Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO I. La purificazione dell’anima o la via purgativa. CAPITOLO V. Lotta contro le tentazioni. § IV. Gli scrupoli . I. Natura dello scrupolo. II. Oggetto dello scrupolo. III. Inconvenienti e vantaggi dello scrupolo. IV. Rimedi dello scrupolo. Appendice sul discernimento degli spiriti. Sintesi di questo primo libro.
IV. Gli scrupoli 934-1.
934. Lo scrupolo è una malattia
fisica e morale, che produce una specie di follia nella coscienza, facendole
temere, per futili motivi, d’aver offeso Dio. Questa malattia non è particolare
degl’incipienti ma si trova anche in anime progredite. Bisogna quindi dirne una
parola esponendone:
-
1° la
natura;
-
2° l’oggetto;
-
3° gli
inconvenienti e i vantaggi;
-
4° i
rimedi.
I. Natura dello scrupolo.
935. La parola scrupolo (dal
latino scrupulus, sassolino, pietruzza) indicò per lungo tempo un
minutissimo peso che non fa inclinare se non bilance molto sensibili. Nel campo
morale indica una ragione minuta a cui badano soltanto le coscienze più
delicate. Venne quindi ad esprimere l’inquietudine eccessiva che provano
certe coscienze, per i più futili motivi, d’aver offeso Iddio. A conoscerne
meglio la natura, spieghiamone l’origine,
i
gradi, la
distinzione dalla coscienza delicata.
936. 1° Origine. Lo scrupolo
può nascere ora da causa puramente naturale, ora da intervento
soprannaturale.
a) Sotto l’aspetto naturale, lo scrupolo è spesso una malattia
fisica e morale. 1) La malattia fisica che
contribuisce a cagionar questo disordine è una specie di depressione
nervosa, che rende più difficile il savio giudizio delle cose morali e tende
a produrre l’idea fissa che si è commesso peccato, e ciò senza seria
ragione. 2) Ma vi sono pure cause morali che producono lo stesso
effetto: una mente meticolosa, che si perde nelle minuzie e che vorrebbe
avere la certezza assoluta in ogni cosa; una mente poco illuminata, che
si figura Dio come giudice non solo severo ma anche spietato; che negli atti
umani confonde l’impressione col consenso e crede di aver peccato perchè la
fantasia rimase fortemente e lungamente impressionata; una mente
caparbia, che preferisce il giudizio proprio a quello del confessore,
appunto perchè si lascia guidare più dalle sue impressioni che dalla ragione.
Quando queste due cause, la fisica e la morale, s’uniscono, il male è più
profondo e di più difficile guarigione.
937. b) Lo scrupolo può anche
provenire da intervento preternaturale di Dio o del
demonio.
1) Dio permette che siamo così vessati, ora per castigarci
specialmente della superbia e dei sentimenti di vana compiacenza; ora per
provarci, farci espiare le colpe passate, distaccarci dalle consolazioni
spirituali, e condurci a più alto grado di santità: il che avviene specialmente
alle anime che Dio vuol preparare alla contemplazione, come diremo trattando
della via unitiva.
2) Anche il demonio viene talvolta a innestare la sua azione su
qualche morbosa predisposizione del nostro sistema nervoso per turbarci l’anima:
tenta di persuaderci che siamo in istato di peccato mortale per impedirci di
fare la comunione o molestarci nell’adempimento dei doveri del nostro stato;
soprattutto poi tenta d’ingannarci sulla gravità di questa o quell’azione onde
farci peccar formalmente, anche quando non vi è materia di peccato e
soprattutto di peccato grave.
938. 2° Gradi. Ci sono, come
è chiaro, molti gradi nello scrupolo: a) a principio non è che
coscienza meticolosa, timorosa all’eccesso, che vede peccato dove non è;
b) poi vengono scrupoli passeggeri che si confidano al
direttore accettando subito la soluzione che ne dà; c) finalmente lo
scrupolo propriamente detto, tenace, accompagnato da ostinazione.
939. 3° Differenza dalla
coscienza delicata. È cosa importante distinguere bene la coscienza
scrupolosa dalla coscienza delicata o timorata.
a) Non ne è lo stesso il punto di partenza: la coscienza
delicata ama fervidamente Dio e per piacergli vuole schivare anche le minime
colpe e le minime imperfezioni volontarie; lo scrupoloso è invece guidato da un
certo egoismo che gli fa troppo ardentemente desiderare di esser sicuro di
trovarsi in stato di grazia.
b) La coscienza delicata, avendo orrore del peccato e
conoscendo la propria debolezza, ha timore fondato, ma non inquieto, di
dispiacere a Dio; lo scrupoloso alimenta futili timori di peccare in ogni
circostanza.
c) La coscienza timorata sa serbar la distinzione tra peccato mortale
e veniale, e in caso di dubbio subito si sottomette al giudizio del direttore;
lo scrupoloso discute tenacemente col direttore e stenta assai a sottomettersi
alle sue risoluzioni.
Se si deve schivare lo scrupolo, nulla invece di più prezioso d’una coscienza
delicata.
II. Oggetto dello scrupolo.
940. 1° Talvolta lo scrupolo è
universale e si riferisce a qualsiasi materia: prima dell’azione,
ingrossa smisuratamente i pericoli che si possono incontrare in questa o
quell’occasione che è del resto molto innocente; dopo l’azione, popola l’anima
di mal fondate inquietudini e persuade agevolmente alla coscienza che si è resa
gravemente colpevole.
941. 2° Più spesso però si riferisce
solo ad alcune materie particolari:
a) Confessioni passate: anche dopo aver fatto parecchie
confessioni generali, non si resta soddisfatti, si teme di non aver accusato
tutto, o d’aver mancato di contrizione e si vuol sempre ricominciare;
b) cattivi pensieri: la fantasia è piena d’immagini
pericolose od oscene, e poichè fanno una certa impressione, si teme d’avervi
acconsentito, se ne è anzi certi, benchè dispiacciano infinitamente;
c) pensieri di bestemmia: perchè quelle idee passano per la
mente, si è persuasi di avervi acconsentito, non ostante tutto l’orrore che se
ne prova; d) carità: si sono ascoltate maldicenze senza
energicamente protestare, si è mancato al dovere della correzione fraterna per
rispetto umano, si è scandalizzato il prossimo con parole imprudenti, si è visto
un agglomeramento di persone e non si è corsi a vedere se fosse accaduta qualche
disgrazia che richiedesse l’intervento del sacerdote per dare l’assoluzione: in
tutte queste cose si vedono grossi peccati mortali; e) specie
consacrate, che si teme d’aver toccato senza motivo, onde si vuol purificare
mani, vesti; f) parole della consecrazione, esatta
recita dell’ufficio divino ecc.
III. Inconvenienti e vantaggi dello
scrupolo.
942. 1° Chi ha la disgrazia di
lasciarsi dominare dagli scrupoli, ne risente sul corpo e sull’anima deplorevoli
effetti.
a) Cagionano gradatamente indebolimento e aissesto [sic]
nel sistema nervoso: i timori, le continue angoscie hanno influsso deprimente
sulla sanità del corpo; possono diventare una vera ossessione e finire in
una specie di idea fissa, che è vicina alla follia.
b) Acciecano la mente e falsano il giudizio: si perde a poco a
poco la facoltà di discernere ciò che è peccato da ciò che non è, ciò che è
grave da ciò che è leggero, e l’anima diventa nave senza timone.
c) La perdita d’ogni devozione ne è spesso la conseguenza: quel
continuo vivere nell’agitazione e nel turbamento rende lo scrupoloso
terribilmente egoista, cosicchè diffida di tutti, perfino di Dio che stima
troppo severo; si lagna che Dio lo lasci in quell’infelice stato e lo accusa
ingiustamente; e allora è chiaro che la vera devozione non è più possibile.
d) Finalmente vengono le mancanze e la cadute.
1) Lo scrupoloso logora le forze nel fare sforzi inutili in cose da poco,
cosicchè non glie ne rimangono più abbastanza per lottare in cose di grande
importanza, non potendo l’attenzione volgersi con intensità su tutti i punti.
Quindi sorprese, mancanze, e talvolta colpe gravi. 2) E poi in tali casi si
cerca istintivamente un sollievo alle proprie pene, e, non trovandolo nella
pietà, si va a cercarlo altrove, in letture, in amicizie pericolose, onde
nascono talora occasioni di colpe deplorevoli, che gettano in profondo
scoraggiamento.
943. 2° Ma chi sappia accettare
gli scrupoli come prova e a poco a poco con l’aiuto d’un savio
direttore correggersene, ne avrà preziosi vantaggi.
a) Servono a purificar l’anima: uno infatti si studia di
schivare i minimi peccati, le minime imperfezioni volontarie, onde acquista
grande purità di cuore.
b) Ci aiutano a praticar l’umiltà e l’obbedienza, obbligandoci
a sottoporre con tutta semplicità i dubbi al direttore e seguirne i consigli con
piena docilità non solo di volontà ma anche di giudizio.
c) Contribuiscono a darci maggior purità d’intenzione,
distaccandoci dalle consolazioni spirituali per affezionarci unicamente a Dio,
che tanto più amiamo quanto più ci prova.
IV. Rimedi dello scrupolo.
944. Bisogna combattere lo scrupolo
subito da principio, prima che si sia profondamente radicato nell’anima. Ora il
grande, anzi, a dir vero, l’unico rimedio è la piena e assoluta
obbedienza a un savio direttore: oscuratasi la luce della coscienza,
bisogna ricorrere ad altra luce; lo scrupoloso è come una nave senza timone e
senza bussola: bisogna rimorchiarlo. Il direttore quindi deve
guadagnarsi la confidenza dello scrupoloso, e sapere esercitar la sua
autorità su lui per guarirlo.
945. 1° Bisogna prima di tutto
guadagnarsene la confidenza; perchè non si obbedisce facilmente se non a
chi si ha confidenza. Il che però non è sempre cosa facile: è vero che gli
scrupolosi sentono istintivamente bisogno di guida, ma alcuni non osano
abbandonarsele intieramente; la consultano volentieri, ma vogliono anche
discuterne le ragioni. Ora con lo scrupoloso, non si deve discutere ma parlare
con autorità, dicendogli nettamente quel che deve fare.
Per ispirare questa confidenza, il direttore deve meritarla per
competenza e premura.
a) Lascierà prima parlare il penitente, intercalando solo qualche
osservazione per mostrare che ha capito bene; poi gli farà qualche
interrogazione, a cui lo scrupoloso dovrà solo rispondere sì o no,
dirigendone così l’esame metodico della coscienza. Poi aggiungerà: capisco bene
il caso vostro, voi soffrite così e così. E già grande sollievo per il penitente
il vedersi ben compreso e talvolta basta questo perchè dia intiera la sua
confidenza.
b) Alla competenza bisogna aggiungere la premura. Il direttore
quindi si mostrerà paziente, ascoltando tranquillo le lunghe spiegazioni
dello scrupoloso, almeno a principio; buono, interessandosi di
quell’anima e palesando il desiderio e la speranza di guarirla; dolce,
non parlando con tono severo ed aspro, ma con bontà, anche quando è obbligato ad
usare linguaggio fermo ed imperativo. Nulla guadagna meglio la confidenza
quanto questo misto di fermezza e di bontà.
946. 2° Guadagnata la confidenza,
bisogna esercitare l’autorità ed esigere obbedienza, dicendo allo
scrupoloso: se volete guarire, dovete ubbidire ciecamente: obbedendo, siete
pienamente al sicuro, quand’anche il direttore sbagli, perchè Dio in questo
momento a voi non chiede altro che di obbedire. La cosa è talmente così, che se
voi non vi sentiste di obbedirmi, bisogna che vi cerchiate un altro direttore:
la sola ubbidienza cieca vi potrà guarire e vi guarirà certamente.
a) Dando gli ordini, il confessore deve parlare franco, con
chiarezza e precisione, schivando ogni ambiguità; in modo categorico e
non condizionato, come, per esempio, se questo vi disturba non lo fate; ma in
modo assoluto: fate questo, lasciate quello, disprezzate quella tentazione.
b) Per lo più non bisogna dar ragione degli ordini dati
specialmente a principio; più tardi, quando lo scrupoloso potrà comprenderne e
sentirne la forza, gli si darà brevemente la ragione, per formargli a poco a
poco la coscienza. Ma soprattutto nessuna discussione sulla sostanza
della risoluzione; se pel momento vi fosse qualche ostacolo ad eseguirla, se ne
tiene conto; ma la risoluzione deve rimanere.
c) Non bisogna quindi mai disdirsi: prima di risolvere, si
riflette bene, e non si danno ordini che non si possano poi mantenere; ma dato
che sia, l’ordine non si deve più revocare, finchè un fatto nuovo non richieda
un cambiamento.
d) Per assicurarsi che l’ordine sia stato capito bene, gli si fa
ripetere; dopo non resta che farlo eseguire. È cosa difficile,
perchè lo scrupoloso talora indietreggia davanti all’esecuzione come il
condannato davanti al supplizio. Ma gli si dice chiaro che dovrà renderne conto;
se non ha seguito il consiglio, non gli si darà ascolto finchè non l’abbia
eseguito. Può darsi quindi che si debba ripetere più volte la stessa
prescrizione finchè non sia eseguita bene; e si fa senza impazienza ma con
crescente fermezza e lo scrupoloso finisce con obbedire.
947. 3° Venuto il tempo, il
direttore inculca il principio generale, che darà modo allo scrupoloso di
disprezzar tutti i dubbi; occorrendo, lo può anche dettare in questa o altra
simile forma: “Per me, in fatto di obbligo di coscienza, non c’è
che l’evidenza che conta, ossia certezza tale che escluda ogni dubbio,
certezza calma e piena, chiara come due e due fanno quattro; io quindi
non posso commettere peccato mortale o veniale se non quando ho certezza
assoluta che l’azione che sto per fare è per me proibita sotto pena di peccato
mortale o veniale, e che, pur sapendo questo, io voglia farla a
qualunque costo. Non presterò dunque attenzione alità per
forti che siano, e non mi crederò legato che dall’evidenza chiara e certa; fuori
di questo caso, per me nessun peccato”. Quando lo scrupoloso si presenterà
affermando di aver commesso un peccato veniale o mortale, il confessore gli
dirà: Potete giurare di aver chiaramente visto, prima di operare, che
quell’azione era peccato e che, avendolo chiaramente visto, pure ci avete dato
pieno consenso? — Questa interrogazione chiarirà la regola e la farà capir
meglio.
948. 4° Bisogna infine applicar
questo principio generale alle difficoltà particolari che si presentano.
a) Riguardo alle confessioni generali, lasciatene fare
una, non si permetterà più di ritornarvi sopra se non sono
evidenti questi due punti: 1) un peccato mortale certamente
commesso; e 2) certezza che tal peccato non fu mai accusato in
alcuna confessione valida. Del resto dopo qualche tempo, il confessore dirà che
non bisogna più assolutamente ritornar sul passato, e che se qualche peccato
fosse stato omesso, resta perdonato con gli altri.
b) Quanto ai peccati interni di pensieri e di desideri, si darà
questa regola: durante la crisi, stornar l’attenzione pensando ad altro;
dopo la crisi, non esaminarsi per vedere se si è peccato (il che
richiamerebbe la tentazione) ma tirare avanti occupandosi dei doveri del proprio
stato, e comunicarsi finchè non si abbia evidenza d’aver pieno consenso (n. 909).
949. c) La comunione è
spesso una tortura per gli scrupolosi: temono di non trovarsi in istato di
grazia o di non esser digiuni. Ora 1) la paura di non trovarsi in
stato di grazia mostra che non ne sono certi; devono quindi comunicarsi e la
comunione li metterà in istato di grazia caso mai che non vi fossero; 2) il
digiuno eucaristico non deve impedire agli scrupolosi di comunicarsi se non
quando siano assolutamente certi di averlo rotto.
d) La confessione è per loro anche maggior tortura, onde
conviene semplificarla. Quindi si dirà loro: 1) voi non siete obbligato che
ad accusare i peccati certamente mortali; 2) dei peccati
veniali dite solo quelli che vi verranno in mente dopo cinque minuti di
esame; 3) quanto alla contrizione, consacrerete sette minuti a
domandarla a Dio e ad eccitarvici e l’avrete; — ma io non la sento punto: —
non è necessario, perchè la contrizione è atto della volontà che non cade sotto
la sensibilità. — Anzi in certi casi, quando lo scrupolo è molto intenso, si
prescriverà ai penitenti di contentarsi di questa accusa generica: mi accuso di
tutti i peccati commessi dall’ultima confessione e di tutti quelli della vita
passata.
950. 5° Risposta alle
difficoltà. Può essere che il penitente dica al confessore: lei mi tratta da
scrupoloso, ma io non lo sono. — Gli si risponderà: non sta a voi il
giudicarne, sta a me. Ma siete poi ben sicuro di non essere scrupoloso? Dopo la
confessione siete, come tutti gli altri, calmo e tranquillo? Non avete invece
dubbi e angustie che gli altri in generale non hanno? Non siete dunque in istato
normale: c’è in voi un certo squilibro sotto l’aspetto fisico e morale;
avete quindi bisogno di trattamento speciale; obbedite dunque senza discutere e
guarirete; altrimenti il vostro stato non farà che aggravarsi.
Solo con questi e altri simili mezzi si riesce, con la grazia di Dio, a
guarire questa desolante malattia dello scrupolo.
APPENDICE SUL DISCERNIMENTO DEGLI
SPIRITI 951-1.
951. Dei diversi spiriti che operano in
noi. Nel corso delle pagine precedenti, abbiamo più volte parlato dei
vari moti che ci spingono al bene o al male. È quindi cosa molto
importante il conoscere quale sia la fonte di questi moti.
In teoria possono venire da sei diversi principii:
a) da noi stessi, dallo spirito che ci spinge verso il bene, o
dalla carne che ci spinge verso il male;
b) dal mondo, in quanto opera, per mezzo dei sensi, sulle
nostre facoltà interne per trarle al male, n. 212;
c) dagli angeli buoni, che eccitano in noi buoni pensieri;
d) dai demoni, che operano invece sui nostri sensi esterni o
interni per spingerci al male;
e) da Dio, che solo può penetrare fin nel più intimo dell’anima
e che non ci porta mai se non al bene.
952. In pratica però, basta
sapere se questi moti vengono dal buono o dal cattivo principio;
dal buon principio: da Dio, dagli angeli buoni o dall’anima aiutata dalla
grazia; dal cattivo principio: dal demonio, dal mondo o dalla carne. Le
regole che ci aiutano a descernerli l’uno dall’altro si dicono regole sul
discernimento degli spiriti. Già S. Paolo ne aveva posto il fondamento,
distinguendo nell’uomo la carne e lo spirito e, fuori di lui, lo Spirito di Dio
che ci porta al bene e gli angeli decaduti che ci sollecitano al male. Da allora
gli autori spirituali, come Cassiano, S. Bernardo, S. Tommaso,
l’autore dell’Imitazione (l. III, c. 54-55), S. Ignazio, stesero
regole per discernere gli opposti moti della natura e della grazia.
953. Regole di S. Ignazio che
convengono specialmente agl’incipienti.
Le due prime regole riguardano la condotta diversa che lo spirito buono e il
maligno tengono verso i peccatori e verso le persone fervorose.
1° Prima regola. Ai peccatori, che non mettono freno alcuno
alle passioni, il demonio propone piaceri apparenti e voluttà per ritenerli e
tuffarli sempre più nel vizio; lo spirito buono invece eccita nella loro
coscienza turbamenti e rimorsi per farli uscire dal tristo loro stato.
Seconda regola. Quando si tratta di persone sinceramente
convertite, il demonio eccita in loro tristezza e tormenti di coscienza e
ostacoli di ogni sorta per disanimarle e arrestarne i progressi. Lo spirito
buono invece dà loro coraggio, forze, buone ispirazioni, per farle avanzare
nella virtù. Si giudicherà quindi l’albero dai frutti: tutto ciò che ostacola il
progresso viene dal demonio, tutto ciò che lo asseconda viene da Dio.
954. 2° La terza regola
riguarda le consolazioni spirituali. Provengono dallo spirito buono:
1) quando producono interni moti di fervore: prima una scintilla, poi una
fiamma, infine un braciere ardente d’amor divino; 2) quando fanno versar
lagrime che sono veramente espressione dell’interna compunzione o dell’amore di
Nostro Signore; 3) quando aumentano la fede, la speranza, la carità, o
quietano e tranquillano l’anima.
955. 3° Le regole seguenti (4ª-9ª)
riguardano le desolazioni spirituali: 1) le desolazioni consistono
in tenebre nello spirito o inclinazioni della volontà a cose basse e terrestri
che rendono l’anima triste, tiepida e accidiosa; 2) non bisogna allora
cambiar nulla delle risoluzioni prese prima, come suggerirebbe lo spirito
maligno, ma restar saldi nelle precedenti risoluzioni; 3) bisogna anche
approfittarne per diventar più fervorosi, per dare maggior tempo alla preghiera,
all’esame di coscienza, alla penitenza: 4) confidar nell’aiuto divino, il
quale, benchè non sentito, ci è veramente dato per aiutar le nostre facoltà
naturali a fare il bene; 5) aver pazienza e sperare che la consolazione
ritornerà; pensare che la desolazione può essere castigo della nostra
tiepidezza; prova, volendo Dio farci toccar con mano quello che possiamo
quando siamo privi di consolazioni; lezione, volendo Dio mostrarci che
siamo incapaci a procurarci consolazioni e guarirci così dall’orgoglio.
956. 4° La regola undecima
ritorna sulle consolazioni per avvertirci che bisogna allora far
provvista di coraggio, onde comportarsi poi bene nel tempo della desolazione; e
per dirci che dobbiamo umiliarci vedendo quanto poco possiamo se veniamo privati
della consolazione sensibile, e che possiamo invece molto nel tempo della
desolazione se ci appoggiamo a Dio.
957. 5° Le tre ultime regole
12ª-14ª espongono, a fine di svelarle, le astuzie usate dal demonio per sedurci:
a) opera come la mala donna, che è debole quando le si resiste, ma
ardente e crudele quando le si cede; onde bisogna vigorosamente resistere al
demonio; b) si regola come un seduttore che vuole il secreto dalla
persona da lui sollecitata al male; quindi il miglior mezzo di vincerlo è di
svelare tutto al direttore; c) imita un capitano che, per
conquistare una piazza, la assale dal lato più debole; onde è necessario
invigilare su questo punto debole nell’esame di coscienza.
SINTESI DI QUESTO PRIMO
LIBRO.
Il fine inteso dagl’incipienti è la purificazione dell’anima, onde,
liberi dagli avanzi e dalle occasioni del peccato, potersi unire a Dio.
958. Per ottener questo fine
ricorrono alla preghiera; porgendo a Dio i doveri religiosi, lo inclinano
a perdonar loro tutte le colpe passate; invocandolo con fiducia, in unione col
Verbo Incarnato, ottengono grazie di contrizione e di fermo proponimento che ne
purificano vie più l’anima e li preservano da future ricadute. Questo buon
risultato si ottiene in modo anche più sicuro con la meditazione: le
incrollabili convinzioni che vi si acquistano con lunghe e serie riflessioni,
gli esami di coscienza che meglio ci mostrano le nostre miserie e la nostra
povertà, le preghiere ardenti che sgorgano allora dal fondo di questo povero
cuore, le risoluzioni che vi si prendono e che si cerca di praticare, son tutte
cose che purificano l’anima, le ispirano orrore al peccato e alle sue occasioni
e la rendono più forte contro le tentazioni, più generosa nella pratica della
penitenza.
959. Perchè, intendendo meglio la
gravità dell’offesa fatta a Dio col peccato e lo stretto dovere di ripararla,
l’anima entra coraggiosamente nelle vie della penitenza; in unione con
Gesù, che volle essere penitente per noi, alimente in cuore sentimenti di
confusione, di contrizione e d’umiliazione, e piange continuamente i suoi
peccati. Con questi sentimenti, si dà alle austerità della penitenza, accetta
generosamente le croci provvidenziali che Dio le manda, s’impone privazioni,
pratica limosine e così ripara il passato.
Per schivare il peccato nell’avvenire, pratica la mortificazione,
disciplinando i sensi esterni e gli interni, l’intelligenza e la volontà,
insomma tutte le sue facoltà per assoggettarle a Dio e non far nulla che non sia
conforme alla sua santa volontà.
È vero che vi sono in lei profonde tendenze cattive che si chiamano i sette
peccati capitali; ma, appoggiandosi sulla divina grazia, pone mano a
schiantarli o almeno a svigorirli; lotta valorosamente contro ognuno di loro in
particolare, e viene il momento che li ha sufficientemente domati.
Nonostante tutto questo lavorìo, dai bassi findo dell’anima sbucheranno fuori
le tentazioni, talora terribili, eccitate dal mondo e dal demonio. Ma,
senza disanimarsi, appoggiata su Colui che ha vinto il mondo e la carne, l’anima
lotterà subito e finchè sarà necessario contro gli assalti del nemico; e, con la
grazia di Dio, il più delle volte questi assalti non saranno che occasione di
vittoria; se sciaguratamente avvenisse una caduta, l’anima, umiliata ma
confidente, si getterebbe subito nelle braccia della divina misericordia per
implorarne il perdono. Una caduta così riparata non sarebbe di ostacolo al suo
avanzamento spirituale.
960. Dobbiamo tuttavia aggiungere
che le purificazioni attive descritte in questo primo libro non bastano a
rendere l’anima perfettamente pura. Il lavoro di purificazione deve quindi
continuare nel corso della via illuminativa con la pratica positiva delle
virtù morali e teologali. E non sarà compito se non quando verranno, nella
via unitiva, quelle purificazioni passive, così bene descritte da
S. Giovanni della Croce, che danno all’anima la perfetta purità di
cuore, che è ordinariamente necessaria alla contemplazione. Ne parleremo nel
terzo libro.
NOTE
934-1 S. Ignazio, Eserc.
spir., Regulæ de scrupulis; Alzarez de Paz, t. II, l. I, P. IIIª, c.
XII, § V; Scaramelli, Dirett. ascetico, tr. II, art. XI;
Schram, Inst. theol. mysticæ, t. I, § 73-83;
S. Alfonso, Theol. Mor., tr. I, De conscientia, n. 10-19;
Lombez, Paix intérieure, P. IIª, c. VII; G. Faber, Progresso, c. XVII;
Dubois, L’angelo conduttore delle anime
scrupolose; P. De Lehen, La via della pace interna, P.
IVª; A. Eymieu, Il governo di sè, t. II, L’ossessione e lo
scrupolo; Dom. Lehodey, Le saint Abandon, p. 407-414;
Gemelli, De scrupulis, 2ª edizione, 1921; Turco, Il
trattamento morale dello scrupolo e dell’ossessione morbosa (Marietti,
Torino).
951-1 S. Tommaso, Iª
IIæ, q. 80, a. 4; De Imitatione Christi, l. III, c. 54, De
diversis motibus naturæ et gratiæ; S. Ignazio, Exercitia
spiritual., Regulæ aliquot, etc.; Scaramelli, Il discernimento
degli spiriti; Card. Bona, De discretione spirituum; Ribet,
L’Ascétique, c. XL; Mgr A. Chollet, Discernement
des esprits, Dict. de Théologie, t. IV, 1375-1415, con copiosa bibliografia.
Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.
Ultima revisione dell’HTML: 15 gennaio 2006.