BB. G. SALÈS (1556-1593) e G. SALTAMOCHIO (1557-1593).

Caratteristica di tutta la vita del Beato P. Salès fu una fervente devozione alla SS. Eucaristia, allora molto combattuta dai calvinisti. Non passava giorno che non andasse più volte ad adorarla e, quando diceva la Messa, non c’era pericolo che si distraesse. Non meraviglia quindi che i suoi confratelli sperimentassero un calore particolare ogni volta che facevano i ritiri spirituali sotto la direzione di lui.
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Coloro che conobbero Fratel Guglielmo asseriscono che, anche se esternamente appariva trascurato, timido e impacciato, era “così eminente per la sua applicazione all’orazione, per la sua ingenua semplicità, per la dolcezza del carattere e specialmente per l’ubbidienza, da sembrare di essere nato soltanto per il martirio. Coloro che lo conobbero intimamente lo stimavano un angelo sceso dal cielo, rivestito di corpo umano”.

Questi due gesuiti, martirizzati dagli ugonotti calvinisti in Aubenas, nella diocesi di Viviers (Francia), in odio alla fede cattolica e all’Eucaristia, furono beatificati da Pio XI il 6-6-1926.
        Giacomo nacque il 21-3-1556 a Lezoux, nella diocesi di Clermont, nell’Alvernia, da poveri genitori. Rimasto presto orfano di madre, crebbe studioso e pio sotto la guida del padre, che il vescovo di Clermonr aveva nominato suo maggiordomo. A sette anni cominciò a frequentare la chiesa per servire il maggior numero possibile di Messe. Un sacerdote, commosso di tanta sua pietà, lo iniziò agli studi in cui egli fece tali progressi da guadagnarsi un posto gratuito nel collegio di Billum (1568-1572), eretto dal vescovo di Clermont, Mons. Guglielmo du Prat e affidato alla direzione dei Gesuiti.
         In quel tempo il Beato si sentì chiamato a entrare nella Compagnia di Gesù. La sua richiesta fu accettata, ma prima di trasferirsi a Verdun per il noviziato, andò per qualche mese a seguire il corso di retorica nel celebre collegio che il vescovo di Clermont aveva fatto erigere a Parigi. Dopo la professione religiosa, Giacomo, essendo dotato d’acuto ingegno e retto giudizio, fu particolarmente brillante negli studi. Frequentò il corso di filosofia nell’università di Pont-à-Mousson e quindi nel collegio di Clermont, dove approfondì pure le scienze fisiche e matematiche, nonostante fosse tormentato dall’asma e da una strana malattia che gli dava continuamente un senso di fame.
          Dopo la laurea in lettere e filosofia, il Beato insegnò filosofia all’università di Pont-à-Mousson, poi andò a terminare lo studio della teologia nel collegio di Clermont. Ordinato sacerdote a Parigi il Sabato Santo 1585, sei mesi più tardi fu ammesso alla professione solenne dei quattro voti. Dal 1586 al 1589 il suo insegnamento filosofico a Pont-à-Mousson destò l’ammirazione di tutti, anche degli ugonotti che frequentavano le sue scuole. Nel 1587, per un privilegio allora straordinario, ricevette la laurea in teologia. Al superiore generale dei Gesuiti, il P. Claudio Acquaviva (+1615), il P. Salès fu descritto come “uomo d’ingegno, di giudizio superiore, erudito in filosofia e teologia, perito nelle lingue”.
          Caratteristica di tutta la vita del Beato fu una fervente devozione alla SS. Eucaristia, allora molto combattuta dai calvinisti. Non passava giorno che non andasse più volte ad adorarla e, quando diceva la Messa, non c’era pericolo che si distraesse. Non meraviglia quindi che i suoi confratelli sperimentassero un calore particolare ogni volta che facevano i ritiri spirituali sotto la direzione di lui. Nelle conversazioni il P. Salès ritornava con tanta frequenza sull’amor di Dio da annoiare talora i meno ferventi.
         Altra sua caratteristica fu la brama del martirio. Non passava giorno senza che chiedesse al Signore la grazia di poter dare la propria vita, come il suo confratello S. Edmondo Campion, che la regina Elisabetta aveva fatto impiccare e squartare a Londra il 1-12-1581. Sentendosi ardere “d’un incredibile desiderio di essere inviato nelle missioni tra gl’infedeli”, ne chiese licenza al superiore generale, ma questi gli rispose dicendogli che avrebbe trovato in Francia “un vera India”.
          Dopo che era stato proclamato dottore in teologia, P. Salès cadde in una tale debolezza che i medici l’obbligarono a sospendere le lezioni. Soffrì il Beato al vedersi ridotto all’impotenza dopo tanta attività, anche perché per temperamento era portato alla malinconia. Non gli mancarono neppure le sofferenze da parte di superiori esigenti e confratelli scorbutici, ma egli trovò il suo conforto nelle visite e nei colloqui con Gesù Sacramento. Al P. Claudio Acquaviva egli espresse il desiderio di essere chiamato a Roma, ma costui lo dissuase scrivendogli: “La sua partenza interromperebbe il gran bene che lei opera dov’è a gloria di Dio e a bene delle anime, con la predicazione e in altre maniere”. Infatti, mentre si curava nel collegio di Dóle, egli dava missioni un po’ dovunque. Ad Ornex, alle porte di Ginevra, trovò gli abitanti lacerati da odi. Predicando loro l’amore e la devozione alla SS. Eucaristia soffocò in essi ogni germe di divisione.
          Perché meglio guarisse dalle sue infermità, i medici gli consigliarono l’aria più mite della Lorena. P. Salès fu, perciò, trasferito nel 1590 dalla provincia di Parigi a quella di Lione con grande soddisfazione del superiore P. Francesco Richeóme che aveva bisogno di un professore come lui per il collegio fondato dal cardinale Francesco de Tournon. Un confratello scrivendo più tardi della dimora del Beato in quel collegio, attestò che egli solo “sosteneva in gran parte la rinomanza dell’università” frequentata anche da ugonotti.
         Alle fatiche dell’insegnamento il P. Salès non resse a lungo. Non sapendosi rassegnare all’inazione, trovò uno sfogo nel ministero apostolico predicando la quaresima nella vicina città di Valenza istruendo i sacerdoti nei casi di coscienza, togliendo le donne dalla mala vita. Scomponendo discordie e raccogliendo fondi per il pubblico ospedale e per il restauro del convento dei francescani. Il rettore del collegio affermò: “Il P. Salès era animato da così cordiale e affettuosa carità per il bene del prossimo, anche verso coloro che non aveva mai conosciuto, che destava meraviglia in tutti. Egli aveva cura di tutti, sembrava, per così dire. Il padre di tutti e trattava spesso con questi e con quelli dei mezzi che si potevano trovare per aiutare i poveri, specialmente i più bisognosi”. Nelle fatiche apostoliche portava con sé strumenti di penitenza e ne faceva sovente uso per rendere feconde le sue predicazioni. La vita movimentata giovò al Beato. Potè infatti l’anno successivo risalire la cattedra di teologia e attendere alla redazione di un’opera in più volumi in difesa delle verità della fede, specialmente della reale presenza di Gesù nell’Eucaristia. Nell’autunno del 1593 il governatore di Aubenas, la più importante piazzaforte del Vivarese. Guglielmo de Balazuc, che nel 1578 aveva sottratto la città agli ugonotti, imponendo loro un tregua generale firmata a Largentière, chiese e ottenne dal Provinciale dei Gesuiti un padre che predicasse l’Avvento e che sapesse confutare gli errori dei calvinisti nelle pubbliche dispute. Il compito fu offerto al P. Salès che l’accettò con entusiasmo. Pare che il Signore gli avesse rivelato che sarebbe morto martire come il P. Campion, di cui portava sempre una reliquia sul petto, perché, nel salutare uno dei suoi alunni, gli disse: “Addio, figlio mio! Non ci rivedremo più su questa terra”
          Il P. Salès si recò ad Aubenas in compagnia di Fratel Guglielmo Saltamochio, figlio di un mereiaio italiano, nato alla fine del 1557 a St-Germain-l’Herm, nella diocesi di Clermont (Francia). Costui fu ammesso dai Gesuiti prima come domestico nei collegi di Bilom e di Clermont e poi, nel 1579, come fratello coadiutore. A Lione e a Pont-à-Mousson fece il calzolaio e il portinaio. I convittori “gli dettero non poche occasioni di soffrire e di meritare”. Un giorno un cavaliere giunse a percuoterlo con la guaina e il pomo della spada perché non aveva permesso che uscisse un marchesino al quale aveva dato l’appuntamento nelle adiacenze del collegio. Il Beato, senza un lamento, si limitò a dirgli che aveva impedito al suo amico di uscire soltanto per adempiere agli ordini dei superiori. Nel 1592, quando ricevette l’ubbidienza per Aubenas, egli si trovava da pochi giorni a Tournon con i P. Salès. In attesa che gli fosse assegnato un compito “stava quasi tutto il giorno inginocchiato davanti al SS. Sacramento, recitando il rosario”.
           Coloro che conobbero Fratel Guglielmo asseriscono che, anche se esternamente appariva trascurato, timido e impacciato, era “così eminente per la sua applicazione all’orazione, per la sua ingenua semplicità, per la dolcezza del carattere e specialmente per l’ubbidienza, da sembrare di essere nato soltanto per il martirio. Coloro che lo conobbero intimamente lo stimavano un angelo sceso dal cielo, rivestito di corpo umano”.
          Fin dalla prima domenica di avvento cattolici e ugonotti accorsero in massa ad ascoltare il P. Salès, e tutti furono ben impressionati dalla maniera dotta con cui predicava e dal rispetto che mostrava per le opinioni altrui. Il governatore ottenne che si trattenesse fino alla Pasqua non immaginando di certo di porgergli così l’occasione di morire martire come desiderava. Il missionario in quel tempo predicò pure nelle vicinanze di Aubenas. A Ruom, fu organizzata una pubblica disputa, ma Pietro Labat, portavoce dei riformati, all’ultimo momento mancò all’appuntamento con grande confusione dei suoi partigiani. È probabile che lo smacco patito abbia provocato un ritorno offensivo degli ugonotti contro Aubenas. Il signor de Chambaud, capo dei calvinisti del Vivarese, risolse infatti di piombare all’improvviso sulla città e di strapparla al potere dei cattolici. Il P. Salès, avuto sentore di quella macchinazione, si affrettò a fare ritorno ad Aubenas per mettere sull’avviso il governatore e la popolazione, ma nessuno volle credere al pericolo.
          Il gesuita impiegò gli ultimi giorni della sua vita a salvare anime. La sera del 5-2-1593 si recò con il compagno in casa della nobile signora Giuditta de La Teule, di cui aveva iniziata la conversione, per sollecitarla a fare l’abiura, come difatti fece. Sabato, 6 febbraio, prima dello spuntare dell’alba gli ugonotti, rompendo la tregua firmata, assalirono Aubenas all’improvviso e la conquistarono. Destati dal tumulto, i due religiosi fecero a Dio l’offerta della loro vita. Tre ministri protestanti, che si erano uniti agli assalitori, mostrarono al comandante de Sarjas l’utilità di arrestare il P. Salès e il suo confratello. Nel frattempo essi si erano recati nella chiesa di Sant’Anna, poco lontana dalla casa in cui dimoravano, per consumarvi le ostie consacrate.
          Verso le nove del 7 febbraio alcuni soldati bussarono alla porta della casa in cui i due gesuiti attendevano in preghiera gli eventi. Li coprirono d’insolenze comandando loro: “Dateci la borsa”. Il P. Salès porse loro un fazzoletto dov’erano involti trenta soldi avuti dal superiore per le spese minute. Credendosi burlati, gli sgherri lo minacciarono di sgozzarlo se non consegnava loro una somma più grossa. Il martire disse allora con calma ai ribaldi: “Non abbiamo altro. Se pensate di trattenerci come prigionieri di guerra sperando un riscatto, sappiate che non abbiamo nulla da promettervi, per avere salva la vita. Se poi è l’odio della nostra religione che vi spinge a maltrattarci, sappiate che daremo volentieri il sangue e la vita per la Chiesa romana e per la religione dei nostri padri, pronti a soffrire tutti i tormenti che vorrete”.
         A tali parole i soldati si scagliarono contro di lui e, dopo averlo percosso. gli presero quanto aveva nella stanza: qualche Agnus Dei, dei grani benedetti, una piccola croce d’argento contenente alcune reliquie, e poca biancheria. Poi trascinarono i loro prigionieri davanti al giudice Luigi de La Faye. Per diverse ore i due religiosi si trovarono alle prese con i ministri protestanti che nutrivano la segreta speranza di farli apostatare. Qualcuno fece osservare che essi erano ancora digiuni. Fu subito portato loro una zuppa e P. Salès si apprestò a mangiarla. Il confratello gh fece notare che era fatta di brodo, e allora il Padre, ricordandosi che era sabato, la ricusò dicendo ai ministri protestanti meravigliati: “I figli della Chiesa non mangiano né carne, né grassi al sabato essendo loro interdetto”.
          La risposta provocò una discussione sulla legge del digiuno e dell’astinenza, ma il Beato non impegnò molto tempo a confondere le argomentazioni dei novatori. Costoro cercarono una rivincita nella controversia sul libero arbitrio, i sacramenti e l’Eucaristia. Il Beato confutò le loro obiezioni e poi, volgendosi ai presenti, disse: “Datemi i Libri Santi e vi mostrerò come i vostri ministri v’ingannano e vi conducono all’inferno”.
          I due religiosi, lasciati in balia dei soldati, passarono tutta la notte in una sala bassa e umida, e non mangiarono che un po’ di pane portato loro di nascosto da un ragazzo. Il giorno dopo, domenica 7 febbraio, i ministri protestanti ritornarono in casa del giudice La Faye per riprendere la disputa sulla Eucaristia. Il P. Salès, nonostante gli strapazzi subiti, conservava tutta la sua energia. Non riuscendo a confonderlo, il ministro Labat, il comandante de Sarjas e qualche altro fanatico vennero nella determinazione di sopprimerlo. Ne fu dato l’ordine a tre soldati, ma essi non ne vollero sapere.
          Il solo partito da prendere era quello di sollevare contro i papisti la folla. E quanto fece Labat vomitando ogni sorta d’ingiuria contro il P. Salès e urlando: “Uccidetelo! Uccidetelo! E una peste capace di contaminare tutto il regno”. I gesuiti alle due pomeridiane furono trascinati nella via. Il P. Salès supplicò i persecutori perché lasciassero almeno andare libero il suo confratello dal momento che non poteva nuocere al loro partito, data la sua ignoranza. Fratel Saltamochio non gradì quella proposta. Disse: “Padre mio, non vi abbandonerò mai. Morrò per la verità dei punti di dottrina che voi avete difesi”. A cinque passi dalla porta della casa di La Faye entrambi s’inginocchiarono e si misero a pregare ad alta voce. Un soldato con un colpo di archibugio fracassò la spalla al P. Salès che cadde al suolo gemendo: “Gesù! Maria! Mio Dio, perdona loro!” Non essendo morto, il feritore gli conficcò la spada nel ventre e un semplice cittadino gli assestò un colpo di pugnale alla gola mentre il martire baciava i diti pollici delle mani sovrapposti in forma di croce. Qualche istante dopo anche Fratel Saltamochio cadde sotto diciotto colpi di pugnale, ripetendo una sua frase prediletta: “Soffri, carne, soffri ancora un poco, corpo mio!”.
          I cadaveri delle due vittime furono spogliati delle loro vesti, trascinati per le vie della città con una corda al collo, e buttati fra le rovine di una chiesa antica. Alcuni cattolici, di notte, li raccolsero e li seppellirono in un angolo del giardino di un signore. Dopo due anni furono richieste dalla signora de Chaussy la quale ne fece dono alla chiesa del collegio, eretto dai Gesuiti ad Aubenas.
          Nel 1898 i resti dei due martiri della reale presenza di Gesù nell’Eucaristia furono trasferiti nella cappella di St. Claire, che era stata eretta da tempo sul luogo del loro martirio.

Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 109-115.
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