B. DIEGO CARVALHO (1578-1624)

Il B. Diego nacque a Coimbra (Portogallo) nel 1578. Fattosi gesuita nel 1594, passò alle missioni delle Indie nel 1600, e dopo avere fatto gli studi filosofici e teologici a Macao, fu mandato in Giappone (1609). Poté svolgervi il ministero sacerdotale soltanto per cinque anni perché il decreto emanato dall’imperatore Ieyasu nel 1614 condannava all’esilio tutti i missionari. P. Diego ne approfittò per recarsi nella Cocincina a fondarvi con il P. Francesco Burzoni una cristianità che in seguito prosperò.

E’ un padre gesuita che fa parte della gloriosa schiera dei 205 missionari e cristiani martirizzati in Giappone tra il 1617 e il 1632
beatificati da Pio IX il 7-5-1867. La storia dell’evangelizzazione dell’impero
del Sol Levante comincia dal 1543, anno in cui fu scoperto dai portoghesi. S.
Francesco Saverio vi entrò nel 1549, e in due anni riuscì a convertire 1.500
pagani. A poco a poco i cristiani giapponesi si moltiplicarono fino a
oltrepassare i 200.000 nel 1587, con centro principale a Nagasaki. Nel luglio di
quell’anno il maresciallo della corona Toyotomi Hideyoshi (Taicosama) (+1598),
fino allora favorevole ai missionari, emise un editto di persecuzione contro i
gesuiti perché, pare, non avevano voluto mettere a sua disposizione una nave per
la spedizione contro la Corea, e le vergini cristiane si opponevano a diventare
concubine imperiali. La persecuzione portò alla crocifissione di sei
francescani, tre gesuiti e diciassette giapponesi a Nagasaki (15-2-1597). Essi
furono canonizzati da Pio IX nel 1862.
 L’evangelizzazione del Giappone, continuò sia per il
verificarsi di un periodo di tregua, sia per l’arrivo di altri missionari
gesuiti, francescani, domenicani e agostiniani, i quali eressero case e
fondarono altre cristianità. Verso il 1611, però, i protestanti olandesi e
inglesi fecero credere all’imperatore Tokugawa leyasu (Taifusama) (+1616), che
era riuscito ad affermare la sua autorità su tutto il paese e fino ad allora si
era mostrato benevolo ai missionari, come costoro stessero preparando
un’invasione del Giappone da parte degli spagnuoli. I bonzi per conto loro gli
minacciarono la più spietata vendetta degli dèi nazionali se la religione
cristiana non veniva distrutta.
 Il 27-1-1614 da Meako, l’imperatore decretò che tutti i
missionari fossero portati a Nagasaki, le chiese abbattute, i cristiani
costretti all’apostasia e, alcuni di loro, di nobile condizione, esiliati. Tutti
i tentativi fatti per ottenere la revoca del decreto riuscirono vani. Pochi
missionari riuscirono a rimanere nascosti, altri rientrarono clandestinamente
nel paese la sera stessa per incoraggiare i cristiani alla perseveranza e
attendere a nuove conversioni. La persecuzione cominciò con la caccia ai
missionari rimasti e a coloro che li ospitavano, e non ebbe termine se non con
la quasi completa distruzione del cristianesimo, operata da Hidetada e Iemitsu,
successori di Ieyasu.
 Il numero dei martiri raggiunse cifre assai elevate. Non di
tutti fu possibile introdurre la causa di beatificazione per mancanza di notizie
sicure. Non furono risparmiati nemmeno i fanciulli, le vergini, le matrone, i
vecchi. Si legge nella bolla di beatificazione che “molti legati ad un palo,
furono bruciati a fuoco lento per più ore; altri decapitati, altri barbaramente
straziati e tagliati membro per membro; non pochi furono gettati in profonde
voragini, altri furono tormentati nelle acque sulfuree e bollenti, altri al
contrario immersi in uno stagno gelato soffrirono nel crudo inverno una lunga ed
acerbissima morte; alcuni posti in croce col capo all’ingiù, ed altri chiusi in
orride prigioni morirono di fame e di patimenti”.
 Il B. Diego nacque a Coimbra (Portogallo) nel 1578. Fattosi
gesuita nel 1594, passò alle missioni delle Indie nel 1600, e dopo avere fatto
gli studi filosofici e teologici a Macao, fu mandato in Giappone (1609). Poté
svolgervi il ministero sacerdotale soltanto per cinque anni perché il decreto
emanato dall’imperatore Ieyasu nel 1614 condannava all’esilio tutti i
missionari. P. Diego ne approfittò per recarsi nella Cocincina a fondarvi con il
P. Francesco Burzoni una cristianità che in seguito prosperò.
 Nel 1616 il beato rientrò clandestinamente in Giappone dove
gli furono affidati i distretti settentrionali del paese, tra cui l’Oxu e il
Dewan. Nell’esercizio dell’apostolato ebbe molte consolazioni perché ebbe modo
di visitare e predicare il Vangelo ai giapponesi che, a migliaia, affluivano
nelle miniere d’oro scoperte in quel tempo nelle regioni del nord. Il suo lavoro
era particolarmente difficile per la natura del luogo, la necessità di
travestirsi di continuo, le mille astuzie che doveva usare per sottrarsi alle
numerose dogane e salvare così gli arredi sacri necessari per la celebrazione
della Messa. Infaticabile nello zelo, riuscì a visitare tutte le piccole
cristianità che gli erano state affidate e ad accrescerle di numero e di
credenti. Nel 1620 si spinse fino nell’Hokkaido. Il 5 agosto dello stesso anno
poté celebrare la prima Messa a Matsumae, nell’isola di Yeso, oltre lo stretto
di Tzugaru. La seconda la celebrò dieci giorni dopo presso le miniere per i
cristiani che vi lavoravano. Visitò pure parecchie volte le terre al di qua
dello stretto di Tzugaru, dove a Tacavoca vivevano in miserabili campi di
concentramento le nobili famiglie giapponesi che avevano abbracciato il
cristianesimo, e per questo erano state condannate ad un lento martirio con la
privazione dei generi di prima necessità.
 Nel 1623 Masamune, re di Oxu, per non sembrare negligente
agli occhi dell’imperatore Xongun Sama nell’estirpare il cristianesimo, si
trasformò in un persecutore. In quel tempo il P. Diego si trovava a Miwake,
feudo del fervente cattolico Giovanni Gotò, per celebrarvi le feste natalizie.
Il re sapeva che la famiglia di Gotò era una delle migliori del regno, perciò
era disposto a fare per essa un’eccezione nei decreti di persecuzione che stava
per emanare. Gli esecutori di essi non furono del medesimo parere. Alcuni amici
avvertirono Gotò del pericolo che gli sovrastava qualora non si fosse piegato
agli editti, ma anziché apostatare, il coraggioso cristiano preferì lasciarsi
devastare tutte le possessioni. Giunse anzi a benedire il Signore che gli
concedeva la grazia di spezzare i legami che lo tenevano stretto alla terra.
Esiliato, trascorse il resto dei suoi giorni nella solitudine, tutto dedito alla
preghiera e all’esercizio delle virtù.
 Appena il P. Diego venne a conoscenza degli ordini di
Masamune, per non compromettere il suo ospite si trasferì tra i cristiani di
Orosce di modo che i soldati mandati ad arrestarlo non ve lo trovarono. Due
apostati svelarono ad essi il luogo in cui si era rifugiato, ma quando vi
giunsero il beato era già riuscito a fuggire con una sessantina di cristiani in
un profondo vallone. Le orme lasciate da loro sulla neve li tradirono. I primi
cristiani che i soldati scoprirono nelle grotte adiacenti non esitarono a
dichiararsi tali. Quando il P. Diego li vide venire avanti, uscì fuori dalla sua
capanna e, per dare modo ai suoi compagni di fuggire nei boschi circostanti, si
fece loro incontro dicendo di essere colui che cercavano. Difatti insegnava al
popolo la via della salute. I soldati riuscirono a mettere le mani soltanto
sopra una decina di cristiani. Alcuni di loro, pur potendo scappare, avevano
preferito restare con il missionario per condividerne la sorte.
 Benché facesse freddo, furono spogliati delle vesti e
condotti, legati come malfattori, prima tutt’intorno alla città di Orosce perché
fossero visti dalla popolazione, e poi avviati a piedi a Sendai, capitale del
regno. La neve cadeva a larghe falde e le strade erano impraticabili. I
prigionieri impiegarono difatti otto giorni a compiere il cammino che in altri
tempi si sarebbe compiuto in tre. Due di essi, vecchi e sfiniti, furono
decapitati nel fondo di una valle perché non potevano seguire gli altri. In
tutte le città per cui passavano, i prigionieri venivano presentati agli
ufficiali del principe e maltrattati crudelmente perché ribelli agli editti. Un
giorno i soldati pregarono il P. Diego di predicare loro le verità della fede
cristiana. Il beato li compiacque e benché sembrassero commossi di quanto aveva
detto loro, non cessarono dal diffondere contro di lui delle calunnie allo scopo
di rendere odiosi al popolo i religiosi venuti dall’Europa.
 Quando i cristiani arrestati giunsero a Sendai, la città era
in agitazione perché diversi cristiani vi erano stati messi a morte, altri erano
stati bruciati o gettati nel fiume ghiacciato. Il P. Diego ed i suoi compagni
furono dapprima chiusi in carceri oscure, poi ne furono fatti uscire per essere
condotti al martirio. Sulla riva del fiume Hirose, ai piedi della fortezza, in
vista del palazzo Masamune, i carnefici avevano fatto scavare una fossa
quadrata, chiusa tutt’intorno da pali e l’avevano riempita di tre palmi d’acqua.
Il beato ed i suoi compagni furono costretti a spogliarsi, a immergersi
nell’acqua e a rimanervi seduti, legati ai pali.
 Attorno ad essi stava un grande numero di pagani i quali
ogni tanto li incitavano a rinnegare la loro fede. Il missionario, invece di
badare a quello che dicevano, ora pregava, ora confortava i compagni di pena.
 Dopo tre ore di freddo intenso, il giudice ordinò che
fossero tratti fuori dall’acqua e ricondotti in prigione. Essi però erano
talmente intirizziti dal freddo che caddero sulla sabbia. Due di loro morirono.
Soltanto il P. Diego riuscì a sedersi sul greto del fiume e a fare la sua
preghiera con grande tranquillità. In prigione lo raggiunse un ufficiale il
quale gli disse, da parte del governatore, che gli era stato inflitto quel primo
castigo perché andava predicando la legge cristiana. Se non l’avesse rinnegata,
sarebbe stato sottoposto ad altri tormenti. Il missionario gli rispose con
calma: “Il Signore, al quale io servo, e la cui legge io predico, è l’unico vero
Dio, creatore del mondo; non lo rinnegherò mai”. Ripigliò l’ufficiale: “E se vi
bruceranno, sarete ugualmente deciso a non apostatare?”. Gli rispose il P.
Diego: “Non potrebbero farmi un piacere più grande”.
 Il governatore, al quale era stata riferita la risposta del
missionario, il 22 febbraio del 1624 ordinò che P. Diego fosse ricondotto nella
stessa fossa e vi fosse lasciato morire di freddo. Gli aguzzini, per prolungare
al condannato la sofferenza, lo costrinsero a mutare sovente posizione mentre il
popolo non cessava dall’incitarlo all’apostasia. Nevicava e tirava un vento
gelido. Dalle dieci del mattino fin verso mezzanotte, il P. Diego resistette ai
tormenti stando ora seduto nell’acqua, ora ritto in piedi. Diversi cristiani che
ne vegliarono l’agonia, l’udirono cantare con i suoi compagni le lodi del
Signore e invocare ripetutamente i nomi di Gesù e di Maria. Anche i parenti e
gli amici dei condannati a morte facevano istanze perché si piegassero al volere
del principe. Vedendo che non prestavano loro ascolto, presero a maledire il
missionario, considerato come la causa di quella pena. Verso sera tutti, gli uni
dopo gli altri, morirono. Il P. Diego ebbe la consolazione di costatare che
nessuno di loro aveva dato segni di debolezza. Egli morì per ultimo poco prima
di mezzanotte. Il giorno dopo fu fatto seppellire da un signore cristiano che ne
aveva ottenuto l’autorizzazione.
 
Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed.
Segno, 1991, pp. 244-248.

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