Di Adolfo Tanquerey PARTE PRIMA I principii. Capitolo V. Dei mezzi generali di perfezione. 2° Oggetto della conoscenza di noi stessi. 3° Dei mezzi atti ad ottenere questa conoscenza. Conclusione.
2° OGGETTO DELLA CONOSCENZA DI NOI STESSI.
450. Osservazioni generali.
Perchè questa conoscenza sia più efficace, è necessario che abbracci tutto
ciò che si trova in noi, doti e difetti, doni naturali e doni
soprannaturali, inclinazioni e ripugnanze, l’intiera storia della nostra vita,
le nostre colpe, i nostri sforzi, i nostri progressi; il tutto studiato senza
pessimismo, ma con imparzialità, con retta coscienza illuminata dalla fede.
a) Bisogna quindi rilevar sinceramente, senza falsa umiltà, tutte le
doti che il Signore ha posto in noi, non certo per gloriarcene ma per
esprimerne riconoscenza al loro autore e per diligentemente coltivarle: sono
talenti che Dio ci ha affidati e di cui ci domanderà conto. Il terreno da
esplorare è quindi vastissimo, perchè comprende e i doni naturali e i
doni soprannaturali: quello che avemmo più direttamente da Dio, quello
che ricevemmo dai genitori e dall’educazione, quello che dobbiamo ai nostri
sforzi sorretti dalla grazia.
451. b) Ma bisogna pure porci
coraggiosamente di fronte alle nostre miserie e ai nostri falli.
Tratti dal nulla, al nulla continuamente tendiamo; non sussistiamo e non
possiamo agire che coll’incessante concorso di Dio. Attirati al male dalla
triplice concupiscenza (n. 193 ss.),
questa tendenza noi abbiamo accresciuto coi peccati attuali e con le abitudini
che ne risultano; bisogna umilmente riconoscerlo, e, senza disanimarci, metterci
all’opera, con la grazia di Dio, per guarire queste ferite con la pratica delle
virtù cristiane, onde accostarci alla perfezione del Padre celeste.
452. Applicazioni. A ben
procedere in questo esame, possiamo ordinatamente percorrere i doni
naturali e i soprannaturali, seguendo una specie di questionario
che ci agevolerà il lavoro.
A) Quanto ai doni naturali, possiamo chiederci, alla presenza
di Dio, quali siano le principali tendenze proprie delle nostre facoltà,
seguendo non un ordine strettamente filosofico ma semplicemente un ordine
pratico 452-1.
453. a) Rispetto alla
sensibilità: è lei che domina in noi oppure la ragione e la volontà? V’è
in noi tutti un misto di queste due cose, che però varia nella misura secondo
gli individui. Amiamo più per sentimento che per volontà o affezione?
Sappiamo padroneggiare i nostri sensi esterni oppure ne siamo schiavi? Qual
dominio esercitiamo sull’immaginazione e sulla memoria? Non sono
queste nostre facoltà eccessivamente volubili, occupate spesso in vane
fantasticherie? E le nostre passioni? Sono bene orientate e moderate? È la
sensualità che domina oppur la superbia e la vanità?
Siamo apatici, fiacchi, negligenti, pigri? Se lenti, siamo almeno
costanti nei nostri sforzi?
454. b)
L’intelligenza: di che natura è? vivace e chiara ma superficiale, oppure
lenta e penetrante? Siamo intellettuali e speculativi, oppure uomini pratici che
studiano con la mira di amare e di operare? Come coltiviamo l’intelligenza?
Fiaccamente oppur con energia? Con costanza oppure a salti? A quali risultati
riusciamo? Qual è il nostro metodo di lavoro? Non si potrebbe migliorarlo?
Siamo appassionati nei giudizi e ostinati nelle opinioni?
Sappiamo dare ascolto a chi non la pensa come noi, e acconsentire a ciò che si
dice di ragionevole.
455. c) La volontà: è
fiacca e incostante o forte e perseverante? Che facciamo per coltivarla? La
volontà dev’essere la regina delle facoltà, ma non può riuscirvi che
adoprando grande delicatezza ed energia. Che facciamo per assicurarle il dominio
sui sensi interni ed esterni, sull’esercizio delle facoltà intellettuali e per
dare a lei stessa maggior energia e costanza? Abbiamo convinzioni profonde? E le
rinnoviamo di frequente? Esercitiamo la volontà nelle piccole cose, nei piccoli
sacrifici quotidiani?
456. d) Il carattere
ha grandissima importanza nelle relazioni col prossimo; un buon carattere
che sa adattarsi al carattere altrui, è una leva potente per l’apostolato; un
cattivo carattere è uno dei più grandi ostacoli al bene. Uomo di
carattere è colui che, avendo forti convinzioni, si studia con fermezza e
perseveranza di conformarvi la sua condotta. Il buon carattere è quel
misto di bontà e di fermezza, di dolcezza e di forza, di franchezza e di
riguardo, che concilia la stima e l’affetto di coloro con cui si ha da trattare.
Un cattivo carattere è invece colui che, col mancare di franchezza, di
bontà, di delicatezza o di fermezza, o col lasciar predominare l’egoismo, è
rozzo nelle maniere e si rende sgradito e talora anche odioso al prossimo. C’è
qui dunque un punto capitale da studiare.
457. e) Le abitudini:
nascono dalla ripetizione degli atti e danno una certa facilità a fare atti
simili con prontezza e diletto. Conviene quindi studiare quelle che si sono già
contratte per fortificarle, se buone, per estirparle, se cattive.
Ciò che nella seconda parte diremo dei peccati capitali e delle virtù, ci
sarà di aiuto in questa indagine.
458. B) I nostri doni
soprannaturali. Essendo le nostre facoltà tutte compenetrate di
soprannaturale, non ci conosceremmo interamente se non badassimo ai doni
soprannaturali che Dio mette in noi. Li abbiamo descritti più sopra (n. 119 ss.);
ma la grazia di Dio è molto varia nelle sue operazioni, multiformis gratia
Dei; è quindi necessario studiarne la speciale azione nell’anima nostra.
a) Studiare le inclinazioni ch’ella ci dà per questa o per
quella vocazione, per questa o per quella virtù: dalla docilità nel
seguire questi movimenti della grazia dipende la nostra santificazione.
1) Vi sono nella vita momenti decisivi in cui la voce di Dio si fa più
forte e più insistente: l’ascoltarla allora e il seguirla è cosa della massima
importanza.
2) Bisogna pure osservare se, fra queste inclinazioni, non ce ne sia qualcuna
dominante, che ritorni, più frequentemente e più fortemente, verso questo
o quel genere di vita, verso questo o quel modo di far meditazione, verso questa
o quella virtù: si avrebbe allora la speciale via in cui Dio vuole che
camminiamo, e bisognerebbe entrarvi per trovarsi nella corrente della grazia.
459. b) Oltre che delle
inclinazioni, occorre renderci pur conto delle resistenze alla grazia,
delle debolezze, dei peccati, a fine di sinceramente detestarli,
ripararli e schivarli nell’avvenire. È studio penoso e umiliante, specialmente
chi lo faccia lealmente e venendo al particolare, ma è studio molto proficuo,
perchè per un verso ci aiuta a praticar l’umiltà, e per l’altro ci getta
fiduciosamente in seno a Dio, che solo può guarire le nostre miserie.
3° DEI
MEZZI ATTI AD OTTENERE QUESTA CONOSCENZA.
460. Notiamo subito da principio che
la perfetta conoscenza di noi stessi è cosa difficile. a) Attratti come siamo dalle
cose esteriori, ci è duro
rientrar nel nostro interno per esaminare questo piccolo mondo invisibile; e
ancor più duro è per noi, superbi, il rilevare i nostri difetti.
b) Questi alti interni sono molto complessi: vi sono in noi,
come dice S. Paolo, due uomini, che spesso tumultuosamente contrastano tra
loro. Per sceverare ciò che viene dalla natura e ciò che viene dalla grazia, ciò
che è volontario e ciò che non è, si richiede molta attenzione, perspicacia,
lealtà, coraggio e perseveranza. Soltanto a poco a poco si fa la luce; una
cognizione ne trae un’altra e quest’altra prepara la via a una cognizione ancor
più profonda.
461. Essendo gli esami di
coscienza la via per cui si giunge alla conoscenza di sè stessi, a
facilitarne la pratica daremo qui alcune regole generali, proporremo un
metodo, e indicheremo i sentimenti che li devono accompagnare.
462. A) Regole generali.
a) Per esaminarci bene bisogna innanzitutto invocare i lumi dello Spirito
Santo, che scruta le reni e i cuori, e pregarlo di svelarci tutte le più
intime pieghe dell’anima, comunicandoci il dono della scienza che ha per
uno dei suoi uffici quello di aiutarci a ben conoscere noi stessi per condurci a
Dio.
b) Bisogna poi metterci davanti a Gesù, che è il perfetto
modello a cui dobbiamo ogni giorno più accostarci; adorarne e ammirarne non solo
gli atti esterni, ma anche e principalmente le disposizioni interiori. Allora i
nostri difetti e le nostre imperfezioni appariranno molto più chiaramente per il
contrasto che noteremo tra noi e questo divino modello. Ma non ci lasceremo
prendere dallo scoraggiamento, perchè Gesù è pure il medico delle anime, bramoso
di curar le nostre piaghe e di guarirle. Ottima pratica è fare a lui, a così
dire, la nostra confessione, chiedendogli umilmente perdono.
463. c) Entreremo quindi nel
più intimo dell’anima nostra: dagli atti esterni risaliremo alle
disposizioni interiori che li ispirano, alla profonda loro causa. Così,
avendo mancato alla carità, indagheremo se fu per leggerezza, per invidia, per
gelosia, per spiritosità o per loquacità.
Per rilevarne il carattere morale e la responsabilità, bisognerà esaminare se
l’atto è stato volontario in sè o nella sua causa, se fatto con
piena coscienza della sua malizia o solo con una mezza avvertenza, se con
pieno o solo con semipieno consenso. Da principio tutto ciò riesce oscuro ma a
poco a poco si viene poi rischiarando.
Per essere più imparziali nei nostri giudizi, è bene metterci davanti al
Giudice Supremo e figurarci che ci dica con bontà sì ma anche con autorità:
redde rationem villicationis tuæ. E ci studieremo allora di rispondere
con tanta sincerità quanta ne vorremmo avere usata nel giorno del giudizio.
464. d) È utile talora, specie per
gl’incipienti, far quest’esame per iscritto, a fine di fissar
meglio l’attenzione e poter meglio confrontare i risultati d’ogni giorno e di
ogni settimana. Facendolo, si badi di evitare ogni amor proprio, ogni pretesa
letteraria, e si prendano le precauzioni necessarie perchè tali note non cadano
sotto gli occhi dei profani. Se si usa uno specchietto con segni convenzionali,
bisogna badare di non farlo per abitudine o con superficialità. Ma
ordinariamente si viene poi a far senza di questo mezzo, abituandosi ad
esaminarsi con tutta semplicità, alla presenza di Dio, dopo le principali
azioni, per ricapitolar poi tutto al termine della giornata.
465. In ciò, come in tutto il resto,
si seguirà il consiglio d’un savio direttore, pregandolo di aiutarci a conoscere
meglio noi stessi: osservatore disinteressato ed esperto, egli generalmente vede
meglio di noi il fondo della nostra coscienza, e giudica più imparzialmente il
vero valore dei nostri atti.
466. B) Metodi per
esaminar la coscienza. Tutti riconoscono che S. Ignazio li ha
molto perfezionati. Nei suoi Esercizi spirituali, distingue attentamente
l’esame generale dal particolare; il primo riguarda tutte le
azioni della giornata, il secondo un punto speciale, un difetto da
correggere, una virtù da coltivare. Ma si può fare l’uno e l’altro nello stesso
tempo: in tal caso, basta, per l’esame generale, dare un rapido sguardo
complessivo alle azioni della giornata a fine di scoprire le mancanze
principali; e poi si passa subito all’esame particolare che è molto più
importante del primo.
467. a) L’esame generale, che
ogni buon cristiano deve fare per conoscersi e correggersi, contiene cinque
punti secondo S. Ignazio: 467-1
1) “Il primo punto è di ringraziar Dio, Signor nostro, dei benefici
ricevuti”. Ottima pratica, consolante insieme e santificante, perchè prepara la
contrizione, facendo risaltare la nostra ingratitudine, e alimenta la nostra
fiducia in Dio 467-2.
2) “Il secondo è di chiedere la grazia di conoscere i nostri peccati e
di bandirli dal cuore”. Di fatti, chi vuole conoscere sè stesso lo fa per
correggersi, due cose che non si possono fare che coll’aiuto della grazia di
Dio.
3) “Il terzo è di domandarci conto esatto della nostra condotta dalla
levata del mattino fino al momento dell’esame, percorrendo una dopo l’altra le
ore del giorno, o certi spazi di tempo determinati dall’ordine delle nostre
azioni. Si farà prima l’esame sui pensieri, poi sulle parole, poi sulle opere,
secondo l’ordine indicato nell’esame particolare”.
4) “Il quarto è di chiedere perdono delle colpe a Dio, nostro
Signore”. Non si deve infatti dimenticare che la contrizione è l’elemento
principale dell’esame, e che questa contrizione è opera specialmente
della grazia.
5) “Il quinto è di formar la risoluzione di correggerci col soccorso
della grazia. Terminare col Pater noster”. Questa risoluzione, per essere
pratica, dovrà fissare i mezzi di correzione; perchè chi vuole il fine
vuole anche i mezzi. La recita del Pater, ponendoci davanti agli occhi la
gloria di Dio che dobbiamo procurare e unendoci a Gesù Cristo per chiedere il
perdono delle nostre colpe e la grazia di schivarle per l’avvenire, è ottima
conclusione di quest’esame.
468. b) L’esame
particolare, a giudizio di S. Ignazio, è ancora più importante
dell’esame generale e persino della meditazione, perchè ci dà modo di affrontare
corpo a corpo i nostri difetti, gli uni dopo gli altri, facendoceli così vincere
più facilmente. D’altra parte, esaminandoci a fondo sopra una virtù importante,
non acquistiamo questa soltanto ma anche tutte le altre che le si connettono:
così chi progredisce nell’ubbidienza fa nello stesso tempo atto d’umiltà, di
mortificazione e di spirito di fede; parimenti, acquistando l’umiltà, uno si
perfeziona nello stesso tempo nell’ubbidienza, nell’amor di Dio e nella carità,
essendo la superbia l’ostacolo principale alla pratica di queste virtù. Bisogna
però seguire certe regole così per la scelta del soggetto come pel
modo di farlo.
469. Scelta del soggetto.
1) Conviene d’ordinario mirare al difetto dominante sforzandosi di
praticare la virtù contraria; perchè questo difetto è il grande ostacolo, il
generale in capo dell’esercito nemico: vinto lui, tutto l’esercito è
sbaragliato.
2) Scelto il soggetto, si mira dapprima alle manifestazioni esterne di
questo difetto, a fine di sopprimere ciò che dà ombra o scandalo al prossimo;
così, per la carità, si comincerà a diminuire e a sopprimere le parole o gli
atti contrarii a questa virtù.
3) Ma di qui bisogna risalire, senza tardare troppo, alla interna
causa delle colpe, per esempio, ai sentimenti d’invidia, al desiderio di far
bella figura nelle conversazioni, ecc., che ne possono essere la sorgente.
4) Nè convien fermarsi solo alla parte negativa delle virtù, ossia alla lotta
contro i difetti, ma coltivar pure diligentemente la opposta virtù;
perchè non si riesce a sopprimere bene se non ciò che viene sostituito.
5) Finalmente, per far più sicuro progresso, si divida attentamente la
materia dell’esame secondo i gradi delle virtù, per modo che non si abbracci
subito tutta l’ampiezza d’una virtù ma solo alcuni atti che meglio corrispondono
ai bisogni particolari. Così, per l’umiltà, si praticherà prima quello che si
potrebbe chiamare il nascondimento o l’oblio di sè, parlando poco, dando
agli altri, con prudenti interrogazioni, occasione di parlare, amando
l’oscurità, la vita nascosta, ecc. 469-1
470. Modo di farlo.
Abbraccia, secondo S. Ignazio, tre tempi e due esami di coscienza ogni
giorno.
1) “Il primo tempo è il mattino. Appena uno si alza, deve proporre di
attentamente guardarsi dal peccato o difetto particolare di cui si vuol
correggere”. È cosa breve: bastano due o tre minuti nel vestirsi.
2) “Il secondo tempo è il dopo pranzo; il terzo dopo la cena. S cuorei
comincerà col domandare a Dio ciò che si desidera, cioè la grazia di
ricordarsi quante volte si è caduti in quel peccato o difetto particolare, e
quella di correggersene per l’avvenire; poi si farà il primo esame,
chiedendo a sè stesso conto esatto di quel punto speciale su cui si era presa la
risoluzione di correggersi e di migliorarsi. Si farà quindi passare ogni ora
della mattinata che si potrà pure dividere in certi spazii di tempo secondo
l’ordine delle azioni, cominciando dal momento della levata fino a quello
dell’esame presente; poi si segneranno sulla prima linea della lettera J (dello
specchietto dove si notano le colpe) tanti punti quante furono le cadute in quel
peccato o difetto particolare. Infine si prenderà di nuovo la risoluzione di
emendarsi dal primo al secondo esame”. Il tempo ordinariamente dedicato dalle
anime fervorose a questo esame è d’un quarto d’ora.
471. L’esame si fa nel modo già
spiegato per l’esame generale, con questo di più che si scrivono le
mancanze per ricordarsene più facilmente e fare poi i confronti di cui parla
S. Ignazio nelle note seguenti: “Indicando la prima linea della lettera J
il primo esame e la seconda il secondo, si osserverà alla sera, confrontando la
prima con la seconda linea, se vi è stata emenda dal primo al secondo esame. —
Confrontare poi il secondo giorno col primo, cioè i due esami del giorno
presente coi due esami del giorno precedente, e vedere se da un giorno all’altro
vi è stato miglioramento. Confrontare pure una settimana con l’altra e vedere
se, nella settimana testè trascorsa, il progresso fu più notevole che nella
settimana precedente”. Il vantaggio di questi confronti sta nello stimolare il
nostro ardore: confrontando le perdite e i guadagni, si è eccitati
a raddoppiare gli sforzi per aumentar questi e diminuir quelle.
A conseguire il medesimo effetto, S. Ignazio consiglia, ogni volta che
si cade in colpa che riguarda l’esame particolare, di portar la mano al petto
eccitandosi internamente a contrizione. È chiaro infatti che questa vigilanza in
riparare immediatamente le minime colpe non può che accelerare la riforma della
vita.
472. Se questo metodo pare a prima
vista alquanto complesso, in pratica lo è poi meno; e chi non vi potesse
dedicare tempo così notevole, può condensare l’essenziale di questi atti in
minor tempo, per esempio in dieci minuti la sera. Se poi si prevedesse che la
sera non si potrà fare, vi si impieghi una parte della visita al
SS. Sacramento.
473. C) Disposizioni
che devono accompagnare quest’esame. Perchè l’esame di coscienza, generale o
particolare, possa unirci più strettamente a Dio, dev’essere accompagnato da
sentimenti o disposizioni che ne sono, a così dire, l’anima. Eccone le
principali: riconoscenza, contrizione, proponimento, preghiera.
a) Prima di tutto un sentimento di viva riconoscenza verso Dio,
che nel corso dell’intiera giornata ci avvolse nella paterna sua provvidenza, ci
protesse contro le tentazioni e preservò da molti peccati; perchè, senza l’aiuto
della sua grazia, saremmo caduti in numerose colpe. Non potremmo quindi
ringraziarlo mai troppo; ma lo faremo in modo pratico usando meglio dei
divini suoi doni.
474. b) Questo sentimento
produrrà in noi una sincera contrizione, tanto più profonda in quanto
che, avendo ricevuto tanti benefici, ne abbiamo abusato per offendere Padre così
buono e così misericordioso. Ne nascerà una schietta umiltà, che ci
persuaderà, per propria esperienza, della nostra indegnità; onde accetteremo
volentieri la confusione che proviamo alla vista delle nostre mancanze
ripetute continuamente, lieti di potere con ciò proclamare l’infinità
misericordiosa d’un Padre sempre inchinevole al perdono, e godendo che la nostra
miseria faccia risaltare l’infinita perfezione di Dio. Queste disposizioni non
saranno passeggere ma durevoli, alimentate dallo spirito di penitenza che
spesso ci metterà le nostre colpe dinanzi agli occhi: “Peccatum meum contra
me est semper!”
475. c) Di quì sorgerà la
ferma volontà d’espiare e di emendarci: di espiare
con opere di penitenza, badando ad imporcene qualcuna per le nostre mancanze, a
fine di attutire l’amore al piacere, fonte dei nostri peccati; di
emendarci, specificando i mezzi da usare per diminuire il numero delle
colpe. Questa volontà rimuoverà sollecitamente la presunzione, che,
inducendoci a far troppo assegnamento sulla nostra buona volontà e sulla nostra
energia, ci priverebbe di molte grazie e ci esporrebbe a nuove imprudenze e a
nuove cadute. Ma si appoggerà invece fiduciosamente sull’onnipotente e
infinita bontà di Dio, sempre pronto a venirci in aiuto, quando abbiamo
coscienza della nostra incapacità.
476. d) Ad implorare questo
divino aiuto, termineremo con una preghiera tanto più umile e premurosa
quanto più diffidenti di noi ci rese la vista dei nostri peccati. Persuasi di
essere incapaci di schivare il peccato e tanto più di innalzarci a Dio con la
pratica delle virtù, supplicheremo Dio dal fondo della nostra miseria,
appoggiandoci sui meriti infiniti di Gesù, di venire a noi, di trarci dal
pantano in cui affondiamo, di staccarci dal peccato e dalle sue cause, e di
innalzarci a lui.
Per queste disposizioni, meglio ancora che per la minuziosa ricerca delle
colpe, si viene l’anima, sotto l’azione della grazia, a poco a poco
trasformando.
CONCLUSIONE.
477. La conoscenza dunque di noi
stessi, congiunta colla conoscenza di Dio, fomenta l’intima e affettuosa unione
dell’anima con Dio. Dio è la perfezione infinita, noi l’estrema indigenza; vi è
quindi tra i due connaturalità e proporzione: noi troviamo in lui tutto
ciò che ci manca. Dio si china verso di noi per avvolgerci nel suo amore e nei
suoi benefici e noi ci protendiamo verso di Lui, come verso l’unico Essere che
può colmare la nostra deficienza, il solo che può correggere la nostra
irrimediabile debolezza. Assetati di felicità e d’amore, non li troviamo che in
Colui il quale, col suo amore, ci sazia tutti i desideri del cuore e ci dà
insieme perfezione e felicità. Ripetiamo dunque la sì nota parola: “Noverim
te, Domine, ut amem te, noverim me, ut despiciam me”.
NOTE
452-1 Si troverà
nell’Appendice un piccolo
studio sui caratteri, che agevolerà quest’esame.
Cf. Dosda, L’union avec Dieu, t. 1, p. IIª,
C. XXI.
467-1 Esercizi spirituali, 1ª
settimana. — Le parole tra virgolette sono il testo stesso di S. Ignazio.
467-2 Nel Metodo di
S. Sulpizio, vi si aggiunge l’adorazione, cioè tutti gli atti di
religione, con cui adoriamo, lodiamo, benediciamo, amiamo e ringraziamo Dio; e
vi si mette al cospetto di Gesù, modello e giudice, come abbiamo esposto al n. 462.
469-1 Gli esami particolari
del Tronson suggeriscono per ogni virtù o difetto, particolarità che
serviranno a meglio determinare l’oggetto dell’esame.