E’ passata alla storia come l’apostola e la tacchina dello Spirito Santo, tanto operò per diffonderne la devozione tra sacerdoti e fedeli. Elena nacque a Lucca il 23-6-1835 da genitori illustri per censo, onestà e pietà.
La madre, Faustina Franceschi, la diede alla luce di sette mesi per una caduta motivo per cui, finché visse, la figlia fu sovente cagionevole di salute. Fin da piccola, la beata ricevette, con i due fratelli, un’accurata educazione. A otto anni fu cresimata. Più tardi scriverà nel suo diario: “Da allora, quando mi trovavo in chiesa per la novena di Pentecoste, mi sembrava di essere in paradiso”. Senza che nessuno la guidasse, crescendo negli anni capiva sempre più che lo Spirito Santo doveva essere da lei invocato, e fatto invocare.
Dopo la prima comunione, Elena ottenne di accostarsi al banchetto eucaristico tutti i giorni. Scriverà nel Diario, in preda ad una effusione di amore: “Vengano in me, adorabile Ostia, tutte le vostre virtù: dipendenza, silenzio, semplicità, dolcezza, pace, affinché io possa essere veramente ostia del mio Dio. Consento di essere calpestata; consento di lasciarmi recidere, battere, macinare, cuocere nella fornace del Vostro amore, per lasciarmi poi divorare come e da chi meglio Vi piacerà”. Elena avrebbe desiderato tanto frequentare anche le lezioni di quei professori che il babbo faceva venire in casa per il fratello Almerico, che si preparava al sacerdozio, invece dalla rigida madre fu costretta ad attendere alla musica, alla pittura, al ricamo. Provvide da sola alla propria istruzione sottraendo al sonno ore preziose.
Dotata di tanti doni di natura e di grazia, la signorina Guerra si sentì presa da un irresistibile bisogno di unirsi a qualche virtuosa compagna con il santo vincolo dell’Amicizia Cristiana, per comunicare ad altri la fiamma di zelo che la divorava per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Le ascritte, senza assumersi obblighi speciali, dovevano impegnarsi a vivere integralmente la vita cristiana. La beata si mostrò, in questa attività, una precorritrice dei metodi moderni di Azione Cattolica. Al primo gruppo, formato da cinque giovani, altri se ne unirono in diverse città della Toscana. Più tardi germogliò da esse la Congregazione delle Oblate dello Spirito Santo.
Divorata dal fuoco dell’amor di Dio, Elena si sentiva infastidita dall’inattività e dalla vita borghese che i genitori la costringevano a condurre. Scriverà di se stessa in età avanzata: “Questa piccola donna, dai venti ai trent’anni, sprecò il tempo al piano, mentre ardeva dal desiderio di andare nei paesi degl’infedeli. Poi fu ammessa tra le Dame di Carità che visitano i poveri a domicilio; ciò le aprì la via per emanciparsi alquanto dai vincoli familiari”. Quando a Lucca scoppiò il colera ottenne dalla mamma il permesso di andare a visitare i malati. La gente al vederla passare esclamava: “Ecco la signorina santa”.
Nei mesi di vacanza a Camigliano, Elena raccoglieva le contadinelle nella cappella di villa Guerra per insegnare loro ad amare e imitare la SS. Vergine. Lo stesso fece con le giovani lucchesi quando si scrisse alla Pia Unione delle Figlia di Maria (1867). Sono pieni di unzione i manualetti che compose in quel tempo a loro edificazione. Nell’esercizio dell’apostolato nulla le bastava, sentendosi spinta a fare per il Signore “qualche cosa di grande”. Giacché per la naturale timidezza e la coercizione materna si sentiva incapace di attuare ciò che pensava, cresceva taciturna e triste. Per distrarla, il babbo Antonio la condusse qualche volta a teatro, ma Elena gli ubbidì sempre con riluttanza preferendo a quei passatempi le letture spirituali e la preghiera. Dalla mamma aveva appreso “che tutto ciò che il mondo stima, non è che vanità”.
Durante il pellegrinaggio che fece a Roma con il babbo, Elena ebbe modo di ritemprarsi nella fede, visitando un centinaio di chiese, monumenti e musei. Ritornò a Lucca fermamente decisa a fare “qualche cosa” per la gloria di Dio ed il bene delle anime. Avrebbe voluto fondare una Congregazione di Adoratrici del SS. Sacramento, ma il suo direttore spirituale, il P. Venanzi S. J., non fu dello stesso parere. Una sera mentre leggeva la vita di S. Angela Merici (+1540) concepì l’idea di fare qualche cosa anche lei per l’educazione della gioventù. Chiese ed ottenne dalla mamma il permesso di fare un po’ di scuola ad alcune ragazze povere in casa di una Dama di Carità. Nel frattempo organizzò (1871) tra le “Amicizie Spirituali” un gruppetto di adoratrici, sotto la protezione di S. Zita, (+1272). Quando a Lucca trapelò che la beata pensava alla fondazione di un Istituto, fu ritenuta una esaltata. L’abate Battolla di La Spezia, che fu uno dei più attivi sostenitori di lei e della sua opera, le suggerì di unirsi con altre congregazioni nascenti, ma ella sentiva in cuor suo che non era quella la volontà di Dio.
Con l’aiuto del parroco della cattedrale, il canonico Della Santa, Elena aprì il 9-12-1872 una scuola femminile privata per le figlio della borghesia e della nobiltà lucchese. In un primo tempo l’opera fu accolta con entusiasmo perché colmava una lacuna, poi un certo senso di diffidenza cominciò a serpeggiare nell’interno della stessa famiglia religiosa. Fu abbandonata da quasi tutte le prime compagne, ma non per questo indietreggiò, sicura di quanto aveva scritto come introduzione alle regole: “Le Congregazioni religiose si devono considerare come un seme di paradiso, che Dio nella sua infinita sapienza e bontà getta sulla terra di qualche cuore, perché ivi fecondato dalle acque della contraddizione e dal celeste fuoco dello Spirito Santo, germogli e cresca, e, sempre appoggiato qual tenera pianticella al sostegno della croce, produca ubertosi frutti”.
A poco a poco la fiducia nell’opera della beata rinacque. L’aumento delle alunne fece anzi sentire la necessità di una casa più ampia in cui affiancare alla scuola un laboratorio per diversi mestieri. Ci fu chi tentò di farla chiudere e la fondatrice, pronta ad accettare l’umiliazione del fallimento, chiese a Don Bosco (+1888), di passaggio a Lucca, di ammetterla tra le figlio di Madre Mazzarello (+1881). Il santo la esortò a perseverare nell’opera intrapresa e, dopo alcuni mesi, laboratorio e scuole furono insufficienti a contenere le alunno. L’arcivescovo di Lucca, Nicola Ghilardi, si mostrò disposto a erigere la famiglia religiosa della Guerra in congregazione religiosa a condizione però che fosse sistemata in un locale conveniente. Per procurarselo la fondatrice sarebbe andata a questuare anche a Roma, ma Iddio la trasse d’impiccio suggerendo alla signora Faustina la divisione del patrimonio familiare tra i suoi figli. Elena potè così comperare il palazzo Ghivizzani e trasformarlo in casa madre della Oblate dello Spirito Santo (1882) in cui, finché visse, educò alla vita cristiana centinaia e centinaia di giovani, tra cui S. Gemma Galgani (11903), scrisse numerosi opuscoli ascetici per sovvenire alle necessità della Chiesa e propagò incessantemente la devozione allo Spirito Santo. In città e nei dintorni si parlava molto di lei come di una fondatrice dotata di eccezionale intelligenza. Lo stesso Pio IX, fin dal 1871, si congratulò con lei per il suo zelo che la portava a dedicarsi a quelle cose che “sogliono essere maggiori delle forze di una donna”.
La beata per attirare l’attenzione dei fedeli sulla necessità della devozione al divino Paraclito, escogitò sempre nuove forme di apostolato e nuovi scritti. Alle suore teneva frequenti istruzioni sulla liturgia e sullo Spirito Santo. Aveva scritto nelle regole dell’Istituto: “Le suore lascino allo Spirito Santo la direzione del pensiero e delle opere e opereranno la loro santificazione”. Personalmente ella fu sempre docilissima alle ispirazioni della grazia. Nello zelo che la divorava per il bene dei fedeli e la conversione dei pagani si sentiva vera figlia della Chiesa. Le associazioni della “Propagazione della Fede” e della “Santa infanzia” ebbero la sua entusiastica collaborazione. Molti sacerdoti ricevettero da lei indumenti personali, paramenti sacri, cospicue elemosine sia in diocesi che nelle più lontane missioni. Per le opere missionarie non si vergognò di andare a chiedere l’elemosina alle porte dei lucchesi e scrisse opuscoli per sollecitare la carità dei buoni e organizzò lotterie.
Non c’era avvenimento della Chiesa che non la riguardasse personalmente. Quando a Trento fu organizzato il congresso massonico per l’intensificazione della lotta contro la Chiesa e il papato (1896), scrisse a Mons. Nannini, suo direttore spirituale, che in rappresentanza di Mons. Ghilardi doveva svolgervi il tema “La devozione allo Spirito Santo”: “Ah, lo preghiamo poco, e poco lo conosciamo l’Eterno Sostanziale Amore di Dio! I primi cristiani facevano prodigi di fortezza perché risentivano più che noi i divini ardori del Cenacolo!”. Profondamente rattristata al pensiero che la maggior parte dei cristiani trascurava la devozione allo Spirito Santo, pubblicò articoli per sensibilizzare l’opinione pubblica e invitare i cattolici a pregarlo perché la fede fosse conservata e propagata. Tra l’altro diceva: “Se il clero coltivasse nelle anime la devozione allo Spirito Santo, se il mondo si ravvivasse in questa devozione, un’ondata di grazia potrebbe rinnovare i prodigi del Cenacolo di Gerusalemme, nell’efficacia dell’apostolato tra gl’infedeli, gli eretici, gli erranti!”.
Di sua iniziativa fin dal 1865 la beata diffuse una pagella dal titolo “Pia Unione di preghiere allo Spirito Santo” per ottenere la conversione degl’increduli e, l’anno successivo, diffuse la pratica delle sette settimane in preparazione alla Pentecoste. Nel 1889 scrisse e fece stampare la novena intitolata “Nuovo Cenacolo” per suscitare “un generale ritorno dei fedeli allo Spirito Santo”. Molti l’accolsero con gioia, ma non passarono ai fatti. Suor Elena pensò allora di scrivere, tramite il suo confidente, Mons. Giovanni Volpi, a Leone XIII per esortarlo a indurre tutti i vescovi della Chiesa a raccomandare ai parroci di preparare i fedeli alla festa di Pentecoste con una novena possibilmente predicata. Il suo desiderio fu esaudito. Il papa mandò ai vescovi di tutto il mondo un Breve il 5-5-1895 per raccomandare a tutti i cattolici la novena di Pentecoste per il ritorno dei dissidenti alla vera Chiesa. La beata, riboccante di gioia, scrisse il manuale intitolato “Ossequi e preghiere allo Spirito Santo” e per fare fronte alle spese di stampa si era dichiarata disposta a vendere l’artistico calice di cui si era servito il fratello Almerico per celebrare la prima Messa. Mons. Volpi ne mandò copia al segretario del papa che tra l’altro gli scrisse: “Poiché ella mi parlò dello spirito illuminato di quella religiosa, Sua Santità desidera che, dissimulatamente, vegga all’occasione, se la medesima avesse altri lumi che potessero tornare utili al bene delle anime, da comunicare poi a tempo opportuno”.
Questo primo successo a gloria dello Spirito Santo, Suor Elena lo aveva ottenuto a costo di molte preghiere e con l’offerta di tanti dolori. Non rimase tuttavia soddisfatta del modo con cui i cattolici corrisposero allo spirito di quella esortazione. Tutto era finito con la novena di Pentecoste.
Istituì allora l’associazione del “Cenacolo Permanente”, composto di anime generose le quali si radunavano, sette per volta, per pregare, in un giorno assegnato, lo Spirito Santo e s’impegnavano a diffonderne la devozione. Nel 1896 suggerì al papa di rendere concreto l’impegno del Breve emanato, promulgando al mondo il “Cenacolo Permanente”. Anche questa volta il suo desiderio fu esaudito perché il papa con l’enciclica Divinum Illud Munus del 9-5-1897 raccomandò esplicitamente a tutti i fedeli la devozione allo Spirito Santo. Cinque mesi più tardi ricevette in privata udienza l’ispiratrice di quei suoi documenti.
La beata costatava con tristezza che il clero poco s’interessava di quanto il papa nella sua enciclica aveva raccomandato.
Moltiplicò allora gli opuscoli per richiamare parroci e fedeli alla pratica della devozione allo Spirito Santo, e finanziò missioni al popolo in varie città d’Italia allo stesso scopo. Scrisse una terza lettera al papa perché richiamasse vescovi e fedeli al dovere di mettere in pratica le esortazioni contenute nell’enciclica, ed egli la esaudì mandando una lettera ai vescovi per ricordare loro che la novena di Pentecoste si doveva celebrare tutti gli anni per il ritorno all’unità di tutti i credenti. La beata a conclusione di questo nuovo successo annotò nel suo Diario: “Mio Dio, fate che il santo Padre sia davvero ubbidito!”.
A fecondare tanta sollecitudine per la diffusione della devozione al divino Paraclito, non mancava alla beata che l’immolazione. E venne anche questa, conforme al desiderio che ne aveva espresso più volte per il bene di tutta la Chiesa. “Ora vi dico, o Signore, di volere essere vittima vostra e nel fuoco del vostro amore consumare i miei sacrifici fino all’ultimo che sarà, lo spero, il più bello di tutti! Disponete di me come meglio vi aggrada, che io abbandonandomi inferiormente a Dio intendo farvi il Dio del mio Cuore. Tenetemi sempre nelle vostre mani adorabili, affinché io non sia più padrona di me, ma totalmente a vostra disposizione, vittima consacrata al vostro beneplacito. Moltiplicate pure i miei sacrifici, e tenetemi sempre ai piedi dei vostri altari eucaristici, affinché io mi immoli con voi. Ma non basta, o Gesù mio! La vostra vittima vi chiede l’altare della croce: il calvario, i chiodi, la lancia, i flagelli, le spine e tutto ciò che può condurmi alla perfetta somiglianza di Voi. Ottenuti questi preziosi doni, potrò starmi nel santo ciborio, unirmi alle vostre occupazioni, e con Voi adorare, amare, espiare, ringraziare, domandare, sacrificarmi continuamente, vivere insomma della Vostra vita!”.
Anche riguardo a questi desideri d’immolazione Suor Elena fu presa in parola. Per difficoltà sorte nell’interno della sua famiglia religiosa, il 20-9-1906 fu deposta da superiora generale, quasi fosse inetta alla carica e le fu proibito persino di scrivere altri opuscoli ascetici. Per otto anni la beata accettò senza un lamento l’umiliazione della forzata inazione. Scrisse nel suo Diario: “E bello operare il bene, ma rimanere fermi per volere altrui, lasciarsi legare le mani senza ribellarsi, congiungendole in un supremo atto di adorazione e di perfetta adesione al volere di Dio, è opera ancora più sublime, è un trasformare la più umiliante inazione nell’azione più perfetta che possa fare la creatura”.
Gli ultimi tre anni di vita, Suor Elena li trascorse tra ripetute malattie sospirando il paradiso. Morì il sabato santo del 1914 dopo che si era fatta vestire, era scesa dal letto, aveva baciato la terra e aveva ripetuto ad alta voce: “Credo!”. Il suo corpo riposa a Lucca nella cappella della Oblate dello Spirito Santo. Giovanni XXIII la beatificò il 26-4-1959.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 161-168.
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