Questa religiosa orsolina tedesca, che si santificò compiendo semplicemente con gentilezza e silenziosità i suoi doveri quotidiani, nacque il 10-7-1883 a Dùppenweiler nella Saar (Germania). Fin dalla più tenera età la beata crebbe molto incline alle pratiche di devozione. Intorno al 1910 contrasse la tubercolosi. Non era all\’oscuro della gravita del suo male e del suo esito funesto. Vi si preparò pregando, meditando e diffondendo in chi poteva avvicinarla i più edificanti esempi di conformità al volere di Dio. Morì il 18-5-1918. Aveva soltanto 35 anni. Giovanni Paolo II riconobbe l\’eroicità delle virtù di Suor Blandina il 9-7-1983 e la beatificò il 1-11-1987.
Questa religiosa orsolina tedesca, che si santificò compiendo semplicemente con gentilezza e silenziosità i suoi doveri quotidiani, nacque il 10-7-1883 a Dùppenweiler nella Saar (Germania), nona dei dodici figli che Giovanni, bifolco, ebbe da Caterina Winter, donna particolarmente pia. Al fonte battesimale le fu imposto il nome di Maria Maddalena. Fin dalla più tenera età la beata crebbe molto incline alle pratiche di devozione. Imparò presto dai genitori a recitare in comune, con gli altri familiari, le orazioni del mattino e della sera, a dire il rosario durante l\’avvento e la quaresima, a frequentare ogni mattina la Messa prima di andare a scuola, ad accostarsi di frequente ai sacramenti e a fare elemosine ai poveri.
A sei anni Maria Maddalena cominciò a frequentare le scuole del villaggio natale, in cui si distinse sempre per la diligenza nello studio e la gentilezza nel comportamento. Le maestre e le compagne l\’amavano anche perché era tranquilla e affettuosa con tutti. Quando ricevette la cresima a Reimsbach (1896) stupì il vescovo suffraganeo di Treviri per la prontezza e l\’esattezza con cui rispose a tutte le domande del catechismo.
Al termine delle scuole elementari il parroco suggerì ai genitori di fare continuare gli studi alla loro figliuola per le rosee speranze che suscitava. Sorgeva a Marienau, presso Wallander, un apprezzato istituto magistrale privato. Maria Maddalena vi studiò dall\’aprile del 1899 fino al settembre del 1902. L\’impatto con la realtà della vita comunitaria le causò un certo smarrimento, ma fu compensato dalla gioia che provò nel "vivere sotto lo stesso tetto con Gesù". Di questa gioia cercava di farne fare parte alle compagne. Ad esse, prima della lezione, ogni tanto diceva: "Venite, andiamo ancora in cappella". Pur trovando nello studio difficoltà ad imparare a memoria, a differenza delle compagne, non perdeva la pazienza e non si lagnava delle insegnanti. Da tutti era considerata "un angelo". Tale dimostrò di essere anche alla morte del padre e della madre, che avvenne a breve intervallo l\’uno dall\’altra, poiché dai luttuosi eventi trasse nuove energie per perseverare nella via intrapresa.
Munita dei normali certificati di abilitazione all\’insegnamento, la beata ricevette quasi subito il compito di supplire per un mese una maestra nella scuola femminile di Oberthal, e poi l\’incarico di maestra nella scuola cattolica rurale di Morscheid. Dapprima si sistemò in una povera fattoria, poi in un piccolo e umido appartamento, situato sotto il tetto stesso dell\’edificio scolastico. A farle da governante e ad aiutarla a cucire biancheria e capi di vestiario per i poveri chiamò a sé la sorella Elisa. Gli alunni della scuola e i loro genitori riconobbero subito in lei una donna eccezionale tanto era costantemente dolce nei modi, abile nell\’insegnare, e nello stesso tempo esigente con i bugiardi e i disobbedienti, aliena dal prendere parte a divertimenti mondani, fedele alla Messa e alla comunione quotidiane. Sebbene fosse in parte cosciente del grande bene che stava facendo nel paese, nella sua umiltà era convinta di non fare ancora abbastanza. L\’ispettore, persona molto esigente, rimase tanto soddisfatto del suo lavoro che si adoperò perché le fosse affidato un posto di maggior impegno.
Dopo cinque anni di permanenza a Morscheid, la beata ottenne il 1-7-1907 il trasferimento a Grossrossein, ma nella nuova sede si trattenne soltanto nove mesi avendo nel frattempo deciso di lasciare il mondo per entrare nel convento delle Orsoline di Calvarienburg, perché le consentiva di unire la vita attiva a quella contemplativa. Nessuno dei suoi familiari si meravigliò della scelta da lei fatta, anzi la sorella Elisa la volle seguire nello stesso Istituto religioso. Quando vi entrò (22-4-1908) Maria Maddalena aveva venticinque anni. Dopo sei mesi di probandato fu ammessa alla vestizione religiosa con il nome di Suor Blandina del SS. Cuore di Gesù. Tra le novizie apparve subito come la più esemplare. La maestra della novizie, Madre Teofila, faceva fatica a trovare qualcosa da biasimare in lei. Nel capitolo delle colpe ogni tanto le diceva: "Quando la smetterà una buona volta con la sua andatura scodinzolante?". Non fu mai ripresa per mancanze di gentilezza, di puntualità, di obbedienza, di laboriosità e di amore fraterno. Andava sempre silenziosa e quieta per la sua strada, e dava a tutti l\’impressione di essere una giovane completa e matura.
Quando nella sala delle novizie si chiedeva: "Avanti le volontarie", era lei sempre la prima a mettersi il grembiule da fatica e a correre dove era necessario.
Fatta la professione dei voti temporanei il 3-11-1910, Suor Blandina fu subito destinata all\’insegnamento della scuola superiore femminile delle Orsoline di Saarbrùcken, ma dopo poche settimane dal suo arrivo fu costretta a interrompere la sua attività a causa di un forte raffreddore, che contrasse mentre, nel corso di una conferenza delle insegnanti, stava seduta in una piccola stanza dinanzi a una finestra lasciata necessariamente aperta. Da quel momento la sua voce, bella e chiara, divenne bassa e rauca, e tale le rimase fino alla morte.
In quel tempo a poco a poco contrasse la tubercolosi, motivo per cui il dottore della comunità le prescrisse di stabilire la sua residenza in un convento dal clima più mite. La superiora trasferì Suor Blandina a Treviri, nella vecchia casa di San Bantus, dove fece la professione perpetua il 4-11-1913 e si offerse al divino Redentore vittima di espiazione per i peccati del mondo, con la certezza che il suo sacrificio sarebbe stato gradito. Fu incaricata dell\’istruzione delle educande, dell\’insegnamento religioso alle suore converse e alle giovani inservienti della casa, della sorveglianza di un piccolo gruppo di bambine, del suono della campana per la meditazione e di altre occupazioni di secondaria importanza, come quella di preparare l\’inchiostro per tutta la classe e di distribuirlo, di spolverare dopo la Messa tutti i pianoforti sparsi per i vari edifici, far la portinaia e la turabuchi.
Tra i suoi appunti scrisse con grande umiltà: "Sono sensibile a tutto ciò che riguarda il mio onore e ho sempre grande difficoltà nella vita di comunità, il che è un ben triste segno che la superbia e l\’egoismo sono ancora molto vivi e potenti in me… Ogni giorno pregherò il S. Cuore perché mi conceda l\’aiuto della grazia e tante umiliazioni affinchè la mia natura impari ad assistere non solo senza recriminare, ma con gioia, al proprio annientamento, per la gloria del Signore". Per lei il S. Cuore di Gesù era "il miglior libro di meditazione, il consigliere più saggio e amorevole, la più alta forza di consolazione e il ristoro più dolce".
Una consorella depose di lei nel processo canonico: "Nel parlare, nell\’agire e nel suo comportamento era modesta, semplice, sincera. Non l\’ho mai vista oziosa. Amava il silenzio e la riservatezza. Non si sfogava mai e non era completamente perduta nell\’attività esterna". Decisa a salire il monte della perfezione il 7-3-1915 scrisse; "Voglio rinnovare giorno per giorno la mia dedizione e non compiere mai la mia personale volontà". Dopo pochi mesi dello stesso anno propose: "1) Annientamento costante; 2) essere la serva di tutti per amore del divin Redentore; 3) considerare nulla la mia persona e rallegrarmi e ringraziare Dio quando altri la considereranno allo stesso modo". Il 5-9-1915 precisò: "Ogni giorno di più voglio scavare e sprofondare e perdermi nell\’abisso dell\’amore divino e nella Provvidenza, fino a perdere e a dimenticare il mio io per farlo rivivere soltanto in Dio".
Minata dalla tisi, nell\’autunno del 1916 Suor Blandina dovette essere ricoverata nella Marienhaus, casa di cura per le suore ammalate, dove trascorse gli ultimi due mesi e mezzo di vita. Le fu riservata la cella che più le stava a cuore, quella cioè che era situata vicino al piccolo coro della cappella, e che era separata dal SS. Sacramento soltanto da una parete. Quando vi entrò esclamò con gioia: "Il redentore ed io!". Non era all\’oscuro della gravita del suo male e del suo esito funesto. Vi si preparò pregando, meditando e diffondendo in chi poteva avvicinarla i più edificanti esempi di conformità al volere di Dio specialmente quando, per allarmi aerei, era costretta a rifugiarsi con le consorelle in cantina. Nelle sue continue sofferenze, trovò sollievo nelle parole che le rivolgeva il suo confessore, Mons. Nicola Bares, più tardi vescovo di Berlino. Per le consorelle più intime la beata scriveva delle brevi meditazioni o si abbandonava a delle confidenze.
Lasciò scritto: "Con quanta gratitudine ringrazio il mio Signore per tutte le sofferenze e i dolori con i quali ha cosparso il cammino della mia vita terrena! La sofferenza ti distacca da tutto ciò che è materiale e terreno, e innalza e fortifica l\’anima ed è la scuola migliore dell\’amore… Com\’è dolce la morte quando sulla terra si è amato soltanto Colui che dopo sarà nostro giudice!".
La malata il 22-12-1917 scrisse alla sorella Suor Blanda onde prepararla al doloroso addio: "Tre settimane fa ho pregato il medico di dirmi quanto tempo durerò ancora e lui, con riluttanza, mi ha confermato che non supererò aprile. Ora deponga serena e senza recriminazioni questo suo doloroso fardello nella mangiatoia del divino Bambino e lo ringrazi, insieme con me, di tutto cuore, per aver custodito e curato cosi a lungo questo piccolo verme della terra e per avergli concesso ora di andargli incontro con tanta familiarità".
Verso al fine della vita, si formò vicino all\’ano della morente una fistola tubercolare molto dolorosa, che le impediva di giacere sulla schiena. Anche allora non fu udita lagnarsi o avanzare pretese. Sospirava soltanto: "Sono l\’agnello sacrificale del Signore che lui stesso prepara al sacrificio. Mi dò interamente a lui, sono contenta di tutto e per tutto ciò che alui piacerà di fare. Mai come in quest\’ora di sofferenza e di debolezza ho trovato modo più dolce per lodare il suo amore eterno". Ed esclamava: "Voglio essere una sposa eroica per il mio Redentore!". Aveva quindi ragione la superiora della casa, Madre Costanza, di dire alle Orsoline di Calvarienburg: "Suor Blandina è il nostro parafulmine".
Ad una consigliera generale della Congregazione verso il termine della vita la beata scrisse: "Mi sto preparando al mio primo incontro con il Redentore; che attimo di indicibile felicità sarà quello! Mi ci preparo con gioia e bramosia… Vorrei ascendere il mio Calvario con spirito devoto e forte come è dovere di ogni Orsolina, di una sposa del crocifisso". Morì il 18-5-1918, vigilia di Pentecoste, dopo aver baciato il crocifisso e bisbigliato per tre volte il nome di Gesù. Aveva soltanto 35 anni. Fu accompagnata al cimitero da un gran numero di bambine biancovestite.
Giovanni Paolo II riconobbe l\’eroicità delle virtù di Suor Blandina il 9-7-1983 e la beatificò il 1-11-1987. Le sue reliquie sono venerate a Treviri nella chiesa delle Suore Orsoline di Montecalvario.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 228-232.
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