca et gravi malitìa. luxuriae imperfectae, in Collatìones brugenses, 48 (1952) 36-45, A, LANZA – P, PALAZZINI, o, C,, 162 55; 185 SS,; V. VANGHELUWE, De intrinseca et gravi malitia pollutionis, in Collationes brugenses, 48 (1952) 108-115; ID., De intrinseca et gravi malitia luxuriae perfectae, ib., 417-425; ID., De gravitate luxuriae in causa voluntariae, ib., 186-192.
427 Cfr. TH. DEMAN, Le peché de sensualité, in Melanges Mandonnet (1930) 283 ss.; P. LUMBRERAS, De sensualitatis peccato, in Divus Thomas, Plac. 32 (1929) 225-240; B. STRAETLING, Etica ed educazione sessuale, Francavilla al mare 1972.
428 Non sempre la perversione dell’istinto, così com’è intesa in medicina, può ridursi alla categoria di peccati contro natura. Cfr. L. SCREMIN, II vizio solitario, Milano 1946; A. ZAUGNAS, De crimine pessimo et de competentia S. Officii relate ad illud, Vallisoleti 1951; A. ARRIGHINI, De homosexualitate, Napoli 1948; W. J. TOBIN, Homosexuality and marriage,., Romae 1964, B. HÀRING, Sessualità: Omosessualità, in Dizionario enciclopedico di teologia morale, 2a ed., 934-941.
429 Denz. S. 688, 1367, 2149, 2241. 2247, 3684; Pio XII, Allocuzioni 8 ott. 1953; 19 maggio 1956; AAS 45 (1953) 677-678; 48 (1956) 472-473.
430 Denz. S. 835; 1367, 2045, 2148, 2242, 3715. Cfr. anche: P. GODET, fornication, in DTC, VI, 600-611. Con l’insegnamento pontificio collima anche l’insegnamento dei vescovi, e delle Conferenze episcopali, espresso di. recente in un documento della conferenza episcopale Triveneta del 2 febbraio 1974 (tratta della masturbazione, rapporti prematrimoniali, vita coniugale, sessualità nell’educazione cristiana); e prima ancora in documenti della Conferenza episcopale Austriaca (16 gennaio 1967) e di quella francese (Commissione dell’episc. francese per i problemi della famiglia, 1972).
La lettera degli Arcivescovi e Vescovi d’Austria del 16 gennaio 1967 combatte, soprattutto la tesi che i rapporti sessuali pre-matrimoniali non sarebbero proibiti in nessun luogo dalla Bibbia e che per il pudore non ci sarebbe posto nell’ambiente familiare. Cfr. L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1967.
431 Cfr. Contributo allo studio della sessualità femminile, in ” Sessuologia “, luglio-settembre 1967 e gennaio-marzo 1968; V. PACKAKD, II sesso selvaggio. I rapporti sessuali oggi, Milano 1970; G. PERSICO-G. KELLY, L’amore nei giovani, Milano 1970; F. BOCKLE, Rapporti pre-matrimoniali, Berna 1969.
432 Cfr. A. VANGHELUWE, De intrinseca et gravi malitia luxuriae imperfectae, in Collationes brugenses, 48 (1952) 36-45; ID.. De luxuria interna, in Collationes brugenses, 48 (1952) 263 ss.
433 Cfr. A. LANZA – P. PALAZZINI, o. e., 191 ss.
434 Cfr. V. VANGHELUVE, De gravitate luxuria in causa voluntariae, in Collationes brugenses, 48 (1952) 186-192.
435 Tipico è il pansessualismo di Sigismondo Freud (n. a Freiburg, in Moravia, il 6 maggio 1856 da famiglia israelita, m. a Londra il 23 settembre 1939), creatore della scuola psicanalitica, che contò e conta numerosi aderenti, sia pure in contrasto spesso tra di loro (Witteis, Stekel, Adler, Regis Hesnard, Levi-Bianchini, Delgado de Lima…).
La moralità, secondo i canoni di questa scuola, non è che un residuato degli arcaici tabù totemici, e tutte le manifestazioni della vita, dalle più alte alle infime, quanto più ci si addentra nello studio dell’inconscio, sono da ridursi ad emanazione della libido: è la soddisfazione del suo istinto sessuale che l’uomo ricerca dappertutto con la sua attività. Ora, a parte i meriti del Freud nel campo medico ed anche pedagogico, a parte il suo più attento richiamo ad uno dei fattori più prepotenti della vita umana, la sessualità, è inaudito che si possano confondere gli affetti più nobili, quali quello filiale e delle amicizie sante, con la libidine sessuale.
Porre questa libidine come fa il Freud, alla radice della vita umana, è dimenticare i dati della scienza, che hanno sempre collegato lo sviluppo normale della sessualità al periodo puberale.
Di arbitri e schemi fissi è un po’ inficiata tutta la concezione freudiana (fase di autoerotismo, narcisistica, sublimazione dell’istinto ecc.) che pure vorrebbe essere scrupolosamente scientifica. Anche il fatto che Freud ritenga salutare il manifestare il trauma psichico per guarire, non è da accettarsi senza riserve. Dal punto di vista medico tutto ciò non è senza controversie; maggiori riserve occorre elevare dal punto di vista morale. Pur distinguendo tra dottrina e metodo, alcuni teologi ritengono moralmente inammissibile anche il metodo terapeutico psicanalitico, perché presuppone necessariamente l’inconscio freudiano con i concetti di repressione e di rimozione, moralmente inaccettabili.
Altri invece ritengono che le teorie materialiste non siano altro che ipotesi di lavoro e non vedono quindi difficoltà ad un’accettazione sia da parte del medico, come del paziente cattolico. Forse una via di mezzo è la soluzione più esatta. Il metodo integrale di Freud che porti alla soddisfazione di istinti sessuali repressi come condizione di guarigione, non si può accettare, per l’universale principio che non si può fare il male, perché ne venga il bene.
Il metodo poi esige sempre una somma cautela nella scelta del medico, nella evocazione delle immagini ecc. per i pericoli morali, a cui si va incontro da parte del paziente e vi si deve ricorrere solo, dopo aver disposte sicure garanzie della scelta soprattutto del medico, in casi in cui siano riusciti vani altri metodi di cura moralmente meno pericolosi. Poste queste premesse, si può consentire al paziente cattolico di tentare, in caso di necessità, anche la cura psicanalitica, senza dimenticare mai però che vi sono dei beni superiori, che devono essere salvaguardati anche a prezzo della vita.
Anche Pio XII nel discorso del 13 settembre 1952 (AAS, 44 [1952] 779) non ha proibito o condannato la cura psiconeurotica delle neurosi sessuali, ma ha disapprovato il modo amorale di agire nella pratica applicazione della cura, Cfr. I. FELICI, Summa Psychanalyseos lineamenta, Gabiniani 1937; PENDE, BOYER, STEFANINI, CALÒ, SCREMIN, MIOTTO, CORSANEGO, Parlano di psicanalisi – Lezioni del 5° Conv. giov. di Assisi, dicembre 1950, Assisi 1951; S. ROUSSET, Ce qu’un prete doit savoir de la psychanalise, in Suppl. de la vie spirituelle, 19 (1951) 359-374; C. VAEA, Psicoanàlisis y direcion espiritual, Madrid 1952; V. DAIM, Unnwertung der Psychoanalyse, Wien 1951; G. ZURRINI, Psicanalisi, in EC, X, 245-249 (e la bibliografia ivi citata); G. NUTTIN, Psicanalisi e personalità, Alba 1953; C. MUSATTI, Freud, Torino 19.59; E. SERVADIO, La psicologia dell’attualità, Milano 1962; L. ANCONA, La psicologia, Brescia 1963; AA.VV., Castelnuovo XXII, in cinque gruppi di lavoro, Pansessualismo-Droga-Ateismo, a cura di G. Lucini, Roma Milano 1972.
436 Cfr. A. VANGHELUWE, De actibus impudicis in genere, in Collationes brugenses, 48 (1952) 344-349; A, LANZA – P. PALAZZINI, o, e., 209 ss; Episcopato austriaco, Lettera collettiva del 16 gennaio 1967, in L’Osservatore Romano del 16 febbraio 1967, p. 2; P, PALAZZINI, Teologia morale pre e post-conciliare, in Divinitas, 12 (1967) 487 ss., K, WOYTYLA, Amore e responsabilità, Torino 1969.
437 Cfr. G. A., Il pudore e l’atto osceno, sentenza della Corte d’appello di Milano, in Justitia, 3 (1950) 48-50; L. DUGAS, La pudeur, in Rev. Philos. de la Fr, 28 (1950) II, 468 s,; C. SCARPELLINI, Pudore e pudicizia, in EC, X, 296-298; G, GAVUZZI, Guida per la difesa della moralità. Roma 1952, 343 ss. Sugli eccessi odierni, cfr. AA.VV., Sessualità nel nostro tempo, Roma 1967.
438 Cfr. J. BRYS, De lectione pravorum diariorum, in Collationes brugenses, 28 (1928) 865-866; A. GENNARO, Sulla proibizione dei libri, in Perfice munus, 1 (1932) 198-199; G. B. RÈ, Perché non posso leggere tutto? Alba 1942; R. SPIAZZI, De monito in ephemerides et libros malos, in Monitor eccl., 77 (1952) 561-567.
439 Con notificazione del 14 giugno 1966 la S. Congregazione della Dottrina della Fede dichiarava non avere più valore giuridico di legge ecclesiastica l’antico indice dei libri proibiti, e decadute le sanzioni penali (decreto 15 novembre 1966) connesse già con la violazione della legge, pur restando il valore morale, obbligante in coscienza di un così alto richiamo della Chiesa (AAS 58 [1966] 445). Infatti la legge naturale stessa esige che noi fuggiamo il male e anche l’occasione prossima del male. Colui, il quale ad occhi aperti, di sua libera volontà, senza un proporzionato motivo, si inette nel pericolo, è segno che vuole il peccato, ed è pronto a commetterlo perché ne vuole il pericolo prossimo.
Le nuove Norme circa la vigilanza sui libri sono state emanate da parte della S. Congregazione per la dottrina della fede il 19 marzo 1975: AAS 67 (1975) 281-284, Cfr. A. SCURA.NI, Lettura, in Dizionario encicl. di teol. morale, 2° ed., 508-521.
440 Cfr. A. LANZA-P. PALAZZINI, Teologia morale generale, 2a ed., Roma 1965, 274-275.
441 Cfr. F. TER HAAR, Casus conscientiae, I, 106 ss.; F. SURY, Le Cinema, pilote du monde moderne, Bruxelles 1950; Encyclica “Vigilanti cura” Pio XI (29 iunii 1936), in AAS, 28 (1936) 249 ss.; L, CIVARDI, Cinema e morale, Roma 1945; R. BRANCA, Il tuo Cinema, Torino 1941; ID,, Polemiche sul cinema, Milano 1945; A. BROCHEE, Cinema et apostolat paroissial, Bruxelles 1947; A. CAVAGNA, II cinema ieri, oggi, domani, Torino 1941; M, QUIGLEY, Decency in motion pictures, New York 1937; C. TESTORE, Cinematografo in EC, III, 1672-1675; A. LANZA-P. PALAZZINI, Theologia moralis – Appendix, 215 ss. Su tutta questa materia: stampa, spettacolo, CCC., cfr. il decreto Inter mirifica, sui mezzi di comunicazione sociale del Concilio ecumenico Vaticano lI e il mt. pr. In fructibus multis del 2 aprile 1964.
442 Cfr. Instructio S. C. Concilii (12 ian, 1950), in AAS, 22 (1930) 26 ss.; A. THOUVENIN, Luxe, in DTC, IX, 1337-1340, R, ZANHARD, Kleidung. in Lexicon fur Theologie u. Kirche, VI, 16-17; HOCEDEZ, Pour la modestie chrétienne, in Nouv. Rev. Théol. (1925) 400 ss.; D. KISELSTEIN, Lcs modes indecentes, in Rev. eccl. Liège (1925); F, TER HAAR, Casus conscientiae, V, p. 147 ss.; A, LANZA – P. PALAZZINI, o. e., 217-218, K. WOYTYLA, Amore e responsabilità, Torino 1969.
443 Cfr. G, VUILLIER, La danse, Paris 1899; T. ORTOLAN, Danse, in DTC, IV, 107-134; F. VUILLERMET, Les calholiques et les danses nouvelles, Paris 1924; H. VIGOROUX, Médecine pratique, II, Paris 1932, 316-317; G. PIAZZA, Che cosa si deve pensare del ballo, in Rivista del clero italiano (1937) 185-195; F. TER HAAR, Casus conscientiae, I, Taurini 1939, 91-106; C. JEGLOT, I taccuini della giovane, Torino 1943 (Op. 4: La giovane e il piacere); P. PALAZZINI, Danza, in EC, IV, 1212-1216; I. Mc CARTHY, Morality of modern dances, in Irish eccl. record, 78 (1952) 293-294.