Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (751-770)

Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO I. La purificazione dell’anima o la via purgativa. CAPITOLO III. La Mortificazione. Art. I. Natura della mortificazione. Art. II. Necessità della mortificazione. I. Necessità della mortificazione per l’eterna salute. II. Necessità della mortificazione per la perfezione. 1° Da parte di DIO. 2° Da parte di Gesù Cristo. 3° Da parte della nostra santificazione. Art. III. Pratica della mortificazione.

La Mortificazione 751-1.

751. La mortificazione contribuisce,
come la penitenza, a purificarci delle colpe passate; ma il principale
suo scopo è di premunirci contro quelle del presente e
dell’avvenire, diminuendo l’amor del piacere, fonte dei nostri peccati.
Ne spiegheremo dunque la natura, la necessità e la pratica.


  • Natura


    • I
      diversi nomi.

    • La
      definizione.



  • Necessità


    • per
      la salute.

    • per
      la perfezione.



  • Pratica


    • Principi
      generali.

    • Mortificazione
      dei sensi esterni.

    • Mortificazione
      dei sensi interni.

    • Mortificazione
      delle passioni.

    • Mortificazione
      delle facoltà superiori.




Spiegati che avremo i termini biblici
e i moderni
con cui si denomina la mortificazione, ne daremo la definizione.

752. I. Espressioni bibliche per
indicare la mortificazione.
Sette principali espressioni troviamo nei Libri
Sacri per indicare la mortificazione sotto i vari suoi aspetti.

1° Il vocabolo rinunzia, “qui non renuntiat omnibus quæ possidet non
potest meus esse disciplus”
 752-1, ci presenta la mortificazione come atto
di distacco dai beni esterni per seguir Cristo, come fecero gli Apostoli:
“relictis omnibus, secuti sunt eum” 752-2.

2° È pure abnegazione o rinunzia a sè stesso: “si quis vult post me
venire, abnegat semetipsum”
 752-3…; infatti il più terribile dei nostri
nemici è il disordinato amor di noi stessi; ecco perchè è necessario distaccarsi
da sè stessi.

3° Ma la mortificazione ha pure un lato positivo: è un atto che ferisce e
distrugge le male tendenze della nature: “Mortificate ergo membra
vestra
 752-4Si autem spiritu facta carnis
mortificaveritis, vivetis”
 752-5

4° Anzi è una crocifissione della carne e delle sue cupidigie, onde
inchiodiamo, a così dire, le nostre facoltà alla legge evangelica, applicandole
alla preghiera e al lavoro: “Qui… sunt Christi, carnem suam crucifixerunt
cum vitiis et concupiscentiis”
 752-6.

5° Questa crocifissione, quando è costante, produce una specie di
morte e di seppellimento, che ci fa come intieramente morire a noi
stessi e seppellirci con Gesù Cristo a fine di vivere con lui di vita novella:
“Mortui enim estis vos et vita vestra est abscondita cum Cristo in
Deo
 752-7Consepulti enim sumus cum illo per
baptismum in mortem
 752-8

6° A indicare questa morte spirituale S. Paolo adopera pure un’altra
espressione; poichè, dopo il battesimo, vi sono in noi due uomini, l’uomo
vecchio che rimane, o la triplice concupiscenza, e l’uomo nuovo o l’uomo
rigenerato, egli dichiara che dobbiamo spogliarci dell’uomo vecchio per
rivestirci del nuovo: “expoliantes vos veterem hominem… et induentes
novum”
 752-9.

7° Non potendo questo farsi senza combattere, Paolo afferma che la vita è una
lotta “bonum certamen certavi” 752-10; e che i cristiani sono lottatori o
atleti, che castigano il corpo e lo riducono in schiavitù.

Da tutte queste espressioni e da altre simili risulta che la mortificazione
inchiude [sic] un doppio elemento: uno negativo, il distacco, la
rinunzia, lo spogliamento; l’altro positivo, la lotta contro le cattive
tendenze, lo sforzo per mortificare o svigorirle, la crocifissione e la morte:
crocifissione della carne, dell’uomo vecchio e delle sue cupidigie, per vivere
della vita di Cristo.

753. II. Espressioni moderne.
Oggi si preferiscono espressioni addolcite, che indicano lo scopo da
conseguire anzichè lo sforzo da sostenere. Si dice che bisogna
riformar sè stesso, governar sè stesso, educar la volontà, orientar l’anima
verso Dio
. Sono espressioni giuste, purchè si sappia far rilevare che non si
può riformare e governar sè stessi se non combattendo e mortificando le male
tendenze che sono in noi; che non si educa la volontà se non domando e
disciplinando le facoltà inferiori, e che non si può orientarsi verso Dio se non
distaccandosi dalle creature e spogliandosi dei vizi. Bisogna insomma saper
riunire, come fa la S. Scrittura, i due aspetti della mortificazione,
mostrare lo scopo per consolare ma non dissimulare lo sforzo necessario per
conseguirlo.

754. III. Definizione. Si può
definire la mortificazione: la lotta contro le inclinazioni cattive per
sottometterle alla volontà e questa a Dio.
Più che un’unica virtù è un
complesso di virtù, è il primo grado di tutte le virtù che consiste nel superar
gli ostacoli a fine di ristabilir l’equilibrio delle facoltà e il loro ordine
gerarchici. Onde si vede meglio che la mortificazione non è uno scopo ma un
mezzo: uno non si mortifica che per vivere una vita superiore; non si spoglia
dei beni esterni che per meglio possedere i beni spirituali; non rinunzia a sè
stesso che per posseder Dio; non lotta che per comquistar la pace; non muore a
sè stesso che per vivere della vita di Cristo e della vita di Dio: l’unione
con Dio
è dunque lo scopo della mortificazione. Onde meglio se ne
capisce la necessità.

ART. II. NECESSITÀ DELLA
MORTIFICAZIONE.

Questa necessità può essere studiata sotto doppio rispetto, rispetto
all’eterna salute e rispetto alla perfezione.

I. Necessità della mortificazione per
l’eterna salute.


Vi sono mortificazioni necessarie all’eterna salute, nel senso che, se
non si fanno, si è esposti a cadere in peccato mortale.

755. 1° Nostro Signore ne parla in
modo assai chiaro a proposito dei peccati contro la castità: “Chiunque guarda
una donna con concupiscenza, ad concupiscendam eam, ha già commesso
adulterio con lei nel suo cuore” 755-1. Vi sono dunque sguardi gravemente
colpevoli, quelli che procedono da cattivi desideri; e la mortificazione di
questi sguardi è necessaria sotto pena di peccato mortale. Ma lo dice poi chiaro
Nostro Signore con quelle energiche parole: “Se il tuo occhio destro ti è
occasione di caduta, cavatelo e gettalo via, perchè è meglio per te che un solo
dei tuoi membri perisca, anzichè l’intiero tuo corpo venga gettato
nell’inferno” 755-2. Non si tratta qui di strapparsi
materialmente gli occhi ma di allontanar lo sguardo dalla vista di quegli
oggetti che ci sono motivo di scandalo. — S. Paolo dà la ragione di queste
gravi prescrizioni: “Se vivrete secondo la carne, morrete; se poi, per mezzo
dello spirito, darete morte alle azioni della carne, vivrete: si enim
secundum carnem vixeritis, moriemini; si autem spiritu facta carnis
mortificaveritis, vivetis”
 755-3.

Come infatti già dicemmo al numero 193-227,
la triplice concupiscenza che alberga in noi, aizzata dal mondo e dal demonio,
ci porta sovente al male e mette in pericolo la nostra eterna salute se non
badiamo a mortificarla. Onde nasce l’assoluta necessità di incessamente
combattere le cattive tendenza che sono in noi; di fuggir le occasioni
prossime
di peccato, cioè quegli oggetti o quelle persone che, attesa la
passata nostra esperienza, costituiscono per noi serio e probabile pericolo di
peccato; e quindi pure di rinunziare a molti piaceri a cui ci trae la nostra
natura 755-4. Vi sono dunque mortificazioni
necessarie, senza le quali si cadrebbe in peccato mortale.

756. 2° Ve ne sono altre che la Chiesa prescrive per determinar l’obbligo generale di mortificarsi così
spesso ricordato dal Vangelo: tal è l’astinenza dal grasso nel venerdì,
il digiuno della Quaresima, delle Quattro Tempora e delle vigilie. Sono
leggi che obbligano sotto pena di colpa grave coloro che non ne sono
legittimamente dispensati. Qui però vogliamo fare un’osservazione che ha la sua
importanza: vi sono persone che, per buone ragioni, sono dispensate da queste
leggi; ma non sono per questo dispensate dalla legge generale della
mortificazione e devono quindi praticarla sotto altra forma; altrimenti non
tarderanno a risentir le ribellioni della carne.

757. 3° Oltre queste mortificazioni
prescritte dalla legge divina e dalla legge ecclesiastica, ce ne sono altre che
ognuno deve imporsi, col consiglio del direttore, in certe circostanze
particolari, quando premono maggiormente le tentazioni; si possono scegliere tra
quelle che verremo indicando. (n. 769 ss.).

II. Necessità della mortificazione per la
perfezione.


758. Questa necessità deriva da ciò
che abbiamo detto sulla natura della perfezione, la quale consiste nell’amor di
Dio spinto fino al sacrificio e all’immolazione di sè, n. 321-327,
tanto che, secondo l’Imitazione, la misura del progresso spirituale dipende
dalla misura della violenza che uno si fa: tantum proficies, quantum tibi
ipsi vim intuleris
 758-1. Basterà quindi richiamar brevemente
alcuni motivi che possano muovere la volontà ed aiutarla a praticar questo
dovere; si desumono da parte di Dio, di Gesù Cristo, della nostra
santificazione 758-2.

1° DA PARTE DI DIO.

759. A) Il fine della
mortificazione, come fu detto, è di unirci a Dio; cosa che non possiamo fare
senza distaccarci dall’amore disordinato delle creature.

Come giustamente dice S. Giovanni della Croce 759-1, “l’anima attaccata alla creatura le
diviene simile, quanto più cresce l’affetto tanto più l’identità si manifesta,
perchè l’amore rende pari l’amante e l’amato. Chi dunque ama una creatura,
s’abbassa al suo livello, anzi di sotto, perchè l’amore non si contenta della
parità ma rende anche schiavi. È questa la ragione per cui un’anima, schiava
d’un oggetto fuori di Dio, diviene incapace di unione pura e di trasformazione
in Dio, perchè la bassezza della creatura è più distante dalla grandezza del
Creatore che non le tenebre dalla luce”. Ora l’anima che non si mortifica,
s’attacca presto in modo disordinato alle creature, perchè, dopo il peccato
originale, si sente attirata verso di loro, cattivata dal loro fascino, e, in
cambio di servirsene come di scalini per salire al Creatore, vi si diletta e le
considera come fine. A rompere quest’incanto, a schivar questa stretta, è
assolutamente necessario distaccarsi da tutto ciò che non è Dio, o almeno
da tutto ciò che non è considerato come mezzo per andare a Lui. Ecco perchè
l’Olier 759-2, paragonando la condizione dei cristiani
a quella di Adamo innocente, dice che vi è grande differenza tra le due: Adamo
cercava Dio, lo serviva e l’adorava nelle creature; i cristiani invece sono
obbligati a cercar Dio con la fede, a servirlo e adorarlo ritirato in sè stesso
e nella sua santità, separato da ogni creatura. In questo consiste la grazia del
battesimo.

760. B) Nel
giorno del battesimo si stipulò tra Dio e noi un vero contratto.
a) Dio, da parte sua, ci mondò dalla macchia originale e ci adotto
per figli, ci comunicò una partecipazione della sua vita, obbligandosi a darci
tutte le grazie necessarie per conservarla e accrescerla; sappiamo con quanta
liberalità mantenne le sue promesse. b) Da parte nostra, ci
obbligammo a vivere da veri figli di Dio, ad avvicinarci alla perfezione del
Padre celeste coltivando questa vita soprannaturale. Ora questo non possiamo
fare se non in quanto pratichiamo la mortificazione. Perchè, da un lato lo
Spirito Santo, datoci nel Battesimo, “ci porta all’umiltà, alla povertà, ai
patimenti; e dall’altro la carne brama gli onori, i piaceri, le
ricchezze” 760-1. Vi è quindi in noi conflitto e lotta
incessante; e non possiamo esser fedeli a Dio che rinunziando all’amore
disordinato degli onori, dei piaceri e delle ricchezze. Ecco perchè il
sacerdote, battezzandoci, ci segna addosso due croci, una sul cuore, per
imprimerci l’amor della Croce, e l’altra sulle spalle, per darci la forza di
portarla. Mancheremmo quindi alle promesse del battesimo se non portassimo la
croce, combattendo il desiderio dell’onore con l’umiltà, l’amor del piacere con
la mortificazione, e la sete delle ricchezze con la povertà.

2° DA PARTE DI
GESÙ CRISTO.

761. A) Col battesimo veniamo
incorporati a Gesù, onde dobbiamo da lui ricevere il movimento e le
ispirazioni e quindi conformarci a lui. Ora l’intiera sua vita, come dice
l’Imitazione, non fu che un lungo martirio: “Tota vita Christi crux fuit et
martyrium”
 761-1. Non può dunque la nostra essere vita di
piaceri e d’onori, ma dev’essere vita mortificata. Ce lo dice del resto
chiaramente il divino nostro Capo: “Si quis vult post me venire, abneget
semetipsum et tollat crucem suam quotidie et sequatur
me”
 761-2. Se vi è chi debba seguir Gesù è certo
colui che tende alla perfezione. Ora come seguir Gesù, che fin dal suo ingresso
nel mondo abbracciò la croce, che tutta la vita sospirò patimenti e umiliazioni,
che sposò la povertà nel Presepio e l’ebbe compagna fin sul Calvario, se si
amano i piaceri, gli onori, le ricchezze, se non si porta quotidianamente la
croce, quella che Dio stesso ci scelse e c’inviò? È una vergogna, dice
S. Bernardo, che sotto un capo coronato di spine siamo membri delicati,
atterriti ai più piccoli patimenti: “pudeat sub spinato capite membrum fieri
delicatum”
 761-3. Per conformarci a Gesù Cristo e
avvicinarne la perfezione, è dunque necessario che portiamo la croce come lui.

762. B) Se aspiriamo
all’apostolato,
troviamo in ciò un nuovo motivo per crocifiggere la carne.
Colla croce Gesù salvò il mondo; colla croce quindi lavoreremo con lui alla
salute dei fratelli, e il nostro zelo sarà tanto più fecondo quanto più
parteciperemo ai patimenti del Salvatore. Ecco il motivo che animava
S. Paolo, quando dava nella sua carne compimento alla passione del Maestro,
a fine di ottenere grazie per la Chiesa 762-1; ecco ciò che resse nel passato e regge
ancora al presente tante anime che consentono ad essere vittime perchè Dio sia
glorificato e le anime salvate. Il patire è duro, ma quando si contempla Gesù
che ci va innanzi portando la croce per la salute nostra e per quella dei nostri
fratelli, quando se ne contempla l’agonia, l’ingiusta condanna, la
flagellazione, l’incoronazione di spine, la crocifissione, quando s’odono gli
scherni, gli insulti, le calunnie che accetta tacendo, come osar lamentarsi? Non
siamo ancor giunti allo spargimento del sangue: “nondum usque ad sanguinem
restitistis”
. E se stimiamo secondo il giusto loro valore l’anima nostra e
quella dei nostri fratelli, non mette forse conto di tollerar qualche
passeggiero patimento per una gloria che non finirà mai e per cooperare con
Nostro Signore alla salute di quelle anime per cui versò il sangue fino
all’ultima goccia?

Questi motivi, per alti che siano, sono ben compresi da certe anime generose,
anche fin dal principio della loro conversione; e il proporli serve a farle
progredire nell’opera di purificazione e di santificazione.

3° DA PARTE DELLA NOSTRA
SANTIFICAZONE.

763. A) Abbiamo bisogno
d’assicurarci la perseveranza; e la mortificazione è uno dei mezzi
migliori per preservarsi dal peccato. Ciò che ci fa soccombere alla tentazione è
l’amor del piacere o l’orror del patire e della lotta, horror difficultatis,
labor certaminis.
Ora la mortificazione combatte questa doppia tendenza, che
in fondo è una sola; col privarci di alcuni leciti piaceri ci arma la volontà
contro i piaceri illeciti e ci rende più facile la vittoria sulla sensualità e
sull’amor proprio, “agendo contra sensualitatem et amorem proprium”, come
giustamente dice S. Ignazio. Se invece cediamo sempre davanti al piacere,
prendendoci tutti i leciti diletti, come sapremo poi resistere nel momento in
cui la sensualità, avida di nuovi godimenti, pericolosi o anche illeciti, si
sente come trascinata dall’abitudine di cedere sempre alle sue esigenze? Il
pendìo è così sdrucciolevole che, soprattutto in materia di sensualità, è facile
traboccar nell’abisso, trattivi da una specie di vertigine. E anche quando si
tratta della superbia, il pendìo è più ripido di quel che si creda: si mentisce
in materia leggiera per scusarsi, per schivare un’umiliazione; e poi, al sacro
tribunale della penitenza, si corre rischio di mancar di sincerità per la
vergogna di un’accusa umiliante. La nostra sicurezza richiede dunque la lotta
contro l’amor proprio come contro la sensualità e la cupidigia.

764. B) Ma non basta schivare
il peccato; bisogna anche progredire nella perfezione. Ora, qual è anche
qui il grande ostacolo se non l’amor del piacere e l’orror della croce? Quanti
desidererebbero esser migliori e tendere alla santità se non paventassero lo
sforzo necessario a progredire e le prove che Dio manda ai migliori suoi amici!
Bisogna dunque richiamar loro ciò che S. Paolo ripeteva spesso ai primi
cristiani, cioè che la vita è una lotta, che dobbiamo arrossire d’esser meno
coraggiosi di coloro che lottano per una ricompensa terrena, i quali, per
prepararsi alla vittoria, si privano di molti piaceri permessi e assumono rudi e
laboriosi esercizi, tutti per una corona peritura, mentre la corona promessa a
noi è corona immortale, “et illi quidem ut corruptibilem coronam accipiant,
nos autem incorruptam”
 764-1. Abbiamo paura del patire; ma non
pensiamo alle pene terribili del purgatorio (n. 734)
che dovremo subire per lunghi anni se vogliamo vivere nell’immortificazione e
prenderci tutti i piaceri che ci allettano? Quanto più prudenti sono i mondani!
Molti si sobbarcano a rudi fatiche e talora a forti umiliazioni per guadagnare
un poco di danaro e assicurarsi poi un onorevole riposo; e noi ricuseremmo di
sottoporci a qualche mortificazione per assicurarci l’eterno riposo nella città
del cielo? È ragionevole questo?

Bisogna dunque persuaderci che non si dà perfezione, non si dà virtù senza la
mortificazione. Come esser casti senza mortificare quella sensualità che ci
inclina così fortemente ai pericolosi e cattivi diletti? Come esser temperanti
se non reprimendo la golosità? Come praticar la povertà e anche la giustizia se
non si combatte la cupidigia? Come esser umili, dolci e caritatevoli, senza
padroneggiare quelle passioni di superbia, di ira, di invidia, di gelosia che
sonnecchiano in fondo al cuore umano? Nello stato di natura decaduta non c’è
virtù che possa praticarsi a lungo senza sforzo, senza lotta, e quindi senza
mortificazione. Si può dunque dire col Tronson che, “come l’immortificazione è
l’origine dei vizi e la causa di tutti i nostri mali, così la mortificazione è
il fondamento delle virtù e la fonte di tutti i nostri beni” 764-2.

765. C) Si può anche
aggiungere che la mortificazione, non ostante le privazioni e i patimenti che
impone, è, anche sulla terra, fonte dei più grandi beni, e che i cristiani
mortificati sono poi in complesso più felici dei mondani che si abbandonarono a
tutti i piaceri. Lo insegna Nostro Signore stesso quando dice che chi lascia
tutto per seguirlo avrà in ricambio il centuplo anche in questa vita: “Qui
reliquerit domum vel fratres… centuplum accipiet, et vitam æternam
possidebit”
 765-1. Nè altro linguaggio tiene S. Paolo
quando, dopo aver parlato della modestia, vale a dire della moderazione in tutte
le cose, aggiunge che chi la pratica gode di quella pace vera che supera ogni
consolazione: “pax Dei quæ exsuperat omnem sensum custodiat corda vestra et
intelligentias vestras”
. E non ne è egli stesso un vivo esempio? Paolo ebbe
certamente da patir molto; e a lungo descrive le prove terribili che dovette
soffrire nella predicazione del Vangelo e nella lotta contro sè stesso; ma
soggiunge che in mezzo alle tribolazioni abbonda e sovrabbonda di gaudio:
“superabundo gaudio in omni tribulatione nostra” 765-2.

È così di tutti i Santi: dovettero anch’essi subir lunghe e dolorose
tribolazioni; ma i martiri, fra le torture, dicevano di non essersi mai trovati
a un simile festino, “nunquam tam jucunde epulati sumus”; leggendo le
vite dei Santi, due cose ci colpiscono: le prove terribili che subirono e le
mortificazioni che liberamente s’imposero; e d’altra parte la loro serenità in
mezzo a questi patimenti. Giungono al punto di amar la croce, di non più
paventarla, di sospirarla anzi, di considerar perduti i giorni in cui non ebbero
nulla da soffrire. Fenomeno psicologico che fa stupire i mondani ma che consola
le anime di buona volontà. Non si può certamente pretendere dagl’incipienti
quest’amor della Croce; ma si può far loro capire, citando l’esempio dei Santi,
che l’amor di Dio e delle anime allevia notevolmente il dolore e la
mortificazione, e che, se consentono ad entrar generosamente nella pratica dei
piccoli sacrifici che sono alla loro portata, anch’essi giungeranno un giorno ad
amare e desiderare la croce e a trovarvi vere consolazioni spirituali.

766. È ciò che nota l’autore
dell’Imitazione, in un testo che compendia molto bene i vantaggi della
mortificazione 766-1: “In cruce salus, in cruce vita, in
cruce protectio ab hostibus, in cruce infusio supernæ suavitatis, in cruce robur
mentis, in cruce gaudium spiritûs, in cruce virtutis summa, in cruce perfectio
sanctitatis.
Infatti l’amor della croce è l’amor di Dio spinto fino
all’immolazione; ora, come abbiamo detto, quest’amore è il compendio di tutte le
virtù, l’essenza stessa della perfezione, e quindi il più potente usbergo contro
i nemici spirituali, una fonte di forza e di consolazione, il miglior mezzo
d’accrescere in noi la vita spirituale e di assicurarci l’eterna salute.

ART. III. PRATICA DELLA
MORTIFICAZIONE.

767. Principii. 1° La
mortificazione deve abbracciare l’uomo intiero, corpo ed anima; perchè appunto
l’uomo intiero, ove non sia ben disciplinato, è occasione di peccato. Chi pecca,
propriamente parlando, è la sola volontà; questo è vero, ma la volontà ha per
complici e strumenti il corpo coi sensi esterni e l’anima con tutte le sue
facoltà; onde tutto l’uomo dev’essere disciplinato e mortificato.

768. 2° La mortificazione prende di
mira il piacere. Il piacere in sè non è propriamente un male; è anzi un
bene quando è subordinato al fine per cui Dio l’ha istituito. Dio volle
annettere un certo diletto all’adempimento del dovere a fine di agevolarne la
pratica; ond’è che proviamo un certo diletto nel mangiare e nel bere, nel lavoro
e in altri simili doveri. Quindi, nell’intenzione divina, il piacere non è un
fine ma un mezzo.
Gustar dunque il piacere per meglio adempiere il dovere
non è cosa proibita: è l’ordine stabilito da Dio. Ma volere il piacere per se
stesso, come fine, senza alcuna relazione al dovere, è per lo meno cosa
pericolosa, perchè uno si espone a scivolare dai diletti permessi ai
diletti peccaminosi; gustare il piacere escludendo il dovere è peccato più o
meno grave, perchè è in violazione dell’ordine voluto da Dio. Onde la
mortificazione consisterà nel privarsi dei piaceri cattivi, contrari
all’ordine della Provvidenza o alla legge di Dio o della Chiesa; nel rinunziar
pure ai piaceri pericolosi per non esporsi al peccato; e perfino
nell’astenersi da alcuni piaceri leciti per render più sicuro l’impero
della volontà sulla sensibilità. Allo stesso fine uno non solo si priverà di
alcuni piaceri ma si infliggerà pure alcune mortificazioni positive; perchè
l’esperienza insegna che nulla è più efficace ad attutire l’inclinazione al
piacere quanto l’imporsi qualche lavoro o qualche patimento di supererogazione.

769. 3° Ma la mortificazione deve
praticarsi con prudenza o discrezione: onde vuol essere
proporzionata alle forze fisiche e morali di ciascuno e
all’adempimento dei doveri del proprio stato: 1) Bisogna aversi
riguardo alle forze fisiche; perchè, secondo San Francesco di Sales,
“siamo esposti a grandi tentazioni in due casi, quando il corpo è troppo nutrito
e quando è troppo estenuato”. Nell’ultimo caso infatti si cade facilmente nella
nevrastenia, che obbliga poi a pericolosi riguardi. 2) Bisogna aversi pur
riguardo alle forze morali, non imponendosi a principio privazioni
eccessive che non si potranno continuare a lungo e che nel lasciarle possono poi
condurre al rilassamento. 3) Ciò che soprattutto importa è che queste
mortificazioni, s’accordino coi doveri del proprio stato, perchè, essendo essi
obbligatorii, debbono andare avanti alle pratiche di supererogazione. Così
sarebbe male per una madre di famiglia praticare austerità che le impedissero di
adempiere i doveri versi il marito e verso i figli.

770. Vi è poi tra le mortificazioni
un ordine gerarchico: le interne valgono certamente più delle
esterne, perchè prendono più direttamente di mira la radice del male. Ma
non bisogna dimenticare che queste agevolano molto la pratica di quelle; chi,
per esempio, volesse disciplinare la fantasia senza mortificare gli occhi, non
ci riuscirebbe gran fatto, appunto perchè gli occhi forniscono alla fantasia le
immagini sensibili di cui si pasce. Fu errore dei modernisti il beffarsi
delle austerità dei secoli cristiani. Infatti i Santi di tutti i tempi, quelli
beatificati ultimamente come i precedenti, castigarono duramente il corpo e i
sensi esterni, convinti che, nello stato di natura decaduta, per appartenere
intieramente a Dio, l’intiero uomo dev’essere mortificato.

Verremo dunque percorrendo una dopo l’altra le varie specie di
mortificazione, cominciando dalle esterne per arrivare alle più
interne; tal è l’ordine logico; in pratica però bisogna saper usare nello
stesso tempo, in prudente maniera, le une e le altre.

NOTE
751-1 S. Tommaso, i cui testi
principali sono citati da T. de Vallgornera, op.
cit.
, q. II, disp. II-IV; Filippo della SS. Trinità, op.
cit.
, P. I, Tr. II, disc. I-IV; Alvarez de Paz, t. II, l. II, De mortificatione;
Scaramelli, Direttorio ascetico, Tr. II,
a. 1-6; Rodriguez, Pratica della perfezione cristiana, P. I, Tr. I
e II, Della mortificazione, Della modestia; Tronson, Esam.
particolari,
CXXXIX-CLXIX; Mgr Gay, Tr. VII, Della
mortificazione
; Meynard, Tr. de la vie intérieure, l. I, c.
II-IV; A. Chevrier, Le Véritable disciple, P. II, p. 119-323.

752-1 Luc., XIV, 33.

752-2 Luc., V, 11.

752-3 Luc., XI, 23.

752-4 Col., III, 5.

752-5 Rom., VIII, 13.

752-6 Gal., V, 24.

752-7 Coloss., III, 3.

752-8 Rom., VIII, 4.

752-9 Col., III, 9.

752-10 II Tim., IV, 7.

755-1 Matth., V, 28.

755-2 Matth., V, 28.

755-3 Rom., VIII, 13.

755-4 Abbiamo trattato più
diffusamente di queste occasioni di peccato nella nostra Synopsis
theol. moralis,
De Pœnitentiâ, n. 524-536.

758-1 De Imitatione Christi,
l. I, c. 25.

758-2 I motivi di penitenza che
abbiamo esposti, n. 736 ss.,
sono simili a quelli che esponiamo qui, perchè la penitenza non è in sostanza
che la mortificazione in quanto ripara i peccati passati.

759-1 Salita del Monte
Carmelo,
l. I, c. IV, n. 2.

759-2 Cat. chrétien, P. Iª,
lez. IV.

760-1 Olier, Cat.
chrét.,
P. Iª, lez. VII.

761-1 De Imit., l. II, c. XII.

761-2 Luc., IX, 23. — Si
legga il bel commento di questo testo nella Lettera circolare agli Amici
della Croce
del B. L. Grignion de Montfort.

761-3 Sermo V in festo omnium
Sanctorum,
n. 9.

762-1 Col., I, 24.

764-1 I Cor., IX, 25.

764-2 Examens particuliers,
1° Es. sulla Mortificazione.

765-1 Matth., XIX, 29.;
Marc., X, 29-30, ove è detto: “centies tantum nunc in tempore
hoc”
.

765-2 II Cor., VII, 4.

766-1 De Imit., l. II, c. 12.

Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.

Ultima revisione: 31 gennaio 2006.