Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1482-1488)


Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. Capitolo II. Appendice: il falso misticismo o quietismo. 1° Il quietismo di Molinos. 2° Il quietismo mitigato di Fenelon. 3° Tendenze semiquietiste.


APPENDICE:
IL FALSO MISTICISMO O QUIETISMO.

1482.   Accanto ai veri mistici, di cui
abbiamo ora esposta la dottrina, ci furono falsi mistici, che, sotto nomi
diversi, pervertirono il concetto di stato passivo e caddero in errori
dottrinali moralmente assai perniciosi: tali furono i Montanisti e i
Begardi 1482-1. Ma l’errore più famigerato fu il
Quietismo, che si presente sotto triplice forma:


  • 1° il
    quietismo grossolano di Molinas;

  • 2° il
    quietismo mitigato e spiritualizzato di
    Fénelon;

  • 3° le
    tendenze semiquietiste.



IL QUIETISMO DI MOLINOS 1483-1.
1483.   Michele Molinos, nato nella Spagna nel
1640, passò la maggior parte della vita a Roma, ove disseminò i suoi errori con
due opere che ebbero molto esito: La Guida spirituale e L’Orazione di
quiete.

L’errore
fondamentale di Molinos sta nell’affermare che la perfezione consiste
nell’intiera passività dell’anima, in un atto continuo di contemplazione e di
amore che, fatto che sia, dispensa da ogni altro atto e perfino dal resistere
alle tentazioni; il suo motto è: lasciamo fare a Dio.
1484.   Perchè si colgano meglio tutte le
particolarità di quest’errore, contrapporremo su due distinte colonne la
dottrina cattolica e le aberrazioni di Molinos.

































Dottrina cattolica.


Errori di Molinos.

1) Vi è uno stato passivo in cui Dio
opera in noi colla grazia operante; ma normalmente non ci si arriva
se non dopo aver lungamente praticato le virtù e la meditazione.

Non vi è che una via, la via interna o la via
della contemplazione passiva, che ognuno può procurarsi da sè colla grazia
comune; onde bisogna entrar subito nella via passiva e annientar così le
proprie passioni.

2) L’atto della contemplazione non dura che poco
tempo, sebbene lo stato che nell’anima ne risulta possa anche durare
alcuni giorni.

L’atto della contemplazione può durare intieri
anni e anche tutta la vita, perfino nel sonno, senza essere rinnovato.

3) La contemplazione contiene in modo eminente
gli atti di tutte le cristiane virtù, ma non ci dispensa dal fare, fuori
del tempo della contemplazione, atti espliciti di queste virtù.

La contemplazione, essendo perpetua, dispensa da
tutti gli atti espliciti delle virtù, che servono solo per gl’incipienti,
per esempio, gli atti di fede, di speranza, di religione, di
mortificazione, la confessione, ecc.

4) L’oggetto principale della
contemplazione è Dio stesso, ma Gesù ne è l’oggetto secondario, e
fuori dell’atto contemplativo non si è dispensati dal pensare a Gesù
Cristo, mediatore necessario, nè dall’andare a Dio per mezzo di lui.

È imperfezione pensare a Gesù Cristo e ai suoi
misteri; è necessario e sufficiente inabissarsi nell’essenza divina: chi
si serve di immagini o di idee non adora Dio in ispirito e verità.

5) Il santo abbandono è perfettissima virtù, ma
non deve arrivare sino all’indifferenza riguardo alla salute
eterna; che anzi bisogna desiderarla, sperarla e chiederla.

Nello stato di contemplazione bisogna essere
indifferenti a tutto, anche alla propria santificazione e salvezza, e
perdere la speranza, onde l’amore sia disinteressato.

6) Può avvenire nelle prove interiori che
l’immaginazione e la sensibilità siano profondamente turbate mentre
l’apice dell’anima gode pace profonda; ma la volontà è sempre obbligata a
resistere alle tentazioni.

Non bisogna darsi pensiero di resistere alle
tentazioni; le più oscene immaginazioni e gli atti che ne conseguono non
sono riprovevoli, perchè opera del demonio. Sono prove passive che i Santi
stessi esperimentarono e che bisogna guardarsi bene dal dire in
confessione. Si giunge così alla purità perfetta e all’intima unione con
Dio 1484-1.

L’esposizione che
abbiamo fatto della vera dottrina cattolica ci dispensa dal confutare questi
errori. Ma dalla storia del quietismo si può trarre la conclusione che, quando
si vuole giungere troppo presto alla contemplazione e ingerirvisi da
senza aver prima mortificate le passioni e praticate le cristiane virtù,
si cade tanto più bassi quanto più alti si pretendeva salire: Chi vuol far da
angelo finisce con diventar bestia.

2° IL QUIETISMO MITIGATO DI FÉNELON 1485-1.
1485.   Il quietismo di Molinos fu ripreso,
sotto forma temperata e spoglio delle conseguenze immorali che l’autore
ne aveva tratte, dalla Signora Guyon, che, rimasta vedova in giovane età,
si diede con ardore a una pietà sentimentale e fantastica da lei detta la via
dell’amor puro.
Guadagnò presto alle sue idee il barnabita P. Lacombe e
poi, fino a un certo punto, lo stesso Fénelon, che, nella Spiegazione delle
massime dei santi sulla vita interiore
, 1697, espose un quietismo
mitigato
, in cui si studiava di illustrare la dottrina del puro
amore
, “carità pura e senza mescolanza alcuna di motivo del proprio
interesse”.
Tutti gli errori
contenuti in questo libro si possono, a giudizio di Bossuet, ridurre alle
quattro seguenti proposizioni: 1) “Si dà in questa vita uno stato abituale
di puro amore, in cui più non entra il desiderio della salute eterna.
2) Nell’ultime prove della vita interiore può un’anima essere persuasa, con
persuasione invincibile e riflessa, di essere giustamente
riprovata da Dio, e in questa persuasione fare a Dio il sacrificio
assoluto
dell’eterna sua felicità. 3) Nello stato del puro amore
l’anima è indifferente alla propria perfezione e alla pratica delle virtù.
4) Le anime contemplative perdono, in certi stati, la visione distinta,
sensibile e riflessa di Gesù Cristo” 1485-2
1486.   È certo un quietismo assai meno
pericoloso di quello di Molinos; ma le quattro proposizioni sono false e
potrebbero condurre a funeste conseguenze.
1) È falso che ci
sia sulla terra uno stato abituale di puro amore che escluda la
speranza;
perchè, come giustamente dice il 5° articolo d’Issy 1486-1, “ogni cristiano, in ogni stato,
benchè non a ogni momento, è obbligato a volere, a desiderare, a esplicitamente
chiedere l’eterna salute, come cosa che Dio vuole lui e vuole che vogliamo noi
per la sua gloria”. — Di vero c’è che, nei perfetti, il desiderio della
beatitudine è spesso regolato dalla carità e che ci sono momenti in cui
non pensano esplicitamente all’eterna salute.
2) La seconda
proposizione è pure falsa. Vi furono, è vero, Santi che nella parte
inferiore
dell’anima ebbero impressione vivissima di essere
giustamente riprovati; ma non era persuasione riflessa della parte
superiore;
e se alcuni fecero il sacrifizio condizionato dell’eterna
salute, non era però un sacrificio assoluto.
3) Non è neppure
esatto il dire che l’anima, nello stato di puro amore, sia indifferente alla
propria perfezione e alla pratica delle virtù; abbiamo invece visto che
S. Teresa non cessa di raccomandare, anche nei più alti stati di
perfezione, lo studio di progredire e di praticare le virtù fondamentali.

4) In fine è
falso che negli stati perfetti si perda la vista distinta di Gesù Cristo.
Nell’unione trasformativa, come s’è visto al
n. 1472,
S. Teresa aveva visioni della santa umanità di Gesù Cristo; di vero c’è
che, in certi momenti passeggieri, non si pensa esplicitamente a lui.


TENDENZE SEMIQUIETISTE 1487-1.

1487.   In certi libri di pietà, per altro
ottimi, s’incontrano talora tendenze più o meno quietiste, che, se fossero prese
a norma di direzione per le anime ordinarie, condurrebbero ad abusi.

L’errore
principale
insinuato in cotesti libri sta nell’inculcare, si direbbe, a
tutte le anime, anche alle poco progredite, disposizioni di
passività che non convengono veramente che alla via unitiva. Si vuol
giungere troppo presto a semplificar la vita spirituale, dimenticando che
per la maggior parte delle anime questa semplificazione non può vantaggiosamente
farsi se non dopo esser passate per la meditazione discorsiva, per gli
esami particolari di coscienza e per la pratica delle virtù
morali.
Siamo agli eccessi di una cosa in sè buona: si vuole portare le
anime alla perfezione molto alla svelta, sopprimendo le tappe intermedie, e
suggerendo fin da principio i mezzi che riescono bene alle anime più progredite.
1488.   a) Quindi, sotto pretesto di
fomentare l’amor disinteressato, non si da alla speranza cristiana il
posto che le spetta; si suppone che il desiderio dell’eterna felicità non sia
che cosa accessoria e la gloria di Dio sia tutto. Ora, chi ben guardi, la gloria
di Dio e l’eterna felicità sono due cose intimamente connesse; perchè la
conoscenza e l’amore di Dio sono la via a procurarne la gloria e questa
conoscenza e quest’amore costituiscono nello stesso tempo la nostra felicità.
Onde, anzichè separarli bisogna unirli questi due elementi, e mostrare come si
conciliano e si compiono a vicenda, pur notando che, chi li consideri
separatamente, è la gloria di Dio quella che prevale.
b) Così
pure si insiste troppo sul lato passivo della pietà: lasciare che Dio
operi in noi, che ci porti in braccio
, senza aggiungere che Dio questo
ordinariamente non fa se non dopo che ci siamo lungamente esercitati nella pietà
attiva.
c) Venendo
poi ai mezzi di santificazione, si propongono quasi esclusivamente quelli
che convengono alla via unitiva: si critica, per esempio, la meditazione
metodica e scompartita, come la chiamano; le risoluzioni
particolari che, dicono, spezzano l’unità della vita spirituale; i
minuti esami di coscienza, sostituendovi una semplice occhiata. Ma si
dimentica che gl’incipienti non arrivano ordinariamente all’orazione di
semplicità se non per la via della meditazione metodica; che per loro le
risoluzioni generali di amar Dio con tutto il cuore debbono essere specificate;
e che per conoscere i propri difetti e correggerli è necessario scendere al
particolare: sono già abbastanza portati a contentarsi d’uno sguardo
superficiale sopra sè stessi, il quale passioni e difetti lascerà come prima.
Insomma si
dimentica troppo che, prima di arrivare all’unione con Dio e allo stato passivo,
ci sono tappe parecchie da percorrere.
 
NOTE

1482-1
 P. Pourrat, La
spiritualité chrétienne
, t. I, pp. 97-99, 104-107; t. II, pp. 320-321,
327-328.
1483-1 P. Dudon, Le Quiétiste espagnol Michel
Molinos
, Paris, 1921.
1484-1 Chi voglia conoscere fin dove arrivava Molinos,
legga le proposizioni estratte dai suoi libri o dalle sue dichiarazioni e
condannate da Innocenzo XI (Decreto del 28 Agosto e Constit. Cælestis
Pastor
del 19 nov. 1687), in Denzinger, Enchiridion, n.
1221-1288.
1485-1 Fénelon, Maximes des Saints; nuova
ed. di A. Chérel, 1911; Gosselin, Œvres de Fénelon, t.
IV; L.Crouslé, Bossuet et Fénelon, 1894; Huvelin, Bossuet, Fénelon, le quiétisme;
A. Largent, Fénelon,
(Diz. di Teol., t. V, col. 2138-2169).
1485-2 Vedi nell’Enchiridion del
Denzinger, 1327-1349, le proposizioni di Fénelon condannate da Innocenzo
XII.
1486-1 Questi articoli furono redatti nel Seminario
d’Issy come risultato delle Conferenze tenute tra Bossuet, Noailles, vescovo di
Châlons, Fénelon e Tronson, 1694-1695.

1487-1
 P. José, Etudes
relig.
, 20 dic. 1897, p. 804; Mgr A. Farges, Phén.
mystiques
, p. 174-184.