Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1289-1302)


Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. La via unitiva. Osservazioni preliminari. I. Il fine a cui si mira. II. I Caratteri distintivi della via unitiva. III. Nozione generale della contemplazione. IV. Divisione del libro terzo.

LIBRO III.
La via
unitiva

1289.   Purificata
l’anima e ornatala con la pratica positiva delle virtù, si è maturi per l’unione
abituale ed intima con Dio, ossia per la via unitiva.

OSSERVAZIONI
PRELIMINARI 1289-1.

Prima di venire alle questioni particolari, bisogna esporre
brevemente:


  • 1° il
    fine a cui si mira in questa via;

  • 2° i
    caratteri distintivi;

  • 3° il
    concetto generico di contemplazione, che è uno dei caratteri
    generali di questa via;

  • 4° la
    divisione da tenere.



I. Il fine a cui si mira.

1290.   Questo fine
non è altro che l’intima e abituale unione con Dio per mezzo di Gesù Cristo. È
molto bene espresso nelle parole poste dall’Olier in testa al Pietas
Seminarii:
Primarius et ultimus finis hujus Instituti erit vivere
summe Dei in Cristo Jesu Domino nostro, ita ut interiora Filii ejus
intima cordis nostri penetrent, et liceat cuilibet dicere quod Paulus
fiducialiter de se prædicabat:
Vivo, jam non ego; vivit vero in me
Christus” 1290-1.

Vivere unicamente per Dio, il Dio vivente, la SS. Trinità,
che abita in noi, per lodarlo, servirlo, riverirlo e amarlo: ecco il fine del
perfetto cristiano; vivere non in modo mediocre ma intenso, con tutto il
fervore che viene dall’amore; e quindi obliar se stessi per non pensar
più che a quel Dio che si degna di vivere in noi, ad amarlo con tutta l’anima, a
concentrare in lui tutti i pensieri, i desideri, le azioni. È il modo di attuare
quella preghiera di Prima in cui chiediamo a Dio che diriga, che
santifichi, che regga e che governi l’anima e il corpo nostro, i sentimenti, le
parole e le opere nostre, onde assoggettarle intieramente alla santa sua
volontà. “Dirigere et sanctificare, regere et gubernare dignare, Domine Deus,
Rex cæli et terre, hodie corda et corpora nostra, sensus, sermones et actus
nostros in lege tuâ et in operibus mandatorum tuorum…


1291.   Ma, essendone
incapaci da noi stessi, vogliamo intimamente unirci a Cristo Gesù, in Christo
Jesu:
incorporati a lui col battesimo, vogliamo stringere vie più questa
intima unione col fervoroso uso dei sacramenti e soprattutto colla santa
comunione prolungata col raccoglimento abituale, affinchè le sue interiori
disposizioni
diventino nostre, ispirino tutte le nostre azioni, onde
possiamo ripetere e praticare il detto di S. Paolo: “Io vivo, ma non sono
più io che vivo, è Gesù che vive in me”. A conseguire questo lieto effetto, Gesù
coi suoi meriti e colle sue preghiere ci manda il divino suo Spirito,
quello Spirito che nell’anima sua operava le perfette disposizioni ond’era
animata; e noi, lasciandoci guidare da questo divino Spirito, obbedendo
prontamente e generosamente alle sue ispirazioni, pensiamo, parliamo e operiamo
come farebbe Gesù se fosse al nostro posto. È quindi lui che vive in noi, che
con noi e per noi glorifica Dio, che ci santifica e ci aiuta a santificare i
fratelli. Se dunque in questa via la devozione alla SS. Trinità diviene
predominante, non si cessa per questo di unirsi al Verbo Incarnato, per mezzo di
lui risalendo al Padre: “nemo venit ad Patrem nisi per me” 1291-1.


II. I Caratteri distintivi della via
unitiva.


Questi caratteri si compendiano in uno solo, il bisogno di
semplificar tutto, di ridur tutto all’unità, vale a dire
all’intima unione con Dio per mezzo della divina carità.

1292.   1° L’anima
vive quasi costantemente alla presenza di Dio, e si diletta di contemplarlo
vivente nel suo cuore, “Ambulare cum Deo intus“, diligentemente
distaccandosi dalle creature “non aliquâ affectione teneri foris“. Onde
cerca la solitudine e il silenzio; costruisce a poco a poco nel cuore una
celletta in cui trova Dio e gli parla cuore a cuore. Si forma allora tra
Dio e lei una dolce intimità.

“L’intimità, dice Mgr Gay 1292-1, è la coscienza che coloro che si amano hanno
dell’armonia che corre tra loro: coscienza piena di luce, di unzione, di letizia
e di fecondità. È il sentimento e l’esperienza delle loro mutue attrattive,
della loro affinità, del’intiera loro corrispondenza se non della perfetta loro
somiglianza… È l’unione fino all’unità e quindi l’unità senza la solitudine. È
una sicurezza reciproca, una fiducia illimitata, una voluta semplicità che rende
le anime tutte trasparenti; è in fine, e per conseguenza, la piena libertà che
si danno di guardarsi sempre a vicenda e vedersi sino al fondo dell’anima”. Tal
è l’intimità che Dio permette anzi si degna offrire alle anime interiori, come è
bene spiegato dall’autore dell’Imitazione: Frequens illi visitatio cum homine
interno, dulcis sermocinatio, grata consolatio, multa pax, familiaritas stupenda
nimis
” 1292-2.

1293.   2° Onde l’amor di Dio ne diventa non
solo la virtù principale ma l’unica virtù, si può dire, nel senso che
tutte le altre virtù da lei praticate non sono per lei che atti d’amore.

Così la prudenza non è per lei che un affettuoso sguardo alle
cose divine per trovarvi la regola dei suoi giudizi; la giustizia, un’imitazione
quanto più possibile perfetta della divina rettitudine; la fortezza, una totale
signorìa delle passioni; la temperanza, un intiero oblìo dei terreni diletti per
non pensare che ai gaudii del cielo 1293-1. A più forte ragione sono per lei esercizio di
perfetto amore le virtù teologali: la fede non è più soltanto un atto rinnovato
ogni tanto, è lo spirito di fede e la vita di fede informata dalla carità,
fides quæ per caritatem operatur; la speranza è filiale confidenza e
santo abbandono. A queste altezze tutte le virtù non sono ormai che una virtù
sola, sono, a così dire, forme varie della carità: caritas patiens est,
benigna est…
“.

1294.   3° Pari semplificazione avviene
nell’orazione: scompaiono a poco a poco i ragionamenti per far posto a
pii affetti; e questi a loro volta si semplificano, come presto spiegheremo,
diventando affettuoso e prolungato sguardo su Dio.

1295.   4° Onde poi semplificazione in tutta
quanta la vita:
prima l’anima aveva ore determinate per la meditazione e la
preghiera, ora la sua vita è continua preghiera; o lavori o si ricrei, sola o in
compagnia, s’innalza continuamente a Dio, conformando la sua volontà a quella di
lui: “Quæ placita sunt ei facio semper” 1295-1. Conformità che non è per lei se non un atto di
amore e di abbandono nelle mani di Dio; le preghiere, le azioni ordinarie, i
patimenti, le umiliazioni sue sono tutte imbevute di amor di Dio: Deus meus
et omnia.


1296.   Conclusione. Si può da
questo vedere chi sono coloro a cui conviene la via unitiva: sono quelli che
riuniscono le tre condizioni seguenti:

a) Una grande purità di cuore, vale a dire non solo la
espiazione e la riparazione delle colpe passate, ma anche il distacco da tutto
ciò che potrebbe condurre al peccato, l’orrore per ogni peccato veniale
deliberato e anche per ogni volontaria resistenza alla grazia; il che per altro
non esclude qualche colpa veniale di fragilità, che è del resto vivamente e
prontamente detestata. Questa purificazione dell’anima, abbozzata nella via
purgativa, perfezionatasi nella via illuminativa colla pratica positiva delle
virtù e colla generosa accettazione delle croci provvidenziali, riceverà nella
via unitiva il suo compimento colle prove passive che presto
descriveremo.

b) Una grande padronanza di sè, acquistata colla mortificazione
delle passioni e colla pratica delle virtù morali e teologali, che,
disciplinando le nostre facoltà, le assoggetta a poco a poco alla volontà e la
volontà a Dio. Si ristabilisce così, fino a un certo punto, l’ordine primitivo;
onde, padrona di sè, l’anima può darsi intieramente a Dio.

c) Un abituale bisogno di pensare a Dio, di trattenersi con
lui, e se, per dovere del proprio stato, attende a cose profane, si sforza di
non perdere di vista la divina presenza e si volge istintivamente verso di lui
come la calamita verso il polo: “oculi mei semper ad
Dominum
” 1296-1.


III. Nozione generale della contemplazione 1297-1.

A forza di pensare a Dio, uno fissa amorosamente lo sguardo su di lui, e si
ha così la contemplazione, che è una delle note caratteristiche di questa via.

1297.   1° Contemplazione naturale. Contemplare
in generale significa guardare un oggetto con ammirazione. C’è una
contemplazione naturale, che può essere sensibile,
immaginativa o intellettuale.

1) È sensibile, quando si guarda a lungo e con
ammirazione un bello spettacolo, per esempio, l’immensità del mare o una
maestosa catena di monti. 2) Si chiama immaginativa, quando uno
colla fantasia si rappresenta a lungo, con ammirazione ed affetto, cosa o
persona amata. 3) Si dice intellettuale o filosofica, quando
si fissa la mente con ammirazione e con sguardo complessivo su qualche grande
sintesi filosofica, per esempio, sull’Essere assolutamente semplice ed
immutabile, principio e fine di tutti gli esseri.

1298.   2° Contemplazione
soprannaturale.
Vi è pure una contemplazione soprannaturale e di
questa intendiamo parlare. Ne esporremo la nozione e le specie.

A) Nozione. La parola contemplazione indica, in senso
proprio
, un atto di semplice vista intellettuale, astraendo dai vari
elementi affettivi o immaginativi che l’accompagnano; ma, quando l’oggetto
contemplato è bello ed amabile, l’atto si associa ad ammirazione e amore. Per
estensione si chiama contemplazione un’orazione che ha per qualità
speciale il predominio di questo semplice sguardo; onde non è necessario
che questo atto duri tutto il tempo dell’orazione, basta che sia
frequente e accompagnato da affetti. L’orazione
contemplativa
si distingue quindi dall’orazione discorsiva, n. 667,
perchè esclude i lunghi ragionamenti; e dall’orazione affettiva, n. 976,
perchè esclude la moltiplicità degli atti che qualificano quest’ultima.
Si può dunque definirla: una vista semplice e affettuosa di Dio o delle cose
divine;
e più brevemente simplex intuitus veritatis, come dice
S. Tommaso 1298-1.

1299.   B) Specie. Si
possono distinguere tre specie di contemplazione: la contemplazione
acquisita, la contemplazione infusa e la contemplazione
mista 1299-1.

a) La contemplazione acquisita non è in fondo che orazione
affettiva semplificata e si può definire: una contemplazione in cui la
semplificazione degli atti intellettuali ed affettivi è il frutto della nostra
attività aiutata dalla grazia.
Spesso anche i doni dello Spirito Santo vi
intervengono in modo latente, massime quello della scienza,
dell’intelletto e della sapienza, per aiutarci a fissare
amorosamente lo sguardo su Dio, come spiegheremo più avanti.

1300.   b) La contemplazione infusa o
passiva è essenzialmente gratuita, e non possiamo procurarcela con i
nostri sforzi, aiutati dalla grazia ordinaria. Onde si può definirla: una
contemplazione in cui la semplificazione degli atti intellettuali ed affettivi
risulta da una grazia speciale, grazia operante, che s’impossessa di noi e ci fa
ricevere lumi ed affetti che Dio opera in noi col nostro consenso.


È quindi detta infusa, non perchè proceda dalle virtù
infuse, procedendone anche la contemplazione acquisita, ma perchè non è in
nostro potere il produrre questi atti, data pure la grazia ordinaria; non è però
Dio solo che opera in noi, perchè lo fa col libero nostro consenso, in
quanto che noi liberamente riceviamo ciò che egli ci dà. Se l’anima,
sotto l’influsso di questa grazia operante, è detta passiva, gli è perchè
riceve doni divini, ma, ricevendoli, vi dà il suo consenso 1300-1, come appresso spiegheremo. Da S. Teresa è
chiamata soprannaturale, perchè è tale per doppio ragione, primo per lo
stesso titolo degli altri atti soprannaturali, e poi perchè Dio opera in noi in
modo specialissimo.

1301.   c) Si distingue pure una contemplazione
mista. Vedremo infatti appresso che la contemplazione infusa è
talvolta brevissima; onde può accadere che, in una stessa orazione, gli
atti dovuti all’attività nostra si alternino con gli atti prodotti sotto
l’azione speciale della grazia operante; cosa che avviene specialmente a quelli
che cominciano ad entrare nella contemplazione infusa. La contemplazione è
allora mista, ossia alternativamente attiva e passiva; ma generalmente
viene classificata nella contemplazione infusa, di cui è, a così dire, il primo
grado.


IV. Divisione del libro terzo.

1302.   Nella via unitiva si possono distinguere due
forme o due fasi diverse: 1302-1

La via unitiva semplice o attiva, qualificata dalla coltura dei
doni dello Spirito Santo
, specialmente dei doni attivi, e dalla
semplificazione dell’orazione che diventa una specie di contemplazione
attiva o contemplazione impropriamente detta.

La via unitiva passiva o mistica in senso proprio, che è
qualificata dalla contemplazione infusa o contemplazione propriamente
detta.


3° Inoltre, alla contemplazione s’aggiungono talora fenomeni
straordinari
, come le visioni e le rivelazioni, a cui s’oppongono le
contraffazioni diaboliche, l’infestazione e l’ossessione.

4° In materie così difficili non è meraviglia che vi siano dispareri
od opinioni controverse, che esamineremo in un capitolo a parte.

A modo di conclusione, indicheremo quale dev’essere la condotta del
direttore verso i contemplativi.

NOTE
1289-1 Filippo della SS. Trinità, op.
cit.
, P. IIIª, Tr. I, dis. I; T. da Vallgornera, op.
cit.
, q. IV, dis. I; A. Saudreau, I gradi della Vita
spirituale
, t. II, Vita unitiva, Prologo (Marietti, Torino); P. Garrigou-Lagrange,
op.
cit
, t. I, Introduction.

1290-1 Gal., II, 20.

1291-1 Joan., XIV, 6.

1292-1 Elévations sur la vie… de N. S. J. C.,
elev. 52ª, t. I, p. 429.

1292-2 De imit., l. II, cap. I, 1.

1293-1 È
molto bene esposto da S. Tommaso, Iª IIæ, q. 61, a. 5: “Quædam vero sunt virtutes
jam assequentium divinam similitudinem, quæ vocantur virtutes jam purgati animi;
ita scilicet quod prudentia sola divina intueatur; temperantia terrenas
cupiditates nesciat; fortitudo passiones ignoret; justitia cum divinâ mente
perpetuo fœdere societur, eam scilicet imitando; quas quidem virtutes dicimus
esse beatorum vel aliquorum in hâc vitâ perfectissimorum.

1295-1 Joan., VIII, 29.

1296-1 Ps. XXIV, 15.

1297-1 P. de Guibert, R. A. M., aprile 1922, Trois
définitions de théologie mystique
, p. 162-172; Theologia spiritualis
ascetica et mystica
, Introductio (Romæ, 1926);
P. Garrigou-Lagrange, Perf. et contemplation, t. I, c. IV, a.
2, p. 272-294; Gabr. de S. Marie-Madel, La
contemplation acquise
, in Vie spirit., sett. 1923, p. [277].

1298-1 Sum theol., IIª IIæ, q. 180, a. 1 et 6.

1299-1 P. G. di S. M. Maddalena, La contemplation acquise chez
les Carmes
, Vie spirit., sett. 1923, p. [277].

1300-1 Si
può quindi dire della contemplazione ciò che S. Tommaso,
IIæ, q. 111, a. 2 ad 3,
dice della giustificazione: “Deus non sine nobis nos justificat; quia per motum
liberi arbitrii, dum justificamur, Dei justitiæ consentimus”.

1302-1 Questa divisione, più sotto un nome che sotto un altro, è oggi
comunemente ammessa da tutti. In un notevole articolo della Vie
Spirituelle
, marzo 1923, p. 645, G. Maritain, pur proclamando
l’unità del fine per tutti, cioè a dire l’unione con Dio per mezzo della carità
perfetta e dei doni dello Spirito Santo, ammette che di fatto ci sono due vie,
la via di coloro che sono sotto il governo dei doni attivi e che non
hanno se non la contemplazione impropriamente detta, e la via dei
contemplativi, in cui dominano i doni dell’intelletto e della sapienza.
Ritorneremo su questa dottrina.