Nato nel 1782 a Roma come Lorenzo Maria Salvi, nel 1801, nonostante le difficoltà determinate dal clima antireligioso del periodo post-rivoluzionario, entrò tra i Passionisti, che Pio VI aveva chiamato per calmare gli animi. Quando fu costretto a lasciare il convento per la soppressione degli ordini religiosi, esercitò il suo apostolato nel rione di Sant\’Eustachio. Ma è noto come «l\’apostolo del Bambin Gesù». Fino alla morte predicò missioni nel Lazio, nelle Marche, in Toscana e in Abruzzo. Morì nel 1856 a Capranica (Viterbo). È beato dal 1989.
Questo discepolo di S. Paolo della Croce (+1775) è passato alla storia con l\’appellativo di "Apostolo di Gesù Bambino" tanto ne diffuse la devozione tra il popolo con la predicazione e gli scritti. Egli nacque il 30-10-1782 a Roma, primogenito del fiorentino Antonio Salvi, addetto all\’amministrazione del Conte di Carpegna, e della romana Anna Biondi. Governava allora la Chiesa Pio VI (+1799), della nobile famiglia Braschi mentre, in Francia, filosofi e sociologi preparavano la grande rivoluzione che avrebbe cambiato il volto all\’Europa (1789-1799). Il giorno dopo la nascita il beato fu battezzato nella chiesa parrocchiale di San\’Eustachio con i nomi di Lorenzo, Gaetano ed Emmanuele. Non aveva ancora un mese di vita quando rimase orfano di madre. Il padre si risposò con Anna Maria Costa dalla quale ebbe altri cinque figli. Fu merito di entrambi i coniugi se la famiglia Salvi, e le famiglie che da essa ebbero principio, vissero molto unite e affiatate tra loro nonostante i moti sovversivi che all\’inizio del secolo XIX misero in subbuglio un po\’ tutti i popoli, intolleranti dell\’assolutismo dei loro principi.
Sotto la guida dei pii genitori, Lorenzo imparò presto a pregare, ad accostarsi con frequenza ai sacramenti, favorito in questo dal suo temperamento introverso che lo portava di più alla riflessione che ai giuochi propri dell\’età. Dopo le classi elementari fu cresimato in San Pietro (1892) dal Card. Enrico Duca di York. Per vari anni frequentò il Collegio Romano, fondato dai Gesuiti nel 1551, in compagnia di S. Gaspare del Bufalo (+1837), e studiò matematica e filosofia in casa, con il fratello Gaspare, sotto la guida del P. Mauro Cappellari, camaldolese, futuro Gregorio XVI, nel tempo in cui per sfuggire alla persecuzione della Repubblica Romana, proclamata nel 1798 con l\’esilio di Pio VI a Valence, nel Delfìnato, fu ospite della famiglia Salvi.
Il beato frequentando l\’oratorio del P. Caravita SJ. crebbe nella devozione della SS. Vergine, imparò a visitare le chiese e a pellegrinare ai più celebri santuari romani in compagnia di ferventi amici, e concepì soprattutto il desiderio di farsi passionista proprio quando tanto i governi conservatori, quanto quelli rivoluzionari concordavano nel perseguitare i religiosi. Nel 1800 ne chiese licenza al padre il quale si limitò a dirgli: "Per un anno non parlarmi ne di preti, ne di frati e ne di monache. In seguito deciderai". Lorenzo ubbidì senza fiatare, ma esattamente un anno dopo si presentò al genitore e gli disse: " Io ho fatto per un anno quello che tu volevi; ora ti chiedo che anche tu faccia la parte tua".
Non è improbabile che Lorenzo sia stato indotto a farsi passionista dalle eloquenti prediche che S. Vincenzo Strambi (+1824), grande amico di S. Vincenzo Pallotti (+1850) e della B. Anna Taigi (+1837), terziaria trinitaria, teneva nelle varie chiese di Roma prima di essere eletto da Pio VII vescovo di Macerata e Tolentino (1801). Lorenzo fu mandato a fare il noviziato a Monte Argentario (Grosseto) il 14-11-1801 con il nome di Lorenzo Maria di S. Francesco Saverio. Apparteneva alla Provincia del Patrimonio o della Presentazione di Maria al Tempio. Non gli mancarono tentazioni di scoraggiamento, ma le superò con la virtù dell\’obbedienza al suo Maestro. Nell\’emissione dei voti (30-11-1802) fece l\’offerta di sé stesso al Signore e la Madonna dicendo tra l\’altro: "Fa\’, o Signore, che io ti serva fedelmente in questa santa Congregazione, per tutti i giorni della mia vita. Veramente Tu sei degno di ogni servizio, di ogni onore e di lode eterna. Tu sei veramente il mio Signore e padrone e io sono il tuo povero servo, tenuto a servirti con tutte le mie forze. Così voglio, così desidero…O santa dei santi, oceano di grazie, santissima e immacolata Vergine Madre di Dio Maria… Dammi la forza di adempiere perfettamente ciò che in questo giorno ho promesso al tuo figlio. Dirigimi e proteggimi in ogni ora e minuto, Signora mia, Madre mia, anzi mio cuore e mia anima". Questa offerta sarà rinnovata con entusiasmo ogni anno da Lorenzo nel giorno in cui aveva emesso la prima professione.
Il beato si preparò al sacerdozio a Roma, nella casa generalizia dei SS. Giovanni e Paolo, allora ancora in aperta campagna, che era stata donata da Clemente XIV a S. Paolo della Croce nel 1773. All\’affrettato studio delle materie ecclesiastiche egli unì anche quello della musica. Per tutta la vita si diletterà di suonare l\’organo durante le funzioni sacre della propria comunità, ma senza la pretesa di diventare una celebrità. Fu ordinato sacerdote il 29-12-1805 nella cappella privata del Vicegerente di Roma, Mons. Benedetto Fenaia. Fu tanto il gaudio che ne provò che volle consacrare e fare dono alla SS. Trinità per sempre del suo corpo e della sua anima.
Anche dopo l\’ordinazione sacerdotale il beato continuò sia a studiare che a esercitarsi nella composizione di sermoni, seguendo i suggerimenti dati da S. Vincenzo Strambi ai Passionisti nel suo corso di eloquenza, fatti in seguito stampare da essi (1838) sotto il titolo di "Compendio di precetti retorici". Nel 1806 egli rimase orfano di padre. Il conte di Carpegna chiamò all\’amministrazione dei suoi beni Gaspare, di ventun anni, fratello del beato, il quale poté così mantenere i suoi familiari e se stesso agli studi di architettura. Già da quel tempo P. Lorenzo cominciò ad essere favorito di doni mistici. Difatti il 14-12-1844 scrisse al suddetto fratello: "Con grande impegno e premura ho sempre cercato di suffragare le anime dei nostri amorosissimi genitori: messe ogni anno, orazioni, indulgenze a loro favore. Non li dimentico mai, sebbene del comune nostro genitore abbia poco meno che una morale certezza della sua eterna salute. Vi dirò cosa che ho tenuta continuamente celata: nella notte delle domenica in Albis del 1807 mi comparve tutto luminoso e mica dormivo, e mi fece intendere che allora allora se ne andava in paradiso, e null\’altro mi disse".
In quel tempo, in Francia, Napoleone Bonaparte era diventato con un colpo di stato primo console. Poté così concludere con Pio VII un concordato (1801), che guastò con l\’aggiunta di 77 articoli organici impregnati di gallicanismo, e, diventato imperatore dei francesi (1804), si atteggiò in tutto come "successore di Carlo Magno"\’ e quindi anche "imperatore di Roma" e signore supremo dello Stato Pontificio. Poiché la Santa Sede non poteva accoglierne le continue spudorate pretese, diede ordine al generale Miollis di entrare in Roma con i suoi soldati (2-2-1808). Circa un anno dopo ordinò l\’annessione di tutto lo stato Pontificio all\’impero francese, motivo per cui il papa fu costretto a scomunicare i "rapinatori del patrimonio di S. Pietro, i loro mandanti, fautori , consiglieri ed esecutori". Napoleone se ne vendicò facendo catturare il papa nel palazzo del Quirinale, e rinchiudere nella fortezza di Savona. Giunto al culmine della sua potenza, nel 1810 l\’orgoglioso dittatore decise di sopprimere gli istituti religiosi, e di imporre a tutto il clero secolare e regolare il giuramento di fedeltà all\’impero. Il P. Lorenzo si rifiutò di prestarlo perché esso era in contrasto con la volontà di Pio VII, anche a costo di perdere la pensione di 500 franchi mensili che gli sarebbe spettata se avesse giurato fedeltà.
Abbandonata la casa generalizia e deposto l\’abito religioso, il beato, niente affatto entusiasta di vivere fuori del convento, trovò la maniera di rifugiarsi nel ritiro semiabbandonato di Pieve Torma (Macerata) in compagnia di un fratello laico, che lo aiutava a coltivare l\’orto, a tenere in ordine il convento e la chiesa di S. Agostino nella quale egli predicava, confessava e celebrava i divini misteri. Gli fu offerto l\’insegnamento nella scuola elementare del paese ed egli l\’accettò. Poté così condurre una vita serena. Al suo ex-professore di teologia scrisse: "Dico soltanto che provo nuovamente i buoni effetti della solitudine… Sto bene, contento, benveduto, contro mio merito". Al fratello Gaspare confidò: "Faccio ogni festa delle buone cavalcate. Da gran tempo non mi ero tanto divertito". Anche con i familiari il beato intrattenne rapporti molto cordiali. Ogni tanto mandava loro buoni bocconi del maiale che il fratello laico ogni anno allevava, salsicce e ottimi formaggi della zona. E quando lo andavano a trovare si recava volentieri con loro in pellegrinaggio al vicino santuario di Loreto.
Non è improbabile che visitando di quando in quando la Santa Casa di Nazareth P. Lorenzo abbia concepito l\’idea di propagare tra i fedeli la devozione a Gesù Bambino per indurii a meditare il grande mistero dell\’Incarnazione del Figlio di Dio. Dopo che, a Pieve Torina, per due anni consecutivi ebbe predicato durante il mese di gennaio su questo mistero, la devozione verso Gesù Bambino divenne in lui travolgente nonostante le critiche dei confratelli che la consideravano non del tutto conforme alla spiritualità della congregazione. Nel 1815, a 33 anni, al quarto voto di propagare la devozione alla Passione di Gesù, volle aggiungere anche quello di propagare con la parola e gli scritti la devozione a Gesù Bambino. Non è improbabile che sia stato indotto a prendere tale decisione in seguito alla guarigione da lui ottenuta da una grave malattia. In quello stesso anno S. Gaspare del Bufalo fondava a Giano, in Umbria, i Missionari del Preziosissimo Sangue per l\’evangelizzazione del popolo di Dio. Gli intenti dei due Santi erano i medesimi: rendere migliore il prossimo e salvarlo.
P. Lorenzo, dopo d\’allora, cioè per quasi 45 anni, nei corsi di missioni al popolo, negli esercizi spirituali predicati a seminaristi e a monache di clausura, di Gesù Bambino raccomandò la devozione, e la diffuse facendo stampare immaginette, coniare medaglie e fabbricando con le proprie mani, in cera, l\’effigie del Bambinello. Di tale devozione fu così fervente che ai confratelli talora parve in estasi quando ne parlava. Con sé, sul petto, sotto la tonaca, portava sempre l\’immagine del divino Infante chiusa in una cornice ovale di metallo lunga 5 o 6 cm., e la dava a baciare a quanti lo avvicinavano per motivi vari. Scrisse pure diversi opuscoli anonimi per indicare ai fedeli la maniera di onorarlo. Nel 1832 pubblicò ad Assisi in quattro volumetti l\’opera intitolata: L\’anima innamorata di Gesù Bambino. In seguito la compendiò in un solo volume di cui nel 1870 fu ancora fatta la sesta edizione. Le fatiche che dovette sostenere furono estenuanti se, durante l\’estate di quell\’anno, fu mandato a ricuperare le forze nel convento di Monte Cavo, sopra Rocca di Papa (Roma).
Molto numerosi erano i pii esercizi che P. Lorenzo compiva durante l\’anno in onore di Gesù Bambino. Al mattino, quando si destava e si preparava per andare in chiesa o al coro, si segnava, rinnovava il proposito di servire il Bambinello con esattezza e generosità per tutta la giornata dicendo: "A te dono il mio cuore, caro Bambin Gesù, fonte di amore". Prima di uscire di cella si inginocchiava davanti all\’immagine del Bambino Gesù, la baciava e poi se la metteva in seno. Durante la giornata, pur attendendo con molto impegno ai suoi doveri, pensava di continuo al Figlio di Dio incarnato. Talora si sentiva incapace di dominare l\’ardore che per lui provava, e allora ne metteva l\’immagine sul tavolo, la venerava con ripetute genuflessioni, poi la prendeva tra le braccia, la stringeva al seno e sospirava: "Caro Gesù Bambino, ti dono l\’anima e il cuore mio!". Quando si sentiva incapace di onorarlo in modo conveniente invitava gli angeli e i santi del paradiso a venire loro stessi ad onorarlo come meritava,. Al battere delle ore bisbigliava: "Benedetta sia quell\’ora in cui nacque il buon Gesù dalle viscere di Maria per salvare l\’anima mia!". Quando recitava l\’Angelus Domini si commuoveva, pensando all\’incarnazione del Verbo, e quanto celebrava la Messa sovente piangeva pensando che possedeva Gesù Bambino non più in immagine, ma nella realtà dell\’umanità assunta.
Il beato considerava il giorno 25 di ogni mese come giorno festivo. Vi premetteva una piccola novena consistente in cinque offerte all\’eterno Padre, in relazione all\’Incarnazione, e quando arrivava recitava i Gradi della Santa Infanzia davanti all\’immagine di Gesù Bambino. In suo onore ogni tre mesi compiva speciali atti di virtù allo scopo di preparargli la culla, di impedirgli di piangere, di preparargli il vestitino, gli ornamenti e, in modo speciale, la piccola cintura. Nel suo crescente affetto ideò la pratica da lui chiamata viaggio spirituale alla spelonca di Betlemme.
Incominciava il 2 novembre, terminava il 24 dicembre, e la faceva consistere nel recitare ogni giorno 48 Ave Maria, camminando, meditando il mistero dell\’Incarnazione e immaginando di avvicinarsi al santuario di Betlemme. L\’ultimo giorno le Ave Maria diventavano 50. E\’ incredibile la devozione con cui faceva questo viaggio e l\’impegno che metteva nel propagarne la pratica ovunque. All\’inizio dell\’Avvento, senza tralasciare la pratica del viaggio spirituale, recitava ogni giorno le cinque offerte della piccola novena con l\’aggiunta di qualche altra preghiera, e il 25 dicembre era per lui giorno di vera ebbrezza spirituale, quasi di amorosa pazzia per il Redentore del mondo che immaginava vagire con un filo di voce sopra un pugno di paglia.
Con il tramonto di Napoleone I e il ritorno a Roma di Pio VII (+1823) il 24-5-1814 la Congregazione dei Passionisti dopo un mese fu ripristinata. Era composta soltanto da 151 membri, ma molto ferventi e pronti a riprendere il loro apostolato. Il 15-1-1815 P. Lorenzo diede inizio alla sua prima campagna missionaria nella Sabina. La proseguirà fino alla morte dirigendo nelle città dell\’Italia centrale almeno 260 corsi di missioni e di esercizi spirituali, confessando folle di penitenti e dirigendo anime sulla via della perfezione. Nel corso delle missioni, che duravano quindici giorni, di solito svolgeva la parte del catecheta. Lasciava ad altri le prediche cosiddette di massima, sia perché aveva compiuto gli studi in modo piuttosto affrettato e sia perché, nel 1824, durante il suo rettorato nel convento di Todi, aveva contratto una noiosa forma di nevrosi che per tutta la vita gli causerà apprensioni e convulsioni. Invece di affliggersene, scriverà al P. Paolino delle Cinque Piaghe, consultore generale: "Detto male mi serve di svegliarino per andare a Dio".
Il beato, pur essendo smilzo e basso di statura, era disinvolto, socievole e allegro fino all\’umorismo con il prossimo. I bambini lo amavano per la sua semplicità e amabilità, e gli si raccoglievano attorno, ed egli li contraccambiava di uguale amore senza perdersi in conversazioni inutili. Non perdeva tempo. Era talmente attivo che i confratelli lo chiamavano "il moto perpetuo". Oltre che predicatore fu anche per 19 anni superiore modello di comunità, per 6 anni vicario e per 14 anni consultore provinciale. Non fu mai rimosso dagli uffici perché sapeva incoraggiare i buoni, avvisare, correggere e se era necessario punire i negligenti.
Osservantissimo della regola, amante del silenzio, per conservarsi unito a Dio, trascorreva la giornata nel meditare la Passione di Gesù e nel fare sovente la Via Crucis, nel preparare le prediche, nel confessare e nel dirigere quanti si rivolgevano a lui per consiglio o consolazione. Interrogato da un confratello come facesse a rispondere a tante lettere rispose: "Scrivo a ciascuno quanto è necessario". Dalle 150 sue lettere rimaste consta che in tutti cercava di infondere sentimenti di pietà, di fiducia e di amore di Dio. Il 27-7-1852 dal suo ultimo ritiro di S. Angelo di Vetralla scrisse, ad esempio, a un afflitto possidente: "Su, dunque, non disperazione, ma umiliazione; non disperazione, ma confidenza; non disperazione, ma dolce pentimento; non disperazione, ma opere buone che plachino meglio l\’irritata giustizia di Dio". Il B. Domenico della Madre di Dio (11849), che a Roma aveva avuto il P. Lorenzo per vari anni come vicedirettore, supplicò più volte il Proposito Generale di Passionisti, P. Antonio Testa, di eleggerlo direttore del ritiro di Ere, presso Tournai, in Belgio, che aveva fondato prima di imbarcarsi per l\’Inghilterra tanto era persuaso che possedeva una naturale capacità di fare il superiore anche se non brillava per doti eccezionali. P. Antonio non ne condivise la stima. Gli rispose asciutto, asciutto: "Non ho creduto e non credo utile mandare P. Lorenzo. Vostra Paternità lo conosce poco e per conseguenza non sa ciò che chiede".
Negli ultimi anni di vita Dio concesse al P. Lorenzo Salvi il dono dei miracoli. Guarì difatti molti infermi benedicendoli con l\’immagine di Gesù Bambino o ungendoli con l\’olio della lampada del SS. Sacramento. Nell\’archivio del convento di S. Angelo di Vetralla è conservato un volume manoscritto in cui sono esposte le fatiche apostoliche sostenute dai Passionisti di quella comunità dal 1828 la 1870. Orbene in esso si parla di cinque guarigioni di malati ottenute miracolosamente con la recita di un preghiera composta dal beato in onore di Gesù Bambino, e della liberazione del monastero di San Paolo di Tuscania (Viterbo) dalle infestazioni diaboliche, alle quali le clarisse andavano soggette, in seguito alle speciali preghiere fatte dal P. Lorenzo dietro invito del Card. Pianetti, marchese e vescovo della città.
Durante il pontificato di Pio IX (11875) nello stato pontificio i seguaci di Giuseppe Mazzini suscitarono turbolenze perché volevano un\’Italia unita e repubblicana, mentre i neoguelfì, capeggiati dall\’abate Vincenzo Gioberti, proponevano una confederazione di Stati sotto la presidenza del Romano Pontefice. P. Lorenzo previde allora che per la Chiesa incominciavano grandi guai e che sarebbero durati a lungo.
Nel 1848, quando Pio IX, in seguito all\’uccisione di Pellegrino Rossi, suo primo ministro, e al consiglio del Card. Giacomo Antonelli, suo segretario di Stato, fuggì a Gaeta, il P. Lorenzo, scosso di nervi, si rifugiò nel ritiro di Monte Cavo benché fosse superiore della casa dei SS. Giovanni e Paolo. Vi rimase oltre cinque mesi. Anche là tuttavia non gli mancarono orribili spaventi e convulsioni per le schioppettate che i garibaldini scambiavano con i soldati di Ferdinando II, rè di Napoli, accampati a difesa dello Stato Pontificio tra Velletri ed Albano Laziale (Roma). Perfettamente conformato a quanto Dio permetteva in campo politico ed ecclesiastico, egli fece ritorno a Roma dopo la caduta della Repubblica Romana, instaurata da Mazzini, Saffi e Armellini, a opera delle truppe francesi inviate da Napoleone III al comando del generale Oudinot in difesa del papa.
All\’inizio del 1850 il beato fu di nuovo eletto consultore della Provincia della Presentazione composta da 13 conventi, popolati da 220 religiosi, ma a causa della malferma salute si dedicò non più alle missioni che richiedevano molta energia, ma alla predicazione di esercizi spirituali specialmente alle monache di clausura e alla direzione spirituale delle anime. Nel 1853 fu persino chiamato da Mons. Gioacchino Pecci, futuro papa Leone XIII, e dettarli alle religiose del monastero di Monte Luce, presso Perugia, di cui era arcivescovo. Non sapeva dire di no a quanti ricorrevano al suo ministero benché la sua salute continuasse a declinare. Difatti il 7-8-1852 da S. Angelo aveva scritto alla baronessa Virginia Trasmondo, moglie dell\’agente a Roma del re di Napoli: "Mi lusingavo quasi farle una improvvisata nei giorni passati, ma io pure, per cagione dei nervi, vengo visitato dal nostro caro Divino Infante, e vi sono momenti nel corso della giornata che mi getterei per terra come i giumenti, quando per la fatica non ne posso più. Ma pure in mezzo alla sfinimento di forze, vado reggendo e tiro avanti, come nulla soffrissi. Il nostro santo Bambino regge me immeritevole…".
Il 20-2-1854 P. Lorenzo cadde a terra in coro, per un collasso cardiaco, dopo un mattutino notturno. Al P. Provinciale che gli raccomandava di avere cura della salute, scrisse: "I necessari riguardi non mi mancano, quantunque amerei questo corpo mio averlo un po\’ più mortificato a sgravio delle mie bricconerie". Soleva considerarsi uno straccio, chiamarsi vecchio cencioso, miserabile peccatore e, quando si aggirava per Viterbo o Montefiascone, curvo nella sua andatura, e i monelli lo schernivano chiamandolo "il gobbo", egli ne godeva intimamente.
Alle sofferenze dei nervi, il 17-4-1855 altre se ne aggiunsero in lui cagionategli per il completo ribaltamento del carretto su cui viaggiava. Ne riportò una lussazione al braccio e una contusione alla spalla, ma invece di uscire in lamenti si limitò a esclamare: "Sia per amor di Dio". Dovette restare a letto una quarantina di giorni, spiacente soltanto di non potere celebrare la Messa. Appena ebbe ricuperato la salute, il Card. Pianetti mise a profitto della diocesi lo zelo di lui. Nel mese di agosto lo pregò di andare a visitare e a benedire Maddalena Frangioni, religiosa del monastero delle Agostiniane di Viterbo, malata da circa 8 anni. P. Lorenzo fece l\’ubbidienza, consolò l\’inferma, pregò per lei, la benedisse come al solito con l\’immagine di Gesù Bambino e le disse: "Il tuo santo Padre Agostino ti ha ottenuto da Gesù Bambino un bella grazia: domani ti alzerai". La fama del miracolo si sparse come un baleno per tutta la città. Appena il beato riapparve per Viterbo una turba di fanciulli gli tenne dietro gridando: "Ecco il Santo! Ecco il Santo!". P. Lorenzo, per la confusione non riusciva a trattenere il pianto. Appena vide una donna che conosceva, le disse: "Felicetta mia, senti che cosa gridano questi ragazzi? Io sono il più grande peccatore che vi sia al mondo, sono uno scellerato, e questi fanciulli invece gridano: "Ecco il Santo!".
Alla fine del 1855 il Card. Pianetti chiamò ancora una volta il beato a Viterbo perché, con un solenne triduo di preghiere, ottenesse da Gesù Bambino la cessazione del colera che aveva già fatto in diocesi circa 270 vittime. P. Lorenzo predicò, raccomandò a tutti di essere devoti di Gesù Bambino e il morbo effettivamente cessò. Quindi, quando si recava dal palazzo vescovile alla cattedrale e viceversa, il popolo gli si affollava intorno per baciargli le mani, l\’abito o il mantello, e tutti, a una sola voce, ripetevano: "Passa il Santo, passa il Santo!".
P. Lorenzo morì improvvisamente il 12-6-1856 per un colpo apoplettico in casa di una famiglia di benefattori di Capranica, dopo pranzo, mentre stava riposando. Il sacerdote che era stato chiamato al suo capezzale fece appena in tempo ad amministrargli gli ultimi sacramenti. I suoi resti mortali sono venerati nel convento di Sant\’Angelo di Vetralla. Giovanni Paolo II ne riconobbe l\’eroicità delle virtù l\’8-2-1988 e lo beatificò il 1-10-1989.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 162-172.
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