…Dell’aumento della vita cristiana per mezzo dei Sacramenti. Della grazia sacramentale. Disposizioni necessarie per ben ricevere i Sacramenti. Disposizioni per trar profitto dal sacramento della Penitenza. Disposizioni per trar profitto dall’Eucaristia….
ART.II. LA PARTE DELL’UOMO NELLA VITA CRISTIANA.
III. Dell’aumento della vita cristiana per mezzo dei Sacramenti.
249. Non solo con atti meritori fatti ad ogni istante possiamo crescere in grazia e in perfezione, ma anche col frequente uso dei Sacramenti. Segni sensibili istituiti da Nostro Signore Gesù Cristo, i Sacramenti significano e producono nell’anima la grazia. Sapendo come l’uomo si lasci prendere dalle cose esteriori, Dio volle, nell’infinita sua bontà, annettere la grazia ad oggetti e ad azioni visibili. E’ di fede che i nostri Sacramenti contengono la grazia che significano e che la conferiscono a tutti coloro che non vi pongono ostacolo[1]; e ciò non unicamente in virtù delle disposizioni del soggetto, ma ex opere operato, come cause strumentali della grazia, restandone Dio evidentemente la causa principale e Gesù Cristo la causa meritoria.
250. Ogni Sacramento produce, oltre la grazia abituale ordinaria, una grazia che si chiama sacramentale o propria di quel dato Sacramento. La quale non è specificamente distinta dalla prima ma vi aggiunge, secondo S. Tommaso e la stia scuola, un vigore speciale, destinato a produrre effetti correlativi a ciascun Sacramento; o in ogni caso, a parere di tutti, un diritto a grazie attuali speciali che saranno concesse a tempo opportuno per adempiere più facilmente i doveri imposti dal Sacramento ricevuto. Così, per esempio, il Sacramento della Confermazione ci dà il diritto di ricevere grazie attuali speciali di soprannaturale fortezza per lottare contro il rispetto umano e confessare la fede innanzi e contro a tutti.
Quattro cose meritano la nostra attenzione 1° la grazia sacramentale o propria di ciascun sacramento; 2° le disposizioni necessarie per trarne maggior profitto; 3° le disposizioni speciali per il Sacramento della Penitenza; 4° le disposizioni richieste per l’Eucaristia.
I. Della grazia sacramentale.
I Sacramenti conferiscono grazie speciali in relazione alle varie tappe che dobbiamo percorrere nella vita.
251. a) Nel àattésúno, è grazia di rigenerazione spirituale, che ci, purifica dal peccato originale, ci fa nascere alla vita della. grazia, e crea in noi l’uomo nuovo, l’uomo rigenerato che vive della vita di Cristo. Secondo la bella dottrina di S. Paolo[2] nel battesimo noi siamo sepolti con Gesù Cristo (il che era figurato per l’addietro dal battesimo d’immersione) e risuscitiamo con Lui, per vivere d’una vita nuova: “Consepulti enim sumus cum illo per baptismum in mortem, ut quomodo Christus surrexit a mortuis, ita et nos in novitate vitae ambulemus”. La grazia speciale o sacramentale che ci vien data è dunque: 1) una grazia di morte al peccato, di crocifissione spirituale che ci aiuta a combattere e domare le cattive tendenze dell’uomo vecchio; 2) una grazia di rigenerazione che c’incorpora a Gesù Cristo, ce ne fa partecipare la vita, ci aiuta a vivere secondo i sentimenti e gli esempi di Gesù Cristo ed essere quindi perfetti cristiani. Onde il dovere per noi di combattere il peccato e le sue cause, di aderire a Gesù e imitarne le virtù.
252. b) La Confermazione fa di noi i soldati di Cristo; aggiunge alla grazia del Battesimo una grazia speciale di fortezza per professar generosamente la fede contro tutti i nemici e principalmente contro il rispetto umano, che impedisce a un sì gran numero d’uomini di praticare i doveri religiosi. E’ questa la ragione per cui i doni dello Spirito Santo, che ci erano gia stati comunicati nel Battesimo, nel giorno della cresima ci vengono conferiti in modo più speciale per illuminare la nostra fede, renderla più viva e più penetrante e fortificarci nello stesso tempo la volontà contro tutte le debolezze. Onde la necessità di coltivare i doni dello Spirito Santo e soprattutto quello della cristiana virilità.
253. c) L’Eucaristia nutrisce l’anima nostra che, come il corpo, ha bisogno d’alimentarsi per vivere e fortificarsi. Ora, per alimentare una vita divina, è necessario un alimento divino: e sarà il corpo e il sangue di Gesù Cristo, la sua anima e la sua divinità, che ci trasformeranno in altrettanti Cristi, facendo passare in noi il suo spirito, i suoi sentimenti e le sue virtù, e soprattutto il suo amore per Dio e per gli uomini.
254. d) Se abbiamo la sventura di perdere col peccato mortale la vita della grazia, il Sacramento della Penitenza lava le nostre colpe nel sangue di Gesù Cristo, la cui virtù ci viene applicata con l’assoluzione, purché siamo sinceramente contriti e risoluti a romperla col peccato, come presto spiegheremo (n. 262).
255. e) Quando la morte viene a battere alla nostra porta, abbiamo bisogno d’essere confortati in mezzo alle angoscie e ai timori che le nostre colpe passate, le nostre infermità presenti e i giudizi di Dio ci ispirano. L’Estrema Unzione, versando l’olio santo sui principali nostri sensi, versa nello stesso tempo nell’anima una grazia di alleviamento e di spirituale conforto che ci libera dai resti dei peccato, ci ravviva la confidenza e ci arma contro i supremi assalti del nemico, facendoci partecipare ai sentimenti di S. Paolo che, dopo aver combattuto il buon combattimento, si rallegrava al pensiero della corona che l’attendeva. E’ necessario quindi chiedere per tempo questo sacramento, appena si è gravemente infermi, affinché possa produrre tutti i suoi effetti, e, occorrendo, se Dio lo giudica utile, renderci anche la salute; è una crudeltà per quelli che assistono l’ammalato dissimulargli la gravità del suo stato e rimandare all’ultimo momento il ricevimento d’un sacramento così consolante.
Questi sacramenti bastano a santificare l’individuo nella vita privata; due altri lo santificano nelle relazioni con la società: l’Ordine che dà alla Chiesa degni ministri, e il Matrimonio che santifica la famiglia.
256. f) L’Ordine dà ai ministri della Chiesa non solo mirabili poteri per consacrare l’Eucaristia, amministrare i sacramenti e predicare la dottrina evangelica, ma anche la grazia d’esercitarli santamente; in particolare un amore ardente per il Dio dell’Eucaristia e per le anime, con la ferma volontà di immolarsi e di spendersi intieramente per queste due nobili cause. A qual grado di santità debbano tendere, lo diremo più innanzi.
257. g) Per santificare la famiglia, cellula primordiale della società il sacramento del Matrimonio dà agli sposi le grazie di cui hanno così urgente bisogno, la grazia di un’ assoluta e costante fedeltà, così difficile al volubile cuore umano; la grazia di rispettare la santità del letto coniugale non ostante le contrarie sollecitazioni della concupiscenza; la grazia di consacrarsi con inalterabile abnegazione alla cristiana educazione dei figli.
258. Vi è dunque per ogni circostanza importante della vita, per ogni dovere individuale o sociale, un mirabile aumento di grazia santificante che ci vien dato; e affinché questa grazia sia posta in opera, ogni sacramento ci dà diritto a certe grazie attuali, che verranno a sollecitarci all’esercizio delle virtù che dobbiamo praticare, e a somministrarci soprannaturali energie per riuscirvi. Sta a noi il corrispondervi con disposizioni le più perfette possibili.
II. Disposizioni necessarie per ben ricevere i Sacramenti.
Dipendendo la quantità di grazia prodotta dai sacramenti e da Dio e da noi[3], vediamo come possiamo aumentarla così da una parte come dall’altra.
259. A) Dio è certamente libero nella distribuzione dei suoi favori; e può quindi, nei Sacramenti, concedere maggiore o minore grazia secondo i disegni della sua sapienza e della sua bontà. Ma vi sono leggi ch’egli stesso stabilì, alle quali vuole sottomettersi. Così ripetutamente ci dichiara che nulla sa rifiutare alla preghiera ben fatta: “Domandate e riceverete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto: petite et accipietis, quaerite et invenietis, pulsate et aperietur vobis”[4]; principalmente se è appoggiata sui meriti infiniti di Gesù: “In verità, in verità vi dico, tutto ciò che domanderete al Padre in nome mio, ve lo darà: Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis“[5]. Se quindi preghiamo con umiltà e fervore, in unione con Gesù, per avere, mentre riceviamo un Sacramento, maggior copia di grazia, l’otterremo.
260. B) Da parte nostra, due disposizioni contribuiscono a farci ricevere più copiosa grazia sacramentale: i santi desideri prima di ricevere i sacramenti, e il fervore nel riceverli.
a) L’ardente desiderio di ricevere un sacramento con tutti i suoi frutti, ci apre e ci dilata l’anima. E’ un’applicazione del principio generale posto da Nostro Signore: “Beati coloro che hanno fame e sete di santità perché saranno saziati: Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam, quoniam ipsi saturabuntur”[6]. Aver fame e sete della comunione, della confessione e dell’assoluzione, è un aprire più ampiamente l’anima alle comunicazioni divine; e allora Dio ci sazierà le anime affamate: “Esurientes implebit bonis”[7]. Siamo dunque, come Daniele, uomini di desiderio e sospiriamo le fonti d’acqua viva che sono i sacramenti.
b) Il fervore aumenterà anche di più quest’apertura dell’anima, consistendo nella disposizione generosa di non rifiutar nulla a Dio, di lasciarlo agire nella pienezza della sua virtù e di collaborare con lui con tutta la nostra energia. Una tal disposizione approfondisce e dilata l’anima, la rende più atta alle effusioni della grazia, più docile all’azione dello Spirito Santo, più attiva nel corrispondervi. Da questa mutua collaborazione scaturiscono copiosi frutti di santificazione.
261. Potremmo qui aggiungere che tutte le condizioni che rendono le nostre opere più meritorie (si veda più sopra al n. 237), perfezionano in pari modo le disposizioni che dobbiamo avere nel ricevere i sacramenti e aumentano quindi la misura di grazia che ci è conferita. Ma ciò si capirà anche meglio quando avremo fatto l’applicazione di questo principio alla confessione e alla comunione.
III. Disposizioni per trar profitto dal sacramento della Penitenza[8].
Il sacramento della Penitenza, come abbiamo detto, ci purifica l’anima nel sangue di Gesù Cristo, purché siamo ben disposti, la nostra confessione, sia leale e la nostra contrizione vera e sincera.
1° DELLA CONFESSIONE.
262. A) Una parola sui peccati gravi. Solo di passaggio parliamo dell’accusa delle colpe gravi, di cui abbiamo trattato a lungo nella nostra Teologia morale[9]. Se un’anima che tende alla perfezione ha la disgrazia di commettere, in un momento di debolezza, qualche peccato mortale, bisogna accusarlo con tutta sincerità e in modo chiaro fili dal principio della confessione senza nasconderlo fra la moltitudine dei peccati veniali, farne conoscere bene il numero e la specie con sincerità e umiltà, indicare le cause delle nostre cadute e premurosamente chiedere i rimedi necessari alla nostra guarigione. Bisogna sopra tutto averne profonda contrizione, col fermo proposito d’evitare per l’avvenire non solo le colpe commesse ma anche le occasioni e le cause che ci condussero all’abisso. Perdonato che sia il peccato, si deve alimentare nell’anima un vivo e abituale sentimento di penitenza, un cuore contrito ed umiliato, col sincero desiderio di riparare il male commesso con una vita austera e mortificata, con un amore ardente e generoso. A questo modo una colpa grave isolata, e immediatamente riparata, non è durevole ostacolo al progresso spirituale, perché non lascia quasi traccia nell’anima.
263. B) Delle colpe veniali deliberate. Di colpe veniali vi sono due specie: quelle che si commettono di proposito deliberato, ben sapendo di dispiacere a Dio ma preferendo pel momento il proprio piacere egoista alla volontà divina; e quelle che si commettono di sorpresa, per leggerezza, per fragilità, per mancanza di vigilanza o di coraggio, di cui uno subito si pente con la ferma volontà di non più commetterle. Le prime sono molto serio ostacolo alla perfezione, principalmente quando sono frequenti e che vi si è attaccati, per esempio se si nutrono volontariamente piccoli rancori o l’abitudine del giudizio temerario e della maldicenza, se si fomentano affezioni naturali sensibili, oppure l’attacco al proprio giudizio e alla propria volontà. Sono vincoli che ci attaccano alla terra e c’impediscono di prendere lo slancio verso l’amor divino. Quando, di proposito deliberato, si rifiuta a Dio il sacrifizio dei propri gusti e delle proprie volontà, è chiaro che non sì possono aspettare da Lui quelle grazie speciali che sole ci possono condurre, alla perfezione.
E’ quindi necessario correggersi ad ogni costo di questo genere di colpe. A meglio riuscirvi, bisogna prenderne una dopo l’altra le varie specie o categorie; per esempio, prima le colpe contro la carità, poi quelle contro l’umiltà, contro la virtù della religione, ecc.; accusarci a fondo di ciò che si è notato, massime di quelle che maggiormente ci umiliano, delle cause che ci fanno cadere in questi peccati, puntando le nostre risoluzioni su queste cause e proponendoci di volerle assolutamente evitare. Allora ogni confessione sarà un passo avanti verso la perfezione, principalmente. se uno si studia di ben esercitarsi nella contrizione, come presto diremo.
264. C) Delle colpe di fragilità. Vinti i peccati veniali deliberati, si prendono di mira quelli di fragilità, non già per schivarli intieramente (il che e impossibile), ma per diminuirne il numero. E qui pure bisogna ricorrere alla divisione del lavoro. Si può certo accusare il grosso delle colpe di cui uno si ricorda, ma si fa rapidamente per potere insistere su un genere di colpe in particolare. Si procederà gradatamente, per esempio, prima si batterà sulle distrazioni nelle preghiere, poi sulle colpe contrarie alla purità d’intenzione, poi sulle mancanze di carità.
Nell’esame di coscienza e nella confessione non ci contenteremo di dire: ho avuto delle distrazioni nelle preghiere (il che non apre nulla al confessore), ma diremo: sono stato specialmente distratto o negligente in tale esercizio di pietà e ciò perché non mi ero ben raccolto prima di cominciarlo, ‑ o perché non ebbi il coraggio di respingere prontamente ed energicamente le prime divagazioni, ‑ o perché avendolo fatto, mancai poi di costanza e di continuità nello sforzo. Un’altra volta uno sì accuserà d’essere stato distratto a lungo a causa di piccoli attacchi allo studio o a un confratello, o per ragione di un piccolo rancore non combattuto, ecc. L’indicazione del motivo spiega la causa del male e suggerisce il rimedio e la risoluzione da prendere.
265. A meglio assicurare il buon esito della confessione, sì tratti di colpe deliberate o no, si terminerà l’accusa dicendo: la mia risoluzione, per questa settimana o quindicina, è di energicamente combattere questa fonte di distrazioni, questo attacco, questo genere di pensieri. E alla prossima confessione non si mancherà di dar conto degli sforzi fatti: avevo preso la tal risoluzione l’ho mantenuta per tanti giorni o fino a tal segno; non l’ho mantenuta invece su questo o quell’altro punto. E’ evidente che una tal confessione non sarà fatta per abitudine ma segnerà invece un passo avanti; la grazia dell’assoluzione, venendo a confermare la presa risoluzione, non solo aumenterà la grazia abituale che è in noi, ma ci decuplicherà le energie per farei evitare nell’avvenire un certo numero di colpe veniali, e farci più efficacemente acquistare le virtù.
2° DELLA CONTRIZIONE.
266. Nelle confessioni frequenti bisogna insistere sulla contrizione e sul proponimento che ne è la conseguenza necessaria. Bisogna istantemente chiederla ed esercitarvisi con la considerazione dei motivi soprannaturali, che, pur essendo sostanzialmente gli stessi, varieranno secondo le anime e le colpe accusate
I motivi generali si desumono da parte di Dio e da parte dell’anima. Non facciamo altro che indicarli.
267. A) Da parte di Dio, il peccato, per quanto sia leggiero, è sempre un’offesa a Dio, una resistenza alla sua volontà, un’ingratitudine verso il più amante e il più amabile dei padri e dei benefattori, ingratitudine che tanto più lo ferisce in quanto che noi ne siamo gli amici privilegiati. Volgendosi quindi. a noi, ci dice Non è un nemico che m’oltraggia, che allora lo sopporterei ma tu, tu che eri come un altro me stesso, il mio confidente e il mio amico; vivevamo insieme in una dolce intimità!”[10]… Ascoltiamo con frutto questi rimproveri così ben meritati e sprofondiamoci nell’umiliazione e nella confusione. ‑ Ascoltiamo pure la voce di Gesù e pensiamo che le nostre colpe resero più amaro il calice che gli fu presentato nel giardino degli Ulivi, e ne. intensificarono l’agonia. E allora, dal fondo della nostra miseria, domandiamo umilmente perdono: Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam… Amplius lava me ab iniquitate mea[11]…
268. B) Da parte dell’anima, il peccato veniale, senza diminuire in se la divina amicizia, la rende meno intima e meno attiva; oh! quale perdita l’intimità con Dio! Arresta o per lo meno impaccia considerevolmente la nostra attività spirituale, gettando polvere entro il meccanismo così delicato della vita soprannaturale; ne diminuisce le energie per il bene, aumentando l’amor del piacere; e sopra tutto predispone, se si tratta di colpe deliberate, al peccato mortale,‑ perché in molte materie, specialmente in ciò che riguarda la purità, la linea di confine tra il mortale e il veniale è così tenue e l’attrattiva al piacere cattivo è così seducente, che il confine è presto passato. Quando si pensa a questi effetti, non è difficile pentirsi sinceramente delle proprie negligenze e concepire il desiderio di schivarle per l’avvenire[12]. Per meglio determinare questo buon proponimento è opportuno volgerlo sui mezzi da usare per diminuire le ricadute, come già abbiamo indicato al n. 265.
269. Intanto per essere più sicuri che non manchi la contrizione, è bene accusare un peccato più grave della vita passata, di cui si è sicuri d’avere la contrizione, specialmente se è della stessa specie dei peccati veniali che furono accusati. Qui però bisogna schivare due difetti: l’abitudine che trasformerebbe quest’accusa in una vana formula senza un vero sentimento di contrizione; e la negligenza, che indurrebbe a non darsi pensiero del dolore dei peccati veniali accusati nella presente confessione.
Praticata con questo spirito, la confessione, a cui vengono ad aggiungersi i consigli d’un savio direttore e principalmente la virtù purificatrice dell’assoluzione, sarà un potente mezzo per lìberarci dal peccato e progredire nella virtù.
IV. Disposizioni per trar profitto dall’Eucaristia.
La differenza essenziale tra l’uno e l’altro è che il sacrifizio si riferisce direttamente alla gloria di Dio, e il sacramento ha per scopo diretto la santificazione dell’anima nostra. Ma questi due fini non ne costituiscono veramente che un solo perché conoscere e amare Dio è glorificarlo, onde l’uno e l’altro contribuiscono al nostro progresso spirituale.
1° DEL SACRIFICIO DELLA MESSA COME MEZZO DI SANTIFICAZIONE.
271. A) I suoi effetti. a) Questo sacrifizio anzitutto glorifica Dio e lo glorifica in modo perfetto, perché Gesù vi offre di nuovo al Padre, per mezzo del sacerdote, tutti gli atti di adorazione, di riconoscenza e d’amore che già offrì sul Calvario, atti di valore morale infinito. Offrendosi come vittima, afferma nel modo più espressivo il sovrano dominio di Dio su tutte le cose: è l’adorazione; dando se stesso a Dio in riconoscenza dei suoi benefici, gli rende una lode pari ai benefici: è il ringraziamento o culto eucaristico. Nulla quindi può impedire il conseguimento di quest’effetto, neppure l’indegnità del ministro[13]; perché il valore del sacrifizio non dipende essenzialmente da colui che l’offre come ministro secondario, ma dal pregio della vittima che viene offerta e dalla dignità del sacerdote principale che non è altri che Gesù Cristo stesso. Tal è l’insegnamento del Concilio di Trento quando dichiara che questa offerta purissima non può essere macchiata dall’indegnità o dalla malizia di coloro che l’offrono; che in questo divin sacrifizio è contenuto ed immolato, in modo incruento, quello stesso Cristo che sull’altare della Croce si è offerto in modo cruento. A quindi la stessa ostia e lo stesso sacrificatore quello che si offre ora pel ministero dei sacerdoti e quello che s’è offerto una volta sulla Croce: non c’è differenza che nel modo d’offrire la vittima[14]. Perciò, quando assistiamo alla S. Messa e più ancora quando la celebriamo, rendiamo a Dio tutti gli omaggi che gli sono dovuti, nel modo più perfetto possibile, perché facciamo nostri gli omaggi di Gesù vittima. Né si dica che tutto questo non ha che far nulla con la nostra santificazione ‑, quando noi glorifichiamo Dio, egli amorosamente si china verso di noi, e quanto più noi ci occupiamo della sua gloria, tanto più egli si occupa dei nostri spirituali interessi; molto dunque si fa per la nostra santificazione rendendogli i nostri ossequi in unione con la vittima divina che rinnova sull’altare la sua immolazione.
272. b) Il divin sacrifizio ha inoltre un effetto propiziatorio per la virtù stessa della sua celebrazione (ex opere operato, come dicono i teologi). Ed ecco in che senso: il sacrifizio, offrendo a Dio l’ossequio che gli è dovuto e un giusto compenso per il peccato, lo inclina a concederci, non direttamente la grazia santificante (il che è effetto proprio del sacramento), ma la grazia attuale e il dono della penitenza, e a rimetterci, quando siamo contriti e pentiti, i peccati anche più gravi[15]. ‑ E’ nello stesso tempo sodisfattorio, nel senso che rimette infallibilmente ai peccatori pentiti una parte almeno della pena temporale dovuta al peccato, in proporzione delle disposizioni più o meno perfette con cui vi assistono. Ecco perché, aggiunge il Concilio di Trento, può essere offerto non solo per i peccati, le sodisfazioni e i bisogni spirituali dei vivi, ma anche per quelli che son morti in Cristo senza avere sufficientemente espiato le loro colpe[16]. E’ facile vedere quanto questo doppio effetto, propiziatorio e sodisfattorio, contribuisca al nostro progresso nella vita cristiana. Il grande ostacolo all’unione con Dio è il peccato; ottenerne il perdono e farne sparire anche gli ultimi vestigi è quindi preparare un’unione sempre più intima con Dio: “Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt”[17]. Quale consolazione per i poveri peccatori di veder così cadere il muro di separazione che li impediva di godere della vita divina!
273. c) La Messa è impetratoria nello stesso modo che propiziatoria: ottiene quindi da Dio, per la virtù stessa del sacrifizio (ex opere operato), tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per santificarci. Il sacrifizio è una preghiera in azione, e Colui che al santo altare prega per noi con gemiti inenarrabili è Quegli stesso le cui preghiere sono sempre esaudite “exauditus est pro sua reverentia “[18].
Quindi la Chiesa, interprete autentica del pensiero divino, vi prega costantemente, in unione con Gesù sacrificatore e vittima (per Dominum nostrum Jesum Christum), per chiedere tutte le grazie di cui hanno bisogno i suoi membri alla salute dell’anima e alla salute del corpo, “pro spe salutis et incolumitatis suae “, per la salvezza e il progresso spirituale, sollecitando per i suoi fedeli, principalmente nella Colletta, la grazia speciale che corrisponde a ciascuna festa. E chiunque entra in questa corrente di preghiera liturgica, con le disposizioni volute, è sicuro d’ ottenere per sé e per tutti quelli che gli premono le più copiose grazie. E’ dunque chiaro che il santo sacrifizio della Messa contribuisce, con tutti i suoi effetti, alla nostra santificazione; e ciò tanto più efficacemente in quanto che noi non vi preghiamo da soli ma uniti a tutta la Chiesa e principalmente al Capo invisibile della Chiesa, a Gesù sacrificatore e vittima, che, rinnovando l’offerta del Calvario, chiede, per la virtù del suo sangue e per le sue suppliche, che le sii e sodisfazioni e i suoi meriti ci vengano applicati.
274. B) Disposizioni per trar profitto dalla S. Messa. Quali sono dunque le disposizioni che dobbiamo avere per trar profitto da questo potente mezzo di santificazione? La disposizione fondamentale, che comprende tutte le altre, è di aderire con umiltà e confidenza ai sentimenti espressi dalla vittima divina, di comunicarvi, di farli nostri, adempiendo così ciò che il Pontificale vuole dai sacerdoti” Agnoscite quod agitis, imitamini quod tractatis “.
Al che del resto c’invita la Chiesa nella santa sua liturgia[19].
275. a) Nella messa dei catecumeni, che va fino all’Offertorio esclusivamente, ci fa entrare in sentimenti di penitenza e di contrizione (Confiteor, Aufer a nobis, Oramus te, Kyrie eleison), di adorazione e di riconoscenza (Gloria in excelsis), di ferventi petizioni (Collette) e di fede sincera (Epistola, Vangelo e Credo).
b) Viene appresso il gran dramma: 1) l’offerta della vittima all’Offertorio per la salute di tutto il genere umano, “pro nostrá et totius mundi salute”; l’offerta del popolo cristiano in unione alla vittima principale, “in spiritu humilitatis et in animo contrito suscipiamur a te, Domine,” ‑ seguita da una preghiera alla SS. Trinità perché benedica ed accetti quest’offerta dell’intiero Cristo mistico. 2) Il prefazio annunzia l’azione propriamente detta, il Canone in cui si rinnova la mistica immolazione della vittima, e la Chiesa c’invita a unirci agli Angeli e ai Santi, ma principalmente al Verbo Incarnato, per ringraziare Dio. proclamarne la santità, implorarne gli aiuti per la Chiesa, pel suo capo visibile, per i suoi vescovi, per i fedeli, in particolare per quelli che vi assistono e per tutti quelli che ci sono più cari. Allora il sacerdote, entrando in comunione con la SS. Vergine, coi SS. Apostoli, coi Martiri e con tutti i Santi, si trasporta in spirito all’ultima Cena, s’identifica col Sommo Sacerdote e ripete con Lui le parole che Gesù pronunziò nel Cenacolo. Obbedendo alla sua voce, il Verbo Incarnato discende sull’altare, col suo corpo e col suo sangue, e silenziosamente adora e prega in nome suo e nostro. Il popolo cristiano si curva, adora la vittima divina, s’unisce ai suoi sentimenti, alle sue adorazioni, alle sue domande, e si studia d’immolarsi con lei, offrendo alcuni suoi piccoli sacrifici “.per ipsum, et cum ipso, et in ipso.
3) Col Pater incomincia la preparazione alla Comunione. Membri del corpo mistico di Gesù, ripetiamo la preghiera ch’Egli stesso ci insegnò, il Pater, offrendo con lui i nostri doveri religiosi e le nostre umili suppliche, domandando particolarmente quel pane eucaristico che ci libererà da tutti i nostri mali e ci darà, col perdono dei peccati, la pace dell’anima e l’unione permanente con Gesù, (et a te nunquam separari permittas”. Allora, protestando, come il centurione, la propria indegnità e chiedendo umilmente perdono, il sacerdote e, dopo di lui, il popolo fedele mangia e beve il corpo e il sangue del Salvatore, s’unisce dal profondo dell’anima all’intiero Gesù, ai più intimi suoi sentimenti; e per mezzo suo a Dio stesso e alla SS. Trinità. Il mistero dell’unione è compito: noi non facciamo più che una cosa sola con Gesù, e non facendo egli che una cosa sola col Padre e col Figlio, la preghiera sacerdotale del Salvatore nell’ultima Cena è avverata: “Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità: Ego in eis et tu in me, ut sint consummati in unum”[20].
276. Non resta più che ringraziar Dio di quest’immenso beneficio; il che facciamo nel Postcommunio e nelle preghiere che seguono. La benedizione del sacerdote ci comunica i tesori della SS. Trinità; l’ultimo Vangelo ci ricorda le glorie del Verbo Incarnato, che è nuovamente venuto ad abitare in mezzo a noi e che noi ci portiamo via pieno di grazia e di verità, per attingere nel corso della giornata a questa fonte di vita e vivere d’ una vita simile a quella dello stesso Gesù.
E’ chiaro che l’assistere alla santa messa o celebrarla con queste disposizioni è un santificarsi e coltivare nel modo più perfetto possibile la vita soprannaturale che è in noi. Quel che diremo sulla santa comunione ce lo mostrerà anche meglio.
2° DELLA COMUNIONE COME MEZZO DI SANTIFICAZIONE[21].
277. A) Gli effetti. L’Eucaristia, come sacramento, produce direttamente in noi per sua propria virtù, ex opere operato, un aumento di grazia santificante. Infatti è stata istituita per essere cibo dell’anima nostra: “Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus”[22]; i suoi effetti sono dunque simili a quelli del nutrimento materiale: sostiene, aumenta e ripara le forze spirituali, causandoci una letizia che, se non è sempre sensibile, è per altro reale. Gesù stesso è il nostro alimento, l’intiero Gesù, il suo corpo, il suo sangue, la sua anima, la sua divinità. Si unisce a noi per trasformarci in lui; questa unione è insieme fisica e morale, trasformante e di sua natura permanente. Tal è la dottrina di S. Giovanni che il P. Lebreton[23] compendia così:” Nell’Eucaristia si compie l’unione di Cristo e del fedele e la vivificante trasformazione che ne è il frutto; a si tratta solo più dell’adesione a Cristo per mezzo della fede, né dell’incorporazione a Cristo per mezzo del battesimo; è una nuova unione realissima insieme e spiritualissima: sì può per lei dire che chi aderisce al Signore non solo è con lui un solo spirito, ma anche una sola carne. E’ unione così intima che Gesù non teme di dire: “Come io vivo per il Padre, così colui che si ciba di me vivrà per me “; abbiamo certamente qui solo un’analogia; ma resta sempre vero che, per mantenerla, bisogna intendervi non solo un’unione morale fondata sopra una comunanza di sentimenti ma una vera unione fisica, che importa la fusione di due, vite, o meglio la partecipazione del cristiano alla vita stessa di Cristo. Studiamoci di spiegare cotesta unione.
278. a) E’ un’ unione fisica. E’ di fede, secondo il Concilio di Trento, che l’Eucaristia contiene veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue di Gesù Cristo, con la sua anima e la sua divinità, e quindi tutto quanto Cristo[24]. Onde, quando facciamo la comunione sacramentale, riceviamo realmente e fisicamente, nascosti sotto le sacre specie, il corpo e il sangue del Salvatore, con la sua anima e la sua divinità. Siamo quindi non solo tabernacoli ma anche pissidi ove Gesù abita e vive, ove gli angeli vengono ad adorarlo, e dove noi dobbiamo aggiungere le adorazioni nostre alle loro. Anzi c’è tra Gesù e noi una unione simile a quella che esiste tra il cibo e colui che se l’assimila; con questa differenza però che non siamo noi che trasformiamo Gesù nella nostra sostanza ma è Gesù che noi trasforma in lui: è infatti l’essere superiore che si assimila l’inferiore[25]. E’ un unione che tende a rendere la nostra carne più sottomessa allo spirito e più casta, e depone in lei un germe d’immortalità: “Et ego resuscitabo eum”[26].
279. b) Su questa unione fisica viene ad innestarsi un’unione spirituale intimissima e trasformatrice. 1) E’ unione intimissima e santificantissima. L’anima di Gesù s’unisce alla nostra per non fare con lei che un cuore solo e un’ anima sola: “cor unum et anima una “. La sua immaginazione e la sua memoria, così ben regolate e così sante, s’uniscono alla immaginazione nostra e alla nostra memoria per disciplinarle e orientarle verso Dio e le cose divine, volgendone l’attività verso il ricordo dei benefici di Dio, verso l’incantevole sua bellezza e l’inesauribile sua bontà. La sua intelligenza, vero sole delle anime, ci illumina la mente con gli splendori della fede e ci fa veder tutto e tutto giudicare alla luce di Dio; tocchiamo allora con mano la vanità dei beni della terra, la follia delle massime del mondo, assaporiamo le massime evangeliche prima così oscure per noi perché tanto contrarie ai naturali nostri istinti. La sua volontà, così forte, così costante, così generosa, viene a correggere le nostre debolezze, la nostra incostanza, il nostro egoismo, comunicandoci le divine sue energie, tanto da poter dire con S. Paolo: “Io posso tutto in colui che mi fortifica: “omnia possum in eo qui me confortat “[27]. Ci pare allora che gli sforzi non ci costeranno più, che le tentazioni ci troveranno incrollabili, che la perseveranza nel bene non ci spaventi più, perché non siamo più soli ma aderiamo a Cristo come l’edera alla quercia e ne partecipiamo quindi la fortezza. Il suo cuore, così ardente d’amore per Dio e per le anime, viene a infiammare il nostro così freddo per Dio, così tenero per le creature; come i discepoli d’Emmaus ripetiamo: “Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre ei ci parlava? Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loqueretur in via? “[28]. Sotto l’azione di questo fuoco divino, sentiamo allora slanci quasi irresistibili verso il bene e una volontà guardinga ma ferma di far tutto, di tutto soffrire per Dio e di non rifiutargli nulla.
280. 2) E’ chiaro che una cosiffatta unione è veramente trasformatrice. 1° A poco a poco i nostri pensieri, le nostre idee, le nostre convinzioni, i nostri giudizi si modificano: invece di giudicare le cose secondo le massime del mondo, facciamo nostri i pensieri e i giudizi di Gesù, amorosamente abbracciamo le massime evangeliche, e costantemente ci domandiamo: Che farebbe Gesù se fosse al mio posto? 2° Lo stesso è dei nostri desideri e dei nostri voleri; persuasi che il mondo e il nostro io hanno, torto, che solo Gesù, Sapienza eterna, è nella verità, non desideriamo più che ciò che desidera lui, la gloria di Dio, la salvezza nostra e quella dei nostri fratelli; non vogliamo che ciò che vuol lui “non mea voluntas, sed tua fiat “; e anche quando questa volontà è dura per noi, l’accettiamo di gran cuore, sicuri che non mira se non al bene spirituale nostro e a quello del prossimo. 3° Il nostro cuore si libera egli pure a poco a poco del suo egoismo più o meno cosciente, delle sue affezioni naturali e sensibili, per amare ardentemente, generosamente, appassionatamente Dio e le anime guardate in Dio: non amiamo più le consolazioni divine, per quanto dolci elle siano, ma Dio stesso; non si mira più al piacere di trovarsi con quelli che si amano, ma al bene che si può lor fare. Viviamo quindi una vita più intensa e sopra tutto più soprannaturale e più divina che pel passato; non è più l’io, l’uomo vecchio che vive, pensa ed opera: è Gesù stesso, è il suo spirito che vive in noi e vivifica il nostro: “Vivo autem jam non ego, vivit vero in me Christus”[29].
281. c) Questa unione spirituale si prolunga quanto vogliamo, affermando Gesù stesso: “Qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem, in me manet et ego in eo “[30]. Quanto a lui altro non brama che di restare eternamente in noi; da noi quindi dipende, con la sua grazia, di restargli costantemente uniti.
Ma in che modo si perpetua quest’unione? Alcuni autori pensarono, col P. Schram[31], che l’anima di Gesù si raccolga, a così dire, nel centro dell’anima nostra, per stabilmente rimanervi. ‑ Sarebbe questo un miracolo assolutamente straordinario, perché l’anima di Gesù resta costantemente unita al suo corpo e il suo corpo sparisce con le specie sacramentali. Non possiamo quindi ammettere quest’opinione, perché Dio non moltiplica i miracoli di tal genere senza necessità. Ma se la sua anima umana si ritira da noi nello stesso tempo che il suo corpo, la sua divinità resta in noi finché siamo in stato di grazia. Anzi, la sua santa umanità, unita alla sua divinità, conserva con l’anima nostra un’unione speciale. Il che può teologicamente spiegarsi nel modo seguente. Lo Spirito di Gesù o, in altri termini, lo Spirito Santo che vive nell’anima umana di Gesù, resta in noi in virtù dell’affinità speciale contratta nella comunione sacramentale con Gesù e vi opera delle disposizioni interne simili a quelle di Nostro Signore; a richiesta di Gesù, che prega continuamente per noi, ci largisce grazie attuali più copiose e più efficaci, ci preserva con cura speciale dalle tentazioni, produce in noi privilegiate impressioni, dirige l’anima nostra e le sue facoltà, ci parla al cuore, fortifica la nostra volontà, rinfiamma il nostro amore, e ci continua così nell’anima gli effetti della comunione sacramentale. Ma per godere di questi privilegi, è chiaro che bisogna vivere nel raccoglimento interiore, ascoltare attentamente la voce di Dio, ed essere pronti ad eseguirne i minimi desideri. A questo modo la comunione sacramentale si perfeziona con la comunione spirituale che ne perpetua i santi effetti.
282. d) Questa comunione trae seco un’unione speciale con le tre persone divine della SS. Trinità
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