Il 7 marzo 1992 Giovanni Paolo II ha riconosciuto il martirio di 51 Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria o Claretiani avvenuto a Barbastro (Huesca), diocesi suffraganea di Saragozza (Aragona), all'inizio dell'insurrezione nazionale contro i repubblicani in Spagna (1936-1939).
Il 7-3-1992 Giovanni Paolo II ha riconosciuto il martirio di 51 Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria o Claretiani, perché fondati da S. Antonio Maria Claret y Clarà (+1870), avvenuto a Barbastro (Huesca), diocesi suffraganea di Saragozza (Aragona), all'inizio dell'insurrezione nazionale contro i repubblicani, capeggiata dal generale Franco nella Spagna (1936-1939). I Claretiani, presenti nella cittadina dal 1869, avevano trasferito nella loro casa gli studenti di teologia dell'ovest del paese allo scopo di procurare ad essi un posto sicuro nei difficili momenti che tutti ritenevano inevitabili.
Iniziarono, difatti, ben presto, in diverse città della Spagna, atti di vandalismo contro chiese e conventi, sotto lo sguardo indifferente delle deboli e indecise autorità della repubblica. A Barbastro fu proibito l'uso delle campane, la consuetudine di portare le salme dei defunti in chiesa, e di intonare pubblici canti funerari. Il cimitero, proprietà del capitolo, fu sequestrato, e distrutto il seminario con la sua cappella.
Il 18-6-1936 la comunità dei Claretiani era composta da 60 religiosi, di cui 9 sacerdoti, 39 studenti e 12 fratelli coadiutori. Di essi furono risparmiati 2 studenti perché di nazionalità argentina, 6 fratelli coadiutori perché molto vecchi e malati, 1 fratello coadiutore cuoco perché, vestendo in borghese, fu ritenuto un operaio.
I superiori, conforme alla legge vigente, per fare abbreviare di tre mesi agli studenti il servizio di leva, avevano cominciato a farli addestrare da due militari in pensione, con l'uso, però, soltanto di fucili di legno. Il governatore militare della piazza aveva assicurato che non avrebbero avuto fastidi, invece, quando il 19-7-1936 ebbe inizio la rivoluzione a Barbastro, diretta dal comitato centrale di Barcellona, cominciarono le inquietudini. Nella mattina del 20 i religiosi fecero, in chiesa, un'ora di adorazione davanti al SS. Sacramento per ottenere protezione dal cielo e, nella serata, circa 60 miliziani, armati, invasero l'Istituto con il pretesto di cercare le armi che vi erano nascoste. Accorsero il P. Filippo di Gesù, superiore, il P. Giovanni Diaz, prefetto del teologato e il P. Leonzio Pérez, economo.
Nonostante le accurate ricerche e il mancato ritrovamento delle armi, i religiosi furono perquisiti e poi trasferiti nel collegio degli Scolopi, e sistemati a pian terreno, nel salone degli atti accademici, cosicché uomini e donne poterono vomitare contro di loro i più volgari insulti attraverso le finestre prospicienti la piccola piazza del municipio. Il P. Luigi Masferrer, sacerdote professo da pochi mesi, aveva approfittato di una circostanza propizia per salire alla cappella, e prendere con sé il SS. Sacramento onde evitarne la profanazione. Durante la perquisizione erano, difatti, rimaste aperte le porte di casa e, mentre i religiosi erano costretti a restare uniti nel cortile interno dell'Istituto, la plebaglia si era già impadronita della casa.
Dal salone degli atti, nel quale i Claretiani subirono indicibili torture morali, essi uscirono in quattro schiere per essere trasportati in camion, legati con le mani incrociate dietro le spalle, e a due a due per le braccia con corde e fili di ferro, sul luogo della fucilazione senza un processo, senza una difesa, senza una sentenza, ma soltanto in seguito a un appello nominale dei vari gruppi. Più volte i miliziani, prima di farli salire sul camion, promisero loro la libertà se avessero accettato di andare a combattere contro i fascisti, cioè gli insorti nazionalisti militari. Nessuno degli studenti accettò la proposta. I comunisti li fucilarono, tra la mezzanotte e le 4 del mattino, al lume dei fari del camion, senza la presenza di testimoni. Di mano in mano che scendevano dal camion li mettevano in fila, prima nel cimitero, di fronte alla fossa aperta, e poi sul ciglio della strada che conduceva a Berbegal. Dopo qualche minuto li mitragliavano e davano loro con la rivoltella il colpo di grazia.
I Claretiani che restavano nel salone-prigione in attesa del martirio, durante la notte si abbracciavano, si baciavano vicendevolmente la fronte e i piedi, piangevano di gioia al pensiero che sarebbero stati fucilati presto, e si raccomandavano a coloro che li avevano preceduti nella gloria. Morirono al grido di "Viva Cristo Re!", "Viva il Cuore di Maria!", pregando, con nelle mani il crocifisso e la corona del rosario, per i loro nemici e perdonandoli. Prima di farli seppellire, coperti di calce viva, da zingari e da becchini, i miliziani ebbero cura di strappare i denti d'oro dalla bocca di coloro che li avevano.
I primi a dare la vita per Dio furono i tre superiori già nominati, rinchiusi prima nel carcere del Municipio e poi in quello delle Cappuccine.
1 comunisti poterono così mandare ad effetto il loro piano di "tagliare la testa ai capi della fabbrica dei corvi". Il loro martirio ebbe luogo all'alba del 2-8-1936, nel cimitero vicino all'ospedale. In seguito alle proteste dei medici, le fucilazioni furono fatte anche sulla strada di Berbegal. I malati rimanevano scossi al crepitio dei fucili e al gemito dei condannati a morte.
Il B. Filippo di Gesù Munàrriz era nato in Allo (Navarra) il 4-2-1875 da una famiglia profondamente cristiana. Aveva fatto la prima professione dei voti tra i Claretiani di Cervera nel 1891, era stato ordinato sacerdote in Vitoria nel 1898 e, per oltre 20 anni, si era dato alla formazione dei giovani aspiranti alla vita dei Missionari Claretiani. Morì in qualità di superiore, carica che egli esercitò molto paternamente. Fu un religioso di fervente carità, di eminente pietà, di tenera devozione alla SS. Vergine secondo il metodo di S. Luigi M. Grignion de Montfort.
Il B. Giovanni Diaz Nosti era nato nelle Asturie il 18-2-1880. A 13 anni era entrato nel postulantado di Barbastro, nel 1897 aveva emesso i voti a Cervera e, nel 1906, era stato ordinato sacerdote nel duomo di Saragozza. Ebbe esimie doti di oratore, che esercitò nella predicazione, nonché di professore, che esercitò nell'insegnamento. Morì, difatti, mentre faceva scuola di teologia morale agli studenti del 5° corso.
Il B. Leonzio Pérez Ramos era nato il 12-9-1875 in Muro de Aguas (Logrono), aveva fatto il noviziato e la professione religiosa nel 1893 a Cervera, ed era stato ordinato sacerdote in Miranda de Ebro, nel 1901.
Per tutta la vita andò soggetto a frequenti emorragie, motivo per cui fu costretto a limitare la sua attività al ministero delle confessioni.
I miliziani avevano separato i tre superiori dagli studenti con la speranza di riuscire più facilmente nell'intento di farli apostatare.
Invece nessuno rinnegò la propria vocazione, benché non mancassero loro allettamenti, promesse, minacce e, persino, la profferta di prostitute nude. Essi attribuirono a una speciale Provvidenza del Signore il fatto che i comunisti non tolsero loro gli oggetti di devozione che portavano con sé: il breviario, il crocifisso, la corona del rosario, le medaglie. Fino al 26 luglio furono persino in grado di fare, di nascosto, la comunione con le ostie che venivano loro distribuite insieme al pane e alle stecche di cioccolato. Quando agli Scolopi non fu più permesso di celebrare la Messa, si limitarono a farla spiritualmente.
Il B. Faustino Pérez Garcia, venticinquenne, il 12-8-1936 lasciò scritto, sopra uno sgabello di legno: "Trascorriamo il giorno in religioso silenzio e preparandoci a morire domani. In questa sala, testimone delle nostre dure angustie, si sente soltanto il mormorio delle orazioni. Se parliamo lo facciamo per animarci a morire come martiri; se preghiamo, lo facciamo per perdonare ai nostri nemici. Salvali, Signore, non sanno quello che fanno".
Quei candidati al martirio soffrirono, senza lamenti e in conformità a quello che Dio permetteva, della scarsezza del cibo, della privazione del vino, del razionamento dell'acqua, dell'afa estiva, della più assoluta mancanza di biancheria, di cattivi odori e del riprodursi dei parassiti. Di notte furono costretti a dormire per terra o sui banchi essendo stati privati dei letti, dei materassi e dei cuscini forniti loro dagli Scolopi. Di essi beneficiarono i miliziani giunti di rinforzo alle guardie.
Il 13 agosto il gruppo condannato a morte era formato da 19 studenti, sotto i 25 anni, e dal B. Luigi Masferrer, di 24 anni. Nell'uscire dall'improvvisato carcere, il B. Giovanni Echarri, ventitreenne, disse ad alta voce a coloro che rimanevano: "Addio, fratelli, fino al cielo". Altri, a pieni polmoni, si misero a gridare: "Viva Cristo Re". I miliziani, inferociti, a loro volta urlarono: "A morte, bricconi e canaglie. Vedrete che cosa vi accadrà al cimitero". Nel salire sul camion un altro studente gridò ancora una volta: "Viva Cristo Re". Un comunista, imbestialito, con il calcio del fucile gli assestò un colpo talmente forte che gli spostò la mandibola verso l'alto. Per tutta risposta, gli studenti condannati a morte attraversarono la città cantando a squarciagola inni religiosi.
Sulle pareti del salone, sullo scenario, sulla scaletta, su pezzi di legno, su carta di cioccolato, i Claretiani avevano lasciato scritto la testimonianza dei loro ultimi sentimenti religiosi. Otto giorni dopo il martirio dei suoi superiori, il B. Raimondo Illa confidò ai familiari: "Felici loro e quelli che li seguirono. Io non cambierei il carcere con il dono dei miracoli". Nel foglio saluto-ricordo del B. Francesco Castàn Meseguer, fratello portinaio, si legge: "Viva Dio! Non ho mai pensato di essere degno di grazia tanto singolare!" Il B. Giuseppe Figuero scrisse ai genitori: "Presto sarò martire di Gesù Cristo. Non piangete la mia morte perché morire per Cristo è vivere eternamente". Il B. Giuseppe Brengaret Pujol affermò: "I.H.S. Viva Cristo Re! Se Dio vuole la mia vita, gliela dono volentieri, per la Congregazione e per la Spagna. Muoio tranquillo… muoio innocente: non appartengo a nessun partito". Infine, una mano sconosciuta, sul lato verticale di un parallelepipedo di legno scrisse: "O Cristo, i morituri ti salutano".
Le reliquie dei 51 martiri dal 1939 sono venerate nella chiesa che i Missionari Claretiani hanno dedicato al Cuore Immacolato di Maria nella stessa casa in cui vissero. Giovanni Paolo II li beatificò il 25-10-1992.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 27-31
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