Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. Capitolo II. Della contemplazione infusa. § II. I vantaggi della contemplazione. Art. II. Le varie fasi della contemplazione. § I. L’orazione di quiete. I. Della quiete arida o della notte dei sensi. 1° Gli elementi costitutivi di questa prova. 2° Le prove che accompagnano questa prima notte. 3° Vantaggi di questa purificazione. Conclusione: Condotta da tenere in questa prova.
ART. II. LE VARIE FASI DELLA CONTEMPLAZIONE.
1418. La contemplazione infusa non è la
stessa per tutti: Dio, che si diletta di variare i suoi doni e di adattarli ai
temperamenti e alle indoli diverse, non vincola l’opera sua a rigidi schemi;
ond’e che, leggendo i mistici, vi si trovano svariatissime forme di
contemplazione 1418-1. Pare per altro che in tutta questa
moltiplicità ci sia una certa unità, onde gli autori spirituali poterono
classificare le tappe principali percorse dai mistici.
Non riferiremo
qui le varie classificazioni fatte dai vari autori 1418-2, che distinguono gradi più o meno
numerosi secondo l’aspetto sotto cui guardano la cosa; contando talvolta come
gradi diversi quelli che in realtà non sono se non forme varie d’uno stesso
stato.
1419. Essendo, come tutti convengono,
S. Teresa e S. Giovanni della Croce i due grandi dottori dell’unione
mistica, ci atterremo alle loro divisioni, studiandoci di armonicamente
combinarle. I vari gradi si distinguono da un dominio sempre maggiore di Dio
sull’anima. 1° Quando s’impossessa della sommità o dell’apice
dell’anima, lasciando le facoltà inferiori e i sensi liberi di darsi alla
naturale loro attività, si ha l’orazione di quiete; 2° quando
afferra tutte le interne facoltà, lasciando alla loro attività i soli
sensi esterni, si ha l’unione piena; 3° quando s’impossessa nello
stesso tempo delle interne facoltà e dei sensi esterni, si ha l’unione
estatica (fidanzamento spirituale); 4° quando poi estende il suo
dominio su tutte le facoltà interne ed esterne non più di passaggio ma in
modo stabile e permanente, si ha il matrimonio spirituale. Tali
sono i quattro gradi distinti da S. Teresa. S. Giovanni della Croce vi
aggiunge le due notti o prove passive; ma la prima non è che una
specie di quiete arida e penosa; la seconda comprende tutto il
complesso delle prove che precedono il matrimonio spirituale e che
avvengono nell’unione piena e nell’unione estatica.
Tratteremo
dunque:
-
I.
Della
quiete
-
arida.
-
soave.
-
II.
Dell’unione
piena.
-
III.
Dell’unione
estatica
-
soave.
-
penosa.
-
IV.
Dell’unione
trasformativa o matrimonio spirituale.
§ I. L’orazione di quiete.
Quest’orazione
generalmente si presenta prima nella forma
arida
per terminare poi nella
soave.
I. Della
quiete arida o della notte dei sensi.
1420. Abbiamo detto che per la
contemplazione si richiede grande purità di cuore. Ora anche le anime progredite
vanno ancor soggette a molte imperfezioni e sentono rinascere in sè, in forma
attenuata, i sette vizi capitali, n. 1264.
A purificarle e prepararle a più alto grado di contemplazione, Dio manda loro
varie prove, che si dicono passive perchè è Dio stesso che le causa e
l’anima non ha che da pazientemente accettarle.
Nessuno descrisse
queste prove meglio di S. Giovanni della Croce nella Notte oscura;
le chiama notte perchè l’azione divina, legando fino a un certo punto le
facoltà sensibili per asoggettarle alla mente e impedendo alla mente di
ragionare, questa viene a trovarsi in una specie di notte: per un verso non può
più discorrere come prima e per l’altro la luce della contemplazione che
riceve è così debole e così penosa che si crede immersa in una notte oscura. Il
Santo distingue due notti: la prima è destinata specialmente a staccarci da
tutto il sensibile e si chiama notte dei sensi; la seconda ci
distacca dalle consolazioni spirituali e da ogni amor proprio.
1421. Qui non parliamo che della prima
notte:
1421. Dio, dice S. Giovanni della
Croce 1421-1, pone l’anima in questa notte
sensitiva, a fine di purificare il senso della parte inferiore, e addattarlo,
assoggettarlo e unirlo allo spirito, oscurandolo e facendolo cessare dai
discorsi”.
È uno stato
spirituale complesso, uno strano misto di tenebre e di luce, di aridità e di
intenso amor di Dio allo stato latente, di impotenza reale e di confusa energia,
che è difficile analizzare senza cadere in apparenti contraddizioni. Bisogna
leggere lo stesso S. Giovanni della Croce, servendosi del filo conduttore
che cercheremo di dare. A questo fine esporremo:
-
1° gli
elementi costitutivi di questa notte spirituale;
-
2° le
prove accessorie che l’accompagnano;
-
3° i
vantaggi.
1° GLI ELEMENTI
COSTITUTIVI DI QUESTA PROVA.
1422. A) Il primo e più essenziale
è la contemplazione infusa, che Dio comincia a comunicare all’anima ma in
modo segreto ed oscuro, di cui l’anima non ha coscienza e che cagiona dolorosa e
affannosa impressione. “È, dice il Santo 1422-1, un principio di oscura ed arida
contemplazione per il senso, la quale resta nascosta e segreta a quello stesso
che la possiede. Ordinariamente insieme con questa aridità e vuoto del senso dà
pure all’anima inclinazione e voglia di starsene da sola e in quiete senza poter
pensare a cosa alcuna particolare nè averne voglia”.
A far capire questo stato, il Santo usa più
avanti 1422-2 un paragone che è bene aver fin d’ora
sotto gli occhio: “Quando si getta un pezzo di legno umido nel fuoco, la prima
cosa che il fuoco fa è di cominciare a seccarlo, facendogli gemere l’interno
umore. Poi lo rende nero, oscuro, brutto e di cattivo odore, e seccandolo a poco
a poco, l’accende,… e finalmente lo trasforma in fiamma brillante come lo
stesso fuoco… divenuto caldo, riscalda; luminoso, illumina”. Qualche cosa di
simile avviene quando l’anima, piena ancora d’imperfezioni, è gettata nel fuoco
divino della contemplazione; questa, prima di trasformar l’anima, la purifica da
ogni sozzura, la rende nera e oscura ai propri occhi, tanto che le pare d’essere
peggiore di prima; prima infatti ignorava le sue miserie e la contemplazione
gliele fa così chiaramente vedere che, scoprendo ora quello che ignorava, le
sembra che la sua indegnità debba eccitar l’orrore di Dio, sebbene nè in sè nè
dinanzi a Dio ella sia più cattiva di prima 1422-3.
1423. B) Questa contemplazione
latente produce nell’anima una grande aridità, non solo nelle facoltà
sensibili che restano prive di consolazione, ma anche nelle facoltà superiori
che non possono più meditare in modo discorsivo come prima. Dolorosa condizione;
abituati alla luce, si trovano ora immersi nell’oscurità; essi, che prima
facevano ottima meditazione discorsiva traendo dal cuore numerosi affetti, hanno
ora perduto questa facilità e l’orazione riesce loro penosissima.
Lo stesso avviene
per la pratica delle virtù: gli sforzi che prima giocondamente facevano per
diventar virtuosi, costano ora e spaventano.
1424. È però cosa importante distinguere
quest’aridità purificatrice dall’aridità causata dalla negligenza e dalla
tiepidezza. Per questa distinzione S. Giovanni della Croce indica tre
segni.
1) Non si sente
maggior gusto nelle creature che in Dio; se ne sente anzi meno, mentre
che i tiepidi, che non hanno gusto per le cose divine, ne hanno invece per i
terreni diletti. Può tuttavia accadere, aggiunge il Santo, che questo generale
disgusto provenga da indisposizione o tristezza naturale; onde è necessario che
a questo primo segno s’aggiunga il secondo.
2) Si ha
abitualmente il pensiero di Dio, ma accompagnato da ansietà, da affanno, da
disagio, perchè si teme di non servirlo abbastanza bene, di andare anzi indietro
per ragione della mancanza di gusto nelle cose divine; nella tiepidezza invece
non si ha nessuna interna premura per le cose divine; parimenti quando l’aridità
proviene da debolezza fisica, non si ha che disgusto naturale e non v’è cenno di
quel desiderio di servire Dio che è segno distintivo dell’aridità purificatrice
e che la contemplazione oscura mette nell’anima.
3) Infine si è
nell’incapacità di meditare in modo discorsivo, tanto che, a tentarlo,
non si riesce a nulla. “La ragione è che Dio comincia allora a comunicarsi, non
più per via dei sensi, come faceva prima per mezzo del discorso che richiama ed
ordina le cognizioni, ma per via del puro spirito in cui non v’è discorso
successivo e ove Dio si comunica con atto di semplice contemplazione” 1424-1. Osserva però che questa incapacità non
sempre avviene e che si può talora ritornare alla meditazione ordinaria.
Notiamo pure che
questa impotenza non si fa ordinariamente sentire che nelle cose spirituali,
potendo poi uno attivamente occuparsi dei propri studi e dei propri affari.
1425. C) Si associa a questa
aridità un doloroso e persistente bisogno di più intima unione con Dio.
“A principio ordinariamente questo amor non si sente ma l’aridità e il vuoto di
che discorriamo; e allora, in cambio di questo amore che si viene poi
accendendo, ciò che muove l’anima in mezzo a quelle aridità e vuoti delle
potenze è un’ordinaria premura e sollecitudine di Dio con pena e timore di non
bene servirlo… Tal sollecitudine e premura è posta nell’anima da quella
segreta contemplazione, la quale, quando abbia poi col tempo purgato in parte il
senso, vale a dire la parte sensitiva delle forze e delle affezioni naturali per
mezzo delle aridità a cui la riduce, fa che l’amor di Dio incominci a infiammare
lo spirito. Prima di quest’ora l’anima è come un malato sottoposto a cura; e in
questa notte oscura tutto è patimento e arida purgazione dell’appetito” 1425-1.
L’anima è dunque
orientata verso Dio e non cerca più le creature, ma è orientazione ancor
vaga e confusa, è come la nostalgia di Dio assente; vuole unirsi a lui e
possederlo. Se non sperimentò ancora la quiete soave, è attrazione confusa,
segreto bisogno, disagio indefinibile, ma se già gustò l’unione mistica, è
franco desiderio di tornare a questa unione 1425-2.
2° LE PROVE CHE
ACCOMPAGNANO QUESTA PRIMA NOTTE.
1426. Gli autori spirituali ne fanno
generalmente una esposizione terribile, perchè descrivono ciò che avvenne
nell’anima dei Santi, i quali, essendo chiamati ad alta contemplazione,
dovettero portare pesantissime croci. Ma altri, chiamati a grado meno alto, sono
pure meno provati; cosa buona a sapersi, per tranquillare certe anime timide che
dalla paura della croce potrebbero essere impedite dall’entrare in questa via.
Bisogna poi ricordarsi che Dio proporziona le grazie alla grandezza delle prove.
A) Oltre la
persistente aridità di cui abbiamo parlato, l’anima soffre pure terribili
tentazioni: 1) contro la fede: non sentendo nulla, le pare di
non creder nulla; 2) contro la speranza: priva di consolazioni, si
crede abbandonata, tentata com’è di noia e di scoraggiamento; 3) contro la
castità: si palesa allora “l’angelo di Satana, che è spirito di
fornicazione, per flagellarla nei sensi con forti e abbominevoli tentazioni e
tribolarla nello spirito con sozzi pensieri e vivissime rappresentazioni nella
fantasia pena talora più dolorosa della morte” 1426-1; 4) contro la pazienza: in
tante noie si è inclinati a mormorare di sè e degli altri; pensieri di bestemmia
si presentano alla fantasia in modo così vivo che pare che la lingua ne pronunzi
le parole; 5) contro la pace dell’anima: assediati da mille scrupoli
e perplessità, s’arruffano talmente nelle idee che non possono nè seguire un
consiglio nè cedere ad un ragionamento; è questa una delle pene più vive.
1427. B) È provata pure da parte
degli uomini: 1) qualche volta dai miscredenti che la abbeverano di
ogni sorta di persecuzioni: “Et omnes qui pie volunt vivere in Christo Jesu,
persecutionem patientur” 1427-1; 2) ma anche da parte dei
superiori e degli amici, che, non comprendendo questo stato, sono
male impressionati da quei cattivi successi e da quelle persistenti aridità;
3) qualche volta perfino da parte del direttore, che ora confonde questo
stato con la tiepidezza, ora è impotente a consolare cosiffatte angustie.
C) Mali
esterni vengono talora ad accrescere questi interni patimenti: 1) si è
colti da strane malattie che lasciano i medici confusi; 2) non si
riesce più come prima nelle cose o per l’impotenza in cui uno si trova o
perchè si è immersi nelle interne pene; uno si sente come inebetito,
tanto che se ne accorgono anche gli altri; 3) si incorrono talora
perdite temporali cha lasciano in malsicura condizione. Insomma si
direbbe che il cielo e la terra siano congiurati contro queste povere anime.
In molti casi
tali prove possono esere naturali o appartenere al numero di quelle che Dio
manda alle anime fervorose a fine di perfezionarle. Ma, in altri, sono veramente
prove mistiche; e si riconoscono alla subitaneità,
all’acerbità, e ai buoni effetti che cagionano nell’anima.
3° VANTAGGI DI QUESTA PURIFICAZIONE.
È già vantaggio
immenso l’essere introdotti nella contemplazione passiva, anche se oscura e
dolorosa. Ma ve ne sono altri che S. Giovanni della Croce chiama accessori.
1428. 1° La conoscenza sperimentale di
sè e delle proprie miserie: “Questa notte… fa capire all’anima che da sè
non fa nulla e non può far nulla; ond’ella più non si stima e non trova in sè
soddisfazione. Or questa poca soddisfazione di sè e lo sconforto che sente di
non ben servir Dio vengono da Dio stimati più di tutte le opere e gusti che
prima essa godeva… Ne nasce pure un modo più rispettoso e più circospetto di
trattar con Dio, modo sempre richiesto quando si ha da trattar coll’Altissimo;
il che l’anima non faceva nella prosperità del suo gusto e della sua
consolazione. Il goduto favore rendeva l’appetito un poco troppo audace verso
Dio e meno rispettoso di quanto doveva” 1428-1. Onde la virtù della religione vi
guadagna.
1429. 2° La conoscenza di Dio
diviene più pura e più vera e l’amore più libero dal sensibile diletto.
L’anima non cerca più le consolazioni e vuole unicamente piacere a Dio: “Non più
presunzione nè compiacenza di sè come nel tempo della prosperità, ma piuttosto
diffidenza e paura di sè, non avendo di sè soddisfazione alcuna; nel che sta il
timora di Dio che conserva ed accresce le virtù” 1429-1.
1430. 3° Onde uno si libera dai vizi
capitali di forma raffinata (cf.
n. 1263).
a) Si
pratica l’umiltà non solo rispetto a Dio, ma anche rispetto al prossimo:
“L’anima infatti, vedendosi arida e miserabile, neppure con un primo moto
concepisce l’idea di essere più perfetta degli altri… li riconosce anzi
migliori di sè. Nasce quindi in lei l’amore del prossimo: è ora piena di stima
per tutti; non più come prima quando vedeva sè con molto fervore e gli altri no.
Conosce ora bene la propria miseria e la tiene talmente dinanzi agli occhi che
non ha più nè tempo nè voglia di fissarli nell’altrui” 1430-1.
b) Si
pratica pure la sobrietà spirituale: non potendo più pascersi di
consolazioni sensibili, l’anima a poco a poco si distacca da quelle come da
tutti i beni creati, per non attendere più che ai beni eterni; onde ha principio
la pace spirituale, perchè le consolazioni e gli attacchi alle creature ne
turbavano il cuore. E in tal pace si coltiva la fortezza, la pazienza, la
longanimità, perseverando in esercizi che non hanno nè consolazioni nè
allettative.
c) Quanto
ai vizi spirituali, come l’invidia, la collera, l’accidia, l’anima se ne libera
e acquista le virtù opposte: divenuta, per effetto delle aridità e delle
tentazioni, docile ed umile, si irrita meno facilmente contro il prossimo e
contro se stessa.; all’invidia succede la carità, perchè l’umiltà le fa ammirare
le doti altrui; e quanto più scorge i proprii difetti, tanto più sente la
necessità di lavorare e di sforzarsi a correggersene.
1431. 4° Dio poi mescola a queste aridità
alcune consolazioni spirituali; quando l’anima meno vi pensa, le comunica
vivissimi lumi intellettuali e purissimo amore; favori di molto superiori a
quelli fin allora provati e più santificativi, benchè sul principio così non
sembri all’anima perchè quest’influsso rimane segreto.
Riepilogando
diremo che queste aridità fanno camminar l’anima con purità nell’amor di Dio;
non opera più per amor di consolazioni e vuole piacere unicamente a Dio. Non più
presunzione nè vana compiacenza come nel tempo del fervore sensibile; non più
moti affannosi, nè slanci naturali troppo vivi; comincia a regnare nel cuore la
pace spirituale 1431-1.
Conclusione:
Condotta da tenere in questa prova.
1432. Il direttore delle anime che passano
per questa prova deve mostrarsi pieno di bontà e di premura per loro;
illuminarle e consolarle, dicendo francamente che si tratta di una prova
purificatrice, onde usciranno migliori, più pure, più umili, più sode nella
virtù, più accette a Dio.
a) La
disposizione principale che deve inculcare è il santo abbandono: bisogna
baciare la mano che ci colpisce, riconoscendo che abbiamo ben meritato queste
prove; unirsi a Gesù nella sua agonia e umilmente ripeterne la preghiera:
“Padre, se è possibile, passi da me questo calice! però non come voglio io ma
come vuoi tu: Pater mi, si possibile est, transeat a me calix iste;
verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu” 1432-1.
b) Bisogna
pure, non ostante l’aridità, perseverar nell’orazione, uniti con nostro
Signore che, nonostante l’agonia, continuava a pregare: “factus in agoniâ
prolixius orabat” 1432-2. Convien rammentare le parole di
S. Teresa 1432-3: “Per quanti difetti venga a commettere
chi si è dato all’orazione, badi bene di non lasciarla, perchè è il mezzo con
cui può riuscire a correggersi, ciò che senza di lei gli sarà assai più
difficile. Non lo tenti il demonio, come tentò me, di lasciarla per umiltà”; e
noi potremmo aggiungere sotto pretesto d’inutilità.
1433. c) Ma non si deve tornare
alla meditazione discorsiva, riconosciuta che sia la propria impotenza a
farla; bisogna lasciar l’anima in riposo, anche se paia che non si faccia nulla,
contentandosi di un affettuoso e tranquillo sguardo su Dio.
Quando un pittore
fa il ritratto d’una persona, non deve costei muovere continuamente il capo,
altrimenti l’artista non riuscirebbe a finire il lavoro; così, quando Dio vuol
dipingere il suo ritratto nell’anima nostra e sospende l’attività delle nostre
potenze, noi non dobbiamo far altro che starcene in pace e con questa pace
s’accende in noi e arde ognor più lo spirito d’amore 1433-1. Questo stato di riposo non è
disoccupazione ma occupazione di diverso genere che esclude la pigrizia e il
torpore; onde bisogna scacciar le distrazioni. E se, per riuscirvi, occorresse
tornare alle considerazioni, si faccia pur liberamente appena sia possibile
senza violenti sforzi.
1434. d) Le virtù poi è
chiaro che bisogna continuare a coltivarle, massime quelle che corrispondono a
tale stato: l’umiltà, la rinunzia, la pazienza, la carità verso il prossimo,
l’amor di Dio nella dolce conformità alla santa sua volontà, la confidente
preghiera: tutto sotto forma di santo abbandono nelle mani di Dio. Chi
animosamente così si regoli, troverà in questo stato una vera miniera
d’oro che potrà sfruttare a maggior bene dell’anima.
e) La
durata della prova varia secondo i disegni di Dio, il grado d’unione a
cui destina l’anima e il maggiore o minor numero di imperfezioni che restano da
purificare: gli autori spirituali dicono che può andare da due a quindici
anni 1434-1. Ma vi sono intervalli di tregua, in
cui l’anima respira, gode di Dio e riprende forza per nuove lotte. Dunque
pazienza, fiducia e santo abbandono: ecco in breve quello
che il direttore dovrà consigliare a queste anime tribolate.
NOTE
1418-1 Cf. La Mère
Suzanne-Marie de Riants de Villerey; Ami du Clergé, 2 Agosto 1923, p.
488.
1418-2 S. J. Ribet, Mystique divine, t.
I, c. X, enumera le principali classificazioni. Alvarez de Paz ne conta
15: l’intuizione della verità, il concentramento interno delle forze dell’anima,
il silenzio, il riposo, l’unione, l’audizione della parola di Dio, il sonno
spirituale, l’estasi, il rapimento, l’apparizione corporale, l’apparizione
immaginaria, la visione intellettuale, l’oscurità divina, la manifestazione di
Dio, la visione intuitiva di Dio. — Schram ha una nomenclatura più
completa e più confusa. — Il P. Scaramelli distingue dodici
gradi: raccoglimento, silenzio spirituale, quiete, ebrietà d’amore, sonno
spirituale, ansie e sete di amore, tocchi divini, unione mistica semplice,
estasi, rapimento, unione stabile e perfetta. (Osserva però lo Scaramelli
che i quattro ultimi gradi non sono altro che ampliamento dell’ottavo grado:
“L’unione semplice di amore, di cui ci accingiamo a trattare, e gli altri gradi
di orazione infusa di cui parleremo nel residuo del presente Trattato, altro in
sostanza non sono che l’unione mistica e trasformativa che abbiamo dichiarata
nei capitoli precedenti. Differiscono però tra loro questi gradi di orazione, in
quanto alla maggior perfezione e in quanto al modo diverso con cui tali gradi
uniscono e trasformano l’anima in Dio”. Direttorio mistico, Trattato
terzo, cap. XVII — N. D. T.). Il P. Filippo della
SS. Trinità ne conta sei: il raccoglimento, la quiete, l’unione ordinaria,
l’impulso divino, il rapimento, il matrimonio spirituale.
1421-1 Notte, l. I, c. X, n. 7.
1422-1 Notte, l. I, c. IX, n. 5.
1422-2 Notte, l. II, c. X, n. 1.
1422-3 Ecco un paragone atto a far capir la cosa:
quando si esamina ad occhio nudo un bicchiere d’acqua, non ci si vede nulla che
dia fastidio; ma se si guarda armati d’un potente microscopio, si resta
inorriditi alla vista dei mostriciattoli che vi si scoprono. Ora la
contemplazione è come un microscopio che ci aiuta a conoscere meglio i nostri
difetti.
1424-1 Notte, l. I, c. IX, n. 6.
1425-1 Notte, l. I, c. X, n. 6.
1425-2 Dom Lehodey, Le vie dell’orazione
(Marietti, Torino).
1426-1 Notte, l. I, c. XIII, n. 1, (in certe
edizioni c. XIV).
1427-1 II Tim., III, 12.
1428-1 Notte, l. I, c. XI, n. 2, 3 (alias
c. XII).
1429-1 Notte, l. I, c. XII, n. 10 (alias
c. XIII).
1430-1 Notte, l. I, c. XI, n. 6 (alias c.
XII).
1431-1 Notte, l. II, c. XII, n. 11, 12
(alias c. XIII).
1432-1 Matth., XXVI, 39.
1432-2 Luc., XXII, 43.
1432-3 Autobiografia, c. VIII, n. 5.
1433-1 Notte, l. I, c. X, n. 4
1434-1 Il
Card. Bona (Via compendii ad Deum, c. 10, n. 6) dice che
S. Francesco d’Assisi passò due anni in queste prove purificative;
S. Teresa diciotto; S. Chiara da Montefalco quindici; S. Caterina
da Bologna cinque; S. M. Maddalena de’ Pazzi, prima cinque anni, poi
altri sedici; il V. Baldassarre Alvarez, sedici. – Queste cifre
comprendono certo la durata delle due notti, che sono generalmente separate da
notevole intervallo di dolci consolazioni.