"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica". BEATITUDINE: è l\’ultima perfezione dell\’ente intellettuale. San Severino Boezio la definisce: «Stato perfetto per il cumulo di tutti i beni» (De Consol. philos., III, 2).
La beatitudine va considerata oggettivamente e soggettivamente (formaliter): nel primo senso è il bene sommo capace di rendere beato l\’ente intellettuale; nel secondo senso è la felicità del soggetto intellettuale che gode di quel bene. Scoto e in parte S. Bonaventura ripongono di preferenza la beatitudine in un atto di volontà (amore); S. Tommaso la ripone principalmente nell\’intelletto (cognizione), a cui tiene dietro la volontà, Per l\’uomo nello stato attuale la beatitudine è la visione beatifica (v. questa voce), cioè Dio visto intuitivamente nella sua essenza (fine supremo soprannaturale). Ma la beatitudine compete anzitutto a Dio in sommo grado: difatti oggettivamente è il sommo bene; soggettivamente si conosce e si ama infinitamente e perciò è infinitamente beato. Questa divina beatitudine non può essere né aumentata né diminuita dalle creature: quando la Rivelazione parla del dolore di Dio o dell\’accresciuto gaudio di Dio, usa un linguaggio figurato per farsi intendere dagli uomini. Con l\’Incarnazione Dio si è messo in condizione di gustare le nostre gioie ei nostri dolori con cuore umano. La voce beatitudine è usata anche a significare le otto norme promulgate da Gesù nell\’Evangelo (Mt. 5, 3-11); «Beati i poveri… Beati i miti…» ecc. Esse vanno sotto il nome di discorso della montagna e sono la sintesi del messaggio evangelico.