…CAPITOLO II. Della virtù della prudenza. La natura. Necessità della prudenza. I mezzi di perfezionarsi in questa virtù. della virtù della giustizia. La giustizia propriamente detta. Natura della giustizia. Principali regole per praticar la giustizia. La virtù della religione. Natura della virtù della religione. Necessità della virtù della religione. Pratica della virtù della religione. Della virtù dell’obbedienza. Natura e fondamento dell’obbedienza. I gradi dell’obbedienza. Le qualità dell’obbedienza. L’eccellenza dell’obbedienza. la virtù della fortezza. Natura della virtù della fortezza. Definizione. Gradi della virtù della fortezza. Le virtù alleate della fortezza. La magnanimità. La munificenza o magnificenza. La pazienza….
PARTE SECONDA
LIBRO II
CAPITOLO II.
Delle virtù morali
Art. I. Della virtù della prudenza
Ne esporremo: 1° la natura; 2° la necessità; 3° i mezzi di perfezionarvisi.
I. La natura.
Per meglio intenderla diamone la definizione, gli elementi costitutivi, le specie.
1016. 1° Definizione: è una virtù morale e soprannaturale, che inclina l’intelletto a scegliere, in ogni circostanza, i mezzi migliori a ottenere i varii fini subordinandoli al fine ultimo.
Non è quindi né la prudenza della carne, né la prudenza puramente umana: è la prudenza cristiana.
A) Non è la prudenza della carne, che ci rende ingegnosi nel trovare i mezzi a ottenere un fine cattivo, a soddisfar le passioni, ad arricchire, a conseguire onori; e che è condannata da S. Paolo, perché nemica di Dio e ribelle alla sua legge e nemica dell’uomo che conduce alla morte eterna[1].
Non è neppure la prudenza puramente umana, che studia i mezzi migliori per ottenere un fine naturale senza subordinarlo al fine ultimo; come la prudenza dell’industriale, del commerciante, dell’artista, dell’operaio, che cercano di guadagnar denaro e gloria senza darsi pensiero di Dio e della felicità eterna. A costoro bisogna ricordare che a nulla serve il conquistare anche il mondo intero se poi si perde l’anima[2].
1017. B) E’ la prudenza cristiana, che appoggiandosi sui principii della fede, tutto riferisce al fine soprannaturale, vale a dire a Dio conosciuto e amato sulla terra e posseduto nel cielo. È vero che la prudenza non si occupa direttamente di questo fine, che le è proposto dalla fede; ma l’ha continuamente dinanzi, per studiare, alla sua luce, i mezzi migliori a dirigere tutte le azioni verso cotesto fine. Si occupa quindi della vita in tutti i suoi particolari: regola i pensieri per impedirli di andar lontani da Dio; regola le intenzioni per rimuoverne ciò che potrebbe corromperne la purezza; regola gli affetti, i sentimenti, i voleri, per riferirli a Dio; regola perfino gli atti esteriori e l’esecuzione delle nostre risoluzioni per ordinarli all’ultimo fine[3].
1018. C) Questa virtù risiede propriamente parlando nell’intelletto, perché giudica e discerne ciò che, in ogni particolare circostanza, è più atto a conseguire il nostro fine; è una scienza ali applicazione che alla conoscenza dei principii aggiunge quella delle cose e persone fra cui dobbiamo condurre la vita[4]. Tuttavia la volontà interviene per muovere l’intelletto ad applicarsi alla considerazione dei motivi e delle ragioni onde fare una savia scelta, e poi più tardi per ordinare l’esecuzione dei mezzi scelti.
1019. D) La regola della prudenza cristiana non è la sola ragione, ma la ragione illuminata dalla fede. Se ne trova la più nobile espressione nel Sermone del monte, in cui Nostro Signore compie e perfeziona la legge antica, sgombrandola dalle false interpretazioni lei dottori giudei. La prudenza soprannaturale attinge dunque luce e ispirazioni nelle massime evangeliche che sono diametralmente opposte a quelle del mondo. Per farne l’applicazione alle azioni quotidiane ricorre agli esempi dei Santi, che vissero secondo il Vangelo, e agli insegnamenti della Chiesa infallibile che viene a guidarci nei casi dubbi. Così siamo moralmente certi di non traviare.
D’altra parte i mezzi da lei adoperati sono non solo mezzi onesti ma mezzi soprannaturali, la preghiera e i sacramenti, che, moltiplicandoci le forze per il bene, ci fanno giungere a risultati assai migliori.
Il che si vedrà anche meglio studiando gli elementi costitutivi di questa virtù.
1020. 2° Elementi costitutivi. Per operare prudentemente sono specialmente necessarie tre condizioni: esaminare con maturità, risolvere con senno, eseguir bene.
A) Ci vuole prima di tutto maturo esame per studiare i mezzi più atti al conseguimento del fine che uno si propone, esame che dev’essere proporzionato all’importanza della risoluzione da prendere. A farlo con più maturità, uno rifletterà da sé e consulterà i savi.
1021. a) Rifletterà da sé sul passato, sul presente e sull’avvenire.
1) La memoria del passato gli sarà di grandissima utilità poiché il fondo della natura umana rimane sempre lo stesso nel corso dei secoli, conviene consultare la storia per vedere come i nostri padri risolvettero i problemi che ci stanno dinanzi: le esperienze che essi tentarono per risolverli illumineranno la esperienza nostra e ci risparmieranno molti errori; vedendo ciò che riuscì bene e ciò che andò a vuoto, capiremo meglio quali siano gli scogli da schivare e i mezzi da prendere. Ma bisogna consultar pure la propria esperienza: a cominciar dall’infanzia ci siamo trovati o in un modo o in un altro, alle, prese con simili difficoltà; dobbiamo pensare a ciò che ci è riuscito e a ciò che ci:fu causa di cattivo esito, e dire risolutamente a noi stessi: non voglio più espormi agli stessi pericoli né soccombere alle stesse tentazioni.
2) Ma si deve pure tener conto del presente, delle condizioni diverse in cui viviamo; ogni secolo, ogni uomo ha la particolare sua indole, e noi stessi non abbiamo più nell’età. matura gli stessi gusti che avevamo in gioventù. Onde qui interverrà l’intelletto per aiutarci a interpretar bene le esperienze passate adattandole alle circostanze presenti.
3) Da ultimo anche l’avvenire può bene essere interrogato: prima di risolvere, è utile prevedere, per quanto è possibile, le conseguenze dei nostri atti su noi e sugli altri. Con la memoria del passato e con la Previsione, dell’avvenire si riesce a ben ordinare il presente.
Applichiamo tutto questo a una determinata virtù, alla castità: la storia mi ricorderà quanto fecero i Santi per restar puri in mezzo ai pericoli del mondo; la mia esperienza mi dirà quali furono le mie tentazioni, i mezzi usati per resistervi, le vittorie e le sconfitte; e da ciò io potrò conchiudere con grande, probabilità quale risultato avrà nell’avvenire questo o quel passo, questa o quella lettura, questa o quella conversazione.
1022. b) Ma non basta riflettere, bisogna pure saper consultare gli uomini savi ed esperimentati: una parola, un’osservazione di un amico, di un parente, talora perfino di un servo, ci apre gli occhi e ci mostra un lato delle cose da noi dimenticato o negletto: quattro occhi vedono meglio di due, e dalla discussione scaturisce la luce. Quanto più non deve ciò dirsi della parola di un direttore che ci conosce, e che, essendo disinteressato nell’affare, vede meglio di noi ciò che ci è utile al bene dell’anima? Si consulterà dunque con diligenza e docilità un uomo savio ed esperimentato; il che del resto non toglie che esercitiamo la nostra sagacia, onde vedere con rapidità ed esattezza quanto vi è di fondato nei consigli altrui e nelle osservazioni nostre.
Ma non si deve dimenticare di ricorrere al migliore dei consiglieri, al Padre dei lumi, e un Veni Sancte Spiritus divotamente recitato ci tornerà spesso più utile di molti esami.
1023. B) Dopo aver bene esaminato, bisogna giudicar bene, vale a dire risolvere quali, tra i mezzi suggeriti, sono veramente i più efficaci. Per riuscirvi: a) si rimoveranno accuratamente i pregiudizi, le passioni e le impressioni, che sono elementi perturbatori del giudizio, e uno si metterà risolutamente di fronte all’eternità per valutar tutto al lume della fede: b) non si dovrà fermarsi alla superficie delle ragioni che fanno inclinare a questa o quella parte, ma esaminarle a fondo, con, perspicacia, pesandone bene il pro ed il contro; c) infine si giudicherà con risolutezza, senza abbandonarsi a soverchie esitazioni; quando si è riflettuto proporzionatamente all’importanza dell’affare e preso il partito che sembra migliore, Dio non ci rimprovererà la nostra condotta, avendo noi fatto quanto dovevamo per conoscerne la volontà; onde possiamo far assegnamento sulla sua grazia per l’esecuzione delle nostre risoluzioni.
1024. Non. bisogna infatti tardare ad eseguire il fissato disegno: al che tre cose si richiedono previdenza, circospezione, e precauzioni.
a) Previdenza: il prevedere importa calcolar prima gli sforzi necessarii ad. eseguire i nostri disegni, gli ostacoli che incontreremo e i mezzi di vincerli, onde poi proporzionare lo sforzo al risultato che si vuol ottenere.
b) Circospezione: bisogna aprire gli occhi, considerar bene cose e persone che ci stanno attorno per trarne il miglior partito possibile; osservare tutte le circostanze per adattarvisi; tener d’occhio gli eventi per approfittarne se favorevoli, per prevenirne le cattive conseguenze se contrarii.
c) Precauzioni: “videte quomodo caute ambuletis”[5]. Anche quando si è cercato di preveder tutto, le cose non succedono poi sempre come le avevamo previste, perché limitata e fallibile è la nostra saggezza. Conviene quindi, nella vita morale come negli affari, aver delle riserve, circondarsi di precauzioni: il nemico spirituale ha spesso dei contrattacchi, come abbiamo spiegato più sopra, n. 900; è quello il momento di ricorrere alle proprie riserve d’energia, alla preghiera, ai sacramenti, ai consigli d’un direttore. Così non si cade vittime di circostanze impreviste; non si rimane sconcertati; e con la grazia di Dio si riesce a condurre a buon fine i disegni prudentemente fissati.
1025. 3° Le diverse specie di prudenza. La prudenza si distingue secondo le cose su cui si esercita: è individuale quando regola la condotta personale ed è quella di cui abbiamo parlato: è sociale quando riguarda il bene della società; ed essenderi tre specie di comunità, la famiglia, lo Stato e l’esercito, si distinguono pure tre specie di prudenza: la prudenza domestica, che regola le relazioni degli sposi tra loro, dei genitori verso i figli e viceversa; la prudenza civile, che mira al bene pubblico e al buon governo dello Stato; la prudenza militare, che si occupa della condotta degli eserciti.
Non entreremo qui nei particolari; i principii generali che abbiamo esposti bastano al fine propostoci. Spetta agli sposi cristiani, ai governanti e ai capi militari studiare a fondo l’applicazione di questi principi alla loro particolare condizione.
II. Necessità della prudenza.
La prudenza è necessaria tanto per dirigere noi stessi quanto per dirigere gli altri.
1026. 1° Per dirigere noi stessi, ossia per santificarci. È lei infatti che ci fa schivare il peccato, e praticare le virtù. A) Per schivare il peccato, bisogna, come abbiamo già detto, conoscerne le cause e le occasioni, studiare e preparare i rimedi. Ed è quello che fa la prudenza, come possiamo conchiudere dallo studio dei suoi elementi costitutivi: consultando l’esperienza dei passato e lo stato attuale dell’anima, vede ciò che per noi è o nell’avvenire potrebbe essere causa od occasione di peccato; quindi suggerisce i mezzi migliori onde sopprimere o attenuare queste cause e la strategia più atta a vincere le tentazioni‑ e trarne anzi profitto. Senza questa prudenza, quanti peccati si commetterebbero! quanti se ne commettono per difetto di prudenza!
1027. B) La prudenza è pure necessaria per .praticare le virtù e agevolare così l’unione con Dio. A ragione si paragonano le virtù a un cocchio che ci conduce a Dio e la prudenza al cocchiere che lo guida, auriga virtutum; è come l’occhio dell’anima che vede la via da seguire e gli ostacoli da evitare.
1) E’ necessaria alla pratica di tutte le virtù: delle virtù morali, che devono tenersi nel giusto mezzo e schivare gli opposti eccessi; e anche delle virtù teologali, che devono praticarsi a tempo opportuno e con mezzi appropriati alle varie circostanze della vita: così spetta alla prudenza esaminare quali sono i pericoli che minacciano la fede e i mezzi per allontanarli; in che modo può essere coltivata la fede e diventar più pratica; in che modo s’ha da conciliare la confidenza in Dio e il timore dei divini giudizi, schivando nello stesso tempo la presunzione e la disperazione; in che modo la carità può informare tutte le nostre azioni senza turbar l’esercizio dei doveri dei nostro stato. E quanta prudenza non occorre nella pratica della carità fraterna!
2) Anche più necessaria è per la pratica d’ un certo numero di virtù che paiono contradittorie: la giustizia e la bontà, la dolcezza e la fortezza, le sante austerità e la cura della salute, la sollecitudine per il prossimo e la castità, la vita interiore e gli affari.
1028. 2° Non meno necessaria è la prudenza nella pratica dell’apostolato.
a) Sul pulpito, la prudenza suggerisce al sacerdote ciò che si deve dire e ciò che si deve tacere, come si deve parlare per non offendere gli uditori, per adattare la divina parola al loro grado d’intelligenza, per persuadere, commuovere e convertire. Forse anche più necessaria è nel fare il catechismo, dove si tratta di formare i giovanetti e stampar nella loro anima un’impronta che durerà poi tutta la vita.
b) Al confessionale, la prudenza è quella che fa del confessore un giudice perspicace ed integro, capace di discernere la varia colpevolezza, interrogare: i penitenti con precisione e chiarezza secondo l’età e la condizione di ciascuno, tenendo ,conto di tutte le circostanze; un dottore capace di istruire senza scandalizzare, di lasciar certe anime nella buona fede o avvertirle secondo i vari risultati che si possono prevedere; un medico capace di esplorar con delicatezza le cause della malattia, scoprirne e savviamente prescriverne i rimedi; un padre così affettuoso da ispirare confidenza e così riserbato da non ispirare troppo umana simpatia.
c) In tutto ciò che riguarda battesimi, prime comunioni, matrimonii, Estrema Unzione, funerali, quanta finezza è necessaria per conciliare i desiderii delle famiglie e le leggi divine e liturgiche i Nelle visite agli infermi o nelle visite di apostolato quanta avvedutezza ci vuole !
d) Lo stesso si dica nell’amministrazione temporale delle parrocchie, in fatto di tariffe per le diverse cerimonie, nell’obolo per il culto; per sapere ottener tutti i mezzi necessari alla Chiesa senza urtare i parrocchiani, senza scandalizzarli, senza compromettere la riputazione di perfetto disinteresse di cui ogni sacerdote deve godere.
III. I mezzi di perfezionarsi in questa virtù.
1029. C’è un mezzo generale che s’applica a tutte le virtù, morali e teologali, è la preghiera, con cui attiriamo in noi Gesù e le sue virtù. Lo accenniamo, qui una volta per sempre per non doverci poi tornar sopra; e non parleremo più che dei mezzi proprii a ciascuna virtù.
1030. 1° Il principio generale che presiede a tutti gli altri e si applica a tutte le anime è di riferire tutti i giudizi e tutte le risoluzioni alfine ultimo soprannaturale. È ciò che S. Ignazio consiglia a principio degli Esercizi Spirituali, nella meditazione fondamentale.
a) Osserviamo per altro che questo principio non sarà inteso da tutte le anime allo stesso modo: gl’incipienti, considerando il fine dell’uomo, si fisseranno piuttosto sulla salvezza dell’anima, i perfetti sulla gloria di Dio; questo secondo modo è in sé migliore, ma non tutte le anime potrebbero intenderlo e gustarlo.
b) A concretar meglio questo principio, si può affiggerlo a qualche massima che ce lo porrà vivamente sotto gli occhi, per esempio: Quid hoc ad aeternitatem! ‑ Quod aeternum non est, nihil est. ‑ Quid prodest homini?…
In pratica poi il convincersi bene di alcuna di queste massime, il ritornarci sopra fin che ci sia divenuta familiare, l’abituarsi a viverne, è il mezzo efficace per fissarci nell’anima i fondamenti della cristiana prudenza.
1031. 2° Armati di questo principio, gl’incipienti si applicano a liberarsi dai difetti contrari alla prudenza cristiana[6].
a) Combattono quindi vigorosamente la prudenza della carne, che cerca avidamente i mezzi di soddisfare la triplice concupiscenza, mortificando l’amore del piacere e ripensando che le false gioie di questo mondo, molto spesso seguite da amari dispiaceri, sono un nulla in paragone delle gioie eterne.
b) Rigettano premurosamente l’astuzia, l’inganno, la frode anche nel perseguimento di un fine onesto, persuasi che la miglior politica è ancora l’onestà, che il fine non giustifica i mezzi e che, secondo il Vangelo, si deve associar la semplicità della colomba alla prudenza del serpente. Cosa tanto più necessaria perchè talora si rimproverano questi difetti, per lo più ingiustamente, ai devoti, ai sacerdoti, ai religiosi. Si coltiverà dunque con ogni premura la lealtà perfetta e la evangelica semplicità.
1032. c) Lavorano a mortificare i pregiudizi e le passioni che sono elementi perturbatori del giudizio: i pregiudizi, che inducono a prendere una risoluzione per motivi preconcetti che possono essere falsi o irragionevoli; le passioni, superbia, sensualità, voluttà, eccessiva sollecitudine dei beni del mondo, che agitano l’anima e le fanno scegliere non ciò che è meglio, ma ciò che è più dilettevole e più utile rispetto ai temporali interessi. Ad affrancarsi da queste perturbatrici influenze, richiamano le massime evangeliche: “Quarite primum regnum Dei et justitiam ejus”. Evitano quindi di prendere risoluzioni sotto l’impulso di una viva passione e aspettano che sia tornata la calma nell’anima. Se poi occorresse risolversi presto, si raccolgono almeno un momento per mettersi alla presenza di Dio, implorarne i lumi e fedelmente seguirli.
d) A combattere la leggerezza dell’animo, la corrività nei giudizi o la sconsideratezza, badano a non operar mai senza riflettere, senza chiedersi per quali. motivi operano, quali saranno le conseguenze buone o cattive dei loro atti, il tutto in relazione con l’eternità. Questa riflessione sarà proporzionata all’importanza della risoluzione da prendere, e in cose gravi consulteranno persona savia e sperimentata. Così a poco prenderanno l’abitudine di non risolvere nulla e di nulla fare senza riferirlo a Dio e all’ultimo fine.
e) Infine, ad evitare l’irrisolutezza e l’eccessiva esitazione a risolversi, si baderà a rimuovere le cause di questa malattia spirituale, (animo troppo complesso o troppo perplesso, timidezza nell’intraprendere, ecc.) facendosi fissare da un savio direttore, onde si risolverà con franchezza nei casi ordinari e si chiederà consiglio nei casi più difficili.
1033. 3° Le anime proficienti si perfezionano nella prudenza in tre modi :
a) Studiandole azioni e le parole. di Nostro Signore nel Vangelo, per trovarvi il modo di condursi e attirare in sé, colla preghiera e coll’imitazione, le disposizioni di questo divino Modello. 1) Così se ne ammirerà la prudenza nella vita nascosta: passa trent’anni nella pratica di quelle virtù che ci costano tanto, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà, prevedendo che, senza questa lezione di cose, noi non avremmo mai saputo praticare queste così necessarie virtù. E non se ne ammirerà meno la prudenza nella vita pubblica: lotta col demonio così da sconcertarne i disegni e confonderlo con risposte che non ammettono replica; porge il suo insegnamento secondo le circostanze; non palesa se non gradatamente la sua qualità di Messia e di Figlio di Dio; usa paragoni familiari per far meglio capire il suo pensiero, e parabole per coprirlo o svelarlo secondo che volevano le circostanze; smaschera abilmente gli avversari e risponde alle capziose loro interrogazioni con altre domande che li sconcertano; forma progressivamente gli apostoli, sopportandone i difetti e adattando l’insegnamento alla loro capacità “non potestis portare modo”[7]; sa peraltro dir loro dure verità, come l’annunzio della sua passione, a fine di prepararli allo scandalo della croce; anche nel corso della dolorosa sua passione risponde con calma così ai giudici come ai loro servi, sapendo tacere a tempo opportuno;… sa insomma conciliare in ogni cosa la più perfetta prudenza con la fermezza e la fedeltà al dovere.
2) Il suo insegnamento poi si compendia in queste parole: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia… Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe… Vigilate e pregate: Quaerite ergo primum regnum Dei et justitiam ejus… Estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae …[8] Vigilate et orate”[9].
Meditare questi insegnamenti e questi esempi e ardentemente supplicar Nostro Signore di farci parte della sua prudenza: tal è il mezzo principale di perfezionarsi in questa virtù.
1034. b) Coltiveranno poi gli elementi costitutivi della prudenza di cui abbiamo parlato, vale a dire il buon senso, l’abito della riflessione, la docilità a consultare gli altri, lo spirito di risolutezza, lo spirito di previsione e di circospezione.
1035. c) Infine daranno alla loro prudenza le qualità additate da S. Giacomo[10], il quale, dopo avere distinta la vera dalla falsa sapienza, aggiunge: “Quae autem desursum est sapientia, primum quidem pudica est, deinde pacifica, modesta, suadibilis, plena misericordia et fructibus bonis, non judicans, sine simulatione”.
Pudica, vigile nel serbare quella purità di corpo e di cuore che ci unisce a Dio, e quindi all’eterna sapienza.
Pacifica, serbando la pace dell’anima, la calma, la moderazione, la ponderazione che giovano a prendere savie risoluzioni.
Modesta, piena di condiscendenza verso gli altri, e quindi anche suadibilis, facile a lasciarsi persuadere e a cedere alle buone ragioni; scansando così gli sdegni provocati dalle contese.
Plena misericordia et fructibus bonis, piena di misericordia verso gli sventurati, lieta di beneficarli, perché è segno di cristiana saggezza l’accumulare tesori per il cielo.
Non judicans, sine simulatione, senza parzialità né doppiezza e senza ipocrisia, difetti che turbano l’anima e il giudizio.
1036. I perfetti praticano la prudenza in modo eminente, sotto l’efficacia del dono del consiglio, come spiegheremo trattando della via unitiva.
Art. II. Della virtù della giustizia.
Richiamato brevemente l’insegnamento teologico sulla giustizia, tratteremo per ordine delle virtù della religione e dell’obbedienza che vi si connettono.
I. La giustizia propriamente detta.
Ne esporremo: 1° la natura; 2° le regole principali da seguire per praticarla.
I. Natura della giustizia.
1037. 1° Definizione. La parola giustizia, nella S. Scrittura, significa spesso tutto il complesso delle virtù cristiane; in questo senso Nostro Signore proclama beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, cioè di santità: “Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam“[11]. Ma nel significato ristretto in cui qui l’usiamo, indica quella virtù morale soprannaturale, che inclina la volontà a rendere costantemente agli altri tutto ciò che è loro strettamente dovuto.
È virtù che risiede nella volontà e che regola gli stretti doveri verso il prossimo; onde si distingue dalla carità, virtù teologale, che ci fa considerare gli altri come fratelli in Gesù Cristo, inclinandoci a rendere loro servigi non richiesti dalla stretta giustizia.
1038. 2° Eccellenza. La giustizia fa regnar l’ordine e la pace così nella vita individuale come nella sociale. Appunto perché rispetta i diritti di ognuno, fa regnar l’onestà negli affari, reprime la frode, protegge i diritti dei piccoli e degli umili, raffrena le rapine e le ingiustizie dei forti e mette quindi l’ordine nella società[12]. Senza di lei vi sarebbe anarchia, lotta fra i contrari interessi, oppressione dei deboli da parte dei forti, trionfo del male.
Se così eccellente è la giustizia naturale, quanto più lo sarà la giustizia cristiana che è partecipazione della stessa giustizia di Dio? Lo Spirito Santo, comunicandocela, ce la fa penetrare sin nelle profondità dell’anima, la rende incrollabile, incorruttibile, aggiungendovi tal premura dei diritti altrui, che si ha orrore non solo dell’ingiustizia propriamente detta ma anche delle minime indelicatezze.
1039. 3° Le principali specie. Se ne distinguono due specie principali: la giustizia generale, che ci prescrive di rendere alle società ciò che loro dobbiamo, e la giustizia particolare, che ci fa rendere agli individui quanto è loro dovuto.
a) La prima, che si dice pure giustizia legale perché è fondata sull’esatta osservanza delle leggi, ci obbliga a riconoscere i grandi benefici che riceviamo dalla società col sopportare i pesi legittimi che ella c’impone e col prestarle i servigi che da noi si aspetta. Essendo il bene comune superiore al bene particolare, vi sono casi in cui i cittadini devono sacrificare una parte dei loro beni, della loro libertà, e rischiare anche la vita per la difesa della città. ‑ Ma anche la società ha doveri verso i propri sudditi: deve distribuire i beni sociali e le cariche non a capriccio e per favoritismo, ma secondo le capacità di ciascun cittadino, e tenendo conto delle regole dell’equità. A tutti ella deve quel tanto di protezione e di assistenza che è indispensabile perché siano tutelati gli essenziali diritti ed interessi di ogni cittadino; il favoritismo verso gli uni e la persecuzione verso gli altri sono abusi contrari alla giustizia distributiva che le società devono ai loro sudditi.
1040. b) La seconda, la giustizia particolare, regola i diritti e i doveri dei cittadini tra loro. Deve rispettare tutti i diritti: non solo il diritto di proprietà, ma anche i diritti che hanno sui beni del corpo e dell’anima, la vita, la libertà, l’onore, la riputazione.
Non possiamo entrare in tutte quelle particolarità che abbiamo esposto nella nostra Teologia morale,[13] e basterà richiamare le principali regole che devono guidarci nella pratica di questa virtù.
II. Principali regole per praticar la giustizia.
1041. 1° Principio. E’ chiaro che le persone pie, i religiosi e i sacerdoti sono obbligati a praticar la giustizia con perfezione e delicatezza maggiore delle persone del mondo, dovendo dar buon esempio in materia di onestà come in tutte le altre virtù. Chi facesse altrimenti scandalizzerebbe il prossimo e ‑darebbe pretesto ai nostri avversari di condannar la religione. Sarebbe pure porre ostacolo al progresso spirituale, perché il Dio di ogni giustizia non può ammettere alla. sua intimità coloro che apertamente ne violano i formali precetti sulla giustizia.
1042. 2° Applicazioni. A) Si deve prima di tutto rispettare il diritto di proprietà per quel che riguarda i beni temporali.
a) Si eviteranno quindi con ogni diligenza i Piccoli furti, che per sdrucciolevole pendio conducono spesso ad ingiustizie più gravi; e s’inculcherà questo principio fin dall’infanzia, per ispirare una specie d’orrore istintivo alle più piccole ingiustizie. A più forte ragione si eviteranno quei furti commessi dai mercanti o dagli industriali che praticano abitualmente la frode sulla qualità o sulla quantità delle merci col pretesto che i concorrenti fanno lo stesso; oppure che vendono a prezzi esagerati o comprano a prezzi irrisori, abusando della semplicità dei clienti; si starà alla larga dalle speculazioni temerarie e da quei loschi affari in cui si rischia la fortuna propria e l’altrui sotto pretesto di lauti guadagni.
b) Si avrà orrore dei debiti quando non si è sicuri di poterli pagare; e chi ne avesse contratto qualcuno, si farà un punto d’onore di rimborsarlo al più presto.
c) Quando si prende ad imprestito un oggetto, bisogna trattarlo con riguardo anche maggiore che se fosse nostro, e badare a restituirlo il più presto possibile. Quanti furti incoscienti si commettono quando si trascurano. queste precauzioni!
d) Chi ha volontariamente causato qualche danno è tenuto per giustizia a ripararlo; se involontariamente, non è strettamente obbligato, ma chi mira alla perfezione lo farà per quanto gli averi glie lo permettono.
e) Quando si riceve in deposito danaro o valori per opere buone, bisogna prendere tutte le precauzioni legali perché, in caso di morte improvvisa, coteste somme siano bene impiegate secondo le intenzioni dei donatori. Sia detto specialmente per i sacerdoti che ricevono onorari di messe od elemosine; essi devono non solo tenere i conti in ordine, ma avere per legatario o per esecutore testamentario un sacerdote che possa assicurare l’adempimento delle messe o il buon uso delle elemosine.
1043. B) Non è meno necessario rispettare la riputazione e l’onore del prossimo.
a) Si schiveranno quindi i giudizi temerari sul prossimo. Condannare i nostri fratelli per semplici apparenze o per ragioni più o meno futili, senza conoscerne a fondo le intenzioni, è un usurpare i diritti di Dio, che solo è giudice supremo dei vivi e dei morti; è commettere un’ingiustizia rispetto al prossimo, perché si condanna senza ascoltarlo, senza conoscere i motivi segreti delle sue azioni, e per lo più sotto l’impero di pregiudizi o di qualche passione. La giustizia e la carità vogliono invece o che ci asteniamo dal giudicare, o che interpretiamo più favorevolmente possibile le azioni del prossimo.
b) A più forte ragione bisogna astenersi dalla maldicenza, che palesa ad altri le colpe o i difetti segreti del prossimo. Anche che questi difetti, come noi supponiamo, siano veri, fin che non sono di dominio pubblico, non abbiamo il diritto di propalarli. Facendolo: 1) contristiamo il prossimo che, vedendosi colpito nella riputazione, ne soffre tanto più. quanto più caro gli è l’onore; 2) l’abbassiamo nella stima dei suoi pari; 3) diminuiamo l’autorità e il credito di cui ha bisogno per fare i suoi affari od esercitare una legittima influenza, onde gli possiamo cagionar talora danni quasi irreparabili.
Né si dica che colui del quale si raccontano le colpe non ha più diritto alla riputazione: la conserva fino a tanto che le sue colpe non sono pubbliche; ma poi non bisogna perdere di vista la parola del Salvatore: “Chi di voi è senza peccato lanci la prima pietra”[14]. Si noti che i Santi sono tutti sommamente misericordiosi e cercano in tutti i modi di difendere la riputazione dei fratelli. E’ meglio che anche noi li imitiamo.
c) Con ciò saremo più sicuri di schivar la calunnia, che, con false imputazioni, accusa il prossimo di colpe non commesse. Ingiustizia tanto più grave in quanto che e spesso ispirata dalla malignità o dalla gelosia. Quanti mali cagiona! Troppo bene accolta, ahimè! dall’umana malizia, corre rapidamente di bocca in bocca, distrugge la riputazione e l’autorità di coloro che ne sono vittime e ne pregiudica talora gravemente anche gli affari temporali.
1044. Vi è quindi stretto dovere di riparare le maldicenze e le calunnie. È cosa certamente difficile; perché il ritrattarsi costa, e poi la ritrattazione, per quanto sincera sia, non fa che palliare l’ingiustizia commessa; la menzogna, anche quando è ritrattata, lascia spesso tracce indelebili. Non è però questa una buona ragione per non riparare la commessa ingiustizia; bisogna anzi applicarcisi con tanto maggiore energia e costanza quanto più grande è il male. La difficoltà della riparazione deve indurci ad astenerci da tutto ciò che potrebbe da vicino o da lontano farci cadere in questo grave difetto.
Ecco perché tutti coloro che tendono alla perfezione coltivano non solo la giustizia ma anche la carità, la quale, facendoci veder Dio nel prossimo, ci fa diligentemente schivare tutto ciò che potrebbe contristarlo. Ci ritorneremo più avanti.
II. La virtù della religione.
1045. Questa virtù si, connette con la giustizia, perché ci fa rendere a Dio il culto che gli è dovuto; ma non potendo noi offrirgli l’ossequio infinito a cui ha diritto, la nostra religione non avvera tutte le condizioni della giustizia; onde non è in senso proprio un atto di giustizia, ma vi si avvicina quanto più è possibile. ‑ Ne esporremo: 1° la natura; 2° la necessità; 3° la pratica.
1° Natura della virtù della religione.
1046. La religione è una virtù morale soprannaturale che inclina la volontà a rendere a Dio il culto che gli è dovuto per la infinita sua eccellenza e pel supremo suo dominio sopra di noi.
a) E’ una virtù speciale, distinta dalle tre virtù teologali che hanno Dio per oggetto diretto; mentre l’oggetto proprio della religione, è il culto di Dio, sia interno che esterno. Ma presuppone la virtù della fede, che ci illumina sui diritti di Dio; e quando sia perfetta, è informata dalla carità e finisce col non essere più che l’espressione e la manifestazione delle tre virtù teologali.
b) Il suo oggetto formale o motivo è di riconoscere l’infinita eccellenza di Dio, primo principio ed ultimo fine, Essere perfetto, Creatore da cui tutto dipende e a cui tutto deve tendere.
c) Gli atti a cui la religione ci induce sono interni ed esterni.
1047. Con gli atti interni assoggettiamo a Dio l’anima con le sue facoltà, e specialmente l’intelletto e la volontà. 1) Il primo e più importante di questi atti è l’adorazione per cui tutto il nostro essere si prostra davanti a Colui che è la pienezza dell’essere e la fonte di tutto ciò che vi è di bene nella creatura. è accompagnata o seguita dalla ammirazione riverente che proviamo alla vista delle infinite sue perfezioni. 2) Ed essendo egli l’autore di tutti i beni che possediamo, gliene professiamo la debita riconoscenza. 3) Ma ricordandoci di essere peccatori, concepiamo sentimenti di penitenza per riparar l’offesa commessa contro l’infinita sua maestà.
4) E perché abbiamo continuamente bisogno del suo aiuto per fare il bene e conseguire il nostro fine, gli rivolgiamo le nostre preghiere o domande, riconoscendo così che è fonte d’ogni bene.
1048. Questi sentimenti interni si manifestano con atti esterni, che hanno tanto maggior valore quanto più perfetti sono gli atti interni di cui sono espressione. 1) Il principale di questi atti è certamente il sacrifizio, atto esterno e sociale, con cui il sacerdote offre a Dio, in nome della Chiesa, una vittima immolata, per riconoscerne il supremo dominio, riparare l’offesa fatta alla sua Maestà ed entrare in comunione con lui. Nella nuova Legge non c’è che un solo sacrificio, quello della messa, che, rinnovando il sacrificio dei Calvario, porge a Dio ossequi infiniti e ottiene agli uomini tutte le grazie di cui hanno bisogno. Ne abbiamo indicato più sopra gli effetti e le disposizioni necessarie per trarne profitto, n. 271‑276. 2). A quest’atto principale s’aggiungono: le preghiere pubbliche offerte, in nome della Chiesa, dai suoi rappresentanti, in particolare l’ufficio divino; le benedizioni del SS. Sacramento; le preghiere vocali private; i giuramenti e i voti fatti con prudenza, in onore di Dio, dotati di tutte le condizioni descritte nei trattati di Teologia morale; gli atti soprannaturali esterni fatti per la gloria di Dio e che, secondo l’espressione di san Pietro, sono sacrifizi spirituali graditi a Dio, “offerre spirituales hostias, acceptabiles Deo”[15].
Da ciò si può conchiudere che la virtù della religione e la più eccellente delle virtù morali, perché, facendoci praticare il culto divino, ci avvicina a Dio più che le altre virtù.
II. Necessità della virtù della religione.
Per procedere con ordine, dimostreremo: 1° che tutte le creature devono rendere gloria a Dio; 2° che è dovere speciale per l’uomo; 3° soprattutto poi pel sacerdote.
1049. 1° Tutte le creature devono rendere gloria a Dio. Se ogni opera deve proclamar la gloria dell’artista che l’ha fatta, quanto più deve la creatura proclamar la gloria del suo Creatore? L’artista non fa poi altro che modellar l’opera sua e, terminata che l’abbia, non ci ha più da far nulla. L’artista divino invece non solo modellò le sue creature ma le trasse intieramente dal nulla, imprimendovi non solo l’orma del suo, genio ma anche un raggio delle sue perfezioni; e continua ad occuparsene conservandole, aiutandole col suo concorso e con la sua grazia, cosicché sono in una intiera dipendenza da lui. Devono quindi assai più dell’opere d’un artista proclamar la gloria del loro autore. A quello che fanno, a modo loro, gli esseri inanimati, i quali, svelandoci la loro bellezza e la loro armonia, c’invitano a glorificar Dio: “Caeli enarrant gloriam Dei[16]… ipse fecit nos et non ipsi nos“[17]; ma è ossequio che non onora Dio se non molto imperfettamente perché non è libero.
1050. 2° Spetta dunque all’uomo il glorificar Dio in modo cosciente, prestare il cuore e la voce a queste, creature inanimate onde rendergli ossequio intelligente e libero. Spetta a lui, che è il re della creazione, contemplar tutte queste maraviglie per riferirle a Dio ed essere quindi il pontefice della creazione. Deve specialmente lodarlo in nome proprio: più perfetto degli esseri irragionevoli, creato ad immagine e somiglianza di Dio, partecipe della sua vita, deve vivere in assidua ammirazione, lode, adorazione, riconoscenza ed amore al suo Creatore e Santificatore. E’ quello che dichiara S. Paolo[18]: “Da lui, per lui, e a lui sono tutte le cose: a lui la gloria per tutti i secoli!… Sia che viviamo, viviamo per il Signore; sia che moriamo, moriamo pel Signore…”. E, ricordando ai discepoli che il nostro corpo come l’anima nostra è tempio dello Spinto Santo, aggiunge: “glorificate Dio nel vostro corpo: glorificate et portate Deum in corpore vestro“[19].
1051. 3° Questo dovere spetta soprattutto ai sacerdoti. Infatti la maggior parte degli uomini, ingolfati negli affari e nei piaceri, sventuratamente non consacrano che pochissimo tempo all’adorazione. Si dovevano quindi scegliere tra loro delegati speciali, accetti a Dio, che potessero, non solo in nome proprio ma in nome pure di tutta la società, rendere a Dio i doveri di religione a cui ha diritto. E’ appunto questo l’ufficio del sacerdote cattolico eletto da Dio stesso, tra gli uomini, è come il mediatore di religione tra il cielo e la terra, incaricato di glorificar Dio e porgergli l’ossequio di tutte le creature, facendone poi scendere sulla terra una pioggia di grazie e di benedizioni. Tal è quindi il dovere del suo stato, la sua professione, vero dovere di giustizia, come spiega S. Paolo[20]: “Omnis namque, Pontifex ex hominibus assumptus pro hominibus constituitur in his quae sunt ad Deum, ut offerat dona et sacrificia pro peccatis”. Ecco perché la Chiesa gli affida due grandi mezzi per praticar la virtù della religione: l’ufficio divino e la santa messa. Doppio dovere che deve compiere con tanto maggior fervore in quanto che, glorificando Dio, lo dispone nello stesso tempo favorevolmente ad esaudire le nostre richieste; lavora così e alla santificazione propria e a quella delle anime che gli sono affidate, n. 393‑401. Le sue preghiere hanno tanto maggiore efficacia, in quanto che è la Chiesa, è Gesù che prega con lui e in lui; ora le preghiere di Cristo sono sempre esaudite: exauditus est pro sua reverentià“[21].
III. Pratica della virtù della religione.
1052. Per ben praticar questa virtù, bisogria coltivare la vera devozione, cioè quella disposizione abituale della volontà che ci fa prontamente e generosamente abbracciare tutto ciò che è di servizio di Dio. E dunque in sostanza una manifestazione dell’amor di Dio; onde la religione si connette con la carità.
1053. 1° Gl’incipienti praticano questa virtù a) osservando bene le leggi di Dio e della Chiesa sulla preghiera, sulla santificazione delle domeniche e delle feste; b) schivando la abituale dissipazione esterna ed interna, che è fonte di numerose distrazioni nella preghiera, con una certa vigilanza a lottare contro l’onda invadente dei divertimenti mondani e delle inutili fantasticherie; c) raccogliendosi interiormente prima di pregare, per farlo con maggior attenzione, e praticando il santo esercizio della presenza di Dio, n. 446.