LA RISCOPERTA DI ARISTOTELE NEL XIII SECOLO E TOMMASO D’AQUINO (IX)
Di Antonio Livi Tratto da “Dal senso comune alla dialettica. Una storia della filosofia”, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2004-2005. CAPITOLO NONO. LA RISCOPERTA DI ARISTOTELE NEL XIII SECOLO E TOMMASO D’AQUINO. Tommaso e la filosofia dei secoli precedenti. L’uso delle fonti platoniche.
Tommaso e la filosofia dei secoli precedenti.
Tommaso d’Aquino è stato, aldilà di ogni dubbio, uno dei più grandi pensatori che la storia abbia conosciuto. Egli ci ha lasciato una mole immensa di scritti di carattere filosofico e teologico, apportando alla sua epoca una vera e propria rivoluzione nel modo di fare sia filosofia che teologia. Come abbiamo già detto, egli fu infatti il primo a dare una corretta interpretazione delle opere di Aristotele, liberandolo dalle interpretazioni negative dategli dai filosofi arabi e inserendolo come base di un sistema filosofico-teologico rigorosamente razionale in un periodo ancora dominato dall’agostinismo neoplatonico. È però chiaramente dimostrato che nella sua monumentale opera Tommaso non si servì solo di Aristotele, ma ricorse in modo equilibrato anche al pensiero di Platone, di Agostino e dello Pseudo-Dionigi (autori, questi ultimi, da lui citati moltissimo, come ho già detto). Ci apprestiamo ora a vedere come e in che misura egli si servì di questi autori nell’elaborazione del suo pensiero.
L’uso delle fonti platoniche
Platone era una delle auctoritates con cui Tommaso doveva confrontarsi, perché era stato da sempre considerato come il filosofo pagano più vicino al cristianesimo e la sua filosofia era stata ampiamente utilizzata fin dal primo filosofo cristiano, Giustino (sec. II), che era stato e rimase platonico. Di Platone l’Aquinate poteva conoscere direttamente il Timeo nella versione-commento di Calcidio (che ispira il platonismo umanista della scuola di Chartres) e forse anche il Fedone e il Menone; la dottrina platonica era diffusa anche dalle opere di Cicerone e specialmente nel commento al Somnium Scipionis di Macrobio; la fonte però principale del platonismo Medievale è stato Agostino[71] e ciò deve orientare circa il senso preciso dell’antitesi platonismo-aristotelismo che domina il medioevo e sta al centro dell’attività di Tommaso e delle polemiche suscitate dalla sua opera. Perché è noto che Agostino non lesse mai direttamente alcuna opera di Platone e conobbe solo il platonismo della tarda elaborazione di Plotino, le cui Enneadi erano state tradotte dal retore Mario Vittorino, al quale si può riconoscere di aver accostato i termini della speculazione neoplatonica alla teologia cristiana dell’Occidente. Nelle controversie del Duecento Platone è perciò fuori causa, e ciò spiega perché una mente critica come Tommaso avesse avuto il proposito, di scrivere un commento o uno studio diretto del Timeo platonico; egli non ebbe a disposizione che scarsi elementi, insufficienti per tentare un’interpretazione di Platone, a differenza di quanto egli poté fare per Aristotele. Fonte principale per la conoscenza di Platone dovette essere per Tommaso lo stesso Aristotele, che parla del suo maestro ateniese nelle introduzioni ai suoi trattati: il primo libro dell’Etica nicomachea, della Metafisica, dei trattati Dell’anima e Sulla generazione e corruzione[72]. Nella filosofia di Tommaso sono chiaramente di origine platonica nozioni importanti come quella di “partecipazione” e quella di trascendenza; e anche nella struttura generale è evidente la presenza di Platone[73].
Tommaso, comunque, avendo imparato a giudicare Platone principalmente dai riferimenti critici che ne ha fatto Aristotele nei suoi trattati, non si è lasciato indurre ad adottare nel suo sistema la teoria delle idee quale è stata rimaneggiata dall’agostinismo. Tommaso, ad esempio, respinge la dottrina dell’Iperuranio platonico, che presuppone l’eternità dell’anima e va contro il cristianesimo affermando che non l’uomo intero ma solo l’anima è immortale; così come non accetta il dualismo, la preesistenza e la metempsicosi. Tommaso poi dichiara l’insostenibilità intrinseca della teoria di Platone secondo cui le idee si trovano innate nella nostra mente: «Primo perché, se l’anima possiede una nozione naturale di tutte le cose, non sembra possibile che cada in tale oblio di questa conoscenza naturale, da ignorare persino di possedere tale conoscenza. Nessuno infatti dimentica quello che conosce per natura. Secondo, la falsità di tale teoria appare chiaramente dal fatto che, quando abbiamo la mancanza di un dato senso, viene a mancare la scienza di quelle cose che sono percepite per mezzo di esso. Ora questo non avverrebbe, se nell’anima fossero innati i concetti di tutte le cose intelligibili»[74].
Dall’Aristotele di Boezio all’Aristotele dei commentatori arabi Circa la conoscenza che Tommaso ebbe di Aristotele, dobbiamo ricordare che negli anni in cui visse Tommaso ben poche delle opere di Aristotele erano conosciute, e quelle che lo erano, lo erano per lo più grazie alle traduzioni di Boezio (alcune parti della logica) e dei filosofi arabi. Se le traduzioni di Aristotele fatte da Boezio non presentavano alcun problema di carattere interpretativo o dottrinale, ben diversa era la faccenda per ciò che concerne le traduzioni dall’arabo, in quanto esse riguardavano il trattato Sull’anima e la Metafisica e venivano interpretate in modi che decisamente contrastavano con la dottrina cristiana (quando non contrastavano addirittura con quella musulmana stessa). Ovviamente la cosa creò problemi sia ai filosofi e ai teologi occidentali, sia alla stessa autorità ecclesiastica. Sappiamo che Tommaso fece la sua prima conoscenza di Aristotele all’Università di Napoli leggendo testi della logica e della filosofia naturale con i maestri Martino di Dacia e Pietro d’Irlanda. Secondo Cornelio Fabro tale fatto «può essere considerato un momento decisivo nel suo orientamento futuro a favore dell’aristotelismo»[75]. Sappiamo anche che successivamente ebbe modo di conoscere un po’ meglio Aristotele alla scuola del suo celebre maestro, Alberto di Colonia. Tommaso si servì, oltre che dei testi allora in circolazione, anche di alcune traduzioni fatte sotto sua richiesta da Wilhelm van Moerbeke. Logicamente, l’aver a disposizione testi tradotti direttamente dal greco, e per di più da un cristiano, facilitò il corretto lavoro interpretativo che egli face di queste opere. In concreto sappiamo che Tommaso si servì molto della Metafisica, della Fisica, dell’Etica a Nicomaco, del trattato Sull’anima e di quello su Generazione e corruzione, e che fece commenti di quasi tutte le opere del corpus aristotelico. Per concludere è doveroso riportare una affermazione del già citato Battista Mondin, il quale afferma: «L’apprezzamento e l’uso certamente notevole che Tommaso fa delle opere e del pensiero di Aristotele non deve però indurre nell’errore, che hanno commesso molti storici, di identificare la filosofia tomistica con quella aristotelica. Si è scritto, e qualcuno ama ripetere tutt’oggi, che il merito di Tommaso è semplicemente quello di aver battezzato Aristotele. Ma questo significa misconoscere la verità dei fatti. Indubbiamente in Tommaso c’è molto Aristotele, ma c’è anche molto Platone, molto Agostino e soprattutto molto Tommaso perché tutto quello che egli mutua da Aristotele, Platone e Agostino, viene vivificato da una nuova anima che è il suo originalissimo concetto intensivo dell’essere»[76].Aristotele è riuscito a proporre tutta una serie di princìpi (identità, non-contraddizione, causalità, finalismo) e di categorie (sostanze e accidenti, materia e forma, atto e potenza…) che rendono possibile una spiegazione della realtà saldamente ancorata all’esperienza. Il realismo metafisico si rivelò estremamente fecondo nello sviluppo delle scienze della natura, quali la biologia, la zoologia, la botanica, l’astronomia, delle quali Aristotele fu praticamente il fondatore. Questi furono i fatti decisivi che orientarono Tommaso verso Aristotele piuttosto che verso Platone. È bene notare, però, che tutto quello che Tommaso prende dai filosofi greci viene vivificato da una nuova anima, che è il suo originalissimo concetto intensivo dell’essere. Grazie a questo nuovo concetto dell’essere Tommaso rinnova e talvolta modifica Aristotele; ecco perché il suo è un sistema filosofico profondamente originale e non una riedizione dell’aristotelismo. L’oggetto materiale è l’ente, sia per Aristotele che per Tommaso, e per ambedue è il medesimo anche l’oggetto formale: l’ente in quanto ente. Ma sul modo di intendere l’espressione «in quanto ente», Tommaso si allontana decisamente da Aristotele. Per costui ciò che costituisce l’ente in quanto ente è la sostanza, perché essa sola possiede l’entità in modo autonomo, e così tutta l’indagine metafisica di Aristotele cammina in direzione della sostanza. Invece per Tommaso ciò che costituisce l’ente in quanto ente è l’essere, poiché, per definizione, l’ente non è altro che ciò che possiede l’essere, o meglio ciò che partecipa dell’essere. Tommaso rimedia insomma alla deviazione di Aristotele risolvendo di studiare l’ente non secondo una sua modalità (sostanza, essenza, forma, atto), ma proprio secondo ciò che lo costituisce come ente, cioè l’essere. Ecco la scoperta originale di Tommaso: scoperta capace di dar vita a un nuovo sistema filosofico, più solido, più completo e armonioso di quelli dei Greci e così valido che ancor oggi può servire a integrare e a valorizzare i sistemi filosofici moderni. Tommaso considera Aristotele come il filosofo pagano che aiuta a capire il cristianesimo; ad esempio, egli approva la dottrina del «maestro di color che sanno» (Dante, Divina commedia), e afferma, contro il dualismo di Platone, che l’uomo è sinolo di materia e forma, ma non è un ente materiale, pur incominciando il suo cammino gnoseologico attraverso la conoscenza sensibile. Così come le prove dell’esistenza di Dio riprendono le dimostrazioni cosmologiche di Aristotele, dove Dio più che «motore primo» è «atto puro», e le “viae”, prima che al «primo motore», conducono al «primo essere».
NOTE
[71] Cfr Agostino d’Ippona, De Trinitate, VII; De Civitate Dei, VIII-X.
[72] Cfr Battista Mondin, Dizionario enciclopedico del pensiero di Tommaso d’Aquino, Ed. Studio Domenicano, Bologna 1991, p. 62.
[73] Il merito di aver messo in luce il ruolo di Platone nella metafisica di Tommaso spetta soprattutto a Cornelio Fabro nella sua opera, La nozione metafisica di partecipazione, II ed., Edivi, Segni 2005.
[74] Cornelio Fabro, Introduzione a san Tommaso (La metafisica tomista e il pensiero moderno), II ed., Ed. Ares, Milano 1997, p. 73.
[75] Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 84, a. 3.
[76] Battista Mondin, op. cit.