Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO I. La purificazione dell’anima o la via purgativa. CAPITOLO V. Lotta contro le tentazioni. Art. I. Della tentazione in generale. I. I fini provvidenziali della tentazione. II. La psicologia della tentazione. III. Il modo di comportarsi nella tentazione. Prevenire la tentazione. Vigorosamente combatterla. Ringraziar Dio dopo la vittoria o rialzarsi dopo la caduta.
Lotta contro le tentazioni.
900. Nonostante gli sforzi per
sradicare i vizi, possiamo e dobbiamo aspettarci la tentazione. Abbiamo infatti
nemici spirituali, la concupiscenza, il mondo e il demonio, n. 193-227,
che non cessano di tenderci insidie. Dobbiamo quindi trattar della tentazione,
sia della tentazione
in generale, sia delle principali
tentazioni degli’incipienti.
ART. I. DELLA TENTAZIONE IN
GENERALE 901-1.
901. La tentazione è una
sollecitazione al male proveniente dai nostri nemici spirituali.
Esporremo:
-
1° i
fini provvidenziali della tentazione;
-
2° la
psicologia della tentazione;
-
3° il
modo di comportarci nella tentazione.
I. I fini provvidenziali della
tentazione.
902. Dio direttamente non ci tenta:
“Nessuno dica, quando è tentato: È Dio che mi tenta, poichè Dio non è tentato al
male nè tenta” 902-1. Permette che siamo tentati dai nostri
nemici spirituali, dandoci però le grazie necessarie per resistere: “Fidelis
est Deus qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam
cum tentatione proventum” 902-2. E ne ha ottime ragioni.
1° Ci vuole far meritare il paradiso. Avrebbe certo potuto concederci
il cielo come dono; ma sapientemente volle che lo meritassimo come
ricompensa. Vuole anzi che la ricompensa sia proporzionata al merito e
quindi alla vinta difficoltà. Ora è certo che una delle difficoltà più penose è
la tentazione, che mette in pericolo la fragile nostra virtù. Combatterla
energicamente è uno degli atti più meritori; e quando, con la grazia di Dio, ne
usciamo trionfanti, possiamo dire con S. Paolo che abbiamo combattuto il
buon combattimento e che altro non ci resta se non ricevere la corona di
giustizia preparataci da Dio. L’onore e la gioia nel possederla sarà tanto
maggiore quanto maggiore sarà stata la fatica per meritarla.
903. 2° La tentazione è pure un
mezzo di purificazione. 1) Ci ricorda infatti che altre volte, per
difetto di vigilanza e d’energia, siamo caduti, onde ci è occasione di rinnovare
atti di contrizione, di confusione e di umiliazione, che contribuiscono a
purificarci l’anima; 2) ci obbliga nello stesso tempo a vigorosi e
perseveranti sforzi per non soccombere, onde ci fa espiare con atti contrari le
debolezze e le male condiscendenze, il che rende l’anima più pura. Ecco perchè
Dio, quando vuole purificare un’anima per elevarla alla contemplazione, permette
che subisca orribili tentazioni, come diremo trattando della via unitiva.
904. 3° È poi un mezzo di
spirituale progresso. a) La tentazione è come una
frustata che ci desta nel momento in cui stavamo per addormentarci e
rattiepidirci; ci fa capire la necessità di non fermarci a mezzo il cammino, ma
mirare più in alto, a fine di allontanar più sicuramente ogni pericolo.
b) È pure una scuola d’umiltà, di diffidenza di sè: si capisce
meglio la propria fragilità, la propria impotenza, si sente maggiormente il
bisogno della grazia e si prega con più fervore. Si vede meglio la necessità di
mortificare l’amor del piacere che è fonte di tentazioni, onde si
abbracciano con maggior generosità le piccole croci quotidiane per smorzare
l’ardore della concupiscenza.
c) È una scuola d’amor di Dio: perchè uno, a più sicuramente
resistere, si getta nelle braccia di Dio per trovarvi forza e protezione; è
riconoscente delle grazie che Dio gli concede; si comporta con lui come figlio
che, in ogni difficoltà, ricorre al più amante dei padri.
La tentazione ha dunque molti vantaggi ed è per questo che Dio permette che i
suoi amici siano tentati: “perchè eri gradito a Dio, disse l’angelo a Tobia, fu
necessario che la tentazione ti provasse; quia acceptus eras Deo, necesse
fuit ut tentatio probaret te” 904-1.
II. La psicologia della tentazione.
Descriveremo:
-
1° la
frequenza della tentazione;
-
2° le
varie fasi;
-
3° i
segni e i gradi del consenso.
905. 1° Frequenza delle
tentazioni. La frequenza e la violenza delle tentazioni variano grandemente:
vi sono anime spesso e violentemente tentate; altre lo sono raramente e senza
profonde scosse. Molte cause spiegano questa diversità.
a) Prima di tutto il temperamento e il carattere: vi
sono persone, facilissime ad appassionarsi e nello stesso tempo deboli di
volontà, tentate di spesso e dalla tentazione sconvolte; altre poi bene
assestate ed energiche sono tentate di raro e in mezzo alla tentazione si
serbano calme.
b) L’educazione porta altre differenze: vi sono anime educate
nel timore e nell’amor di Dio, nella pratica abituale ed austera del dovere, che
non ricevettero se non buoni esempi; altre invece furono allevate nell’amor dei
piaceri e nel ribrezzo d’ogni patimento e videro troppi esempi di vita mondana e
sensuale. È chiaro che le seconde saranno tentate più violentemente delle prime.
c) Bisogna anche tener conto dei disegni provvidenziali di Dio: vi
sono anime da lui chiamate a santa vocazione, la cui purità egli gelosamente
preserva; ve ne sono altre da lui destinate pure alla santità, ma che vuole far
passare per dure prove onde rinsaldarne la virtù; altre infine che non chiama a
vocazione così alta e che saranno tentate più spesso, benchè mai al di sopra
delle loro forze.
906. 2° Le tre fasi della
tentazione. Secondo la dottrina tradizionale, esposta già da S. Agostino,
nella tentazione vi sono tre fasi: la suggestione, la
dilettazione, il consenso.
a) La suggestione consiste nella proposta di qualche male: la
fantasia o la mente si rappresenta, in modo più o meno vivo, le attrattive del
frutto proibito; talvolta questa rappresentazione è molto seducente, assale con
tenacia e diventa una specie d’ossessione. Per quanto pericolosa sia, la
suggestione non è peccato, purchè non sia stata volontariamente provocata e non
vi si acconsenta; non vi è colpa se non quando la volontà vi dà consenso.
b) Alla suggestione s’aggiunge la dilettazione: la parte
inferiore dell’anima piega istintivamente verso il male suggerito e ne prova un
certo diletto. “Avviene molte volte, dice S. Francesco di
Sales 906-1, che la parte inferiore si compiace nella
tentazione senza il consenso, anzi a dispetto della parte superiore. È la lotta
descritta da S. Paolo quando dice che la carne ha desideri contrari allo
spirito”. Questa dilettazione della aprte inferiore, finchè la volontà non vi
aderisce, non è peccato; ma è un pericolo, perchè la volontà si trova così
sollecitata a dar l’adesione; onde si pone l’alternativa: la volontà
acconsentirà sì o no?
c) Se la volontà rifiuta il consenso, combatte la tentazione e la
respinge, esce vittoriosa e fa atto molto meritorio. Se invece si
compiace nella dilettazione, vi prende volontario piacere e vi
consente, il peccato interno è commesso.
Quindi tutto dipende dal libero consenso della volontà, onde
noi, per maggior chiarezza, indicheremo i segni da cui si può conoscere
se e in quale misura si è acconsentito.
907. 3° Segni di consenso. A
spiegar meglio questo punto importante, vediamo i segni di non consenso, di
consenso imperfetto, di pieno consenso.
a) Si può tenere che non si è acconsentito, quando, non ostante
la suggestione e l’istintivo diletto che l’accompagna, si prova disgusto e noia
in vedersi così tentati; quando si lotta per non soccombere; quando nella parte
superiore dell’anima si ha vivo orrore del male proposto 907-1.
b) Si può essere colpevoli in causa della tentazione, quando
uno si prevede che questa o quell’azione, che possiamo evitare, ci sarà fonte di
tentazioni: “Se so, dice S. Francesco di Sales, 907-2 che una conversazione mi è causa di
tentazione e di caduta, eppure ci vado di mia volontà; io sono indubbiamente
colpevole di tutte le tentazioni che vi proverò”. Ma non si è allora colpevoli
che secondo la previsione, e se la previsione è stata vaga e confusa, la
colpevolezza diminuisce in proporzione.
908. c) Il consenso si può
giudicare imperfetto:
1) Quando non si respinge la tentazione prontamente, appena se ne vede
il pericolo; 908-1 vi è colpa di imprudenza che, senza
essere grave, espone al pericolo di acconsentire alla tentazione.
2) Quando si esita un istante: si vorrebbe gustare un pochino il
proibito diletto ma senza offendere Dio; ossia, dopo un momento di esitazione,
si respinge la tentazione; anche qui è colpa veniale d’imprudenza.
3) Quando non si respinge la tentazione che a metà: si resiste ma
fiaccamente e imperfettamente; ora una mezza resistenza è un mezzo consenso:
quindi colpa veniale.
909. d) Il consenso è
pieno ed intiero, quando la volontà, indebolita dalle prime concessioni,
si lascia trascinare a gustar volontariamente il cattivo diletto non ostante le
proteste della coscienza che riconosce che è male; allora, se la materia è
grave, il peccato è mortale: è peccato di pensiero o di dilettazione
morosa, come dicono i teologi. Se al pensieri si aggiunge il
desiderio acconsentito, è colpa più grave. Se poi dal desiderio di passa
all’esecuzione, o almeno alla ricerca e alla provvisione dei mezzi alli
all’esecuzione del proprio disegno, si ha peccato di opera.
910. Nei vari casi che abbiamo
esposti, sorgono qualche volta dubbi sul consenso o sul semiconsenso dato.
Bisogna allora distinguere tra conscienze delicate e coscienze
lasse; nel primo caso si giudica che non ci sia stato consenso, perchè la
persona di cui si tratta è solita a non acconsentire; mentre nel secondo caso si
dovrà fare giudizio tutto contrario.
III. Il modo di comportarsi nella
tentazione.
Per trionfare delle tentazioni e farle servire al nostro bene spirituale,
occorrono tre cose principali:
-
1° prevenire
la tentazione;
-
2° vigorosamente
combatterla;
-
3° ringraziar
Dio dopo la vittoria o rialzarsi dopo la caduta.
911. 1° Prevenire la
tentazione. È noto il proverbio: è meglio prevenire che guarire, che
è pure consiglio di cristiana sapienza. Conducendo i tre apostoli nell’interno
del giardino degli Ulivi, Nostro Signore dice loro: “Vigilate e pregate onde non
entriate in tentazione: vigilate et orate ut non intretis in
tentationem” 911-1; vigilanza e preghiera:
ecco dunque i due grandi mezzi a prevenire la tentazione.
912. A) Vigilare è far
la guardia attorno all’anima propria per non lasciarsi cogliere, essendo così
facile soccombere in un momento di sorpresa! Questa vigilanza inchiude due
principali disposizioni: la diffidenza di sè e la confidenza in
Dio.
a) Bisogna quindi evitare quella orgogliosa presunzione che ci
fa gettare in mezzo ai pericoli col pretesto che siamo abbastanza forti da
trionfarne. Fu questo il peccato di S. Pietro, che, mentre Nostro Signore
prediceva la fuga degli apostoli, esclamò: “Se anche tutti si scandalizzassero,
io mai” 912-1. Bisogna invece rammentarsi che colui che
crede di stare in piedi deve badare a non cadere: “Itaque qui se existimat
stare, videat ne cadat”; 912-2 perchè se lo spirito è pronto, la carne è
debole, e la sicurezza non si trova che nell’umile diffidenza della propria
debolezza.
b) Ma bisogna pure chivare quei vani terrori che non fanno che
accrescere il pericolo; da noi, è vero, siamo deboli, ma diventiamo invincibili
in Colui che ci dà forza: “Fedele è Dio, che non permetterà che siate tentati
oltre le forze, ma darà con la tentazione anche il modo di poterla
sostenere” 912-3.
c) Questa giusta diffidenza di noi ci fa schivare le occasioni
pericolose, per esempio quella compagnia, quel divertimento, ecc., in cui
l’esperienza ci mostrò che corriamo rischio di soccombere. Combatte
l’oziosità, che è una delle occasioni più pericolose, n. 885,
come pure quell’abituale mollezza che rilassa tutte le forze della
volontà e la prepara a ogni specie di transazioni 912-4. Ha in orrore quel vano fantasticare che
popola l’anima di fantasmi, i quali presto diventano pericolosi. Pratica insomma
la mortificazione sotto le varie forme da noi indicate, n. 767-817,
e l’applicazione ai doveri del proprio stato, alla vita interiore e
all’apostolato. In cosiffatta vita intensa resta poco posto per le tentazioni.
d) La vigilanza poi deve specialmente esercitarsi sul punto
debole dell’anima, perchè di là viene ordinariamente l’assalto. A
fortificare questo lato vulnerabile, bisogna servirsi dell’esame
particolare, che concentra l’attenzione, per un notevole tempo, su cotesto
difetto, o meglio ancora sulla virtù contraria (n. 468).
913. B) Alla vigilanza si
aggiunga la preghiera, che, mettendo Dio dalla nostra parte, ci rende
invincibili. In sostanza Dio è interessato alla nostra vittoria: lui infatti il
demonio assale nella nostra persona, l’opera sua egli vuol distruggere in noi;
noi possiamo quindi invocarlo con santa confidenza, sicuri che altro non
desidera che di soccorrerci. Ogni preghiera è buona contro la tentazione, vocale
o mentale, privata o pubblica, sotto forma di adorazione o sotto forma di
domanda. E si può, specialmente nei momenti di calma, pregare pel tempo della
tentazione. Così quando questa si presenti, non si ha più da fare che una breve
elevazione del cuore per resistere con miglior fortuna.
914. 2° Resistere alla
tentazione. Questa resistenza dovrà variare secondo la natura delle
tentazioni. Ce ne sono di quelle frequenti ma poco gravi: bisogna
trattarle col disprezzo, come spiega sì bene S. Francesco di
Sales 914-1.
“Quanto a quelle tentazioncelle di vanità, di sospetti, di stizza, di
gelosia, di invidia, di amorucci, e simili bricconerie, che, come le mosche e le
zanzare, ci vengono a passare davanti agli occhi e ora ci pungono le guance, ora
il naso… la miglior resistenza che si possa fare è di non affliggersene,
perchè sono tutte cose che non possono far danno, benchè possano dar fastidio, a
patto che si sia ben risoluti di voler servir Dio. Disprezzate quindi questi
piccoli assalti e non vi degnate neppure di pensare che cosa vogliano dire, ma
lasciatele ronzare intorno agli orecchi quanto vorranno, come si fa con le
mosche”.
Qui ci occupiamo soprattutto delle tentazioni gravi:
è necessario combatterle prontamente, energicamente, con costanza
ed umiltà.
A) Prontamente, senza discutere col nemico, senza esitazione
alcuna: sul principio, non avendo la tentazione preso ancora saldo piede
nell’anima, è molto facile il respingerla; ma se aspettiamo che vi abbia messo
radice, sarà assai più difficile. Quindi non fermiamoci a discutere; associamo
l’idea del cattivo diletto a tutto ciò che vi è di ripugnante, a un serpente, a
un traditore che ci vuole sorprendere, e richiamiamo la parola della Sacra
Scrittura: “Fuggi il peccato come dalla vista di un serpente; perchè se ti lasci
accostare, ti morderà: quasi a facie colubri fuge
peccata” 914-2. Si fugge pregando, e applicando
intensamente ad altro la mente.
915. B) Energicamente,
non fiaccamente e come a malincuore, che sarebbe quasi un invito alla tentazione
a ritornare; ma con forza e vigore, esprimendo l’orrore che si ha per cosiffatta
proposta: “Via, brutto demonio, vade retro, Satana” 915-1. Si ha però da variar la tattica secondo
il genere delle tentazioni: se si tratta di diletti seducenti, bisogna
dar subito di volta e fuggire, applicando fortemente l’attenzione ad altra cosa
che possa occuparci bene la mente: la resistenza diretta d’ordinario non farebbe
che aumentare il pericolo. Se si tratta invece di ripugnanza a fare il
proprio dovere, di antipatia, di odio, di rispetto umano, spesso è meglio
affrontar la tentazione, guardar francamente in faccia la difficoltà e ricorrere
ai principi di fede per trionfarne.
916. C) Con costanza:
talora infatti la tentazione, vinta per un momento, ritorna con nuovo
accanimento, e il demonio conduce dal deserto sette altri spiriti peggiori di
lui. A questa ostinazione del nemico bosigna opporre una non meno tenace
resistenza, perchè solo colui che combatte sino alla fine riporta vittoria. Ma
per essere più sicuri del trionfo, conviene palesare la tentazione al direttore.
È il consiglio che danno i Santi, specialmente S. Ignazio e
S. Francesco di Sales: “Notate bene, dice quest’ultimo, che la prima
condizione posta dal maligno all’anima che vuol sedurre, è il silenzio, come
fanno quelli che vogliono sedurre le donne e le giovanette che, subito fin da
principio, proibiscono di comunicar le proposte ai genitori o ai mariti; mentre
Dio, nelle sue ispirazioni, richiede soprattutto che le facciamo riconoscere dai
superiori e direttori” 916-1. Pare infatti che grazia speciale sia
annessa a questa apertura di cuore: tentazione svelata è mezzo vinta.
917. D) Con umiltà: è
lei infatti che attira la grazia, e la grazia ci dà la vittoria. Il demonio che
peccò per superbia, fugge davanti a un sincero atto di umiltà; e la triplice
concupiscenza, che trae la forza dalla superbia, è facilmente vinta quando con
l’umiltà siamo riusciti, per così dire, a decapitarla.
918. 3° Dopo la tentazione,
bisogna guardarsi bene dall’esaminare troppo minuziosamente se si è consentito o
no: è imprudenza che potrebbe ricondurre la tentazione e costituire un nuovo
pericolo. È facile del resto conoscere dal testimonio della coscienza, anche
senza profondo esame, se si è rimasto vittoriosi.
A) Se si ebbe la ventura di trionfarne, si ringrazi di gran cuore
Colui che ci diede la vittoria: è dovere di riconoscenza e il mezzo migliore per
ottenere a suo tempo nuove grazie. Sventura agli ingrati che, attribuendo a sè
la vittoria, non pensassero a ringraziarne Dio! Non tarderebbero molto a
sperimentar la propria debolezza!
919. B) Chi invece avesse
avuto la disgrazia di soccombere, non si disanimi: ricordi l’accoglienza fatta
al figliuol prodigo e corra, come lui, a gettarsi ai piedi del rappresentante di
Dio, gridando dal fondo del cuore: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di
voi: non merito più d’essere chiamato vostro figlio 919-1. E Dio, che è anche più misericordioso
del padre del prodigo, gli darà il bacio di pace e gli restituirà l’amicizia.
Ma, a schivar le ricadute, il peccatore pentito si giovi del suo peccato per
profondamente umiliarsi davanti a Dio, riconoscere la propria impotenza a fare
il bene, mettere tutta la confidenza in Dio, diventar più circospetto schivando
diligentemente le occasioni di peccato, e rifarsi alla pratica della penitenza.
Un peccato così riparato non sarà ostacolo alla perfezione 919-2. Come giustamente nota S. Agostino,
chi così si rialza diventa più umile, più prudente e più fervoroso: “ex casu
humiliores, cautiores, ferventiores” 919-3.
NOTE
901-1 Rodriguez, Prat.
della perf., P. IIª, Tr. 3; S. Fr. di Sales, La Filotea,
P. IV, c. III-X; Scaramelli, Direttorio ascetico, t. II, art. X;
Schram, Instit. Theol. myst., § CXXXVII-CXLIX;
W. Faber, Il Progresso, c. XVI; P. de Smedt, Notre vie surnat., P. IIIª, C. III;
Ribet, L’ascétique, c.
X; Mgr Gay, Vita e virtù cristiane, t. I, tr. VIII; Lehen,
La via della pace inter., (Salesiana, Torino) P. IIIª, c. IV; Dom
Lehodey, Le saint Abandon, p. 332-343; Bruneteau, Tentazioni del giovane (Marietti, Torino).
902-1 Jac., I, 13.
902-2 I Cor., X, 13.
904-1 Tob., XII, 13.
906-1 La Filotea, P. IV., c.
III (Salesiana, Torino).
907-1 S. Fr di Sales racconta
(La Filotea, P. IVª, c. IV) che a S. Caterina da Siena,
violentemente tentata contro la castità, Nostro Signore disse: “Dimmi un poco:
quei brutti pensieri del tuo cuore ti davano piacere o tristezza, amarezza o
diletto?” Caterina rispose: “Somma amarezza e tristezza”. Nostro Signore la
consolò aggiungendo che quelle pene erano gran merito e gran guadagno.
907-2 La Filotea, l. c., c.
VI.
908-1 “Si è talora colti da qualche
sollecito di dilettazione prima che si sia avuto tempo di mettersi bene in
giardia: or ciò non può essere per lo più che un ben leggiero peccato veniale,
il quale però si fa maggiore se, appena uno si è accorto del male in cui si
trova, rimane per negligenza a discutere qualche tempo con la dilettazione, se
la debba accogliere o rifiutare.” (La Filotea, l. c., c. VI).
911-1 Matth., XXVI, 41.
912-1 Marc., XIV, 29.
912-2 I Cor., X, 12.
912-3 I Cor., X, 13.
912-4 Questa mollezza è ben descritta
da Mgr Gay, Vita e virtù crist., Tr. VIII, pag. 525-526: “Dorme e
resta quindi esposta ai colpi del nemico l’anima pigra, l’anima molle, codarda,
pusillanime, che di ogni sacrificio si spaventa, di ogni lavoro serio si
abbatte, che, ricca forse di desideri, resta povera di risoluzioni e più ancora
di opere, che si risparmia in tutto, che segue quasi sempre le sue inclinazioni
e si abbandona alla corrente”.
914-1 La Filotea, P. IVª, c.
IX.
914-2 Eccli., XXI, 2.
915-1 Marc., VIII, 33.
916-1 La Filotea, P. IVª, c.
VII.
919-1 Luc., XV, 21.
919-2 Si veda G. Tissot, L’arte di utilizzare le proprie colpe secondo le dottrine di
S. Francesco di Sales.
919-3 De corrept. et gratiâ,
c. I.
920-1 S. Fr. di Sales, La
Filotea, P. IVª, c. XIII-XV; F. Guilloré, Les secrets de la
vie spirituelle, tr. VI; G. Faber, Progressi, c. XXIII;
Dom Lehodey, Le saint Abandon, p. 344 ss.; P. de
Smedt, Notre vie surnat., P. IIIª, c. V.