Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1363-1385)


Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. Capitolo I. Della via unitiva semplice. Art. II. L’orazione di semplicità. § I. Natura dell’orazione di semplicità. § II. Vantaggi dell’orazione di semplicità. § III. Modo di fare l’orazione di semplicità. § IV. Relazione tra l’orazione di semplicità e la contemplazione infusa. Conclusione del primo capitolo.


ART. II. L’ORAZIONE DI
SEMPLICITÀ 1363-1.

1363.   L’orazione di semplicità,
come la disse Bossuet, era conosciuta assai prima di lui, e portava vari nomi
che è bene qui richiamare.

1) S. Teresa la chiama orazione di raccoglimento; e si
deve intendere raccoglimento attivo, in opposizione al raccoglimento
passivo di cui parleremo nel secondo capitolo; l’anima vi raccoglie le
varie sue facoltà per concentrarle su Dio, ascoltarlo ed amarlo.

2) Molti la chiamano orazione di semplice sguardo, di
semplice presenza di Dio, o di semplice abbandono in Dio, oppure
una semplice vista di fede, perchè l’anima fissa affettuosamente lo
sguardo su Dio, si tiene alla sua presenza, s’abbandona nelle sue mani e con una
semplice vista di fede lo guarda e lo ama.

3) Bossuet la chiama orazione di semplicità, perchè ci fa
semplificar tutto, ragionamenti e affetti della orazione, anzi tutta quanta la
vita.

4) I Carmelitani, e con loro molti autori dal secolo XVII
in qua, la chiamano contemplazione acquisita per distinguerla dalla
contemplazione infusa.

Di quest’orazione esporremo:


  • 1° la
    natura;

  • 2° i
    vantaggi;

  • 3° il
    modo di farla;

  • 4° le
    relazioni colla contemplazione propriamente detta.

§ I. Natura dell’orazione di semplicità.

1364.   Bossuet descrisse molto bene
quest’orazione:

“Bisogna abituarsi a nutrir l’anima con un semplice e amoroso
sguardo in Dio e in Nostro Signore Gesù Cristo; a tal effetto bisogna dolcemente
separarla dal ragionamento, dal discorso e dalla moltitudine degli affetti, per
tenerla in semplicità, in rispetto, in attenzione, e avvicinarsi così sempre più
a Dio, suo primo principio e suo ultimo fine… La meditazione è molto buona a
suo tempo, e molto utile al principio della vita spirituale; ma non bisogna
fissarvisi, perchè l’anima, colla sua fedeltà a mortificarsi e a raccogliersi,
riceve d’ordinario un’orazione più pura e più intima, che si può chiamare di
semplicità, la quale consiste in una semplice vista, sguardo o attenzione
amorosa in sè, verso qualche oggetto divino, che può essere Dio in se stesso, o
alcuno dei suoi misteri, o altre verità cristiane. L’anima dunque, lasciando il
ragionamento, si serve di una dolce contemplazione che la tiene quieta, attenta
e capace delle operazioni e impressioni divine che lo Spirito Santo le comunica;
fa poco e riceve molto; dolce è il suo lavoro, eppure più fruttuoso; e poichè
ella si fa più presso alla fonte di ogni luce, di ogni grazia e di ogni virtù.
glie se ne dà pure in maggior copia”.

Quest’orazione comprende quindi due atti essenziali:
guardare ed amare; guardar Dio o qualche oggetto divino per
amarlo, e amarlo per meglio guardarlo. Confrontando quest’orazione colla
meditazione discorsiva o affettiva, vi si rileva una triplice
semplificazione, che giustifica molto bene l’espressione usata di
Bossuet.

1365.   1° La prima semplificazione è la
diminuzione, poi la soppressione dei ragionamenti, che tenevano sì
gran posto nella meditazione degl’incipienti. Obbligati ad acquistare profonde
convinzioni e poco abituati del resto a pii affetti, avevano bisogno di
lungamente riflettere sulle verità fondamentali della religione e sulle loro
relazioni con la vita spirituale, sulla natura e sulla necessità delle
principali virtù cristiane e sui mezzi di praticarle, prima di poter far
scaturire dal cuore sentimenti di riconoscenza e d’amore, di contrizione, di
umiliazione e di fermo proponimento, di ardenti e continuate preghiere.
a) Ma viene poi il tempo in cui queste convinzioni si radicano
talmente nell’anima, da far parte, a così dire, della nostra mentalità abituale,
onde bastano pochi minuti per richiamarle alla mente. Nascono allora prontamente
e facilmente i pii affetti di cui parliamo e l’orazione diventa
affettiva.

1366.   b) Più tardi si fa un’altra
semplificazione: i pochi minuti di riflessione sono sostituiti da uno sguardo
intuitivo dell’intelletto.
A quel modo che conosciamo senza difficoltà e per
una specie d’intuizione i primi principi, così, quando abbiamo per lungo tempo
meditato sulle verità fondamentali della vita spirituale, esse diventano per noi
certe e fulgide come i primi principi, e noi, con uno sguardo complessivo,
facilmente e giocondamente le afferriamo, senza bisogno di farne minuziosa
analisi. Così l’idea di padre applicata a Dio, che a principio aveva
bisogno di lunghe riflessioni per darcene tutti il contenuto, ora con un solo
sguardo ci si fa così ricca e così feconda, che vi ci fermiamo sopra lungamente
e amorosamente ad assaporarne i molteplici elementi.

c) Avviene anche qualche volta che l’anima si contenta
d’uno sguardo confuso su Dio o sulle cose divine, che pure la tiene
dolcemente e affettuosamente alla presenza di Dio e la rende vie più docile
all’azione dello Spirito Santo; e allora, senza moltiplicare atti di intelletto
o di volontà, s’abbandona a Dio per eseguirne gli ordini.

1367.   2° Pari semplificazione avviene
negli affetti. Erano a principio numerosi, vari e in rapida vicenda:
amore, gratitudine, gioia, compassione, dolore dei peccati, desiderio di far
meglio, domanda d’aiuto, ecc. a) Ma presto un solo è medesimo
affetto dura cinque, dieci minuti; l’idea di Dio Padre nostro, per esempio,
eccita nel cuore un amore intenso che, senza esprimersi in molte parole,
alimenta per alcuni minuti tutta l’anima, la penetra e vi produce generose
disposizioni. Non basterà certo a occupar da solo tutto il tempo della orazione
e bisognerà passare ad altri affetti per non cadere in distrazioni o in una
specie d’oziosità; ma ognuno vi terrà posto così ampio da non doverli
moltiplicare come per lo passato.

1368.   b) Tra
gli affetti qualcuno finisce poi con dominare e tornar continuamente alla mente
e al cuore; il suo oggetto diventa come quello d’una idea fissa, attorno
alla quale gravitano certo altre idee ma poche e subordinate. Per gli uni sarà
la Passione di Nostro Signore, coi sentimenti di amore e di sacrifizio che le si
accompagnano: dilexit me et tradidit semetipsum pro me 1368-1. Per gli altri sarà Gesù vivente
nell’Eucaristia che diverrà centro dei pensieri e degli affetti, onde
ripeteranno continuamente: Adoro te devote, latens Deitas. Ci sono di
quelli che vengono vivamente presi dal pensiero di Dio presente nell’anima e che
non pensano che a glorificarlo in tutto il corso del giorno: “Apud eum
veniemus et mansionem apud eum faciemus… templum Dei sanctum est, quod estis
vos… glorificate et portate Deum in corpore vestro
” 1368-2.

Questo fatto è molto bene spiegato dal
P. Massoulié 1368-3: “Quando l’anima si fa a considerare che non
solo ha l’onore di essere alla presenza di Dio, ma anche la fortuna di
possederlo in se stessa, questo pensiero le fa viva impressione e la fa entrare
in profondo raccoglimento. Ella guarda questo Dio di amore e di maestà e tutta
l’adorabile Trinità che si degna di entrare in lei e abitarvi come in suo
tempio. Lo guarda con somma compiacenza, gioisce di gaudio in possederlo e vi
trova riposo ineffabile vedendo sodisfatti tutti i suoi desideri, quanto è
consentito sulla terra: che cosa infatti può l’anima desiderare e sperare di più
grande che posseder Dio?

1369.   3° Questa semplificazione si
estende ben presto a tutta la vita: “La pratica di quest’orazione, dice
Bossuet, deve cominciare fin dal primo svegliarsi, facendo un atto di fede in
Dio presente da per tutto, e in Gesù Cristo, il cui sguardo, quand’anche fossimo
inabissati nel centro della terra, non ci lascia mai”. E continua per tutta la
giornata. Pur attendendo agli ordinari doveri, uno sta unito a Dio, lo guarda ed
ama. Nelle preghiere liturgiche e in quelle vocali si bada più alla presenza di
Dio vivente in noi che al senso particolare delle parole, e si cerca prima di
tutto di dimostrargli il proprio amore. Anche gli esami di coscienza si
semplificano: si vedono con rapido sguardo le proprie colpe appena commesse e
subito si detestano. Gli studi e le esterne opere di zelo si fanno in ispirito
di preghiera, alla presenza di Dio, col desiderio ardente di glorificarlo, ad
majorem Dei gloriam.
Anche le azioni più comuni sono compenetrate di spirito
di fede e di amore, onde diventano ostie frequentemente offerte a Dio,
offerre spirituales hostias acceptabiles Deo” 1369-1.

 
§ II. Vantaggi dell’orazione di semplicità.

1370.   Il grande vantaggio di
quest’orazione sta in ciò che per lei tutta la vita è ridotta ad unità,
accostandosi così alla vita divina, per la maggior gloria di Dio e pel
bene spirituale dell’anima.

Dio è glorificato in tutta la giornata. Quest’abituale
e affettuoso sguardo dell’anima a Dio, ce lo fa conoscere e amare meglio di
tutte le considerazioni; uno dimentica se stesso e a più forte ragione dimentica
le creature, o almeno non le vede se non in relazione a Dio, sotto l’influsso
del dono della scienza, n. 1341.
La vita quindi riesce un continuo atto di religione, un atto di riconoscenza e
di amore che ci fa ripetere con Maria: “L’anima mia glorifica il Signore:
magnificat anima mea Dominum“.

1371.   2° Onde anche l’anima viene
santificata
. a) Concentrando per notevole tempo l’attenzione su
una verità, ella impara a conoscer meglio Dio, ed essendo questo sguardo
accompagnato da amore, lo ama di più intenso amore e si unisce a lui in modo più
intimo, attirando così in sè le perfezioni divine e le virtù di Nostro Signore.

b) Allora il distacco riesce più agevole: quando
si pensa abitualmente a Dio, le creature non ci appaiono più come scalini per
salire al Creatore; piene di imperfezioni e di miserie, non hanno valore se non
in quanto riflettono le divine perfezioni e ci ammoniscono di rifarci alla fonte
d’ogni bene.

c) L’umiltà diventa più facile: al lume divino, si
vede chiaramente il proprio nulla e i propri peccati, e si è lieti di potere,
coll’umile confessione delle colpe, glorificar Colui che solo merita ogni onore
ed ogni gloria: Soli Deo honor et gloria, mihi autem ignominia et
confusio.
In cambio di anteporsi al prossimo, uno si considera come l’ultimo
dei peccatori, pronto ad amorosamente soffrire tutte le prove e tutte le
umiliazioni.

Si può quindi in tutta verità dire che l’orazione di semplicità
ci aiuta in modo singolare a glorificar Dio e a santificarci l’anima.

1372.   Soluzione
delle difficoltà. a
) A questo genere di orazione si fa talora
rimprovero di fomentar l’ozio. S. Teresa così risponde a questa
obiezione: 1372-1 “Ritornando a quelli che nell’orazione fanno
ragionamenti, dirò loro di non impiegare in questo esercizio, per quanto sia
meritorio, tutto il tempo dell’orazione. Trovando in ciò molto diletto, credono
che non ci sia domenica in questo e tempo in cui non si abbia da lavorare. Tutto
il resto, a loro giudizio, non è che perdità di tempo. Ebbene io tengo
questa perdita per vero guadagno. Si mettano dunque internamente, nel
modo che ho detto, alla presenza di Gesù Cristo, e, senza sforzi della mente, se
ne stiano parlando con lui e godendo della sua compagnia; e in cambio di
affaticarsi a ordinar ragionamenti, si contentino di esporgli i propri bisogni e
di considerar le ragioni che Nostro Signore avrebbe di non soffrirci vicino a
sè. Faranno però bene a usar varietà per tema che l’anima non si stanchi
mangiando sempre uno stesso alimento. Quelli di cui parlo sono molto saporiti e
giovevoli: preso che v’abbia gusto, l’anima vi trova pascolo sostanzioso e
vivificante e molti vantaggi”. L’anima infatti non vi resta mai in ozio; non
ragiona più, ma guarda, ama e loda Dio, si dà a lui, e, se resta un momento in
silenzio, è per ascoltarlo; se Dio cessa di parlare, e lei ripiglia i suoi pii
affetti, onde non resta mai oziosa.

1373.   b) Altri obiettano che
concentrare a questo modo l’attenzione su un’idea fissa è uno stancarsi la
testa
ed entrare in eccessiva tensione di mente. Ci sarebbe certo un
vero pericolo per chi volesse mettersi a questo genere di orazione prima
d’esservisi preparato e mantenervisi a furia di sforzi di testa. Ma è appunto
questo che bisogna evitare, dice Bossuet 1373-1: “Bisogna badare di non martoriarsi il
capo
e neppure di eccitar troppo il cuore; ma prendere con umiltà e
semplicità ciò che si presenta allo sguardo dell’anima, senza quegli sforzi
violenti
che sono più fantastici che reali e profondi; lasciarsi trarre
dolcemente a Dio, abbandonandosi al suo spirito”. Non si tratta quindi di fare
sforzi violenti, ma di assecondar dolcemente i moti della grazia, ed esaurito un
pensiero, passare ad un altro, senza volersi ostinare nel primo. Allora
l’orazione di semplicità, in cambio di riuscir faticosa, è dolce riposo
dell’anima che si abbandona all’azione dello Spirito Santo. Il che del resto si
capirà meglio vedendo in che modo si fa questa orazione.


§ III. Modo di fare l’orazione di
semplicità.


1374.   1° Della chiamata a questo
genere d’orazione.
Per fare l’orazione di semplicità in modo
abituale, bisogna aver le condizioni indicate per la via unitiva, n. 1296.
Se però si tratti di darsi solo di tanto in tanto a questo genere
d’orazione, basta sentirvisi attirato dalla grazia di Dio.

Si possono del resto ridurre a due i segni distintivi
della chiamata divina a quest’orazione: a) un certo disgusto
per l’orazione discorsiva o per la moltiplicità degli affetti, unito al poco
profitto
che se ne ricava; s’intende che qui parliamo di anime
fervorose che si sforzano di meditar bene e non di anime tiepide
che vogliono vivere nella mediocrità. b) Una certa propensione a
semplificar
l’orazione, a fissare lo sguardo su Dio, e tenersi alla sua
presenza, unita al profitto che si ricava da questo santo esercizio.

In pratica, quando un direttore vede che un’anima
fervorosa sente grande difficoltà a far considerazioni o a moltiplicar gli
affetti, è opportuno esporle sommariamente questo modo d’orazione, esortandola a
farne la prova e chiedendole poi conto dei risultati ottenuti; se buoni, la
consiglierà a continuare.

1375.   2° Dell’orazione in se
stessa.
Non c’è, propriamente parlando, un dato metodo per questo
genere d’orazione, perchè non c’è guari altro da fare che guardare ed
amare. Si possono per altro dare alcuni consigli alle anime che vi
sono chiamate, onde aiutarle a tenersi alla presenza di Dio. Consigli che
saranno proporzionati all’indole, alle disposizioni e ai moti soprannaturali dei
penitenti.

a) A quelli che hanno bisogno di fissare i sensi
su qualche oggetto pio, si consiglierà di volgere lo sguardo alla croce, al
tabernacolo o a qualche pia immagine atta a concentrare il pensiero su Dio. Come
ben dice il Curato d’Ars, “non c’è bisogno di parlar molto per pregar bene.
Sapendo che il Signore è lì nel santo tabernacolo, gli si apre il cuore e
si gode di essere alla santa sua presenza: è la miglior preghiera” 1375-1.

b) Chi ha fantasia viva potrà rappresentarsi una
scena evangelica, non nei particolari come per il passato, ma così
all’ingrosso, per esempio Nostro Signore nell’Orto degli Ulivi o sul Calvario;
poi amorosamente contemplarlo che patisce per noi e ripetere: “Gesù mi amò e si
sacrificò per me: dilexit me et tradidit semetipsum pro me” 1375-2.

1376.   c) Altri amano di riandare
adagino un passo della Sacra Scrittura o di qualche pia preghiera,
assaporandolo e nutrendosene. È ciò che consiglia S. Ignazio nel secondo
modo di pregare
n. 993;
e l’esperienza mostra che molte anime vengono iniziate all’orazione di
semplicità con questo mezzo; conviene allora consigliarle a farsi una raccolta
dei più bei testi, di quelli che già assaporarono leggendoli 1376-1, e giovarsene secondo le attrattive dello
Spirito Santo.

1377.   d) Alle anime
affettuose si consiglierà di fare atti motivati d’amor di Dio, per
esempio: “O mio Dio, io vi amo con tutto il cuore, perchè siete la stessa bontà,
Deus caritas est, la bellezza infinita…” assaporando a lungo questi
pochi pensieri. Oppure rivolgersi a Gesù e pensare ai diritti che ha al nostro
amore: “Vi amo, o Gesù, che siete l’amabilità stessa; voi siete il mio Signore e
io vi voglio ubbidire; il mio Pastore e io vi voglio seguire e nutrirmi di voi;
il mio Dottore e io credo in voi; il mio Redentore e io vi benedico e aderisco a
voi; il mio capo e io m’incorporo a voi; il mio più fedele amico e io vi amo
sopra ogni cosa e voglio amarvi sempre più”. — Si può anche adoprare il
primiero metodo d’orazione lasciato dall’Olier ai suoi discepoli: Gesù
davanti agli occhi:
“Stiamo in riverenza e rispetto dinanzi a cosa così
divina e così santa; e dopo che il nostro cuore si sarà sfogato in amore e lode
e in altri doveri, stiamocene per qualche tempo in silenzio dinanzi a lui”.
Gesù nel cuore: supplicheremo lo Spirito di Gesù a venire nell’anima
nostra per renderci conformi a questo divino modello: “Ci daremo a lui per
essere da lui posseduti e animati dalla sua virtù; e dopo ce ne staremo un altro
poco in silenzio vicino a lui, per lasciarci penetrare dalla divina sua
unzione…”; Gesù nelle mani, bramando “che la divina sua volontà si
compia in noi, suoi membri, che dobbiamo stare sottomessi al nostro capo e che
non dobbiamo avere altro moto che quello datoci da Gesù Cristo, nostra vita e
nostro tutto; il quale, riempendoci l’anima del suo Spirito, della sua virtù e
della sua forza, deve essere colui che opera in noi e per noi tutto ciò che
desidera” 1377-1.

1378.   e) Vi sono anime in cui
domina la volontà, che non possono più discorrere nell’orazione, e che,
trovandosi per altro in aridità e distrazioni, stentano a trar dal cuore pii
affetti. L’orazione semplificata che convien loro è così descritta dal
P. Piny 1378-1: “Questa orazione consiste nel voler
passare tutto il tempo dell’orazione in amar Dio e amarlo più che noi stessi;
nel volervi stare per pregarlo in ispirito di carità; nel volervi rimanere
abbandonati alla divina sua volontà… Bisogna notare che l’amore ha questo
vantaggio sugli atti della maggior parte delle virtù e sulle altre specie di
unione che, se vogliamo amare, noi amiamo; se vogliamo con vera
volontà amorosamente unirci alla volontà di Colui che amiamo o che vogliamo
amare, con quest’atto di volontà noi subito possediamo questa unione: l’amore
infatti non è altro che un atto affettivo della nostra volontà”.

1379.   f) In quest’orazione si è
esposti alle distrazioni e alle aridità come nell’orazione
affettiva. Non c’è che umiliarsene e offrire a Dio la pena che se ne sente,
sforzandosi ciò nonostante di starsene alla sua presenza con perfetta
rassegnazione alla sua volontà: le distrazioni ben possono impedire che si fissi
su Dio la mente ma non la volontà, il cui atto virtualmente
persevera nonostante il divagare dell’immaginazione.

1380.   3° Della preparazione e della
conclusione. A
) Quando si fa l’orazione di semplicità, occorre
prepararne l’argomento? Ordinariamente sì. Si sa infatti che
S. Francesco di Sales consigliava alla S. Chantal di preparare
l’orazione 1380-1: “Io non dico che, quando si è fatta la
preparazione e poi nell’orazione si è attratti a questa specie d’orazione (di
semplice sguardo), non si debba assecondarla; ma prendere per metodo di non
prepararsi, mi riesce un po’ duro, come pure il togliersi dalla presenza di Dio
senza ringraziamento, senza offerta e senza espressa preghiera. Tutto ciò potrà
qualche volta riuscir utile, ma che se ne faccia una regola, confesso che ci ho
un po’ di ripugnanza”. Consiglio molto savio: il preparare un argomento non
impedirà allo Spirito Santo di suggerircene un altro, se vuole; e, se non lo
crede opportuno, converrà occuparsi dell’argomento preparato.

1381.   B) Questa preparazione
inchiude pure la risoluzione da prendere alla fine della meditazione; è
certamente meglio specificarne una la sera precedente. Può essere che lo Spirito
Santo ne suggerisca un’altra o che porti semplicemente l’anima a darsi a Dio
tutta la giornata; ma quella presa da sè avrà pur la sua utilità. Aggiungiamo
peraltro che, poichè qui tutto si semplifica, la risoluzione migliore sarà
spesso di ripetere la stessa, per esempio, di vivere abitualmente alla presenza
di Dio o di non rifiutargli nulla o di far tutto per amore. Vaghe potranno
parere queste risoluzioni a chi non fa orazione a questo modo, ma sono invece
molto precise per le anime che Dio vi ha condotto, perchè s’incarica poi lui di
renderle pratiche colle ispirazioni che darà spesso nella giornata.

 
§ IV. Relazione tra l’orazione di semplicità e
la contemplazione infusa.


Per esporre esattamente la dottrina comune su questo argomento,
dimostreremo:


  • 1° che l’orazione di semplicità non è in sostanza, nei
    suoi inizii, che una contemplazione acquisita;

  • 2° che è ottima disposizione alla contemplazione
    infusa, in cui anzi talora va a finire.

1382.   1° È una contemplazione.
a) Tal era il pensiero di Bossuet, che, descritta quest’orazione,
aggiunge: “L’anima dunque, lasciando il ragionamento, si serve di una dolce
contemplazione che la tiene tranquilla, attenta e atta a ricevere le
operazioni e le impressioni divine che lo Spirito Santo le comunica”. E tale è
pure la conclusione che nasce dalla natura stessa di quest’orazione paragonata
con quella della contemplazione. Questa si definisce, come abbiamo detti al n. 1298,
una semplice intuizione della verità; ora l’orazione di semplicità, dice
Bossuet, “consiste in una semplice vista, sguardo o attenzione amorosa in sè a
qualche oggetto divino”; a ragione quindi viene detta contemplazione.

b) È una contemplazione acquisita, non infusa,
almeno al principio, finchè resta debole e intermittente. Allora infatti non
dura che pochi minuti e cede il posto ad altri pensieri ed affetti; solo a poco
a poco l’anima si abitua a guardare ed amar Dio con una semplice vista di fede,
per un tempo un po’ più notevole e in modo sintetico, come l’artista
contempla un capolavoro di cui ha prima studiato in particolare i diversi
elementi. Qui, a quanto pare, vi è un processo psicologico ordinario, il quale,
come è chiaro, suppone una fede viva e anche l’opera latente dei doni
dello Spirito Santo, ma non uno speciale intervento di Dio, una grazia
operante.

1383.   2° L’orazione di semplicità è
disposizione favorevole alla contemplazione infusa. Pone infatti l’anima
in uno stato che la rende attentissima e docilissima agli impulsi della grazia,
facile mobilis a Spiritu Sancto. Quando dunque piacerà alla divina Bontà
d’impossessarsi di lei per cagionarvi un raccoglimento più profondo, una
vista più semplice, un amore più intenso, entrerà nella seconda fase
dell’orazione di semplicità, quale è descritta dal Bossuet nel n. V° del
citato opuscolo.

“Dopo non bisogna affannarsi a produrre molti altri atti o
disposizioni diverse, ma solo starsene attenti a questa presenza di Dio, esposti
ai divini suoi sguardi, continuando così in questa devota attenzione o
disposizione finchè Nostro Signore ce ne farà la grazia, senza darsi pensiero di
far altro fuori di quello che ci interviene, perchè quest’orazione è un’orazione
con Dio solo e un’unione che eminentemente contiene tutte le altre disposizioni
particolari, e che dispone l’anima alla passività, vale a dire che Dio
diventa il solo padrone del suo interno e che vi opera in modo più particolare
dell’ordinario: quanto meno lavora la creatura, tanto più potentemente opera
Dio;
e poichè l’operazione di Dio è riposo, l’anima gli diviene in
qualche modo simile in quest’orazione e vi riceve quindi mirabili effetti”…

Si notino le espressioni che abbiamo sottolineate e
che sì chiaramente indicano l’azione potente e speciale di Dio e la passività
dell’anima; si tratta qui certo della contemplazione infusa, e
l’orazione, cominciata con una certa attività per mezzo d’uno sguardo amoroso su
Dio, finisce col riposo o quiete, in cui Dio opera molto più potentemente
dell’anima.

1384.   Vi è quindi una certa
continuità tra l’orazione affettiva semplificata, che si può acquistare
collo spirito di fede, e la quiete, che è orazione infusa causata dai
doni dello Spirito Santo con la cooperazione dell’anima. Corre tra l’una e
l’altra una differenza essenziale, essendo l’una acquisita e l’altra
infusa; ma c’è un vincolo e un ponte, cioè l’orazione di semplicità, che
comincia con una semplice vista di fede e termina, quando piaccia a Dio,
coll’investimento dell’anima da parte dello Spirito Santo. Dio non è obbligato,
è vero, anche quando si è giunti all’orazione di semplicità, a trasformarla in
orazione infusa, che resta sempre dono gratuito a cui non possiamo elevarci da
noi stessi; ma lo fa spesso quando trova l’anima ben disposta; perchè nulla
tanto desidera quanto di unirsi in modo più perfetto alle anime generose che
sono risolute a non ricusargli nulla.

 
CONCLUSIONE DEL PRIMO CAPITOLO.

1385.   Questa prima forma della vita
unitiva è già molto perfetta. 1) Affettuosamente e abitualmente unita a
Dio, l’anima si studia di praticare le virtù in ciò che hanno di più alto,
coll’aiuto dei doni dello Spirito Santo, che ora operano in modo latente
ora in modo più palese. I doni che in lei predominano sono, per ragion
del temperamento, delle occupazioni e delle attrattive divine, quelli che
portano all’azione; ma, operando, rimane in comunione con Dio, perchè per lui,
con lui, sotto l’azione della sua grazia lavora e patisce. 2) Venuta l’ora
della preghiera, la sua orazione è molto semplice: guarda
con gli occhi della fede questo Dio che le è Padre, che abita in lei, che lavora
con lei; e contemplando l’ama; amore che si manifesta talora con slanci
generosi, altre volte con puri atti di volontà, perchè l’anima ha pure aridità e
prove in cui non può che dire: O mio Dio, io vi amo, o almeno vi voglio amare,
voglio fare per amore la vostra volontà a qualunque costo. 3) Vi sono
momenti in cui i doni della scienza, dell’intelletto e della sapienza, che
abitualmente non operano in lei se non in modo latente, si manifestano come un
lampo e la mettono per un istante in dolce riposo.

È una specie d’iniziazione alla contemplazione infusa.

 
NOTE

1363-1 Bossuet, Modo breve e
facile per fare l’orazione in fede e di semplice presenza di Dio
,
Tom. LIV, p. 316; Thomas a Jesu, De contemplatione
divinâ;
Ven. Libermann, Ecrits spirit., De l’oraison
d’affection; Instruct. aux missionaires
, c. V, art. II;
P. Poulain, Delle grazie d’orazione, c. II;
D. V. Lehodey, Le vie dell’orazione, P. II,
c. VIII (Marietti, Torino); A. Tanquerey, L’oraison de
simplicité
, Vie spirit., dic. 1920, p. 161-174.

1368-1 Galat., II, 20.

1368-2 Joan., XIV, 23;
I Cor., III, 17; VI, 20.

1368-3 Traité de la véritable
oraison
, P. 3ª, C. 10.

1369-1 I Petr., II, 5.

1372-1 Autobiografia, c. XIII,
— Cf. P. Dupont, Vie di P. Balthazar Alvarez,
c. XLI.

1373-1 Opuscolo sul miglio modo di fare
orazione
, t. VII, ed. Vivès, p. 501.

1375-1 Vita del Santo Curato d’Ars
scritto dal
Monnin, l. V, c. IV (Marietti, Torino).

1375-2 Galat., II, 20. —
S. Teresa, nella sia Vita, c. XIII, in fine, ci dà un esempio
di quest’orazione. Dopo aver invitato le suore a meditare su Gesù legato alla
colonna, aggiunge in fine: “Badi però di non stancarsi cercando sempre questo
(chi patì, che cosa patì, per chi patì ecc.) ma se ne stia lì coll’intelletto
quieto. Potendo, si occupi nel pensare che Gesù la guarda e l’accompagni, gli
parli, gli chieda, si umili, si consoli con lui, ammettendo che non merita di
stare alla sua presenza. Se può giungere a questo, anche fin dal principio
dell’orazione, ne caverà gran profitto…”

1376-1 Il P. S. Jure
compose una piccola raccolta di questo genere: Le Maître Jésus Christ
enseignant les hommes;
si può pure servirsi del
V. P. Chevrier, Le disciple.

1377-1 L’oraison di cœur, c. I.

1378-1 Introduzione, c. IV.

1380-1 Lettera del 11 marzo 1610,
t. XIV, p. 266.