Cuore sacerdotale vivificato dalla santità
TITO M. SARTORI – Postulatore
Scorgere la santità di don Ferdinando Maria Baccilieri, non risulta difficile. Il suo fu infatti un appuntamento quotidiano con il Signore, un appuntamento svincolato da rigidità di forme e unicamente ispirato al colloquio con Lui nel cuore della notte. La giornata del Baccilieri iniziava infatti verso le 3.30 del mattino. La sua stessa morte ne è conferma: egli si spegnerà alle 3.40 del 13 luglio 1893, con il capo chino sul libro di meditazione aperto sul tavolino dello studio.
Cuore mite e umile, paziente, amante della pace e della concordia, sensibile alle situazioni più disagiate della sua gente, egli amava parlare con Dio quando tutt’intorno, nella quiete solenne della campagna e nell’alto silenzio delle cose, si creavano le condizioni per immergersi profondamente nella vita divina. Il colloquio personale con il Signore si concludeva con la celebrazione della Santa Messa alle cinque del mattino. A questo proposito le testimonianze sono unanimi. Quella del Baccilieri era una celebrazione diversa da quella degli altri sacerdoti. Non erano né le parole né i gesti a diversificarla, ma la convinzione interiore, la penetrazione del Mistero che si stava svolgendo sull’altare, la partecipazione accorata di lui al gesto celebrativo, quel suo penetrare nella verità sconcertante delle parole pronunciate con le labbra, identificando se stesso nella Passione e Morte del Signore, rivivendo le fasi dell’amore cruento del Salvatore divino. I testimoni parlano infatti di una specie di luce che emanava dalla persona di lui, pur ammettendo che nulla di straordinario, dal punto di vista del rito, accadeva. Era come se sull’altare calasse una luce dall’alto, tutto trasfigurando e sublimando. Quella ricchezza d’amore divino di cui era vivificato il cuore sacerdotale del Baccilieri poi si diffondeva a macchia d’olio in tutta l’attività della giornata. I primi a beneficiarne erano loro, i suoi parrocchiani, ma non solo essi. La conoscenza del loro parroco datava da tanto tempo. Era ancora viva nella memoria la trasformazione operata da lui nel giugno del 1851, appena giunse, trentenne, a Galeazza. Convinto di rimanervi per pochi giorni, si dette a spiegare loro la realtà del peccato e della misericordia divina. Le sue parole suadenti cariche di verità, scossero profondamente l’animo dei parrocchiani, che, numerosi, mattino e pomeriggio sentivano il bisogno di deporre nel cuore dell’allora Vicario economo, il peso delle colpe e la pesantezza dei rimorsi. La chiesa parrocchiale si ripopolò. All’arrivo del Baccilieri bisce, rospi ed erbacce punteggiavano il pavimento del tempio. Nel giro di due settimane avvenne come una trasformazione collettiva. Quelle anime, allontanate prima da Dio a causa della scorrettezza di vita del parroco precedente, da tempo ormai sentivano il bisogno quasi
Pronto a raccogliere le confidenze della sua gente, disponibile a rimanere abitualmente anche dieci ore al giorno nel confessionale, don Baccilieri a tutti cercava di donare pace e serenità insieme a tanto conforto. Diceva sempre che la confessione è l’incontro con la misericordia e con l’amore divino e che il Signore null’altro desidera se non dare sollievo alle anime. E ce n’era di bisogno. Avvicinando le persone, raccogliendone le confidenze, egli sentiva snocciolare di continuo, afflizioni causate da situazioni familiari, sociali, economiche pesanti. Il Baccilieri intuì che il primo suo compito era quello di condurre queste anime ai piedi della croce del Signore per attingervi forza e coraggio. Quel tragitto l’aveva percorso anche lui, quando, malato, aveva dovuto lasciare il noviziato dei Gesuiti, a Roma, per tornare a casa dai suoi. Nel volto dolente della Madre di Gesù aveva trovato un dolore vicino al suo, sentì che Lei poteva capirlo ed aiutarlo. Lo aiutò infatti e lui diverrà poi sacerdote. Ora, prima economo spirituale e poi parroco di Galeazza, spettava a lui condurre le persone, affidategli dalla carità della Chiesa, dalla stessa Madre, perché leggessero nelle sofferenze di Lei, riflesso il proprio patire unito all’angoscia per i giorni tristi, attingendo da quel cuore immacolato, speranza e fiducia per continuare il cammino quotidiano. Fu scelta provvidenziale. L’amore alla Vergine Addolorata divenne il punto di riferimento spirituale per tutti. Lei, che sotto la croce, accoglieva in grembo il proprio Figlio morto, rimandava ognuno al sacramento eucaristico per accogliere nel proprio cuore il Gesù risorto fino a
Il suo carisma continua nel tempo
M. NORBERTA SANDRI – Priora Generale delle Serve di Maria di Galeazza
La beatificazione di don Ferdinando Maria Baccilieri è un evento che segna in profondità la storia delle Serve di Maria di Galeazza e, contemporaneamente, ne riconosce l’originalità del carisma e la preziosità del servizio al Regno di Dio nella Chiesa. Le origini della Congregazione, infatti, sono pienamente legate al suo ministero di parroco di Galeazza e alla sua profonda stima nei confronti della donna e delle sue possibilità umane ed intellettuali. Di qui il suo contributo per l’educazione e promozione della donna, allora esclusa dall’ambito dell’istruzione e della responsabilità; di qui la fondazione della prima comunità di «mantellate» Serve di Maria di Galeazza (23 giugno 1862). Pienamente inserite allora nella parrocchia di Galeazza, pienamente inserite oggi nelle diverse realtà culturali ed ecclesiali, le Serve di Maria di Galeazza vogliono vivere e testimoniare le tre caratteristiche tipiche del carisma servitano: «spiritualità mariana, vita fraterna, servizio».
Nell’arco di questi 130 anni, la famiglia religiosa si è estesa da Galeazza in varie diocesi italiane, nella Germania, nelle regioni brasiliane dell’Amazzonia e della Bahia, nella Corea del Sud e recentemente nella Repubblica Ceca. Attualmente operano con 32 comunità: in Italia (17), in Germania (5), in Brasile (4), nella Corea del Sud (5), nella Repubblica Ceca (1), e sono presenti in 16 diocesi: Bologna, Modena-Nonantola, Vicenza, Venezia, Roma, Macerata-Tolentino-Cingoli-Treia, Pisa, San Marco Argentano-Scalea, Köln, Aachen, Sao Salvador da Bahia, Rio Branco, Seoul, Cheongju, Suwon, Ceské Budejovice.
Confortate e rafforzate dal dono che viene dalla Chiesa con la Beatificazione di don Ferdinando Maria Baccilieri, ispirandosi alla sua testimonianza profetica, vogliono in particolare continuare ad evidenziare e a vivere i valori dell’accoglienza senza distinzioni, dell’amicizia senza preclusioni, della vicinanza ad
Come Lui, contemplano ancora Maria ai piedi della Croce per essere sempre e di nuovo accanto alle infinite croci dell’umanità di oggi, per illuminarle con lo splendore che viene dal Redentore e per
Curato di campagna e apostolo di carità vissuto nella pura semplicità evangelica
MARIA GRAZIA LUCCHETTA – Vice-Postulatrice
Il beato Ferdinando Maria Baccilieri nacque a Campodoso nella parrocchia di Reno Finalese, situata nel
Ritornato a Reno Finalese, come cooperatore del parroco, dal 1844 al 1851 attese con zelo ed assiduità al ministero della predicazione, invitato anche in altre parrocchie e diocesi. In questo periodo fu pure insegnante e direttore spirituale nel seminario di Finale Emilia e conseguì anche la laurea in diritto civile ed ecclesiastico presso la Pontificia Università di Bologna. Contro ogni previsione e suo desiderio, gli fu affidata la cura della parrocchia di S. Maria di Galeazza nel paese di Galeazza Pepoli, appartenente all’Arcidiocesi di Bologna, di cui fu nominato parroco nel 1852. In quella piccola comunità, di 627 abitanti, che si trovava in condizioni morali e religiose tutt’altro che felici, don Ferdinando Maria esplicò senza interruzione per tutto il resto della sua vita un incisivo e fruttuoso apostolato, rifiutando anche incarichi ecclesiastici di maggiore dignità che gli furono proposti. Non trascurò nulla che potesse giovare al bene delle anime, che guidò con amore e sapienza sulle vie di
La continuità del suo progetto pastorale e il frutto del suo essere parroco si ebbe nella Congregazione delle Suore Serve di Maria di Galeazza, che egli istituì con alcune giovani, iscritte al Terz’Ordine dei Servi e delle Serve di Maria, al quale anch’egli apparteneva. Questa nuova famiglia religiosa, nata per attendere all’insegnamento della dottrina cristiana, all’educazione delle fanciulle povere, alla cura dei malati soli e abbandonati, e al servizio della Chiesa, fece i primi passi nel 1855, iniziò la vita comune il 23 giugno 1862 e fu approvata dall’Arcivescovo di Bologna nel 1899. Ricco di meriti concluse la vita terrena, quasi improvvisamente, il 13 luglio 1893 nella casa parrocchiale, mentre attendeva alla meditazione quotidiana sulla Passione del Signore. Le attestazioni sulla fama di santità furono immediate. L’amico don Ettore Malavolti lo disse: «sacerdote secondo il cuore di Dio, potente in opere e parole, apostolo di pace e carità»; a lui faceva eco il redentorista P. Ernesto Bresciani che, con le parole dell’Ecclesiastico, lo dichiarava «amato da Dio e dagli uomini, la cui memoria è in benedizione».
Su tutti però si levava l’autorevole voce del Card. Lucido Maria Parocchi che, a pochi giorni dalla morte, attestava: «Molti pii e zelanti sacerdoti ho conosciuti nella diocesi di Bologna, ho grande stima di tutti; ma un’anima di Dio come il parroco della Galeazza, io non l’ho conosciuta mai. Non era in lui una ordinaria santità, ma una santità speciale, che però in lui era comune, attesa la sua disinvoltura. Era una gran bell’anima, un santo, e la diocesi di Bologna ha perduto in lui un santo esemplare. Io ho sempre nutrita per d. Ferdinando una stima veramente singolare. Egli era un Curato d’Ars in compendio». Una santità la sua, contraddistinta da connotati peculiari: la normalità, perché la sua vita non fu segnata da fatti prodigiosi, poiché egli praticò tutte le virtù cristiane «in modo eminente, ma senza ostentazione, senza rumore, senza singolarità»; la semplicità evangelica, per cui rifuggì dalla pubblicità e amò «nesciri et pro nihilo reputari», rimanendo per tutta la vita «un povero curato di campagna…, avvezzo a trattare con persone alla buona»; l‘interiorità che trova la sua fonte e il suo culmine nell’unione con Dio, perseguita nella preghiera, meditazione, e particolarmente nell’amore
È proprio da questa fama di santità, sempre viva nel tempo, che è scaturita l’indagine canonica necessaria per giungere alla tappa tanto desiderata della beatificazione. Indagine iniziata nel 1927 con l’apertura del processo diocesano, e conclusa nel 1998 con il decreto sul miracolo attributo alla intercessione di don Ferdinando Maria.
La beatificazione corona ora le attese di tre diocesi: Bologna, dove il Baccilieri ha operato come parroco
La sua testimonianza resta come modello per i pastori della comunità parrocchiale
Card. GIACOMO BIFFI – Arcivescovo di Bologna
Parroco per quarantun anni di Galeazza nella bassa bolognese, don Ferdinando M. Baccilieri ha fatto in maniera eccellente tutto ciò che un parroco deve fare.
Il parroco è in mezzo alla sua gente il primo testimone del mondo invisibile, l’annunciatore del Regno, l’educatore della fede, la voce che richiama la legge di Dio e le esigenze della vocazione battesimale, il maestro della carità. Ma è anche il capo della comunità cristiana, il responsabile primo della sua corretta
Fu proprio l’ansia apostolica di voler raggiungere tutte le anime a lui affidate, che portò il parroco don Baccilieri a costituire molte confraternite laicali, ma poi a curare in modo particolare, con la proposta del Terz’ordine dei Servi di Maria, la vita spirituale di alcuni laici, ponendo così le basi per lo sviluppo della congregazione delle Serve di Maria di Galeazza.
La vita consacrata, quale modo esigente di porsi al servizio di Dio e del prossimo, realizzava la proposta di vita cristiana da lui curata attraverso la predicazione, il confessionale e la testimonianza di carità, assecondando il cammino delle anime più generose. La famiglia religiosa sorge così quasi come sviluppo naturale della pastorale parrocchiale, secondo i piani di Dio; don Baccilieri si era trovato ad essere parroco «suo malgrado» e diventa fondatore per caso. Si può forse dire che non aveva piani
Il segreto della sua donazione senza sconti si trova nella devozione alla Vergine Addolorata. Questa devozione, che aveva conosciuto fin da ragazzo, divenne l’anima della sua vita sacerdotale e l’ispirazione del suo ministero. Scriveva sulle condizioni per una vera devozione a Maria: «La prima è fuggire anche i peccati veniali commessi con avvertenza; la seconda, compiere opere sante; la terza, onorarla con preghiere, visitarla nelle sue immagini». E alle sue figlie aggiungeva: «Maria da voi vuole
La sofferenza della povera gente rurale del secolo scorso trovava nei dolori di Maria motivo di consolazione e speranza; lo stesso don Ferdinando, tormentato per tutta la vita da un «male oscuro», sapeva per esperienza quanto dovesse alla protezione dell’Addolorata, la Madre che condivide il dolore del Figlio crocifisso. Non si può guardare alla Madre, senza arrivare a Gesù che dalla sua croce vuole attirare tutti a Sé. È lui la vera speranza e l’unica salvezza che Maria ci fa incontrare; don Ferdinando l’aveva capito, e oggi dalla cattedra della gloria riconosciutagli dalla Chiesa lo ricorda anche a noi.
La guarigione miracolosa di una suora delle Serve di Maria di Galeazza
La fama di santità del Servo di Dio è stata sempre accompagnata da numerose grazie attribuite alla di lui intercessione. Per procedere alla beatificazione, la Postulazione ha presentato all’esame della Congregazione delle Cause dei Santi il caso di una guarigione, avvenuta nel 1970, a favore di suor M. Vincenzina Bovina, nativa proprio di Galeazza il paese dove operò il Servo di Dio.
Suor M. Vincenzina Bovina, appartenente alla Congregazione delle Suore Serve di Maria di Galeazza, la famiglia religiosa fondata dal Servo di Dio, venne ricoverata all’ospedale di Modena il 23 dicembre 1969 con un sospetto di addome acuto, essendo affetta da febbre alta, dolori alla fossa iliaca destra, nausea e altri disturbi. Furono subito eseguiti gli accertamenti diagnostici preoperatori che dimostrarono la presenza di un processo espansivo organico improntante il fondo del cieco.
Il successivo intervento chirurgico, effettuato il 5 gennaio 1970, palesò infatti l’esistenza di una massa estesa, che conglobava le ultime anse dell’intestino tenue, il mesentere e il cieco. Ritenendo impraticabile l’asportazione chirurgica, vennero liberate alcune anse e compiuta una ileotransversostomia a scopo derivativo, per ovviare alla sopravvenuta occlusione intestinale.
Non si effettuò biopsia, essendo certa la diagnosi di neoplasia e perché il prelievo bioptico necessario per l’esame istologico avrebbe comportato rischio per la paziente.
Avendo i medici emessa una prognosi infausta, le consorelle della malata, come di consuetudine, iniziarono ad invocare l’intercessione del loro Padre Fondatore perché ottenesse da Dio la guarigione di Suor Maria Vincenzina. L’intervento dall’alto non tardò a palesarsi; infatti, alla conclusione di una seconda novena, il giorno 22 febbraio 1970, l’inferma percepì di essere improvvisamente guarita e il 2 febbraio successivo, quando lasciò l’ospedale, il professore la salutò con le seguenti parole: «Un santo
In entrambe le riunioni, sia dei Consultori, sia dei Cardinali e Vescovi, al dubbio proposto se constasse di un miracolo compiuto per intervento divino, fu data risposta affermativa. Il 3 luglio 1998, alla presenza del Santo Padre Giovanni Paolo II fu promulgato il decreto sul miracolo. Decreto che apriva la strada alla beatificazione, stabilita poi per il 3 ottobre 1999.
M.G.L.
L’attualità del messaggio di un sacerdote esemplare
CLAUDIO STAGNI – Vescovo ausiliare di Bologna
Che cosa può dire oggi il beato Ferdinando M. Baccilieri, in modo particolare ai parroci? Anzitutto ricorda l’unità profonda tra la vita e il ministero del prete, per cui non si può mai paragonare il ruolo del presbitero a quello di un qualsiasi funzionario. La conformità a Cristo in don Ferdinando si manifesta nell’intensa vita spirituale, nella preghiera prolungata, nella sofferenza di una salute precaria, nello studio e nella conoscenza della mentalità del tempo, nell’angustia per coloro che vivono lontano dalla fede e nella ricerca zelante dei mezzi più efficaci per l’evangelizzazione.
In secondo luogo è proprio il suo ministero pastorale che impressiona, sia per le ore dedicate al confessionale, sia per la varietà di proposte per coinvolgere i laici nelle varie confraternite, sia nella frequenza delle missioni al popolo per raggiungere i lontani, sia nella promozione umana delle fanciulle
di Galeazza. Don Baccilieri di fronte ai tempi difficili non l’ha presa persa. Ha rivelato una fede nell’opera della Chiesa e nell’efficacia della parrocchia che stupisce ancora oggi, quando si vorrebbe troppo in fretta abbandonare questo modo di radicare la Chiesa in mezzo alla gente per portarla a Cristo.
Don Baccilieri ha dato l’esempio della stabilità nel ministero di parroco, una volta che, giuntovi «suo
(C) L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 3 Ottobre 1999