Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. Capitolo II.Della contemplazione infusa. Art. I. Nozioni generali sulla contemplazione infusa. § I. Natura della contemplazione infusa. I. Definizione. II. Parte di Dio nella contemplazione. III. Parte dell’anima.
CAPITOLO II.
Della contemplazione infusa 1386-1.
Esposte le
nozioni generali sulla contemplazione infusa, ne percorreremo i vari
gradi.
ART. I. NOZIONI GENERALI SULLA CONTEMPLAZIONE
INFUSA.
A far conoscere
la contemplazione infusa, ne spiegheremo:
-
1° la
natura;
-
2° i
vantaggi;
-
3° i
segni di vocazione prossima alla contemplazione.
§ I. Natura della contemplazione infusa.
Datane la
definizione, spiegheremo la parte di Dio e la parte dell’anima nella
contemplazione.
I.
Definizione.
1386. A) Gli autori antichi, non
facendo esplicita distinzione tra contemplazione acquisita e contemplazione
infusa, ordinariamente non dicono neppure la differenza specifica che corre tra
loro. Dai vari articoli di S. Tommaso su questo argomento si può
conchiudere che la contemplazione è una vista semplice, intuitiva, di Dio e
delle cose divine, che procede dall’amore e tende all’amore 1386-2. S. Francesco di Sales la
definisce: “un’amorosa, semplice e permanente attenzione della mente alle
cosa divine” 1386-3.
B) Gli
autori moderni fanno generalmente distinzione tra i due generi di
contemplazione, e con Benedetto XIV definiscono o descrivono la contemplazione
infusa: “una semplice vista intellettuale, accompagnata da soave amore delle
cose divine, che procede da Dio, il quale applica in modo speciale l’intelletto
a conoscere e la volontà ad amare le cose divine, e concorre a questi atti coi
doni dello Spirito Santo, intelletto e sapienza, illuminando la mente di viva
luce e la volontà infiammando d’amore”. Si ha qui una nozione veramente compita,
che indica bene la parte di Dio e dei Doni dello Spirito Santo e nello stesso
tempo la parte delle nostre facoltà, le quali, pur essendo applicate da
Dio alla conoscenza e all’amore, liberamente cooperano a questa divina mozione.
Però si noti che questa definizione comprende la sola contemplazione
soave e non la contemplazione arida. Onde, volendo una definizione che le
comprenda tutte e due, si può dire che la contemplazione infusa è una vista
semplice, affettuosa e prolungata di Dio e delle cose divine, che si fa sotto
l’influsso dei doni dello Spirito Santo e di una grazia attuale speciale, la
quale s’impossessa di noi e ci fa operare più passivamente che attivamente.
A ben intendere
questa definizione, ci resta da esporre la parte di Dio e la parte dell’uomo
nella contemplazione.
II. Parte di
Dio nella contemplazione.
Dio ha la parte
principale, perchè egli solo può impossessarsi di noi e metterci nello stato
passivo.
1387. 1° È Dio che chiama l’anima alla
contemplazione; perchè, a confessione di tutti i mistici, è questo un dono
essenzialmente gratuito. Tal è la dottrina di S, Teresa, che chiama
spesso soprannaturale questo genere d’orazione. Ora, nella seconda
relazione al P. Rodrigo Alvarez, spiega così questa parola: “Chiamo
soprannaturale ciò che non si può acquistare nè coll’industria nè collo
sforzo, per quanto uno vi si affatichi; sebbene disporvisi, sì, si può, e questo
deve importare assai” 1387-1. Il che fa anche meglio capire con
questo grazioso paragone: “Di grado in grado viene il Signore a prendere
quest’uccellino e metterlo nel nido perchè vi si riposi” 1387-2.
Tal è pure
l’insegnamento di S. Giovanni della Croce, il quale distingue due metodi,
l’uno attivo e l’altro passivo; questo, che non è altro che la contemplazione,
è, egli dice, “quello in cui l’anima non fa nulla come da sè e per propria
industria, ma Dio opera in lei ed ella se ne sta come passiva” 1387-3. E torna spesso su questa distinzione:
corre tra i due stati “tanta differenza come tra l’opera umana e l’opera divina,
tra il modo d’operare naturale e quello soprannaturale. — Badino i direttori di
tali anime e considerino che l’agente principale, la guida, il motore delle
anime in questo affare, non sono loro ma lo Spirito Santo, il quale non cessa di
vigilar su di esse, e che essi sono semplici strumenti per condurle alla
perfezione secondo la fede e la legge divina, secondo lo spirito che Dio
distribuisce a ciascuna” 1387-4. Se dunque l’iniziativa è tutta di Dio,
se è lui che muove le anime, lui il principale agente, e l’anima se ne sta come
passiva, è chiaro che l’anima non può ingerirsi da sè in questo stato nè
meritarlo in senso proprio, de condigno; non potendosi meritare a questo
modo se non ciò che Dio volle inchiudere nell’oggetto del merito, vale a dire la
grazia santificante e la gloria eterna.
Questa gratuità è
ammesa pure dalla Scuola che tiene che tutte le anime sono chiamate alla
contemplazione; dopo aver detto che la meditazione non è sopra i nostri sforzi,
il Saudreau aggiunge: “Non si può entrar in pari modo nell’orazione mistica; per
qualunque sforzo si faccia, non vi si arriverà mai, se non si è stati innalzati
per favor divino a stato così meritorio” 1387-5. È vero che alcuni pensano che si possa
meritarlo de congruo, ma questo merito di semplice convenienza non ne
toglie l’essenziale gratuità.
1388. 2° Dio pure è quello che
sceglie il momento e il modo della contemplazione come
anche la durata. Egli solo infatti mette l’anima nello stato passivo o
mistico, impossessandosi delle sue facoltà per operare in loro e per loro col
libero consenso della volontà: è una specie di ossessione divina; Dio,
essendo sovrano padrone dei suoi doni, interviene quando vuole e come vuole.
1389. 3° Nella contemplazione Dio opera
soprattutto in quello che i mistici chiamano l’apice, la cima
dell’anima, la cima della volontà o l’intimo fondo, il
centro dell’anima. Si deve intendere con queste parole tutto ciò che vi è
di più alto nell’intelletto e nella volontà; è l’intelletto non in quanto
ragiona ma in quanto percepisce la verità con un semplice sguardo, sotto
l’influsso dei doni superiori di intelletto e di sapienza; è la volontà nel suo
atto più semplice che è d’amare e di gustare le cose divine 1389-1.
Il Ven. L.
Blosio 1389-2 pensa che questo centro dell’anima dove
avviene la contemplazione sia “molto più intimo ed alto delle tre principali
facoltà, essendo la fonte od origine di queste stesse facoltà… In questo
centro, dice, le facoltà superiori sono tutte una cosa sola, là regna somma
tranquillità e perfetto silenzio, perchè non vi può mai giungere imagine alcuna.
In questo centro, ove si cela l’immagine divina, noi rivestiamo la forma
divina”.
1390. 4° In cotesto centro dell’anima
produce Dio nello stesso tempo conoscenza ed amore. La conoscenza
si fa per affermazione o per negazione.
a) La
prima, che è distinta pur restando oscura, colpisce vivamente
l’anima, perchè è sperimentale o quasi sperimentale. Dio può
causarla in noi in quattro modi principali:
1) Attirando
la nostra attenzione col lume dei doni su un’idea che già avevamo ma
che non ci aveva finallora colpiti. Sappiamo, per esempio, che Dio è amore, ma
ecco che la divina luce ci fa così bene intendere e gustare questo pensiero che
ne siamo tutti compresi e compenetrati.
2) Facendoci
dedurre da due idee, che già avevamo, una conclusione che questa stessa
luce rende vivissima nell’anima. Così dal fatto che Dio è tutto e noi nulla,
lo Spirito Santo ci fa capire che l’umiltà è per noi imperioso dovere: Io sono
colui che è, e tu, tu sei colui che non è!
3) Producendo in
noi specie infuse, le quali, perchè provenienti da Dio, rappresentano le
cose divine in modo più perfetto e piu vivo, come avviene in certe
visioni o rivelazioni.
4) Concedendo a
un’anima in modo passeggiero la visione beatifica, come S. Tommaso
ammette per Mosè e per S. Paolo 1390-1, e alcuni Padri per la
SS. Vergine 1390-2.
La conoscenza che
si fa per negazione ci mostra la trascendenza di Dio e ce ne da
quindi un’altissima idea; la descriveremo al
n. 1398.
1391. b) Dio produce pure
nell’anima un ineffabile amore: le fa capire con una specie d’intuizione
che Egli ed Egli solo è il sommo bene, onde l’attira in modo forte ed
irresistibile, come la calamita attira il ferro, senza però violentarne la
libertà; allora infatti ella va a Dio con lo stesso ardore con cui va alla
felicità, ma liberamente, perchè questa vista, essendo oscura, non le toglie la
libertà.
Allora, secondo
il Ven. L. Blosio, l’anima esce fuori di sè per trasfondersi tutta quanta
in Dio e perdersi nell’abisso dell’eterno amore. “E là, morta a se stessa, vive
in Dio senza nulla conoscere nè sentire, tranne l’amore di cui è ebbra. Si perde
nell’immensità della solitudine e delle tenebre divine; ma il perdersi là è
piuttosto un vero ritrovarsi. Perchè l’anima si spoglia veramente di tutto
l’umano per rivestirsi di Dio; è tutta cangiata e trasformata in Dio, come il
ferro che sotto l’azione del fuoco ne prende l’aspetto e si cangia in fuoco; ma
l’essenza dell’anima così deificata rimane ciò che era, come il ferro
incandescente non cessa d’essere ferro. In quest’anima non c’era finallora che
freddezza, e quindi innanzi è tutta infiammata; dalle tenebre è passata al più
vivo fulgore; un dì insensibile, ora non è più che tenerezza… Tutta consumata
dal fuoco del divino amore e tutta liquefatta, è passata in Dio, e, unendosi
immediatamente a lui, non fa più con lui che un solo spirito, a quel modo che
l’oro e il bronzo si fondono in un solo metallo. Coloro che sono così rapiti e
perduti in Dio toccano però altezze diverse, perchè ognuno penetra tanto più
avanti nelle divine profondità, quanto maggiore è la sincerita, l’ardore e
l’amore con cui si volge a Dio e quanto più intieramente rinunzia, anche in
questa ricerca, a ogni proprio interesse 1391-1.
III. Parte
dell’anima.
Prevenuta dalla
grazia di Dio, l’anima corrisponde liberamente alla divina mozione:
1392. 1° Si lascia liberamente prendere e
muovere da Dio, come il bambino che si lascia portare tra le braccia della madre
con libero e giocondo consenso; onde è nello stesso tempo passiva ed
attiva.
a) È
passiva nel senso che è impotente a operare da per sè, come faceva prima;
non può più, nel momento della contemplazione, esercitar le facoltà in modo
discorsivo; dipende da un principio superiore che la governa, che ne fissa lo
sguardo, la mente e il cuore sull’oggetto contemplato, glielo fa amare e
gustare, le suggerisce ciò che deve fare e le dà forte impulso a farla operare.
Non è però nei primi gradi intiera impotenza; il fenomeno del legamento delle
facoltà non avviene che gradualmente e non si ha intieramente che in
certi stati più alti di contemplazione, specialmente nelle estasi. Così, nella
quiete, la preghiera vocale e la meditazione riesce faticosa all’anima ma non è
ordinariamente impossibile 1392-1; nell’unione piena, Dio sospende
l’intelletto, non già intieramente impedendogli di operare ma impedendogli di
ragionare; ne ferma i pensieri fissandoli su un dato oggetto; fa morir la parola
sul labbro così che non si riesce a proferirne se non con penoso sforzo 1392-2.
1393. b) Ma l’anima, che non può
discorrere come prima, non resta oziosa. Sotto l’influsso della mozione
divina opera guardando Dio ed amandolo, benchè con atti che sono talora
soltanto impliciti. Opera anzi con più attività che mai; perchè riceve
un’influsso di forza spirituale che ne decuplica [sic] le energie. Si sente come
trasformata da un essere superiore, che è, a così dire, l’anima della sua anima,
che la solleva e la rapisce a Dio: è l’effetto della grazia operante a
cui giocondamente acconsente.
1394. 2° In questo stato Dio si presenta
sotto nuovo aspetto, come realtà vivente che viene afferrata con una
specie di conoscenza sperimentale che il linguaggio umano non vale ad
esprimere. Non si conosce più Dio per induzione o deduzione ma con semplice
intuizione, che non è però la chiara visione di Dio e che rimane oscura
compiendosi per una specie di contatto con Dio che ci fa sentire la sua presenza
e ci fa gustare i suoi favori.
Nessuno forse
meglio di S. Bernardo 1394-1 descrisse questa conoscenza
sperimentale: “Il Verbo venne in me (sono stolto a dire queste cose) e più volte
venne. Benchè mi abbia visitato spesso, io non potei mai accorgermi del momento
preciso in cui giunse. Ma sentii, me ne rammento bene, che c’era. Potei talora
presentirne l’arrivo, ma non riuscii mai a sentirne l’entrata o l’uscita. Eppure
io conobbi che era vero ciò che avevo letto: che in lui viviamo, ci moviamo e
siamo. Beato colui in cui abita, che vive per lui ed è mosso da lui! Ma poichè
le sue vie sono impenetrabili, voi mi domandate in che modo io abbia potuto
conoscerne la presenza. Essendo egli pieno di vita e di energia, appena è
presente mi desta l’anima addormentata; mi muove, ammollisce, ferisce il cuore
duro come la selce e molto ammalato; si mette a sradicare e a distruggere, a
edificare e a piantare, a innaffiare ciò che è arido, a illuminare ciò che è
oscuro, ad aprire ciò che è chiuso, a riscaldare ciò che è freddo, a raddrizzare
ciò che è storto, a levigare ciò che è scabro, onde l’anima mia benedice il
Signore e tutte le mie potenze lodano il santo suo nome. Entrando dunque in me,
lo Sposo divino non fa sentir la sua venuta con segni esterni, col rumor della
voce o dei passi; non dai suoi movimenti, non coi miei sensi ne riconosco la
presenza, ma, come vi dissi, dal moto del mio cuore; sentendo orrore del
peccato e degli affetti carnali, riconosco la potenza della sua grazia;
scoprendo e detestando le segrete mie colpe, ammiro la profondità della sua
sapienza; riformando la mia vita, sperimento la sua bontà e la sua dolcezza; e
il rinnovamento interiore che ne è il frutto mi fa percepire l’incomparabile sua
bellezza”. Ecco come l’anima che contempla il Verbo ne sente nello stesso tempo
la presenza e l’azione santificatrice.
È quindi una
conoscenza intermedia tra la fede ordinaria e la visione beatifica, ma che in
ultima analisi si riduce alla fede e ne partecipa l’oscurità.
1395. 3° Spesso l’anima ama assai più
che non conosca: è la contemplazione serafica, in relazione alla
contemplazione cherubica in cui predomina la conoscenza. La volontà
infatti afferra il suo oggetto in modo diverso dall’intelletto: l’intelletto
conosce solo secondo la rappresentazione, l’immagine, la specie
intelligibile ricevuta dalle cose; la volontà o il cuore va invece alla
realtà qual e in se stessa. Ecco perchè possiamo amar Dio qual è
in sè, benchè il nostro intelletto non ne scopra sulla terra l’intima natura. La
stessa oscurità onde s’avvolge non fa che avvivare il nostro amore per lui e
ispirarci ardente desiderio della sua presenza. Con uno slancio del cuore, il
mistico, che non può veder Dio, varca il mistero che gliene vela la faccia e ama
Dio in sè, nell’infinita sua essenza 1395-1. Vi è però sempre qualche conoscenza
che precede l’amore; e se pare che certi mistici la neghino, è perchè insistono
su ciò che li ha più particolarmente colpiti; ma resta vero, anche nello stato
mistico, che non si può amare ciò che assolutamente non si conosce: “nil
volitum quin præcognitum“.
1396. 4° Vi è nella contemplazione un
misto di gaudio e di angoscia: gaudio ineffabile nell’assaporare la
presenza dell’ospite divino; angoscia di non possederlo intieramente. Ora domina
l’uno ora l’altro di questi sentimenti, secondo i disegni di Dio, le fasi della
vita mistica e l’indole. Vi sono quindi fasi particolarmente dolorose
appellate notti, e fasi dolci e soavi; vi sono indoli che vedono e
descrivono specialmente le prove della vita mistica, come S. Giovanni della
Croce e la Chantal; altre che si trattengono con maggior compiacenza sui gaudii
e sulle ebbrezze della contemplazione, come S. Teresa e S. Francesco
di Sales.
1397. 5° Questa contemplazione rimane
ineffabile, inesprimibile, come unanimemente affermano i mistici.
“Impossibile
all’anima di discernerla, dice S. Giovanni della Croce 1397-1, e darle un nome; non ne ha del resto
alcuna voglia e non trova nè modo, nè maniera, nè calzante paragone, a
significar conoscenza così alta e sentimento apirituale così delicato. Per guisa
che, anche se l’anima provasse il più vivo desiderio di spiegarsi e accumulasse
spiegazioni, resterebbe sempre cosa segreta ed ineffabile… Si trova nella
condizione di chi scoprisse cosa non mai vista, senza equivalente da lui
conosciuto, che, pur vedendola e gustandola, non la saprebbe denominare nè dir
che cos’è, per quanto s’industriasse, e questo pur trattandosi di cose percepite
dai sensi; or quanto meno potrà farsi in ciò in cui i sensi non entrano?”
Due ragioni
principali spiegano questa impossibilità di descrivere ciò che si è provato: da
un lato la mente è immersa nella tenebra divina e non percepisce Dio che
in modo confuso ed oscuro sebbene vivissimo; e dall’altro il fatto più forte è
quello d’un intenso amore per Dio, che si prova ma non si sa descrivere.
1398. A) Vediamo prima di tuto che
cosa s’intende per tenebra divina, espressione tolta dal Pseudo
Dionigi 1398-1.
“Sciolta dal
mondo sensibile e dal mondo intellettuale, l’anima entra nella misteriosa
oscurità d’una santa ignoranza e, rinunziando a ogni dato scientifico, si
perde in colui che non può essere nè visto nè afferrato; si dà tutta a questo
sovrano oggetto, senza più appartenere a sè nè ad altri; s’unisce all’ignoto
colla più nobile porzione di sè e in ragione della sua rinunzia alla scienza; e
attinge infine in questa assoluta ignoranza una cognizione che l’intelletto non
potrebbe mai acquistare”. Per giungere dunque a questa contemplazione, bisogna
innalzarsi sopra la conoscenza sensibile, che non può, com’è chiaro,
percepire Dio; sopra la conoscenza razionale, che non conosce Dio che per
induzione e astrazione; solo con l’apice dell’intelletto possiamo percepirlo. Ma
sulla terra non possiamo vederlo direttamente, onde non ci resta che coglierlo
per via di negazione.
S. Tommaso spiega
la cosa in modo più preciso: “Di negazione in negazione l’anima sorge più in
alto delle più eccellenti creature e si unisce a Dio in quella misura che ora è
possibile. Perchè nella vita presente l’intelletto non giunge mai a vedere
l’essenza divina, ma solo a conoscere di Dio ciò che non è. Onde l’unione della
mente con Dio quale è possibile in questa vita avviene quando conosciamo che Dio
supera tutte le più eccelse creature” 1398-2. La stessa nozione di essere,
quale la concepiamo noi, è così imperfetta da non potersi applicare a Dio; solo
dopo aver eliminato tutto l’essere che gli è noto, l’intelletto giunge a Dio; si
trova allora nella tenebra divina, e là abita Dio 1398-3.
Chi chiedesse
come mai questa intuizione negativa possa illuminarci su Dio, si può
rispondere che, conoscendo così non ciò che è ma ciò che non è, si ha di lui
un’altissima idea, che produce nella parte superiore dell’anima una profonda
impressione della divina trascendenza e nello stesso tempo un’amore intenso di
questo Dio, di cui nulla può esprimere la grandezza e la beltà, e che solo può
appagar l’anima. Questa contemplazione confusa e affettuosa basta a fare
scaturir dall’anima, sotto l’influsso della grazia, atti impliciti di fede, di
confidenza, di amore, di religione, che riempiono tutta l’anima e producono
ordinariamente in lei gaudio grande.
1399. B) Il secondo elemento che
rende difficile la descrizione della contemplazione, è l’amore ardente che vi si
gusta e che non si sa come esprimere.
“È, dice
S. Bernardo 1399-1, il cantico dell’amore; nessuno lo
capisce, se l’unzione non glie lo insegnò e non lo imparò per esperienza. Quelli
che lo provarono lo conoscono, e quelli che non ne hanno esperienza devono
desiderare non di conoscerlo ma di gustarlo. Non è fremito di lingua ma
inno del cuore, non rumor di labbra ma moto di gaudio, sono volontà che
s’accordano non voci. Non si sente di fuori, non risuona in pubblico; nessuno lo
sente fuorchè chi lo canta e a chi si canta, la sposa e lo sposo. È canto
nuziale che esprime i casti e deliziosi amplessi delle anime, l’armonia dei
sentimenti e la mutua corrispondenza degli affetti. L’anima novizia, l’anima
ancor bambina o convertita di fresco, non può cantar questo cantico, che è
riserbato all’anima progredita e formata, all’anima che, coi progressi fatti
sotto l’azione di Dio, toccò l’età perfetta, l’età nubile coi meriti acquistati,
e che, per le sue virtù, è divenuta degna dello sposo”.
1400. 6° Quando la contemplazione è
arida e debole, come nella prima notte di S. Giovanni della
Croce, non se ne ha coscienza; solo più tardi, studiandone gli
effetti prodotti nell’anima, se ne può accertar l’esistenza. Quando è
saporosa, non è, a quanto pare, sempre avvertita a principio, quando è
ancora debole, perchè è difficile scorgerne la differenza dall’orazione di
semplicità e perchè si passa talora dall’una all’altra senza accorgersene. Ma
quando si fa intensa, se ne ha coscienza; quel che si può dire è che tutte le
orazioni soprannaturali descritte da S. Teresa sono di questo
genere, come osserveremo spiegando le varie fasi della contemplazione.
1401. Conclusione. Da quanto
abbiamo detto risulta che l’elemento essenziale della contemplazione
infusa è la passività quale abbiamo descritta, e che consiste in questo
che l’anima è guidata, attuata, mossa, diretta dallo Spirito Santo, invece di
guidarsi, di muoversi, di dirigersi da sè, senza però perdere nè la libertà nè
l’attività.
Non si deve
dunque dire che l’elemento essenziale della contemplazione 1401-1 sia la coscienza della presenza di Dio
o la presenza di Dio sentita, perchè questo elemento qualche volta manca,
massime nella contemplazione arida descritta da S. Giovanni della Croce
quando tratta della prima notte. Ma è uno degli elementi principali,
perchè si trova in tutti i gradi di contemplazione descritti da S. Teresa,
dalla quiete all’unione trasformativa.
NOTE
1386-1 S. Tommaso, IIª IIæ, q. 180-182;
S. Bonaventura, De triplici viâ; Itinerarium mentis ad Deum;
E. Susone, Le livre de la Sagesse; Le livre de la vérité; B. G. Ruysbroeck,
L’Ornamento delle Nozze spirituali
(Carabba, Lanciano); Gerson, La montagne de la contemplation; La
théologie mystique spéculative et pratique; Dionigi Certosino, De
fonte lucis et semitis vitæ; De contemplatione; Lodovico Blosio, Institutio spiritualis;
D. A. Baker, Sancta
Sophia; S. Teresa, Autobiografia; Cammino della perfezione;
Il Castello Interiore; S. G. della Croce, La Salita del
Monte Carmelo; La Notte oscura; La fiamma d’amor viva; S. Fr. di
Sales, Teotimo, l. VI-VII; Alvarez de
Paz, De vità spirituali, t. III, l. V; M. Godinez, Praxis theologiæ mysticæ;
P. Lallemant, Doctrine
spirituelle, Principio VII; Scaramelli, Direttorio mistico; Ribet,
La mystique divine; P. de Maumigny, Pratique
de l’oraison mentale, t. II; P. Poulain, Delle grazie
d’orazione; D. V. Lehodey, Le vie dell’orazione,
P. IIIª; A. Sandreau, I gradi della Vita spirituale,
t. II; L’état mystique; A. Maynard, Tr. de la vie
intérieure, t. II; P. Lamballe, La contemplation; Mgr Farges,
Les phénomènes mystiques; F. D. Joret, La contemplation mystique d’après saint
Thomas; R. Garrigou-Lagrange, Perfect, chrét. et
contemplation.
1386-2 Sum. theol., IIª IIæ, q. 180, a. 3, ad. 1; a. 7, ad 1: “Contemplatio
pertinet ad ipsum simplicem intuitum veritatis… principium habet in affectu,
in quantam videlicet aliquis ex caritate ad Dei contemplationem
incitatur; et quia finis respondet principio, inde est quod etiam terminus et
finis vitæ contemplativæ habet esse in affectu, dum scilicet aliquis in
visione rei amatæ delectatur, et ipsa delectatio rei visæ amplius excitat
amorem”.
1386-3 Teotimo o Trattato dell’amor di
Dio, l. VI, c. 3.
1387-1 Le
relazioni che della sua coscienza S. Teresa fece ai suoi direttori
spirituali sono varie: questa al Padre Rodrigo Alvarez è la più importante;
nell’edizione spagnuola del P. Silverio è detta Relacion Primera ma
nella versione italiana del P. Federico di S. Antonio è segnata
Relazione IV e si trova nel t. II, Parte II, p. 205, ove mancano però i
cinque ultimi numeri (N. D. T.).
1387-2 Autobiografia, c. XVIII, n. 9.
1387-3 La Salita del Monte Carmelo, l. I, c. 13,
n. 1.
1387-4 La Fiamma d’amor viva, stanza III, v. 3,
n. 42-43 (in certe edizioni § 8-9).
1387-5 L’état mystique, 2ª ed. 1921, p. 19-20.
— La stessa cosa dichiara il P. Janvier (Quaresimale 1923,
Ritiro, 2ª istruzione): “La contemplazione infusa è grazia eminente e speciale,
a cui non si giunge coi propri sforzi, ma che Dio dà a chi gli piace, quando
gli piace, e quanto gli piace“. (Marietti, Torino).
1389-1 Meynard, Traité
de la Vie Intérieure etc. t. II, n. 159, p. 224-227.
1389-2 L’institution spirit., c. XII, t. II,
delle Opere, p. 101-103, ed. 1913.
1390-1 Sum. theol.,
IIª IIæ, q. 175, a. 3,
ad. 1.
1390-2 Suarez, in
Iam, c. 30, n. 18;
“Non sunt tam facile hujusmodi dispensationes afferendæ aut extendendæ. De
Beatissimâ autem Virginie pie credi potest, et quidem si alicui hoc privilegium
concessum est, illi maxime datum est”.
1391-1 L. de Blois, L’Institution spirituelle, c. XII, § 2, p. 89-90.
1392-1 S. Teresa, Relazione al
P. Rodrigo: vedi qui sopra
la
nota prima, a p. 850; Cammino della perfezione, c. XXXI.
1392-2 S. Teresa, Relazione al
P. Rodrigo.
1394-1 Sermo in Cant., LXXIV, 5-6.
1395-1 Joannes a S. Thoma, in Iam IIæ, q. 68-70
disp. 18, n. 11-12; Joret, Vie spirituelle, sett. 1920, p.
455-456.
1397-1 Notte, l. II, c. 17.
1398-1 Théol. mystique,
c. I, § 3, trad. Darboy.
1398-2 Comment. de div.
nomin., c. XIII, lez. 3.
1398-3 S. Tommaso, I
Sent., dist. 8, q. I, a. 1 ad. 4.
1399-1 Serm. in Cantic., I, n. 11-12.
1401-1 Anche il P. Poulain, (Delle
Grazie d’orazione, c. V), pur dando questa presenza di Dio sentita come
elemento fondamentale della contemplazione, aggiunge che nei gradi inferiori
(nella quiete) Dio non fa sentir la sua presenza che in modo assai oscuro.