Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (478-498)

Di Adolfo Tanquerey PARTE PRIMA I principii. Capitolo V. Dei mezzi generali di perfezione. § III. La conformità alla volontà di Dio. I. Natura della confirmità alla volontà di Dio. 1° La volontà significata di DIO. 2° La conformità alla volontà di beneplacito. 3° Gradi di conformità alla volontà di DIO.

§ III. La conformità alla volontà di Dio 478-1

478.
   La conoscenza di Dio non unisce soltanto la nostra intelligenza
al pensiero divino ma tende all’amore, perchè tutto è amabile in Dio; la
conoscenza di noi stessi, mostrandoci il bisogno che abbiamo di Dio, ce lo
fa ardentemente sospirare e ci getta tra le divine sue braccia. Ma la
conformità alla divina volontà
ci unisce ancor più direttamente e più
intimamente a Colui che è la fonte di ogni perfezione; assoggetta infatti e
unisce a Dio la volontà, che, essendo la regina delle facoltà, tutte le
mette al servizio del Sommo Padrone. Si può quindi dire che il grado di
perfezione dipende dal grado di conformità alla divina volontà. A farlo
meglio intendere, esporremo:


  • 1° la
    natura di questa conformità;

  • 2° l’efficacia
    santificatrice
    .



I. Natura della confirmità alla volontà di Dio.

479.   Sotto il nome di conformità alla divina volontà intendiamo
l’intiera e affettuosa sottomissione della nostra volontà a quella di Dio,
sia alla volontà significata, sia alla volontà di beneplacito.

Infatti la volontà di Dio ci si presenta sotto doppio aspetto.
a) È la regola morale delle nostre azioni,
significandoci chiaramente, per mezzo dei precetti o dei
consigli, quello che dobbiamo fare. b) Tutto sapientemente
governa, dirigendo gli avvenimenti per farli convergere alla gloria sua e
alla salute degli uomini; ci viene quindi manifestata dai provvidenziali
avvenimenti
che accadono in noi e fuori di noi.

La prima si chiama volontà significata, perchè chiaramente ci
significa ciò che dobbiamo fare. La seconda si chiama volontà di
beneplacito, perchè i provvidenziali avvenimenti ci dicono quale sia il
beneplacito di Dio.

Esporremo dunque:


  • 1° che cosa sia
    la volontà significata di Dio;

  • 2° che cosa sia
    la volontà di beneplacito;

  • 3° quali siano i
    gradi
    di sottomissione a quest’ultima.



1° LA VOLONTÀ SIGNIFICATA DI DIO.

480.   La conformità alla volontà significata di Dio consiste
nel volere tutto ciò che Dio ci significa essere di sua intenzione. Ora,
dice S. Francesco di Sales 480-1, “la dottrina cristiana ci
propone chiaramente le verità che Dio vuole che crediamo, i beni che vuole
che speriamo, le pene che vuole che temiamo, ciò che vuole che amiamo, i
comandamenti che vuole che osserviamo, i consigli che desidera che seguiamo.
Tutto ciò si chiama volontà significata di Dio, perchè Dio ci significò e
manifestò che vuole e intende che tutto questo sia creduto, sperato, temuto,
amato e praticato”.

La volontà significata comprende dunque, secondo lo stesso Dottore 480-2,
quattro cose: i comandamenti di Dio e della Chiesa, i consigli, le
ispirazioni della grazia, e, per le comunità, le Costituzioni e le Regole.

481.   a) Dio essendo nostro Supremo Padrone, ha diritto di
comandarci; ed essendo infinitamente sapiente e buono, nulla ci comanda che
non sia insieme utile alla gloria sua e alla felicità nostra; dobbiamo
quindi, con tutta semplicità e docilità, sottometterci alle sue leggi, legge
naturale o legge divina positiva, legge ecclesiastica o giusta legge civile,
perchè, come dice S. Paolo, ogni legittima autorità viene da Dio, e
l’obbedire ai Superiori che comandano nei limiti dell’autorità loro
conferita, è un obbedire a Dio, come il resistere ad essi, è un resistere a
Dio stesso: “Omnis anima potestatibus sublimioribus subdita sit: non est
enim potestas nisi a Deo; quæ autem sunt, a Deo ordinata sunt. Itaque qui
resistit potestati, Dei ordinationi resistit; qui autem resistunt, ipsi sibi
damnationem acquirunt”
 481-1. Non esaminiamo qui in quali
casi la disobbedienza alle varie leggi è grave o leggiera, avendolo già
fatto nella nostra Teologia morale. Ci basti il dire, rispetto alla
perfezione, che quanto più fedelmente e cristianamente osserviamo le
leggi tanto più ci avviciniamo a Dio, perchè la legge è l’espressione della
sua volontà. Aggiungiamo pure che i doveri del proprio stato
rientrano nei comandamenti, essendo come una specie di precetti particolari
che obbligano i cristiani in virtù della vocazione speciale e degli uffici
che Dio loro assegna.

Non possiamo quindi santificarci senza osservare i comandamenti e i doveri
del proprio stato; trascurarli sotto pretesto di fare opere di
supererogazione è illusione pericolosa e vera aberrazione, perchè è chiaro
che il precetto va innanzi al consiglio.

482.   b) L’osservanza dei consigli non è per sè
necessaria alla salute
e non cade sotto un diretto ed esplicito
precetto. Abbiamo però detto, parlando dell’obbligo della perfezione
(n. 353), che, per conservare lo stato di grazia, è necessario fare talora
opere di supererogazione e quindi praticare alcuni consigli: è un obbligo
indiretto fondato sul principio che chi vuole il fine vuole anche i mezzi.

Ma, ove si tratti di perfezione, abbiamo provato, n. 338, che non si
può sinceramente ed efficacemente tendervi senza la pratica di alcuni
consigli, di quelli che convengono alla propria condizione. Così una
maritata non può praticare i consigli che si opponessero all’adempimento dei
suoi doveri verso il marito o i figli; un sacerdote obbligato al ministero
non può vivere da certosino. Ma, quando si mira alla perfezione, bisogna
bene risolversi a fare di più di quanto è strettamente comandato: quanto più
generosamente uno si da alla pratica dei consigli compatibili coi doveri del
proprio stato, tanto più s’avvicina a Nostro Signore e alla divina
perfezione, perchè questi consigli sono espressione dei suoi desiderii
rispetto a noi.

483.   c) Convien dire lo stesso delle ispirazioni della
grazia,
quando sono espresse chiaramente e accertate dal direttore; può
dirsi allora che siano come consigli particolari diretti a questa o a
quell’anima.

Si devono per altro premurosamente sottoporre, nel loro complesso, al
giudizio del direttore, perchè altrimenti si correrebbe pericolo di cadere
nell’illusione. Così certe anime ardenti e appassionate, dotate di
viva immaginazione, si persuadono facilmente che Dio parli loro, mentre sono
le passioni che suggeriscono questa o quella pratica molto pericolosa. Certe
anime
meticolose o scrupolose prenderebbero per divine ispirazioni ciò che
sarebbe soltanto espressione di esaltata fantasia o suggestione diabolica
fatta per ingenerare scoraggiamento. Cassiano ne cita parecchi esempi nelle
sue Conferenze sulla discrezione 483-1; e i direttori
sperimentati sanno che la fantasia o il demonio suggeriscono talvolta
pratiche moralmente impossibili, contrarie ai doveri del proprio stato,
colorandole come ispirazioni divine. Queste suggestioni cagionano
turbamento; se si seguono, si diventa ridicoli, si perde o si fa perdere un
tempo prezioso; se vi si resiste, uno si crede ribelle a Dio, si disanima e
finisce col cadere nel rilassamento. Bisogna quindi farne una qualche
verificazione e la regola che si può dare è questa: se si tratta di cose
ordinarie,
che le anime fervorose della propria condizione sogliono
generalmente fare e che non turbano l’anima, si facciano pure generosamente,
riserbandosi di parlarne poi al proprio direttore; se si tratta invece di
cose anche minimamente straordinarie, che le anime buone generalmente
non fanno, bisogna astenersene, finchè non si sia consultato il direttore, e
intanto starsene quieti adempiendo generosamente i doveri del proprio stato.

484.   Fatta questa restrizione, è chiaro che chi tende alla
perfezione deve prestare attento orecchio alla voce dello Spirito Santo che
interiormente gli parla “Audiam quid loquatur in me Dominus Deus”; 484-1
e prontamente, generosamente eseguire quanto chiede: “Ecce venio ut
faciam, Deus, voluntatem tuam”
 484-2. È questo infatti un
corrispondere alla grazia, la quale docile e costante corrispondenza è
appunto quella che ci rende perfetti: “Adjuvantes exhortamur ne in vacuum
gratiam Dei recipiatis”
 484-3. Il carattere distintivo delle
anime perfette sta appunto nell’ascoltare e mettere in pratica queste divine
ispirazioni: “Quæ placita sunt ei facio semper” 484-4.

481.   d) Quanto alle persone che vivono in comunità, sono
tanto più perfette, a parità di cose, quanto più generosamente obbediscono
alle regole e costituzioni: queste infatti sono mezzi di
perfezione approvati in modo esplicito o implicito dalla Chiesa e che uno si
obbliga ad osservare entrando in comunità. Come abbiamo spiegato al n. 375,
il mancare per fragilità a qualche regola particolare, in sè non è
certamente peccato; ma, oltre che spesso in queste volontarie negligenze ci
s’insinua un motivo più o meno peccaminoso, è certo che, non osservandole,
sia pure per fragilità, uno si priva di preziose occasioni di farsi dei
meriti. Resta pur sempre vero che l’osservare la regola è uno dei mezzi più
sicuri di fare la volontà di Dio e di vivere per lui: “Qui regulæ vivit,
Deo vivit;”
e che il mancarvi volontariamente e senza ragione è abuso
della grazia.

Quindi l’obbedienza alla volontà di Dio significata è il mezzo
normale per giungere alla perfezione.

2° LA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI BENEPLACITO.

486.   Questa conformità consiste nel sottomettersi a tutti i
provvidenziali avvenimenti voluti o permessi da Dio per il nostro maggior
bene e principalmente per la nostra santificazione.

a) Si appoggia sopra questo fondamento: che nulla succede
senza il volere o il permesso di Dio, e che Dio, essendo infinitamente
sapiente e infinitamente buono, nulla vuole e nulla permette se non per il
bene delle anime, anche quando noi non riusciamo a vederlo. È quello che
diceva Tobia in mezzo alle afflizioni e ai rimbrotti della moglie:
“Justus es, Domine… et omnes viæ, tuæ misericordia et veritas et judicium”
 486-1;
è quello che proclamava la Sapienza:
“Tua autem, Pater, Providentia, gubernat… Attingit ergo a fine usque ad
finem fortiter, et disponit omnia suaviter”
 486-2. Ed è
specialmente ciò che viene inculcato da S. Paolo: “Diligentibus Deum
omnia cooperantur in bonum”
 486-3.

Ma per capir questa dottrina, bisogna guardar le cose con l’occhio della
fede e dell’eternità, della gloria di Dio e della salute degli uomini. Chi
si ferma alla vita presente e alla terrena felicità, non riuscirà mai a
intendere i disegni di Dio, che volle assoggettarci alla prova quaggiù per
ricompensarci poi nel cielo. Tutto è subordinato a questo fine, non essendo
i mali presenti che un mezzo per purificarci l’anima, rinsaldarla nella
virtù, e farci acquistare dei meriti; ogni cosa poi per la gloria di Dio che
resta il fine ultimo della creazione.

487.   b) È dunque un
dovere per noi di sottometterci a Dio in tutti gli avvenimenti lieti o
tristi che siano, nelle pubbliche calamità o nelle private sventure, nelle
intemperie delle stagioni, nella povertà e nei patimenti, nel lutto che ci
colpisce come nel gaudio, nell’ineguale ripartizione dei doni naturali o
soprannaturali, nella povertà come nella ricchezza, nei rovesci come nei
buoni successi, nelle aridità come nelle consolazioni, nella malattia come
nella sanità, nella morte e nei dolori ed incertezze che l’accompagnano.
Come diceva il Santo Giobbe: 487-1 “Se riceviamo il bene
dalla mano di Dio, perchè non dovremo riceverne anche il male? Si bona
suscepimus de manu Dei, mala quare non suscipiamus?”S. Francesco di Sales,

commentando queste parole, ne ammira la bellezza: 487-2 “O Dio,
quale parole di grandissimo amore! Pensa, Teotimo, che dalla mano di Dio
Giobbe ricevette i beni, dichiarando con ciò che non aveva tanto stimato i
beni perchè beni quanto perchè provenivano dalla mano del Signore. Stando
così le cose, ne conchiude che bisogna amorosamente sopportare le avversità
perchè procedono dalla stessa mano del Signore, che è egualmente
amabile quando distribuisce afflizioni come quando largisce consolazioni”.
Le afflizioni infatti ci porgono occasione di meglio attestare il nostro
amore a Dio;
l’amarlo quando ci ricolma di beni è cosa facile, ma spetta
solo all’amore perfetto il ricevere i mali dalla sua mano, non essendo essi
amabili se non per riguardo di chi li dà.

488.   Questo dovere di sottomissione al beneplacito di Dio negli
avvenimenti tristi è dovere di giustizia e d’obbedienza, perchè Dio è
Supremo nostro Padrone che ha su di noi ogni autorità; è dovere di
sapienza,
perchè sarebbe follia volersi sottrarre all’azione della
Provvidenza, mentre che nell’umile rassegnazione troviamo la
pace; è dovere d’interesse, perchè la volontà di Dio non ci prova
che per nostro bene, per esercitarci nella virtù e farci acquistare dei
meriti; ma è sopratutto dovere d’amore perchè l’amore è dono di sè
fino all’immolazione.

489.   c) Tuttavia, per
agevolare alle anime tribolate la sottomissione alla divina volontà, è
bene, quando non sono ancor giunte all’amor della croce, suggerir loro
alcuni mezzi per addolcirne i patimenti. Due rimedi li possono alleviare,
uno
negativo e l’altro positivo. 1) Il primo è di non aggravarli
con falsa tattica: ci sono di quelli che radunano i loro mali passati,
presenti e futuri, e ne formano come un ammasso che pare loro
insopportabile. Bisogna invece fare il contrario: a ogni giorno basta il suo
malanno: “sufficit diei malitia sua” 489-1. In cambio di
ravvivar le ferite del
passato ormai cicatrizzate, bisogna o non pensarvi più o pensarvi solo
per considerare i vantaggi che se ne sono tratti: i meriti acquistati,
l’aumento di virtù prodotto con la pazienza, l’assuefazione al dolore. Così
il dolore si attenua; perchè un male non ci punge se non quando vi fissiamo
l’attenzione; una maldicenza, una calunnia, un insulto non ci arrovellano se
non quando li veniamo acrimoniosamente ruminando.

Quanto all’avvenire è follia l’impensierirsene. È certamente da savi
il prevederlo a fine di prepararvici per quanto possiamo; ma pensare
anticipatamente ai mali che possono coglierci e attristarcene, è uno
sprecare il tempo e le forze a tutto nostro danno; perchè in fin dei conti
questi mali potrebbero non accadere; che se poi ci coglieranno, penseremo
allora a sopportarli con l’aiuto della grazia che ci sarà data per
addolcirli; in questo momento non l’abbiamo, onde, lasciati alle sole nostre
forze, non possiamo che soccombere sotto il peso d’un carico che ci
addossiamo da noi stessi. O non è meglio abbandonarsi nelle mani del Padre
celeste e bandire inesorabilmente, come cattivi e malefici, i pensieri o i
fantasmi che ci rappresentano dolori passati o futuri?

490.   2) Il rimedio positivo è di pensare, nel momento in
cui si soffre, ai grandi vantaggi del dolore. Il dolore è un
educatore,
è una forza, è una fonte di meriti. È un
educatore,
che ci illumina e ci fortifica, rammentandoci che quaggiù
siamo poveri esiliati diretti verso la patria e che non dobbiamo
trastullarci a cogliere i fiori delle consolazioni, la vera felicità non
potendosi avere che nel cielo. Ora, come canta il poeta:

“Se l’esilio ci porge troppo amore,
Con la patria lo scambia il nostro
cuore!”

È anche una forza: l’abitudine del piacere fiacca l’attività,
svigorisce l’animo e dispone a vituperose cadute; il dolore invece, non per
sè ma per la reazione che provoca, tende e aumenta le energie e ci rende
atti alle più maschie virtù, come si vide nel corso della grande guerra.

491.   B) È pure una fonte di meriti per sè e per gli
altri. I patimenti, pazientemente sopportati per Dio e in unione con Gesù
Cristo, meritano un peso eterno di gloria, come
S. Paolo continuamente ripeteva ai primi cristiani: “Stimo non adeguati i
patimenti del momento presente rispetto alla ventura gloria da rivelarsi in
noi. Perchè il momentaneo, leggiero fardello della tribolazione nostra,
oltre ogni misura sublimissimo eterno peso, di gloria prepara a noi:
Existimo enim quod non sunt condignæ passiones hujus temporis ad futuram
gloriam quæ revelabitur in nobis…
 491-1 Momentaneum et
leve tribulationis nostræ… æternum gloriæ pondus operatur in nobis”
 491-2.
E per le anime generose aggiunge che, soffrendo con Gesù, ne compiono la
passione e contribuiscono con lui al bene della Chiesa: “Adimpleo ea quæ
desunt passionum Christi in carne mea pro corpore ejus quod est Ecclesia”
 491-3.
Il che infatti risulta dalla dottrina della nostra incorporazione a Cristo,
n. 142 e ss. Questi pensieri non tolgono certamente il dolore ma ne
attenuano in modo singolare l’asprezza, facendocene toccar con mano la
fecondità.

Tutto dunque c’invita a conformare la nostra volontà a quella di Dio, anche
in mezzo alle tribolazioni; vediamone ora i gradi.

3° GRADI DI CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO.

492.   S. Bernardo distingue tre gradi di questa virtù, che
corrispondono ai tre gradi della perfezione cristiana: “L’incipiente,
mosso dal timore, sopporta la croce di Cristo
pazientemente; il proficiente, mosso dalla speranza, la porta con
un certo gaudio; il perfetto, consumato nella carità,
l’abbraccia
con ardore” 492-1.

A) Gl’incipienti, sorretti dal timor di Dio, non amano
i patimenti, cercano anzi di scansarli; ma pure preferiscono patire anzichè
offendere Dio, e, pur gemendo sotto il peso della croce, la subiscono con
pazienza: sono rassegnati.

B) I proficienti, sorretti dalla speranza e dal
desiderio dei beni celesti, e sapendo che ogni patimento ci vale un peso
eterno di gloria, non cercano ancora la croce ma la portano volentieri con
un certo gaudio: “Euntes ibant et flebant mittentes semina sua; venientes
autem venient cum exultatione, portantes manipulos suos”
 492-2.

C) I perfetti, guidati dall’amore, vanno più oltre:
per glorificar Dio che amano, per conformarsi più perfettamente a Gesù
Cristo, vanno incontro alle croci, le desiderano, le abbracciano con ardore,
non già perchè siano amabili in sè ma perchè sono un mezzo di attestare il
nostro amore a Dio e a Gesù Cristo. Si rallegrano, come gli Apostoli,
d’essere stati stimati degni di oltraggi per il nome di Gesù: come S. Paolo,
sovrabbondano di gaudio in mezzo alle tribolazioni 492-3.
Quest’ultimo grado si chiama
santo abbandono: ne riparleremo più tardi trattando dell’amor di Dio 492-4.

II. Efficacia santificatrice della conformità alla volontà di Dio.

493.   Da quanto dicemmo risulta chiaro che questa conformità alla
volontà di Dio non può che santificarci, perchè unisce la nostra volontà, e
quindi pure le altre nostre facoltà, a Colui che è la fonte di ogni santità.
A meglio rilevarlo, vediamo in che modo ci
purifica, ci riforma e ci conforma a Gesù Cristo.

494.   1° Questa conformità ci
purifica. Già nell’antica Legge, Dio fa spesso notare che è pronto a
perdonare tutti i peccati e a rendere all’anima il fulgido candore della
primitiva sua purità, ov’ella cambi di cuore e di volontà: “Lavamini,
mundi estote; auferte malum cogitationum vestrarum ab oculis meis; quiescite
agere perverse; discite benefacere… Si fuerint peccata vestra ut coccinum,
quasi nix dealbabuntur…
 494-1 . Ora il conformare
la propria volontà a quella di Dio, è certamente un mutar di cuore, un
cessare di far il male, un imparare a fare il bene. E non è pur questo il
significato di quel testo tante volte ripetuto: “Melior est enim
oboedientia quam victimæ” 494-2? Nel Nuovo Testamento,
N. Signore dichiara, fin dal primo suo ingresso nel mondo, che con l’ubbidienza
sostituirà tutti i sacrifizi dell’Antica legge: “Holocautomata pro
peccato non tibi placuerunt, tunc dixi: Ecce venio… ut faciam, Deus,
voluntatem tuam”
 494-3. Gesù infatti ci redense con
l’ubbidienza spinta fino all’immolazione di sè nel corso di tutta la vita e
principalmente sul Calvario: “factus oboediens usque ad mortem, mortem
autem crucis”
 494-4. Con l’ubbidienza dunque e con
l’accettazione delle prove provvidenziali, espieremo anche noi in unione con
Gesù i nostri peccati e ci purificheremo l’anima.

495.   2° Ci riforma. Ciò che ci deformò è l’amore
disordinato del piacere, a cui cedemmo per malizia o per
fragilità.
Ora la conformità alla volontà di Dio ci guarisce da questa
doppia causa di ricadute.

a) Ci guarisce dalla malizia, che nasce anch’essa
dall’attacco alle creature e principalmente dall’attacco al proprio giudizio
e alla propria volontà. Conformando infatti la nostra volontà a quella di
Dio, accettiamo i giudizi suoi come regola dei nostri, i suoi precetti e i
suoi consigli come regola della nostra volontà; ci distacchiamo quindi dalle
creature e da noi stessi e dalla malizia che da questi attacchi derivava.

b) Rimedia alla nostra fragilità, fonte di tante miserie; in
cambio di appoggiarci su noi stessi che siamo così fragili, con l’ubbidienza
ci appoggiamo su Dio che, essendo onnipotente, ci fa partecipare alla sua
forza e resistere alle più gravi tentazioni: “Omnia possum in eo qui me
confortat”
 495-1. Quando noi facciamo la sua volontà, Dio sì
compiace di fare la nostra esaudendo le nostre preghiere e reggendo la
nostra debolezza.

Liberi così dalla malizia e dalla debolezza, cessiamo d’offendere
deliberatamente Dio e veniamo a riformare a grado a grado la nostra vita.

496.   3° E la rendiamo quindi
conforme a quella di Nostro Signore Gesù Cristo. a) La conformità
più reale, più intima, più profonda, è quella che esiste tra due volontà.
Ora, con la conformità alla volontà di Dio, noi assoggettiamo e uniamo la
volontà nostra a quella di Gesù, il cui cibo era di fare la volontà del
Padre; come lui e con lui, noi non vogliamo se non ciò che vuole Dio e ciò
nel corso dell’intiero giorno: abbiamo quindi fusione di due volontà in una
sola,
unum velle, unum nolle; non facciamo più che una cosa sola con lui, ne
abbracciamo i pensieri, i sentimenti, i voleri: “Hoc enim sentite in
vobis quod et in Christo Jesu”
 496-1; onde potremo presto
ripetere la parola di S. Paolo: “Vivo autem, jam non ego, vivit vero in
me Christus
 496-2 : vivo non già più io, ma vive in me
Cristo”.

497.   b) Assoggettando la volontà, assoggettiamo e uniamo a
Dio tutte le altre nostre facoltà, che sono sotto il dominio, e quindi
l’anima intiera, che si viene a poco a poco conformando ai sentimenti, ai
voleri, ai desideri di Nostro Signore; onde gradatamente acquista tutte le
virtù del divino Maestro. Ciò che si disse della carità, n. 318, si può
anche dire della conformità alla volontà di Dio che ce è la più autentica
espressione; contiene dunque, come la carità, al dire di S. Francesco di
Sales, tutte le virtù 497-1: “L’abbandono è la virtù delle virtù;
è il fiore della carità; l’odore dell’umiltà; il merito, a quanto pare,
della pazienza; e il frutto della perseveranza”. Perciò Nostro Signore
chiama coi dolci nomi di fratello, di sorella, di madre, quelli che fanno la
volontà di suo Padre: “Quicumque enim fecerit voluntatem Patris mei, qui
in cealis est, ipse meus frater et soror et mater est”
 497-2.

CONCLUSIONE.

498.   La conformità alla volontà di Dio è dunque uno dei più grandi
mezzi di santificazione; non possiamo quindi conchiudere meglio che con
queste parole di
S. Teresa 498-1 : “L’unica ambizione di colui che comincia a
far orazione, — non si dimentichi questo che è importantissimo, —
dev’essere di porre ogni studio nel rendere la sua volontà conforme a quella
di Dio… sta in ciò tutta la maggior perfezione che si possa toccare nel
cammino spirituale. Quanto più questa conformità è perfetta, tanto più si
riceve dal Signore e tanto più si è avanti in questo cammino”. E aggiunge
che avrebbe anche lei desiderato di vivere in questa via di conformità,
senza essere elevata a ratti ed estasi, tanto era convinta che questa via
basta alla più alta perfezione.

NOTE
478-1 P. de Caussade, L’abbandono alla
Divina Provvidenza,
I P., l. I (Galla, Vicenza); L. Gaudier,
op. cit.,

p. III, sez. II; S. Fr. di Sales, Il Teotimo,
l. VIII-IX (Salesiana, Torino); S. Alfonso, La confirmità ai
divini voleri;
Desurmont, Œuvres, t. II, sur La
Providence;
Mgr Gay, Vie et verbes chrétiennes,
Tr. XI, XIV; Dom V. Lehodey, Le Saint Abandon,
P. 1ª.

480-1 Il Teotimo o Trattato dell’amor di Dio, l. VIII,
c. 3.

480-2 Trattenimento XV.

481-1 Rom., XIII, 1-2.

483-1 Confer. 15, c. 5-8.

484-1 Ps. LXXXIV, 9.

484-2 Hebr., X, 9.

484-3 II Cor., VI, 1.

484-4 Joan., VIII, 29.

486-1 Tob., III, 2.

486-2 Sap., XIV, 3; VIII, 1.

486-3 Rom., VIII, 28.

487-1 Job., II, 10.

487-2 Amor di Dio, l. IX, c. 2.

489-1 Matth., VI, 34.

491-1 Rom., VIII, 18.

491-2 II Cor., IV, 17.

491-3 Colos., I, 24.

492-1 “Qui initiatur a timore, crucem Christi sustinet
patienter;
qui proficit in spe, portat libenter;
qui vero consummatur in caritate, amplectitur jam ardenter”.
(S. Bernardo, I Serm., S. Andreæ, 5.)

492-2 Ps. CXXV, 6.

492-3 De Imit. Christi,
l. III. c. 17.

492-4 S. Fr. di Sales, Il Teotimo, l. IX, c. 15.

494-1 Isa., I, 16-18.

494-2 I Reg., XV, 22; cfr. Osea, VI, 6; Matth., IX, 13;
XII, 7.

494-3 Hebr., X, 6, 7.

494-4 Phil., II, 8.

495-1 Phil., IV, 13.

496-1 Philip., II, 5.

496-2 Galat., II, 20.

497-1 Trattimento XI.

497-2 Matth., XII, 50.

498-1 Castello interiore, 2ª Mansione (Versione del
Mella, Vol. III, p. 322; Versione del P. Federico, T. II, p. 253).