Questo apostolo di S. Giuseppe nacque il 9-8-1845 nel villaggio di St-Grégoire d’Iberville, a oriente di Montreal (Canada), sesto e ultimo figlio di Isacco, falegname e carraio analfabeta. Il bambino, che al fonte battesimale ricevette il nome di Alfredo, crebbe infermiccio, ma sopravvisse per le cure della madre, Glottide Foisy, sua principale educatrice essendo il padre tragicamente morto sul lavoro a Farnham, cittadina in cui si era trasferito per sovvenire alla povertà della famiglia. Più tardi, da religioso, ripensando a lei, egli dirà: “La sera, durante la preghiera recitata in famiglia, io, essendo accanto a lei, seguivo il rosario sulla sua corona”.
A dodici anni Alfredo rimase orfano anche di madre, consumata dalla tisi. Una zia, sposata a un contadino di St-Cesaire, si prese cura di lui, ma invece di mandarlo a scuola, gli fece imparare prima il mestiere di calzolaio e poi di fornaio. Quando con il marito si trasferì in California in cerca d’oro, Alfredo s’impiegò come garzone nel podere di un certo Ouimet, dove crebbe gaio e laborioso, amante più di sgranare rosari nelle ore di riposo che di divertimenti. Dal curato Andrea Provençal imparò ad onorare in modo speciale S. Giuseppe che divenne il confidente del suo cuore. Un giorno, avuto in dono dal padrone un crocifisso, lo appese ad una trave del granaio o alla sera, dopo il lavoro, lo andava a pregare. Alla considerazione della Passione del Signore concepì il desiderio di patire in riparazione dei peccati del mondo, dormendo per terra e portando catene ai fianchi.
In seguito Alfredo fece a Farnham il fabbro ferraio, ma dovette abbandonare questo lavoro perché tormentato da un continuo male di stomaco. Ottenne di impiegarsi presso il curato del paese, ma a vent’anni cercò lavoro in varie città e fattorie degli Stati Uniti. Un giorno, mentre lavorava nei campi, si appoggiò sfinito al rastrello e chiese con fiducia a S. Giuseppe: “Dove dovrò morire?” Come in sogno egli vide allora il collegio Notre Dame di Montreal in cui sarebbe diventato religioso e avrebbe dato inizio all’oratorio in onore del Santo.
A ventitré anni Alfredo andò ad abitare presso alcuni parenti nel villaggio di Sutton. Ogni tanto si recava a trovare lo zelante parroco di St-Cesaire, il quale aveva fatto costruire un collegio nella sua parrocchia e lo aveva affidato alla Congregazione della Santa Croce, fondata a Le Mans (Francia) nel 1837 dal P. Bastilo Antonio Moreau (+1873) per l’educazione e l’istruzione della gioventù, la cura delle anime e la diffusione della buona stampa. Don Provençal suggerì ad Alfredo di farsi religioso nella suddetta congregazione. Egli stesso lo presentò al direttore del noviziato, P. Girolamo Gastineau, con queste parole: ”Mando un Santo nella vostra comunità”.
Il giovane fu ammesso al noviziato il 27-12-1870 con il nome di Fratel Andrea, ma i superiori, nonostante la sua pietà, laboriosità ed ubbidienza, ritennero opportuno rimandarlo in famiglia per la precaria salute. Chi lo salvò fu il vescovo di Montreal, Mons. Bourget, che aveva chiamato in diocesi i Padri della Santa Croce. Appena Andrea gli espose la propria angoscia, lo consolò dicendo: “Non temere, figliuolo; tu sarai ammesso alla professione religiosa”. Difatti ne perorò la causa dicendo ai superiori dell’Istituto: “Se questo giovane diventerà inabile al lavoro, saprà almeno pregare assai bene”.
Al termine del noviziato Fratel Andrea fu nominato portinaio del collegio di Nostra Signora, che dal 1881 al 1890 venne trasformato proprio come l’aveva contemplato in visione. Essendo molto ristretto il numero dei religiosi, oltre che rispondere al parlatorio e andare in cerca dei professori e degli alunni richiesti, il Beato aveva l’incombenza di suonare la sveglia al mattino alle cinque e convocare la comunità ai diversi esercizi. A lui era pure affidata la pulizia del parlatorio e di tre corridoi, nonché le commissioni e le corse all’ufficio postale. Ogni lunedì compiva in carrozza il giro della città per lasciare alle famiglie degli alunni la biancheria da lavare e ogni sabato rifaceva il giro per riprenderla. Nei momenti liberi faceva il parrucchiere, ed allora approfittava dell’opportunità per insinuare nell’animo dei giovanetti qualche buon consiglio e fare nascere in loro la devozione a S. Giuseppe.
Dopo le fatiche del giorno Fratel Andrea trovava ancora il tempo di preparare le ostie per la Messa e di fabbricare i cordoni di lana per i religiosi. Nei difficili inizi della comunità in terra canadese, avendogli il superiore manifestato il desiderio di vedere sistemato ad aiuole il terreno antistante il collegio, l’umile portinaio se ne assunse l’incarico nei momenti di sosta. Per evitare l’eccessiva fatica e la perdita di tempo, egli utilizzava due carriole; ne spingeva una per vari metri, si riposava un po’ e recitava il rosario andando a cercare l’altra. Qualche volta il canto del gallo lo trovava ancora al lavoro ed allora si affrettava a suonare la sveglia per la comunità.
Si resta stupiti nel costatare la somma degli sforzi fatti quotidianamente dal fratello che per i continui dolori di stomaco era costretto a cibarsi abitualmente di latte diluito con acqua, e di alcuni crostini di pane. La salute corporale fu sempre il suo ultimo pensiero. Egli cercava di compiere il proprio dovere nel migliore dei modi e per il resto si affidava ciecamente alla Provvidenza. Più tardi confesserà: “Non ho mai chiesto di essere sostituito da altri per riposarmi nei quindici anni in cui ho sofferto mali di stomaco, né mai ho ricusato di compiere l’incarico avuto; l’ho sempre accettato e quando non riuscivo a finire il mio lavoro di giorno, lo finivo di notte”. Il medico del collegio, un giorno, avendolo visto che, pallidissimo, si affaticava a lavare i vetri delle aule prima della riapertura delle scuole, gli ordinò di riposarsi se non voleva cessare di vivere entro due mesi. Il fratello, piccolo di statura, ma laborioso, si limitò a rispondergli sorridendo: “Se muoio, la mia comunità si sarà sbarazzata di me”.
Mentre attendeva alle sue occupazioni Fratel Andrea conversava con S. Giuseppe e meditava la Passione del Signore. Fu sempre fedele alle pratiche di pietà anche se per necessità sovente era costretto a compierle da solo.
Dopo aver assistito con la comunità alle preghiere del mattino, durante la Messa s’inginocchiava sul pavimento, dietro l’altare vicino alla porta, per poter meglio udire le chiamate al parlatorio. Durante il giorno era felice quando un confratello consentiva a sostituirlo in portineria per dargli modo di fare l’Ora Santa. Durante la notte si recava a pregare sulla collina prospiciente il collegio, dove aveva nascosto una medaglia di S. Giuseppe nell’intento di facilitare alla congregazione la compera di quel terreno.
Perché portasse a termine la missione che gli era stata affidata dal cielo, Dio concesse al Beato il dono delle guarigioni. Egli approfittava delle quotidiane corse che faceva alla posta per fermarsi ogni tanto presso un malato e lasciargli un po’ di olio che aveva alimentato la lampada che, nella cappella del collegio, ardeva davanti alla statua di S. Giuseppe. In comunità nessuno si accorgeva di quella originalità, ma la buona gente timidamente cominciava a sussurrare: “Sapete, Fratel Andrea è un Santo; egli guarisce gli ammalati!”.
Nelle portinerie dei conventi accadono sempre involontari disguidi e contrattempi. Fratel Andrea non cercò mai di spiegare la sua condotta o di scolparsi delle accuse che gli venivano fatte dall’irascibile superiore, P. Louage, e dai confratelli. I testimoni di tali scene diranno un giorno: “Noi eravamo stupiti di tanta dolcezza e umiltà. Al suo posto ci saremmo difesi; egli invece non proferiva neppure una parola”. Per diventare più simile al Figlio di Dio crocifisso il Santo portinaio non si accontentò delle prove della vita comune, dei digiuni, delle preghiere e dei lavori notturni. Più tardi confesserà egli stesso: “Sovente, nelle notti d’inverno, io andavo nella bottega del ferraio e mi versavo addosso docce di acqua fredda; talvolta andavo a rotolarmi nella neve in angoli oscuri dietro al collegio”. Non è improbabile che tali penitenze gli servissero per domare gli assalti del demonio. Satana, difatti, s’infuriava degli atti di carità che Fratel Andrea compiva a favore dei malati e dei defunti, e cercava di fargli paura assalendolo sotto sembianze di animale o assordandolo con strani rumori.
A poco a poco si diffuse per la città la fama delle guarigioni che il portinaio di Nótre-Dame operava con l’invocazione di S. Giuseppe. Benché continuasse a restare agli occhi dei confratelli un povero converso, dotato tutt’al più di uno spirito alquanto originale, da ogni parte cominciavano a giungergli richieste di guarigione di persone affette dai mali più strani. La medicina che egli suggeriva a tutti era il ricorso fiducioso al Padre verginale di Gesù. Vent’anni prima dell’inizio dell’opera sua, Fratel Andrea portava i segni della divina predilezione, ma nella sua mente non si disegnava ancora l’oratorio prima e la basilica poi che su Mont-Royal sarebbero sorti in onore del grande San Giuseppe.
Nel 1896 i religiosi della Santa Croce comprarono la collina prospiciente il collegio per impedire che su di essa fosse eretto un albergo. L’infaticabile portinaio ne allargò il sentiero, ne temperò l’asprezza con qualche scalino, e nell’anfrattuosità della roccia mise una statua di S. Giuseppe con una scodellina per raccogliere l’obolo degli eventuali pellegrini. Queste offerte prenderanno più ampie proporzioni di mano in mano che si moltiplicheranno le guarigioni per intercessione del padre putativo di Gesù.
Ai genitori non piaceva che i loro figliuoli nel parlatorio del collegio si trovassero a contatto dei sofferenti che quotidianamente andavano a ricercare la salute dall’umile portinaio. 1 superiori, che non volevano opporsi ai possibili disegni della Provvidenza, affidarono a Fratel Andrea una casupola di fronte al collegio. Mons. Bruchési, arcivescovo di Montreal, non aveva loro detto: “Se l’opera è divina, andrà avanti; se non lo è, crollerà da se stessa?” Non tutti ne condividevano il pensiero. Il medico del villaggio, per esempio, lo riteneva, un “ciarlatano” e alcuni confratelli provocarono addirittura l’intervento dell’ufficio d’igiene. Il delegato, incaricato di ricondurre al dovere il sovvertitore delle leggi mediche, rimase incantato del buon senso dimostrato dal fratello laico che curava i malati frizionandoli con una medaglia e un po’ di olio. Ci fu persino chi lo calunniò di offesa al pudore e di pazzia; tuttavia, nel 1904 ottenne che a mezza costa di Mont-Royal fosse eretto un piccolo oratorio in onore di S. Giuseppe e vi fosse collocata dentro una statua.
I malati vi si recarono subito a frotte con Fratel Andrea per pregare e fare la Via Crucis. I medici e qualche confratello continuarono a fargli una guerra spietata tanto che i superiori pensarono di trasferirlo all’università di S. Giuseppe, nel Nuovo Brunswich. Mons. Bruchési e P. Dion, provinciale dei Padri alla Santa Croce, decisero invece di sostenerne la buona causa facendo ingrandire l’oratorio rendendolo accessibile anche d’inverno (1908).
L’arcivescovo, prima di dare i dovuti permessi, aveva chiesto a Fratel Andrea se S. Giuseppe gli avesse fatto intendere in modo soprannaturale di voler un tempio su Mont-Royal, ma egli disse candidamente che alla base di quella iniziativa c’era soltanto una grande devozione al Santo e un’assoluta fiducia nel suo patrocinio.
A Fratel Andrea, non più portinaio del collegio, fu affidata la custodia del santuario. I lavori di ingrandimento proseguirono ad intervalli dal 1912 al 1937, secondo le disponibilità di denaro. Il Beato non ne vide il compimento, ma alla fine del 1936, dopo molti anni di sosta, rianimò il consiglio dell’Oratorio dicendo: “Volete avere il tetto della basilica? Installate la statua di S. Giuseppe sui muri aperti, ed egli troverà il modo di coprirsi”. Oggi milioni di pellegrini salgono ogni anno da tutte le parti del mondo alla basilica, prodigioso successo dovuto ad uno speciale intervento della divina Provvidenza.
Mentre Fratel Andrea si prendeva cura dell’Oratorio, senza che se ne avvedesse, presiedeva allo sviluppo del culto a S. Giuseppe ricevendo i pellegrini e sollecitando i malati ad applicarsi la medaglia e l’olio del Santo, e a fare una novena in suo onore. Moltiplicandosi le guarigioni i pellegrini accorrevano sempre più numerosi all’oratorio, ma il Beato si preoccupava più della salute della loro anima che di quella dei loro corpi. Le visite a domicilio che alla sera continuava a fare agli ammalati avevano lo scopo di guadagnare anime al cielo. Parlava sovente ai peccatori ostinati con toccanti accenti della misericordia di Dio e della Passione di Gesù Cristo, senza dimenticare la giustizia. Dio gli aveva concessa anche la grazia di scrutarne i cuori. A diversi malati raccomandava perciò la confessione e la retta intenzione se volevano ottenere la guarigione.
Fratel Andrea amava chiamarsi “Il cagnolino di S. Giuseppe”. Non pregava mai il Santo per implorarne i favori, ma per ringraziarlo delle elargizioni dei doni che aspettava e sapeva di ottenere infallibilmente. Difatti, come faceva a dire a un malato che non aveva bisogno di farsi operare? o che era già guarito? Chi gli dava il potere di guarire i sofferenti con il semplice tocco della mano o con una frase? Diceva Frate! Andrea: “Molti non ottengono la guarigione implorata per mancanza di fede e per la loro poca sottomissione alla volontà di Dio. Sovente non fanno quello che io dico loro di fare, come applicare una medaglia, e ungersi con olio”. Non mancava neppure chi si avvicinava a lui per curiosità, o lo riteneva un ciarlatano. Allora il Beato diventava irascibile al punto da scontentare coloro che andavano a sollecitarne i favori. Fu visto sovente versare lacrime per le impazienze che gli sfuggivano e fu udito sospirare: “Ma se la gente capisse che è S. Giuseppe che guarisce!”.
Fratel Andrea non andava soggetto a sentimenti di orgoglio tant’era convinto di essere un vile strumento nelle mani di Dio. Quando i suoi superiori e anche vescovi gli si inginocchiavano davanti per riceverne la benedizione, egli si sottometteva con visibile pena a tali segni di rispetto. Le lodi che coglieva a volo dalla bocca dei pellegrini l’offendevano. Quando si accorse che le suore incaricate della biancheria della comunità gli sottraevano indumenti, prese a consumare con il fuoco quelli già troppo usati. A restare nell’umiltà lo aiutava oltre il temperamento nervoso e violento anche l’eccessiva permalosità di fronte alla minima indelicatezza dei conoscenti. Perfino nel deferente riserbo dei suoi confratelli credeva di leggere una malcelata indifferenza, e ne piangeva come un bambino.
Il Beato conosceva per esperienza il valore della sofferenza. Per questo diceva agli amici più intimi: ”Non bisogna pregare per allontanare i dolori, ma per meglio sopportarli…
Ringraziate il buon Dio se viene a visitarvi con le prove; siete ben fortunati. Se il valore delle sofferenze fosse conosciuto, queste si invocherebbero a mani giunte”. Oppure: “Quando un’anima ha fatto qualche cosa per il buon Dio, Egli la ripaga con il dolore. Il dolore è una cosa tanto grande e di tanto valore che non può ricevere la sua ricompensa se non nel cielo”.
Fratel Andrea dovendo attendere ai pellegrini cercava di essere fedele alla regola del suo Istituto almeno nello spirito, e di conformarsi alla volontà dei superiori per i suoi viaggi in Canada, e una volta all’anno anche negli Stati Uniti. Nel timore di scandalizzare i confratelli se ne scusava dicendo loro: “Sappiamo che non è proibito viaggiare per fare il bene”. Senza il permesso dei superiori mai accettò, ne donò la più piccola cosa. Non conosceva divertimenti e non faceva uso di tabacco, non leggeva giornali e non ascoltava la radio. Lo preoccupava soltanto la salvezza eterna delle anime per cui aveva istituito all’oratorio l’Ora Santa e l’aveva completata con la Via Crucis che faceva ogni venerdì sera.
Il taumaturgo approfittava della notte per trascorrere lunghe ore in conversazione con Dio, nella meditazione del Vangelo e delimitazione di Cristo, nella lettura delle vite dei santi. Fino all’estrema vecchiaia gli bastarono poche ore di riposo. Una volta gli apparve anche la Madonna con il Bambino in braccio mentre stava per mettersi a letto. Tre o quattro volte fu visto brillare sul suo capo un fuoco, in forma di stelle, e seguirlo durante la Via Crucis. Una sera, mentre s’indugiava a pregare dietro l’altare, fu visto circonfuso di vivida luce.
Quando raggiunse i novant’anni Fratel Andrea cominciò a ricevere i pellegrini soltanto il mercoledì e la domenica. Dopo le ore trascorse ad ascoltarli sospirava: “Ancora una giornata di purgatorio passata! ”. Ammalatosi di gastrite acuta fu ricoverato nell’ospedale di St-Laurent, dove morì il 6-1-1937 dopo atroci dolori sofferti per il papa, la pacificazione della Spagna e il completamento dell’oratorio. Pochi giorni prima al superiore aveva detto: “Padre, noi non pensiamo abbastanza alla morte… ho qualche cosa da chiedervi… pregate per la mia conversione”. Ai suoi funerali presero parte circa 100.000 persone.
Il 9-11-1960 fu introdotta la causa di beatificazione di Fratel Andrea le cui spoglie mortali sono venerate nel santuario da lui eretto in onore di S. Giuseppe a Montreal. Paolo VI il 12-6-1978 ne riconobbe l’eroicità delle virtù e Giovanni Paolo II lo beatificò il 23-5-1982.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1 Udine: ed. Segno, 1991, pp. 110-116.
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