Ai vaccari che trovò, Fra Diego rivolse come al solito una buona parola, ma uno di loro, che non si confessava da 9 anni, se ne fece beffe. La mattina dopo, mentre conduceva il bestiame al pascolo, ebbe la sfrontatezza di dire a Fra Diego: “Padre, vede quel toro? Se riesce a farlo mettere in ginocchio, mi confesserò io pure”. Investito dallo spirito di Dio il Beato si rivolse all’animale e gli disse: “Fratello toro, fermati!”. L’animale furente si arrestò all’istante. Fra Diego gli si accostò e il toro si mise in ginocchio tra lo stupore dei vaccari. Alla vista di quel prodigio, il peccatore si arrese e detestò i propri trascorsi.
Questo apostolo della Spagna e taumaturgo, nacque il
30-3-1743 a Cadice da Giuseppe Lopez Caamano e da Maria Garcia Pérez di Rendón,
entrambi nobili decaduti. A nove anni, essendo rimasto orfano di madre, il
beato fu affidato dal padre, passato a seconde nozze, a un sacerdote affinchè
lo ammaestrasse nelle lettere latine, ma scarso fu il profitto che ne ritrasse
perché tardo d’ingegno e balbuziente. Il padre, confidando nello sviluppo del
figlio, lo mandò a studiare a Ronda sotto la direzione dei Frati Predicatori,
ma se lo vide, con tristezza, rimandare in famiglia; per la poca attitudine che
manifestava allo studio.
Giuseppe, pur essendo pio e ubbidiente, non si sentiva
chiamato alla vita religiosa. Gliene venne però il desiderio frequentando ogni
mattina la chiesa dei Cappuccini e leggendo la vita di due santi da poco
canonizzati: S. Giuseppe da Leonessa (+1612) e S. Fedele da Sigmaringa (+1622).
Il P. Provinciale, in visita al convento di Cadice, lo esaminò e,
contrariamente al parere del P. Guardiano, lo ritenne sufficientemente istruito
per mandarlo a fare il noviziato a Siviglia, dove il 15-11-1757 vestì l’abito
religioso e assunse il nome di Fra Diego.
Durante l’anno di prova, al beato non mancarono
tribolazioni e turbamenti, ma li vinse lasciandosi docilmente guidare dai
superiori e osservando diligentemente le regole. Appena emise la professione
solenne, cominciò lo studio della filosofia, ma non vi fece molto progresso
perché sentiva maggior diletto nel comporre poesie. Quando giunse a studiare il
trattato di Dio e dei suoi attributi, Fra Diego sentì nel suo interno una
inclinazione tanto veemente ad approfondire la verità rivelata che riguadagnò
il tempo perduto e meritò di essere ordinato sacerdote il 13-6-1767.
Da quel giorno il progresso nella virtù di Fra Diego fu
inarrestabile. Nel convento di Cadice dove fu rimandato, continuò a studiare, a
pregare per la conversione dei peccatori e a seguire lo stretto regolamento di
vita che si era imposto. Tra l’altro in esso propose: “Sarai diligente
nell’osservare tutte le quaresime che era solito fare S. Francesco d’Assisi. Ti
asterrai dalla piccola colazione della sera, il mercoledì, il venerdì e il
sabato; non prenderai cibo di sorta il venerdì e il sabato santo; nelle vigilie
delle più grandi solennità dell’anno digiunerai e, ai soliti cilici, ne
aggiungerai altri due”. Un giorno confidò a un suo confratello:
“Nelle discipline che faccio all’aurora prego il Signore a darmi la
vigoria necessaria per l’adempimento dei miei doveri e subito mi sento venire
tanta forza che positivamente conosco non essere figlia del mio spirito
ordinario e vile”. Per tenere soggette le passioni che soleva chiamare
“fiere domestiche” non mangiava carne, non beveva vino e dormiva per
terra o sopra delle assi, tenendo un grosso crocifisso sul petto.
In una notte di ciascuna settimana, Fra Diego faceva
l’esercizio delle anime devote, vale a dire riviveva, pregando e meditando per
tre ore, le varie scene della passione del Signore. Al termine della pia
pratica, si distendeva sopra una croce e, se trovava qualche confratello
compiacente, su di essa si faceva legare e abbeverare di sostanze amare.
Scrisse a un confratello: “Non c’è cosa che tanto m’incoraggi a percorrere
la via della perfezione quanto il meditare i dolori del Figlio di Dio e di Maria: ad onta della mia grande rilassatezza, tiepidezza e miseria, mi sento tutto
confortato nell’occuparmi di questi misteri di dolore e di amore”.
Non meraviglia quindi che, agli occhi del beato, le più
leggere mancanze apparissero come gravi offese a Dio o lo lasciassero con la
coscienza angustiata. Scrisse difatti al suo direttore spirituale: “La mia
vita è la più sregolata, le mie opere le più inutili, il mio intimo il più
dissipato; io sono un abisso di malvagità… Sono il più misero, il pessimo
degli uomini e il più ingrato ai benefìci di Dio… Io temo due cose in modo speciale:
che il Signore mi tolga ciò che gratuitamente mi ha dato e che mi abbandoni in
potere del mio stolto consiglio…”. Non perdeva per questo la sua fiducia
in Dio e lo dimostrava firmandosi “Fra Diego della speranza”.
Dopo la recita di Mattutino il Beato rimaneva ancora in
chiesa a pregare per lunghe ore con le braccia poste in forma di croce o
disteso bocconi per terra. Ogni giorno faceva la Via Crucis e celebrava la
Messa con straordinaria devozione, impiegandovi di solito quaranta minuti.
Diverse volte fu visto elevarsi da terra e restarsene in amorosa
contemplazione. Nei deliqui ripeteva: “Mio Dio, ti amo: sono una
miserabile creatura, è vero, ma tu da questa miserabile creatura non altro
richiedi che amore. Ti amo, ti amo, mio bene!”
I superiori
affidarono a Fra Diego il ministero della predicazione. Piacque tanto ai popolo
la maniera che aveva di porgere la parola di Dio che il vescovo di Malaga lo
chiamò a predicare la quaresima nel paese di Estepona, lacerata dalle discordie.
Il beato si prostrò piangendo ai piedi del crocifisso e pregò: “Signore,
dispensami dall’andare a portare la tua parola a un popolo che non ti ama. Sono
ancora giovane; la mia parola sarà rigettata o derisa non avendo io alcun
prestigio”. Una voce gli rispose; “Non temere, va’ dove ti manda
l’ubbidienza, e io sarò con te”.
Per i successi conseguiti, i superiori decisero di
destinare Fra Diego al compito di Missionario Apostolico. Il Beato, conscio dei
propri limiti supplicò il Signore di fare in modo che gli fosse affidato un
ministero più umile. Gesù Cristo gli apparve con la croce in spalla mentre
pregava in coro. Senza dirgli nulla gh passò davanti e giunto in presbiterio,
cadde sotto il peso della croce. Fra Diego corse a sollevarlo e a dirgli:
“Che cos’è questo, Signor mio? Perché sei caduto?” Gesù gli rispose:
“Come non debbo cadere quando tu, che avevi cominciato a sostenermi, pensi
già a lasciarmi con danno delle anime da me redente?”. Detto questo il
Salvatore scomparve e Fra Diego, tutto confuso, propose di compiere fino alla
morte la volontà di lui.
Un giorno Fra Diego stava meditando una frase della
Scrittura, ma non la capiva. Il Signore gli disse allora internamente: “Io
ti darò l’intelligenza necessaria per comprendere la Scrittura in modo che
possa annunziare degnamente e con frutto i miei voleri. Applicati senza riserva
alla predicazione. Ti ho ascritto nel numero dei miei apostoli, sarai come uno
di loro potente in parole e in opere”. Dopo alcuni giorni gli apparvero i
SS. Pietro e Paolo i quali gli dissero: “Fatti animo, compagno e fratello!
La messe è molta, ma pochi sono gli operai nella vigna del Signore.
Abbiamo pregato il Padre celeste perché li aumenti, e tu
sei l’eletto”. Prima di scomparire gli consegnarono un bastone e un libro
e gli assicurarono che lo avrebbero sempre protetto.
Per tutta la vita il beato non fece altro che percorrere la
Spagna per evangelizzare in tutte le forme città e villaggi e confutare gli
errori prima dell’enciclopedia e poi della rivoluzione francese. I vescovi
andarono a gara per averlo nella propria diocesi tant’erano copiosi i frutti
spirituali che ovunque raccoglieva. La sua predicazione varia, semplice, ma
anche sostenuta, aveva del prodigioso. Non c’era nessuno che fosse pari a lui
nella scienza, nell’arte del persuadere e nell’unzione dell’esposizione. Anche
le università, le accademie, le famiglie religiose e persino la corte lo
volevano udire. Il Padre Guerrero, OP., che a Ronda lo aveva avuto
condiscepolo, un giorno volle andare a udirlo. Ne rimase tanto ammirato che,
dopo il sermone, si sentì in dovere di fargli i suoi complimenti. Il Beato gli
rispose con molta umiltà: “Tu lo vedi, mio caro, non vi è niente del mio.
Iddio ha voluto operare questo in me, perché risplenda di più il suo
potere”.
Nel corso delle sue predicazioni Fra Diego amava parlare
in modo speciale della Santissima Trinità motivo per cui da tutti ne era
proclamato apostolo. Ogni volta che saliva sul pulpito indossava lo scapolare
dell’Ordine dei Trinitari. A Màlaga un teologo, dopo un sermone del Beato
sull’augusto mistero, disse a chi lo accompagnava; “Bisogna confessare che
quest’uomo, per tutto il tempo della predica, sia stato in Paradiso, dove a
faccia a faccia si vede chi è il Padre, chi è il Figlio, chi è lo Spirito
Santo. Gesù, Gesù, che meraviglia!”. A Jàtiva (Valenza) l’uditorio si
entusiasmò talmente al dire del Santo cappuccino che a un certo momento
cominciò a gridare: “Viva il Padre Diego! Viva il Padre Caamano Lopez!”.
Il Beato, confuso, riprese i fedeli, poi, prima di scendere dal pulpito, a sua
volta gridò: “Viva la Santissima Trinità! Viva la Santissima
Trinità!”. A Villa di Gaspe, al termine della missione, mentre Fra Diego
si congedava dalla popolazione, apparvero 3 soli di uguale grandezza su di lui,
racchiusi in un triangolo con attorno nuvolette molto luminose. Da essi partiva
un fascio di luce che andava a riverberarsi sulla testa del Beato. Il prodigio
cessò solamente quando la gente, giunta al fiume che scorre a due miglia dalla
città, si separò dal predicatore.
Grande era la venerazione di cui Fra Diego godeva tra
tutti i ceti sociali e, naturalmente, non mancava chi sapesse trame profitto.
Passando un giorno per Siviglia, il Beato udì alcuni che gridavano: “Ritratto
del Padre Diego da Cadice”.
Indignato, il Beato disse: “Come mai i superiori
permettono che si facciano ritratti di un mostro di malvagità? Se Iddio, per
misericordia, non me lo facesse conoscere sarei perduto. Che li gettino al fuoco
di cui soltanto sono degni!” Quando nelle case trovava esposto il suo
ritratto lo faceva a pezzi, lo calpestava ed esortava i detentori a sostituirlo
con un’immagine della Santissima Trinità, del crocifisso o della Madonna.
Fra Diego, alto di statura e ben proporzionato,
percorreva la Spagna camminando sempre a piedi scalzi, rivestito soltanto di
una ruvida tonaca di lana. Amantissimo della povertà, non portava con sé alcuna
cosa per non legare, diceva, le mani alla Provvidenza. Poiché odiava il denaro
più che un serpente velenoso, non accettava compensi alle sue fatiche ma,
quando saliva sul pulpito, anche le chiese più vaste erano troppo piccole per
contenere tutta la gente che accorreva ad ascoltarlo per 2 o 3 ore anche dai
paesi lontani. Era necessario allora collocare il pulpito in mezzo alla piazza
o sopra una altura, per dare a tutti modo di udire la parola di Dio. Sovente
doveva essere scortato da soldati per impedire che la gente lo opprimesse. A un
eretico fu chiesto che cosa pensasse del missionario apostolico. Rispose:
“Questo frate preme molto; è necessario o non udirlo o credere”. Del
resto il Beato stesso scrisse al suo direttore spirituale; “Vorrei
spargere il sangue, e dare mille vite se le avessi, in difesa della fede e
della santa Chiesa, che me le propone e insegna”.
Con la predicazione Fra Diego mirava a togliere abusi,
scandali, stampe oscene e soprattutto a mettere la pace nelle famiglie. Per
riuscire più sicuramente nell’intento non saliva sul pulpito senza avere prima
recitato una terza parte del rosario, e non concludeva la missione senza avere
tenuto almeno una predica su Maria Santissima che venerava sotto il titolo di
Immacolata, Madonna della Pace e Divina Pastora, di cui faceva esporre le
immagini nelle case e nelle chiese. Furono così visti protestanti farsi
cattolici, illustri cittadini farsi religiosi, monasteri dissipati diventare
ferventi, preti scandalosi ritornare zelanti, governatori di città costruire
opere di pubblica beneficenza per i poveri e i malati.
Bisogna dire però
che Dio a Fra Diego, oltre il dono della parola, aveva dato anche il dono della
profezia, del discernimento degli spiriti e soprattutto il dono dei miracoli.
Nel 1785 mentre il Beato da Granada si trasferiva a Guadix per una missione,
chiese alloggio a poveri coloni. Appena si diffuse la notizia, i parenti di una
donna cieca e paralitica gliela condussero a dorso di un’asina, perché la
benedicesse. Il Beato pregò per l’inferma ed ella recuperò all’istante la vista
e l’uso delle gambe. Un’altra volta il Beato fu costretto a chiedere alloggio
in una fattoria. Ai vaccari che trovò, Fra Diego rivolse come al solito una
buona parola, ma uno di loro, che non si confessava da 9 anni, se ne fece
beffe. La mattina dopo, mentre conduceva il bestiame al pascolo, ebbe la
sfrontatezza di dire a Fra Diego: “Padre, vede quel toro? Se riesce a
farlo mettere in ginocchio, mi confesserò io pure”. Investito dallo
spirito di Dio il Beato si rivolse all’animale e gli disse: “Fratello toro,
fermati!”. L’animale furente si arrestò all’istante. Fra Diego gli si
accostò e il toro si mise in ginocchio tra lo stupore dei vaccari. Alla vista
di quel prodigio, il peccatore si arrese e detestò i propri trascorsi.
Pio VI, venuto a conoscenza del bene immenso che Fra
Diego compiva in Spagna, con moto proprio gli diede facoltà di concedere
indulgenze parziali e plenarie a suo giudizio, e lo nominò consultore
straordinario del Supremo Consiglio di santa romana Chiesa esistente in
Bologna. L’esempio del papa venne tosto imitato dai vescovi di tutta la Spagna.
Il cardinale Delgado, arcivescovo di Siviglia, suggerì al re Carlo III di farlo
nominare vescovo di una diocesi, ma il sovrano gli rispose: “Lasciamolo
nel suo ministero, così, invece di circoscrivere la sua missione a una diocesi,
lo avremo vescovo di tutto il regno”. Più tardi, in seguito a tante
insistenze, gli offrì il vescovato di Ceuta, ma il Beato lo rifiutò limitandosi
a suggerirgli la persona più adatta per quella sede.
Fra Diego ebbe onorificenze da quasi tutte le cattedrali
di Spagna e dalle principali città, titoli accademici da molte università, il
titolo di Grande di Spagna, d’Inquisitore, di vicario generale della armata e
di predicatore soprannumerario della corte da parte di Carlo III, di prefetto
del consiglio di gabinetto da parte delle corti di Napoli e di Portogallo. Il
Beato confidò a un sacerdote suo amico che stima facesse di tanti
riconoscimenti scrivendogli; “Ella già sa di quanti onori non meritati
hanno voluto caricare questo somaro. Ho sempre tremato che il demonio, scaltro
com’è, non mi togliesse la stima che di me debbo avere di uomo inetto e vile…
La regina di tutti, Maria, che ho sempre pregato di mantenermi nell’umiltà, ha
esaudito la mia preghiera”.
Fra Diego predicò la parola di Dio finché le forze lo
sostennero. Cadde gravemente malato nel mese di marzo 1801 mentre predicava a
Ronda. Ai medici che lo curavano disse che quella sarebbe stata la sua ultima
malattia, e al confratello laico che lo assisteva fece capire che sarebbe
andato a celebrare la festa dell’incarnazione del Verbo in paradiso. Difatti
morì, assistito dal parroco, il 24-3-1801 dopo avere molte volte sospirato:
“O mio dolce Gesù, ben tu sai che io ti amo”. Il suo corpo, rimasto flessibile,
fu sepolto di notte a Ronda nel santuario della Madonna della Pace. Fra Diego
fu beatificato da Leone XIII il 10-4-1894. Parte delle sue prediche furono
pubblicate in 5 Vol. a Madrid (1796-1799), lui vivente.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del
giorno, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 268-273.
http://www.edizionisegno.it/