Suor Marta non aveva ricevuto doni brillanti da Dio ma un grande buon senso, uno spirito di moderazione e di semplicità e soprattutto un grande amore alla verità. Era per temperamento silenziosa, discreta, riservata fino all’eroismo. Dalle consorelle non fu mai vista ridere, ma soltanto sorridere. Finché visse si studiò di seguire gli insegnamenti e gli esempi della fondatrice, di fare sempre tutto il bene possibile, ma nel più profondo nascondimento. Madre Placida Viel aveva ragione di dire nelle conferenze che teneva alle religiose: “Ho nella mia comunità una suora molto santa, molto umile”.
E’ una figlia spirituale di S. Maria Maddalena Postel
(+1846), fondatrice delle Suore delle Scuole Cristiane della Misericordia nel
1805 a Cherbourg (Manche), e una discepola della B. Placida Viel (+1877), maestra
delle novizie, consigliera della fondatrice e sua successora nel governo della
congregazione. La Beata nacque il 2-12-1816, terza tra cinque figli, a Percy,
nella diocesi di Coutanches e Avranches (Francia), da Andrea contadino di
antico stampo e da Maria Francesca Morel, tessitrice di tela. Fu fatta
battezzare lo stesso giorno in cui nacque dai genitori con i nomi di Amata e
Adele.
Appena la piccina giunse all’uso di ragione ebbe la fortuna
di frequentare la scuola di Suor Maria Farcy, Terziaria Carmelitana di
Avranches, la quale, per circa 48 anni si diede all’istruzione della gioventù e
per 20 anni diresse un ospizio. E incalcolabile il bene che la pia religiosa
seminò attorno a sé. Il rettore del seminario maggiore della diocesi diceva di
lei: “Non dimenticherò mai l’accento con il quale la zelante insegnante
commentava l’invocazione delle Litanie: “Dal disprezzo delle tue sante
ispirazioni, liberaci, o Gesù””.
Dopo che ebbe appreso i primi rudimenti del sapere, Amata
rimase in casa fino ai 25 anni a condividere con la mamma una vita di lavoro e
di preghiera. Benché tutte le mattine prendesse parte alla Messa e facesse la
comunione, Dio le fece comprendere che non era destinata a restare nel mondo.
Non è improbabile che abbia concepito il disegno di farsi religiosa a contatto
delle Suore delle Scuole Cristiane che incontrava ogni anno durante il
pellegrinaggio che il parroco organizzava al santuario di
Nostra-Signora-Sur-Vire di cui nel 1840 aveva assunto la cura.
La Beata fu accolta il 19-3-1841 nell’abbazia di
Saint-Sauveur-le-Vicomte, casa madre dell’Istituto, popolato in quel tempo da
circa 250 persone tra suore, pensionanti, braccianti e domestiche e governate
da Madre Maria Maddalena Postel. Vi vestì l’abito religioso il 14 settembre
1842 e iniziò il noviziato sotto la direzione della beata Viel. Poiché godeva
di buona salute, durante l’inverno la fondatrice la mandò ad aiutare nei lavori
manuali le consorelle che risiedevano presso il Santuario di N.-S.-sur-Vire. Un
giorno, mentre faceva il bucato sulla riva di un piccolo affluente del fiume,
nel tentativo di afferrare un indumento che le era sfuggito di mano, vi cadde
dentro e per lo spavento provato e il freddo patito ne rimase con le gambe
talmente gonfie che ritenne di essere stata colpita da una lenta paralisi. Non
osando dire niente, non fu subito curata. Con l’aggravarsi del male, che durò
quasi un anno, dovette fare ritorno all’abbazia. All’avvicinarsi del giorno
della emissione dei primi voti qualcuna delle responsabili dell’Istituto fece
capire a Suor Marta che sarebbe stata con tutta probabilità rimandata in
famiglia per mancanza di salute.
Profondamente afflitta, la Beata andò a confidare la sua
ambascia alla fondatrice la quale le disse subito: “Sarebbe una grande
ingiustizia il rimandarti in famiglia perché l’incidente ti è capitato mentre
prestavi servizio alla comunità”. La fece sedere sopra una piccola sedia
che e ancora conservata come una reliquia e la esortò a spiegarle tutto. Al
termine del suo racconto la Santa la consigliò di unire le sue preghiere a
quelle che avrebbe fatto lei per ottenere da Dio la guarigione. Le tracciò
quindi un segno di croce sulle gambe malate e la congedò piena di fiducia.
Il giorno dopo Suor Marta, allo svegliarsi, ebbe la
percezione di essere guarita. Piena di gioia ne andò a rendere grazie a Madre
Maria Maddalena Postel, la quale le disse semplicemente: “Figlia mia, ti
proibisco di parlare di quanto è avvenuto, prima della mia morte”. La
consegna fu fedelmente osservata. In seguito a quel miracolo la fondatrice,
piena di fiducia nella divina Provvidenza, decise di riprendere i lavori, con
il consenso del Vicario generale della diocesi, Mons- Delamare, per la
riedificazione del campanile dell’abbazia che era improvvisamente crollato nel
mese di novembre 1842.
Suor Marta fu ammessa alla professione dei voti il
7-9-1843. In un primo momento fu impiegata dalle superiore nei lavori di cucina
e poi, fino al 1855, nella coltivazione dei campi in cui era molto esperta. Dal
1855 fino alla morte ebbe il compito di provvedere il sidro e il vino di cui la
comunità aveva bisogno. Al mattino, dopo le pratiche di devozione fatte con la
comunità, coadiuvata nella sua obbedienza da una consorella più giovane, Suor
Pacifica, rivestita di abiti grossolani e con gli zoccoli nei piedi, la Beata
caricava sul suo modesto carretto le bottiglie grosse e piccole in ceramica
scura ripiene di sidro e si dirigeva ai diversi refettori per deporvi la
quantità delle bevande necessario alla consumazione. Alle stanghe si metteva
Suor Pacifica. Suor Marta si accontentava di spingere il carretto nelle salite
o di frenarlo nelle discese dei cortili in quei primi tempi ancora molto
accidentati. Quando la fatica era maggiore, il caldo estivo più soffocante, o
il freddo invernale più pungente, invece di lamentarsi, Suor Marta ogni tanto
esclamava; “Tutto per amor di Dio”.
All’infuori delle sue occupazioni, la Beata viveva sempre
ritirata in cantina in cui faceva regnare un ordine perfetto con grande
soddisfazione delle superiore e delle consorelle alle quali non diede mai
occasioni di lamentele o di critiche. Ogni tanto qualche religiosa o qualche
persona estranea all’Istituto la compiangeva per la sua umile, monotona e
gravosa occupazione, ma ella prontamente esclamava; “Io infelice? Oh no!
Io sono felicissima, al colmo della gioia!”.
Suor Marta camminava abitualmente con la testa china e gli
occhi bassi. Era preoccupata soltanto di vivere alla presenza della SS.
Trinità. Pregava infatti anche lavorando. Al torchio si udiva soltanto, tanto
lei quanto la sua consorella, ripetere l’Ave Maria e le più svariate
giaculatorie. Tra due grosse botti si era riservato un piccolo spazio in cui si
rifugiava per rammendare la biancheria delle domestiche o per fabbricare corone
del rosario, che poi donava alle bambine con la raccomandazione di amare molto
la SS. Vergine, o andava a porre al letto delle impiegate con la
raccomandazione di dirne almeno una piccola parte tutti i giorni. Mentre dalla
cantina con il carretto se ne andava ai vari refettori o da essi faceva
ritorno, recitava in continuazione il rosario con la corona che teneva sempre
in mano o attorcigliava al polso. Ne interrompeva la recita soltanto per
salutare le consorelle che incontrava dicendo, secondo la consuetudine:
“Viva Gesù nei nostri cuori”.
Nel 1870 Suor Marta cadde con la carretta che conduceva e
si ruppe una gamba. Attese che le si rinsaldasse all’infermeria pregando e
pazientando. Guarì, ma dopo 6 anni fu costretta a fare uso di un bastone perché
mal si reggeva sulle gambe. Finché visse sopportò la prova senza una lamentela
e senza chiedere alla superiora sostituzioni o addolcimenti alle quotidiane
fatiche. Era solita ripetere con la sua Santa fondatrice: “Quello che tu
vuoi, mio Dio, quello sarà fatto”.
Suor Marta non aveva ricevuto doni brillanti da Dio ma un
grande buon senso, uno spirito di moderazione e di semplicità e soprattutto un
grande amore alla verità. Era per temperamento silenziosa, discreta, riservata
fino all’eroismo. Dalle consorelle non fu mai vista ridere, ma soltanto
sorridere. Finché visse si studiò di seguire gli insegnamenti e gli esempi
della fondatrice, di fare sempre tutto il bene possibile, ma nel più profondo
nascondimento. Madre Placida Viel aveva ragione di dire nelle conferenze che
teneva alle religiose: “Ho nella mia comunità una suora molto santa, molto
umile”.
Le consorelle consideravano Suor Marta come “la
regola vivente”. Poiché pensava soltanto ad edificare il prossimo, quando
vedeva qualche compagna violare il regolamento, le faceva subito notare con
dolcezza: “La nostra buona Madre Fondatrice non sarebbe contenta”.
Oppure diceva: “Noi non valiamo le consorelle che ci hanno
preceduto”. Con tutti parlava soltanto di Dio o di argomenti spirituali.
Il resto non la interessava. Nessuno usciva dalla sua cantina senza che si
sentisse raccomandare di amare molto il Signore. Specialmente le bambine alle
quali diceva, dopo che l’avevano aiutata a mettere in ordine le bottiglie;
“Una cosa soltanto conta nella vita: quella di agire e di lavorare per il
buon Dio. Non è mai troppo quello che si compie per Lui”.
Oltre che della cantina, Suor Marta fu incaricata pure del
servizio delle carrozze per le suore o i forestieri che dovevano viaggiare,
della sorveglianza degli operai e delle collaboratrici domestiche che ogni
mattina giungevano numerose all’abbazia per attendere ai vari lavori.
Provvedeva a tutte le loro necessità, aveva cura dei loro vestiti e della
pulizia delle loro camerette come se fossero suoi fratelli. Da tutti però
esigeva che il loro comportamento fosse corretto, che dopo la cena facessero in
comune in chiesa le preghiere della sera, prendessero parte alle Messe e ai
vespri domenicali, e si accostassero ai sacramenti secondo la loro devozione.
Da tutti era chiamata “la buona Suor Marta”. Una domestica
dell’Istituto giunse a dire alla sua sorella che era appena entrata nel
noviziato: “Imita Suor Marta e sarai una santa”.
Benché la Beata fosse sovraccarica di lavoro, non bisogna
credere che trascurasse le pratiche di devozione. Quando non poteva farle con
la comunità, trovava sempre il tempo di supplirvi durante la giornata. Passava
difatti il più a lungo possibile i tempi liberi di cui poteva disporre davanti
all’altare. La sua superiora, la B. Placida Viel, nutriva tanta fiducia nella
preghiera della sua figlia spirituale che, nelle difficoltà della vita
religiosa, sovente la mandava davanti al SS. Sacramento affinchè pregasse
secondo le sue intenzioni o per il suffragio di determinate persone di cui Dio
le aveva fatto conoscere le necessità. Un giorno una alunna del collegio, nel
vedere Suor Marta fare la sua preghiera con molta devozione, le disse:
“Come pregate bene, sorella”. Le rispose la Beata: “Figlia mia,
occorre tenere compagnia al buon Gesù, pregarlo, non lasciarlo solo”.
La Beata offriva a Dio per la conversione dei peccatori e
il suffragio delle anime purganti le preghiere e le fatiche di ogni giorno,
oltre l’Ora Santa che faceva ogni settimana, con altre suore anziane, a
imitazione di quella che fece Maria Postel. La iniziava con un’orazione al
Cuore agonizzante di Gesù e la continuava offrendo a Dio il sangue che da esso
era sgorgato per le necessità della Chiesa e della sua comunità religiosa.
Faceva quindi la Via Crucis spostandosi, talvolta, per spirito di
penitenza, sui ginocchi nudi da una stazione all’altra. Chiudeva il pio
esercizio facendo onorevole ammenda al cuore agonizzante di Gesù recitando con
le braccia in croce le Litanie del S. Cuore.
Suor Marta morì
improvvisamente nell’abbazia di Saint-Sauveur-le-Vicomte il 18 marzo 1883,
domenica delle Palme, dopo che aveva fatto un’ultima visita a Gesù
sacramentato. Cadde per terra, nel cortile d’ingresso dell’Istituto, verso le
ore otto di sera. Trasportata in un piccolo parlatorio, ricevette dal
cappellano gli ultimi sacramenti priva di conoscenza. Le sue reliquie sono
venerate nella chiesa dell’abbazia di Saint-Sauveur-le-Vicomte accanto a quelle
della B. Placida Viel e di S. Maria Maddalena Postel. Giovanni Paolo II
riconobbe l’eroicità delle virtù di Suor Maria il 24-9-1983 e la beatificò il
4-11-1990.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del
giorno, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 209-212.
http://www.edizionisegno.it/