Di Adolfo Tanquerey. CAPITOLO II. Natura della vita cristiana. B) Unione tra l’anima nostra e Dio. 2° Delle virtù e dei doni, o delle facoltà dell”Ordine soprannaturale. A) Esistenza e natura. B) Delle virtù infuse.
B) Unione tra l’anima nostra e Dio.
115. Da ciò che abbiamo detto sull’abitazione della SS. Trinità nell’anima nostra (n. 92), risulta che tra noi e l’ospite divino corre un’unione morale intimissima e santificantissima.
Ma non c’è forse qualche cosa di più, qualche cosa di fisico 115-1 in quest’unione?
116. a) I paragoni usati dai Padri sembrerebbero indicarlo.
1) Un gran numero di essi ci dicono che l’uonione di Dio coll’anima è simile a quella dell’anima col corpo: “In noi vi sono, dicce S. Agostino, due vite, la vita del corpo e la vita dell’anima; la vita del corpo è l’anima, la vita dell’anima è Dio “sicut vita corporis anima, sic vita animar Deus 116-1.” È chiaro che si tratta solo di analogie; ma studiamoci di cavarne la verità che contengono. L’unione tra il corpo e l’anima è sostanziale, così che non formano più che una sola e medesima natura, una sola e medesima persona. Non è così dell’unione dell’anima con Dio: noi conserviamo sempre la nostra natura e la nostra personalità e restiamo quindi essenzialmente distinti dalla divinità. Ma, come l;anima dà al corpo la vita di cui gode, così Dio, senza essere forma dell’anima, le dà la vita soprannaturale, vita non uguale ma veramente e formalmente simile alla sua; e questa vita costituisce un’unione realissima tra l’anima e Dio. Suppone una realtà concreta che Dio ci comunica e che serve di vincolo unitivo tra lui e noi; questa nuova relazione non aggiunge certamente nulla a Dio, ma perfeziona l’anima nostra e la rende deiforme; lo Spirito Santo quindi diviene non causa formale, ma causa efficiente ed esemplare della nostra santificazione.
117. 2) Questa stessa verità si deduce dal paragone che alcuni autori 117-1 fanno tra l’unione ipostatica e l’unione dell’anima nostra con Dio. Vi è certamente tra le due una differenza essenziale: l’unione ipostatica è sostanziale e personale, perchè la natura divina e la natura umana, sebbene perfettamente distinte, non formano più in Gesù Cristo che una sola e medesima persona, mentre che l’unione dell’anima con Dio per mezzzo della grazia, ci lascia la nostra personalità, essenzialmente distinta dalla personalità divina, e non ci unisce a Dio se non in modo accidentale: “Si compie infatti per mezzo della grazia santificante, che è un accidente aggiunto alla sostanza dell’anima; ora, in linguaggio scolastico, l’unione d’un accidente e d’una sostanza si chiama unione accidentale 117-2“.
Ma rimane pur sempre vero che l’unione dell’anima con Dio è un’unione di sostanza a sostanza, 117-3 e che l’uomo e Dio vengono in contatto così intimo come il ferro e il fuoco che l’avvolge e lo penetra, come il cristallo e la luce. Per dir tutto in una parola, l’unione ipostatica fa un uomo-Dio, l’unione della grazia fa degli uomini divinizzati; e come le azioni di Cristo sono divino-umane o teandriche, così le azioni del giusto sono deiformi, fatte in comune da Dio e da noi, e per questo titolo meritorie della vita eterna, la quale non è altro che la unione immediata con la Divinità. Possiamo quindi dire col P. de Smedt, 117-4 “che l’unione ipostatica è il tipo della nostra unione con Di oper mezzo della grazia, e che questa ne è l’immagine più perfetta che una pura creatura posa riptodurre in sè”.
Concludiamo collo stesso autore che l’unione della grazia non è puramente morale, ma contiene un elemento fisico che ci permette di chiamarla fisico-morale: “La natura divina è veramente nel suo essere stesso unita alla sostanza dell’anima per mezzo di un vincolo speciale, per modo che l’anima giusta possiede in sè la natura divina come cosa che le appartiene, e quindi possiede un carattere divino, una perfezione d’ordine superiore a tutto ciò che può esservi di perfezione naturale in una creatura qualsiasi reale o possibile 117-5.
118. b) Se, lasciando da parte i paragoni, studiamo il lato dottrinale della questione, arriviamo alla stessa conclusione. 1) In cielo gli eletti vedono Dio faccia a faccia, senza alcun intermedio; la stessa essenza divina fa l’uffucio di specie impressa: “in visionie qua Deus per essentiam videbitur, ipsa divina essentia erit quasi forma intellectus qua intelliget 118-1“. Vi è dunque tra essi e la Divinità un’unione vera, reale, che si può chiamare fisica, perchè Dio non può essere visto e poseduto che a patto d’essere presente al loro intelletto colla sua essenza, e non può essere amato, se non è effettivamente unito alla loro volontà come oggetto d;amore: “amor est magis unitivus quam cognitio 118-2“. Ora la grazia altro non è che un principio e un germe della gloria: “gratia nihil est quam inchoatio gloriæ in nobis 118-3“.
L’unione dunque cominciata sulla terra tra l’anima nostra e Dio per mezzo della grazia è in sostanza dello stesso genere di quella della gloria, reale e in un certo senso fisica come questa. Tal è la conclusione del P. Froget nel suo bel libro L’abitazione dello Spirito Santo (p. 159), appoggiandosi su numerosi testi di S. Tommaso: «Dio è dunque realmente, fisicamente, sostanzialmente presente nel cristiano che ha la grazia; e non è già una semplice presenza materiale ma un vero possesso accompagnato da un proncipio di godimento».
2) La medesima conclusione discende pure dall’analisi della grazia stessa. Stando all’insegnamento dell’Angelico Dottore, che si fonda sugli stessi testi scritturali che abbiamo citati, la grazia abituale ci è data per godere non solo dei doni di Dio, ma delle stesse persone divine; “Per donum gratiæ gratum facientis perficitur creatura rationalis ad hoc quod libere non aolum ipso dono creato utatur, sed ut ipsâ divinâ personâ fruatur 118-4“. Ora, aggiunge un discepolo di S. Bonaventura, per godere d’una cosa è necessaria la sua presenza, e quindi per godere dello Spirito Santo la sua presenza è necessaria come necessario è il dono creato che ci unisce a lui 118-5. E poichè la presenza del dono creato è reale e fisica, quella dello Spirito Santo non dovrà forse essere dello stesso genere?
Ecco dunque che le deduzioni della fede come i paragoni dei Patri ci autorizzano a dire che l’unione dell’anima nostra con Dio per mezzo della grazia non è soltanto morale, che non è neppure sostanziale in senso proprio, ma che è talmente reale da potersi chiamare fisico-morale. Restando però essa velata ed oscura ed essendo progressiva, nel senso che noi ne percepiamo tanto meglio gli effetti quanto più coltiviamo la fede e i doni dello Spirito Santo, le anime ferventi che sospirano l’unione divina, se sentono vivamente sollecitate ad avanzarsi ogni giorno più nella pratica elle virtù e dei doni.
2° DELLE VIRTÙ E DEI DONI, O DELLE FACOLTÀ DELL’ORDINE SOPRANNATURALE.
Richiamatane prima l’esistenza e la natura, parleremo per ordine delle virtù e dei doni.
A) Esistenza e natura.
119. La vita soprannaturale inserita nell;anima nostra per mezzo della grazia abituale richiede, per operare e svilupparsi, delle facoltà di ordine soprannaturale, che la liberalità divina generosamente ci concede sotto nome di virtù infuse e di doni dello Spirito Santo: “L’uomo giusto, dice Leone XIII, che vive della vita della grazia e che opera per mezzo della virtù, che tengono in lui il posto di facoltà, ha pure bisogno dei doni dello Spirito Santo: Homini iusto, vitam scilicet viventi divinæ gratiæ et per congruas virtutes tamquam facultates agenti, opus plane est septenis illis quæ proprie dicuntur Spiritus Sancti donis 119-1“. Conviene infatti che le nostre facoltà naturali, le quali da sè stesse non possono produrre che atti del medesimo ordine, siano perfezionate e divinizzate da abiti infusi, che le elevino e le aiutino ad operare oprannaturalmente. E Dio, infinitamente liberale qual è, ce ne da di due specie: le virtù, che, sotto la direzione della prudenza, ci abilitano a operare soprannaturalmente col concorso della grazia attuale; e i doni che ci rendono così docili all’azione dello Spirito Santo che, guidati da una specie di divino istinto, siamo, per così dire, mossi e diretti da questo divino Spirito. Bisogna però notare che questi doni, i quali ci sono conferiti colle virtù e colla grazia abituale, non vengono esercitati con frequenza ed intensità se non dalle anime mortificate che, con una lunga pratica delle virtù morali e teologali, acristarono quella soprannaturale pieghevolezza, onde rendonsi intieramente docili alle ispirazioni dello Spirito Santo.
120. La differenza essenziale tra le virtù e i doni deriva dunque dal loro diverso modo di operare in noiL nella pratica delle virtù, la grazia ci lascia attivi, sotto l’influsso della prudenza; nell’uso dei nodi, raggiunto che abbiano il loro pieno sviluppo, richiede da noi più docilità che attività, come esporremo meglio trattando della via unitiva. Intanto un paragone ci aiuterà a capire: quando una madre insegna a camminare al figlio, ora si contenta di guidarne i passi impedendogli di cadere, ora lo prende tra le braccia per fargli superare un ostacolo o per farlo riposare; nel primo caso si ha la grazia cooperante delle virtù, nel secondo si ha la grazia operante dei doni.
Ma da ciò risulta che, normalmente, gli atti compiti sotto l’influsso dei doni sono più pefetti di quelli che si compiono solamente sotto l’influsso delle virtù, appunto perchè l’azione dello Spirito Santo nel primo caso è più attiva e più feconda.
B) Delle virtù infuse.
121. È certo, secondo la dottrina del Concilio di Trento, che nel momento stesso della giustificazione riceviamo le virtù infuse della fede, della speranza e della carità 121-1. Ed è dottrina comune, confermata dal Catechismo del Concilio di Trento 121-2, che anche le virtù morali della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza ci sono comunicate nello stesso momento. Non dimentichiamo però che queste virtù ci danno, non la facilità, ma il potere soprannaturale prossimo di fare atti soprannaturali; saranno necessari ripetuti atti per aggiungervi quella facilità che viene dall/abitudine acquisita.
Vediamo come queste virtù rendono soprannaturali le nostra facoltà.
a) Le une sono teologali, perchè hanno Dio per ogggetto materiale e qualche attributo divino per oggetto formale. La fede ci unisce a Colui che è la sorgente della nostra felicità, sempre pronto a versare su noi le sue grazie per compiere la nostra trasformazione ed aiutarci col suo potente soccorso a fare atti di confidenza assoluta e di filiale abbandono. La carità ci eleva a Dio sommamente buono in se stesso; e, sotto il suo influsso, noi ci compiacciamo delle infinte perfezioni di Dio più che se fossero nostre, desideriamo che siamo conosciute e glorificate, stringiamo con Lui una santa amicizia, una dolce familiarità e così diventiamo ognor più a lui somiglianti. Queste tre virtù teologali ci uniscono dunque direttamente a Dio.
122. b) Le virtù morali, cha hanno per oggetto un bene onesto distinto da Dio e per motivo l’onestà stessa di quest’oggetto, favoriscono e perpetuano questa unione con Dio, regolando le nostre azioni in modo che, non ostante gli ostacoli che si trovano dentro e fuori di noi, tendano continuamente verso Dio. Così la prudenza ci fa scegliere i mezzi migliore per tendere al nostro fine soprannaturale. La giustizia, facendoci rendere al prossimo ciò che gli è dovuto, santifica le nostre relazioni coi nostri fratelli in modo da avvicinarci a Dio. La fortezza arma l’anima nostra contro la prova e la lotta, ci fa sopportare con pazienza i patimenti e intrapredere con santa audacia le più rudi fatiche per procurare la gloria di Dio. E, poichè il piacere colpevole ce ne distoglierebbe, la temperanza modera il nostro ardore pel piacere e lo subordina alla legge del dovere. Tutte queste virtù hanno dunque per ufficio di allontanare gli ostacoli e anche di somministratci mezzi positivi per andare a Dio 122-1.
NOTE
115-1 Unione fisica, in teologia, non vuol dire unione materiale, ma unione reale.
116-1 Enarrat. in psal. 70; sermo 2, n. 3, P. L. XXXVI, 893.
117-1 Bellamy, La Vie surnaturelle, p. 184-191.
117-2 Cardinal Mercier, La Vie intèrieur, éd. 1919, p. 392.
117-3 Questo è in fondo il pensiero del Card. Mercier, quando aggiunge (l. c.) “Nondimeno in un certo senso quest’unione è sostanziale, perchè per un verso si fa da sostanza a sostanza, senza l’interposizione d’un alcun accidente naturale e per l’altro mette l’anima in comunicazione diretta con la sostanza divina e mette questa sostanza divina immediatamente a sua portata, come un bene di cui ha facoltà di godere e di disporre”. Così spiegano le impressioni dei Mistici, che, con San Giovanni della Croce, parlano di quei contatti divini “che avvengano tra la sostanza dell’anima e la sostanza di DIO, nel commercio di un’intima conoscenza amorosa” (Notte, l. II, c. 23). Il P. Poulain, “Grâces d’Oraison” c. VI, (Delle Grazia d’Orazione, Marietti, Torino) raccolse nelle Citazioni un gran numero di testi del Contemplativi su questo argomento.
117-4 Notre Vie surnaturelle, p. 51.
117-5 Op. cit., p. 49.
118-1 S. Tommaso, Sum. theol., Suppl., q. 92, a. 1, ad 8.
118-2 Sum. theol., IIa IIæ, q. 28, a. 1, ad 3.
118-3 Sum. theol., IIa IIæ, q. 24, a. 3, ad 2. Tal è pure il pensiero di Leone XIII, nella sua Enciclica Divinum illud munus: “Hæc autem mira coniunctio, quæ suo nomine inhabitatio dictur, conditione tantum seu statu ad ea discrepat qua cælites Deus beando complectitur”. Cavallera, Thesaurus doctrinæ cathol., n. 546.
118-4 Sum. theol., I, q. 43, a. 3, ad 1.
118-5 Ps.-Bonaventura, Compend. Theol. veritatis, l. I, c. 9.
119-1 Leo XIII, Encycl. Divinum illud munus, 9 maggio 1897.
121-1 “In ipsâ iustificatione… hæc omnia simul infusa accipit homo, fidem, spem et caritatem” (Trid., sess. VI, c. 7).
121-2 Catech. Trid., p. 11, De baptismo, n. 42.
122-1 Spiegheremi in particolare queste virtù nella seconda parte, trattando della via illuminativa; i doni dello Spirito Santo poi li colleghiamo alla via unitiva.