Louis Jugnet, Riflessioni sul Teilhardismo. III. PENSIERO, MATERIA, MOVIMENTO – IV. ADORAZIONE DEL FUTURO E PARENTELA MARXISTA – V. CONCLUSIONE.
III. PENSIERO, MATERIA, MOVIMENTO
A dire il vero, l\’Evoluzionismo universale di Teilhard non è mai stato il risultato dell\’esperienza, non è di origine induttiva. È una specie di postulato, un punto di partenza posto liberamente: un principio né evidente, né mai dimostrato, che non è scientifico, né nel senso critico (sapere razionale necessario) né nel senso moderno e positivista (nozione fondata sull\’osservazione e l\’esperienza).
«Una rappresentazione semplificata… della vita terrestre in evoluzione. Una visione la cui verità scaturirebbe per puro e irresistibile effetto di omogeneità e di coerenza. Né dettagli accessori, né discussione. Ancora e sempre una prospettiva da vedere e da accettare. O da non vedere. Ecco ciò che mi propongo di sviluppare…» (Le phénomène humain, p. 108). Infatti lo slancio iniziale del teilhardismo è facile da situarsi: ma piuttosto Bergson, come qualcuno sostiene, si trova non tanto nella curiosa trasposizione del Bergsonismo di E. Le Roy: sarà permesso ricordare che costui occupa dal modernismo del 1900, un posto d\’elezione, che alcune delle sue formule sono stigmatizzate nell\’enciclica Pascendi? E che la maggior parte dei suoi libri sono stati poi da Roma condannati? Tutti gli elogi del mondo non saprebbero cambiare nulla.
Se si leggono, tra le altre, delle opere come L\’exigence idéaliste et le fait de l\’évolution, o Les origines humaines et l\’évolution de l\’intelligence, vi si trova l\’essenziale delle idee teilhardiane, compresi i vocaboli, ora alla moda, di Biosfera e Noosfera, e questo in un\’epoca in cui il pensiero teilhardiano stava appena formandosi. Ciò è così manifesto che il P. Teilhard stesso dichiara: «Le teorie che saranno presentate, noi (lui ed E. Le Roy) le abbiamo incatenate nello stesso ordine, le abbiamo tradotte fin nelle stesse formule e ormai neppure noi sapremmo fare una separazione fra i nostri rispettivi apporti».
E lo studioso che fa questa citazione aggiunge: Non è esagerato sottolineare l\’influsso del pensiero di E. Le Roy su quello del P. Teilhard (M. Piveteau in La Table ronde del giugno 1955, n. 90). Come dice spesso il nostro amico Rudolf Allers, l\’eminente psichiatra-filosofo di Vienna e di Washington (V. L. Jugnet Un psychiatre-philosophe, R. Allers, o l\’Anti-Freud, ed. du Cèdre, 13 rue Mazarine, Paris VI), un\’induzione apparente può ben facilmente, e ne è frequente il caso, mascherare una deduzione sillogistica classica, di cui l\’antenata è soltanto sottintesa. Qui l\’antenato è l\’idealismo pan-psichico.
Esso attribuisce a ogni cosa, anche in apparenza inanimata (un atomo, un cristallo, una pianta) una coscienza confusa e latente. Questa teoria filosofica è di ordine metafisico e così poco fondata sulla «scienza moderna» che ricompare periodicamente (appoggiandosi sul linguaggio della scienza del tempo) dalle origini del pensiero filosofico. La si trova precisamente nei primi Ionici (specialmente Anassimene), negli stoici, negli Italiani del Rinascimento; in Leibniz, nei filosofi romantici tedeschi come Schelling e infine in Bergson, Le Roy e Teilhard…
Nella sua avversione per ogni «frattura», per ogni «inizio assoluto» (la creazione del Mondo da Dio, la creazione di ciascuna anima personale) Teilhard si trova portato a prestare un pensiero diffuso alla materia stessa (Cfr. per esempio, Le phénomène humaine, pp. 56, 62, 91, 167, 3-5. Cfr. p. 62: «Ogni energia è di natura psichica..). E se egli arriva a ciò, è per due motivi filosofici assolutamente costanti nei pan-psichici in generale: dal concetto di una confusione radicale fra finalità e coscienza (se vi è ordine anche nella natura inanimata, è perché le cose anche più elementari sono dotate di desiderio) e da una teoria viziata della conoscenza (Se noi possiamo conoscere 1\’«interno» delle cose è perché anch\’ esso è costituito dal pensiero). Ora si tratta di due sofismi cento volte confutati e sempre risorgenti che non devono assolutamente nulla alla scienza positiva (sulla finalità naturale o a-psichica, paragonata alla finalità psichica, cfr. Y. Simon, Introduction à l\’ontologie du connaitre, Desclée-De Brouwer, pp. 2-6, e lo studio di Roland Dalbiez su «Le Transformisme et la PhiIosophie, nei Cahiers de Philosophie de la Nature Vrin, numero speciale del 1927 sul trasformismo. Lo studio meno serio d\’Aristotele e dei grandi scolastici, mostra che si può scartare lo scetticismo da una parte, il panpsichismo dall\’altra, grazie a un realismo spiritualistico molto ben costruito. Cfr. Y. Simon, opera citata, e La Critique de la Connaissance, del Padre J. de Tonquédec).
Essi provocano per conseguenza la famosa confusione fra spirito e materia. Si ricordi la formula, ora famosa, dell\’Univers personnel: «Esiste solo della materia che diviene spirito, non vi è al mondo né materia né spirito, la stoffa dell\’Universo è lo spirito-materia».Per i rapporti fra Dio ed il mondo rimandiamo agli articoli citati. (È inutile ripetere ciò che è stato già scritto in essi).
Questo idealismo è evolutivo, come si dice, «diveniristico». E. Le Roy diceva già che tutta l\’armatura del nostro pensiero (assiomi, principi, categorie) cambia nella sua base stessa. In piena crisi modernista, prima della Grande guerra quel filosofo e teologo così sicuro che è il R. P. de Tonquédec poteva scrivere a proposito dei più noti innovatori: «La verità per loro non ha nulla di fisso, non possono chiamarla immutabile e eterna, essa è viva, è mutevole… La ricerca non dà mai li un risultato di cui si possa essere per sempre sicuri… Di conseguenza credere che si è accertata (sottolineato nel testo) una verità è commettere un errore fondamentale… Non vi è più nessuna certezza. Le varie verità sono transitorie, relative a un momento» (La notion de Vérité dans la Philosophie nouvelle, Beauchesne, 1908, pp. 4-5). Ugualmente P. Teilhard ci parla dell\’«universale deriva» dei principi, dei valori e del perpetuo «progresso» verso cui bisogna portarci, ecc…
Ma questa posizione, se riflettiamo un attimo, è dannosa e insostenibile. Delle due l\’una – l\’alternativa è rigorosa -: o l\’autore diveniristico accetta di relativizzare il suo pensiero, di «metterlo in prospettiva», ma nello stesso tempo lo distrugge. Così il filosofo spagnolo Ortega y Grasset, scrive: «Non pensiamo, non dobbiamo pensare che la nostra filosofia sia definitiva, la immergiamo, come ogni altra, nel flusso storico del corruttibile. Questo significa che vediamo ogni filosofia come se fosse di costituzione un errore, la nostra come le altre». Oppure egli l\’assolutizza, in virtù di un privilegio di cui non si riesce a vedere il fondamento, e così facendo si contraddice, come Hegel che stabilì la propria dottrina come la Filosofia Assoluta, e Lenin che scrisse: «Non si può togliere nulla a questa filosofia (marxista) colata in acciaio in un sol pezzo senza scostarsi dalla verità oggettiva».
Cosa notevole, questa controversia non è più nuova… Per una singolare ironia della sorte, o meglio della Provvidenza, noi stessi e i nostri amici argomentiamo nel 1962 contro il teilhardismo, seguendo uno schema che si trova già in Platone e in Aristotele, che criticavano il divenirismo ruinoso dei Sofisti eraclitei come Protagora e Cratilo (Cfr. Platone, Cratilo, 385 e 459; Teeteto, 152-155, 160, 179-183. Senza parlare dell\’argomento aristotelico sul medesimo tema (Metafisica, libro Gamma), più aspro ma anche più rigoroso di quello di Platone).
In verità, ogni divenirismo generalizzato è, come dicono i neo-realisti inglesi e americani, «self-refuting»: si distrugge da solo. E distrugge ogni ortodossia religiosa. L\’enciclica Pascendi dice: «Essi (i modernisti) distruggono l\’eterna nozione di verità…». Ugualmente la proposizione 58 (condannata) del decreto Lamentabili dice: «La verità non è più immutabile dell\’uomo, essa si evolve con lui, in lui e per lui». Più recentemente possiamo ricordare l\’enciclica Humani generis di Pio XII «contro le false affermazioni di un simile evoluzionismo, secondo cui si trova rigettato tutto ciò che è assoluto, certo, immutabile».
IV. ADORAZIONE DEL FUTURO E PARENTELA MARXISTA
Dopo ciò che abbiamo detto, non ci si stupirà di constatare a qual punto il pensiero teilhardiano si stacca dal passato e si volge all\’avvenire. È, diremmo, «futurista» e «neolatra»: il Nuovo, in quanto tale, è oggetto della sua confidenza e del suo amore. Prende posto qui in una corrente che conosciamo anche troppo bene:
«Gli uomini di questa tendenza sono noncuranti del passato e parlano con entusiasmo dell\’avvenire; si presentano come i costruttori dell\’avvenire, dell\’umanità nuova. Il passato è da loro giudicato con estrema ostilità, dal momento che magnificano l\’avvenire, in cui pongono ogni loro fiducia e ogni loro certezza. Inutile sottolineare a che punto questa mentalità è filosoficamente assurda. L\’uomo ha invece sempre riposato sulla tradizione del passato, che è qualcosa di concreto e lasciava l\’avvenire (che non esiste e che non è esistito finora, salvo che per l\’onniscienza divina) alla Provvidenza. Essi si dichiarano contro il passato, unica realtà su cui può riposare il presente, e in favore dell\’avvenire, che è solo un\’ombra» (Mons. Romeo, della Congregazione degli Studi, Seminari e Università in Divinitas, 1960, III. Cfr, nello stesso senso lo studio del Padre Messineo, nella Civiltà Cattolica – soprattutto numero del 3 marzo 1956 -, che analizza la mentalità progressista in modo preciso e pertinente).
Questa importantissima considerazione ci porta a sottolineare la somiglianza, profonda, attestata da diverse parti, tra teilhardismo e marxismo. Ciò è stato detto in particolare in modo notevole dal filosofo comunista Garaudy nel suo libro già citato, Perspectives de l\’Homme – Existentialisme, pensée catholique, marxisme:
«All\’inizio Marx, Engels e il P. Teilhard hanno in comune l\’Evoluzione assoluta in Biologia. Non si tratta di una analogia fortuita, ma di una teoria d\’insieme della dialettica della natura», dice Garaudy (Op, cit., p. 171) e: «Le tappe segnate da Engels e da Teilhard de Chardin sul passaggio dalla materia inorganica alla cellula vivente sono esattamente le stesse» (pag. 182). Il divenirismo teilhardiano e quello marxista sono strettamente somiglianti: «Le (nostre) idee, le (nostre) categorie hanno la poca eternità delle relazioni che esprimono. Sono dei prodotti storici e transitori» (Marx, Miseria della filosofia). Si noterà la somiglianza sorprendente fra queste formule e quelle che impiegano E. Le Roy e Teilhard de Chardin (cfr. il secondo paragrafo del nostro studio, sul mobilismo e l\’idea di verità).
Uno stesso scientismo impregna le due correnti. Nell\’un caso come nell\’altro, si sostiene di non fare della metafisica. Si assicura di interpretare il puro e semplice cammino della Scienza nel suo sviluppo.
«Alla religione della Scienza, come si trova espressa alle sue origini, sia nelle dissertazioni filosofiche dell\’Enciclopedia, sia nelle conclusioni… di Comte o di C. Marx, sia nelle aspirazioni di Lamennais e di Renan, è giusto riconoscere uno slancio pieno di nobiltà» dice Teilhard in un opuscolo su La mystique de la science... Così, commentando un testo di Teilhard, Garaudy può scrivere: «È la tesi del materialismo dialettico» (pag. 187). Si obbietterà che noi stessi abbiamo prima tacciato il teilhardismo di idealismo panpsichico. Senza dubbio! Ma è vero che questo tipo di pensiero rifiuta radicalmente la distinzione spirito-materia e che, per esso, l\’idea di un puro Spirito è impensabile, come per il marxismo: è dunque a prezzo di una insopportabile confusione che questo teilhardiano famoso, vecchio comunista convertito, proclama continuamente la concordanza fra S. Tommaso, Marx e Teilhard. Infatti, S. Tommaso «unisce» sostanzialmente l\’anima al corpo, ma non identifica l\’uno all\’altra. E gli angeli hanno un grande posto nella sua sintesi, mentre Teilhard li fa sparire, e non senza ragione…
Idea comune ancora alle due scuole: la fiducia cieca nella tecnica come mezzo per giungere sulla terra alla totale felicità temporale dell\’umanità. Da qui nasce il famoso sogno messianico di una soprasaturazione di beatitudine qui in terra, che è, secondo noi, uno dei «leit-motives» più irritanti (e più stantii) del teilhardismo… Riguardo al famoso tema dell\’unificazione fatale del pianeta grazie alle moderne tecniche di comunicazione, non vi è chi non solleva gravissime difficoltà: si dovrebbe sapere che questa idea è lontana dal raccogliere i suffragi di tutti gli esperti di politica internazionale e di Storia mondiale: ci si può riferire, così a memoria, a opere diverse come quelle di O. Spengler, di A. Toynbee, e di tanti altri che non sono né ignoranti, né retrogradi, e che sottolineano l\’irriducibile pluralità e la relativa indipendenza delle culture e delle civiltà le une verso le altre. Ma una volta di più troviamo Marx e Teilhard a fianco. Quando si si legge Teilhard ci si crede trasportati nel Meilleur des mondes di A. Huxley. Si rilegga la stupefacente tirata teilhardiana pubblicata da Etudes nel settembre 1946 (pp. 224-225). Il Padre dice senza ambagi: «Nessuna soluzione di compromesso, perché per natura il progresso è tutto o nulla» (p. 258).
Abbiamo tentato, al contrario, in un recente articolo, di mostrare come l\’ottimismo cristiano autentico si situa sul piano metafisico (il fondo delle cose) e si concilia tradizionalmente nella Scrittura, presso i Padri della Chiesa, presso i Dottori e presso gli autori spirituali, con un certo pessimismo a livello dell\’avvenimento (le apparenze). Cfr. «La fin d\’une civilisation», Bulletin des Sciences Politiques dell\’Università di Tolosa, 2a serie, 1961, n. 4.
V. CONCLUSIONE
1°) La sintesi teilhardiana si caratterizza per una totale assenza di prove propriamente dette. Questo fatto ha colpito molti osservatori di formazione assai diversa, dallo scienziato di laboratorio fino al teologo scolastico, passando per il filosofo cristiano e il filosofo ateo. Citiamo a caso: «Non si tratta affatto di dimostrare ma di "rivelare"» (M. De Corte; per lui il teilhardismo è una gnosi, una teosofia). «Certamente fuori dell\’esperienza scientifica e anche contro di essa, è sempre permesso costruire un\’immagine del mondo che supplisca più o meno alla nostra ignoranza. Ma il sogno non è il mezzo per rendere chiaro ciò che è oscuro. Il pericolo del sogno risiede nella potenza dell\’immaginazione» (Prof. Bounoure). «D\’altra parte Teilhard non dà il minimo embrione di prova: il principio è un puro a priori» (R. P. Guérard des Lauriers). «Gli rimproveriamo di affermare gratuitamente, senza nulla dimostrare, e ciò al di fuori del campo delle sue prospettive» (R. P. Philippe de la Trinité). «L\’affermazione metafisica… rinforzata e inquadrata da una quantità allucinante di punti esclamativi, interrogativi e di maiuscole costituisce il nerbo del maggior numero delle sue "dimostrazioni". L\’immagine… è qui sostituita al ragionamento e all\’idea» (Revel).
Si tratta di un\’opera poetica nel senso etimologico della libera finzione. E poiché abbiamo scritto queste ultime parole, ci si permetterà di citare una rivista specializzata in un tipo di letteratura attualmente di moda?
«Considero, l\’ho già detto, il R. P. Teilhard de Chardin come un ammirabile autore di Fantascienza. Non ignoro le diverse obbiezioni scientifiche che si possono fare alle sue idee. Ma credo che, al contrario, la sua opera è nello spirito stesso della Fantascienza» (Jacques Bergier, in Science-Fiction, n. 45, agosto 1957, p. 135, analizza «la visione del passato» di Teilhard. È proprio il caso di dire: Signore, liberami dei miei amici!…).
2°) Il P. Russo riconosceva, poco tempo fa, nella rivista Etudes che lo studio della filosofia scolastica non aveva «affatto moderato» il defunto Padre. Non si può infatti non essere colpiti dalla inesattezza frequente di ciò che dice a proposito di questo o quel grande autore. Ci ricordiamo, per esempio, di una lettera a Maryse Choisy (Psyché n. 99-100, gennaio-febbraio 1955, p. 9), in cui il Padre concepiva lo spirito, secondo S. Tommaso, come «incomprensibilmente giustapposto alla materia»: a questo riguardo un qualsiasi studente di filosofia sa che questa espressione, se vale per Platone o anche per Cartesio, è agli antipodi del pensiero aristotelico e tomista, che professa precisamente l\’unione sostanziale dell\’anima e del corpo.
Il grande teologo protestante K. Barth ha scritto un giorno che l\’odio per la scolastica è la caratteristica dei falsi profeti. Ma questa avversione è più spesso dovuta all\’ignoranza. S. Pio X nella Pascendi, lo dice chiaramente. Questi riformatori «che posano a dottori della Chiesa, che portano alle stelle la filosofia moderna e guardano dall\’alto la scolastica, hanno abbracciata quella… solo perché, ignorando questa, è mancato loro lo strumento necessario per percepire la confusione e dissipare i sofismi». Ci siamo proibiti, nel presente studio, di parlare dei teilhardiani attuali. Ma ci priviamo a fatica della possibilità di citare questo o quel testo, che illustrerebbe magnificamente queste parole del grande Papa…
3°) In realtà l\’opera di Teilhard presenta degli inconvenienti irrimediabili, insiti nel suo stesso principio: è legata a un certo stadio storico delle ricerche scientifiche e le utilizza al servizio di ciò che gli Inglesi chiamano un Wishful thinking, un pensiero tendenzioso. Lasciamo la parola a un filosofo che si è ricreduto da molte illusioni, anche se resta di idee molto progressiste:
«Per quale ragione dovremmo scientificamente optare per l\’ottimismo del punto di vista Omega e del Principio assolutamente ultimo, piuttosto che per il pessimismo di un non-fine? La Cosmologia di Teilhard è d\’altronde tributaria dello stato attuale delle scienze naturali e a questo riguardo, come potremmo essere premuniti contro uno stadio ulteriore di queste stesse scienze qualora ci spingessero a leggere le linee dell\’ evoluzione, secondo contrasti e divergenze invece che secondo una divergenza e una centralità? Da Spencer a Teilhard de Chardin molte letture dell\’evoluzione sono state proposte, altre senza dubbio lo saranno… Questa (ipotesi), se ci informa sulle esigenze della conoscenza umana e della ricerca scientifica, non ci dà alcun fondamento ontologico e non conferisce all\’ipotesi… alcuna probabilità determinata» (Pierre Fougeyrellas, nella rivista – pochissimo cristiana – Arguments, 40 trimestre 1961, ed. de Minuit).
S. Tommaso, accettando la scienza del suo tempo come immagine del Cosmo, non gli accordava in effetti che un\’importanza e una fiducia molto limitate. Non fondava né la sua filosofia né la sua teologia su di essa. Adottava a questo proposito delle posizioni che fanno pensare a quella di certi moderni filosofi delle scienze (H. Poincaré, P. Duhem, gli attuali «assiomatici»): ecco ciò che dice particolarmente delle concezioni astronomiche ereditate dall\’antichità greca: «Benché le apparenze siano salve se si formulano tali supposizioni, non bisogna dire che sono vere, poiché forse i fenomeni stellari potrebbero essere inquadrati in un altro modo che non ci è ancora venuto allo spirito» (commentario alla traduzione del De Caelo et Mundo, d\’Aristotele, libro terzo, 17). E più chiaro ancora, Summa theologica, prima parte, questione 22, articolo primo, ad. 2 m.
I suoi successori del XVI e XVII secolo non hanno saputo conservare la stessa misura: hanno strettamente saldato una filosofia buona di per se stessa a una scienza divenuta caduca. Ne sappiamo anche troppo su ciò che ne è derivato. Voglia il cielo che possiamo non commettere ancora una volta lo stesso errore a vantaggio di una nuova immagine del mondo, che non ha nulla di definitivo, né di intoccabile! Non è forse L. de Broglie, l\’illustre fisico, che ci dice: «L\’affondamento in qualche decade dei principi (scientifici) più fondati e delle conclusioni più solide ci mostra come bisogna essere prudenti nell\’appoggiare delle conclusioni filosofiche generali sui progressi delle scienze, perché è costruire su un terreno sempre in movimento» (Matière et Lumière, p. VIII)?
Ci si permetterà di terminare con una citazione di S. S. Pio XII:
«È lecito dare alla filosofia (tradizionale) una veste più giusta e più ricca, difenderla con espressioni più efficaci, liberarla da certe presentazioni scolastiche poco adatte, arricchirla prudentemente di certi apporti del pensiero umano: ma non è mai lecito sovvertirla, contaminarla con falsi principi, o considerarla un monumento imposto, certo, ma di un\’altra età. Infatti la verità e tutta la presentazione filosofica che se ne fa non può cambiare da un giorno all\’altro… Il cristiano, filosofo o teologo, non abbracci dunque con precipitazione e leggerezza tutte le novità del giorno, ma con cura pesi queste idee, le metta su una giusta bilancia per timore di perdere la verità che possiede o di contaminarla, con grandi dispiaceri e grandi rischi per la fede stessa» (Enciclica Humani generis).