Eletto papa dal clero romano, Marcello trovò la Chiesa ridotta ad un ammasso di rovine fumanti. Tutto era da restaurare e riorganizzare. Il Liber Pontificalis gli attribuisce la divisione della città in venticinque titoli (quasi parrocchie) per la preparazione dei catecumeni al battesimo e dei fedeli caduti alla penitenza per la cura dei sepolcri dei martiri, e in genere dei cimiteri cristiani. Il suo ricordo strettamente legato alla fondazione del cimitero di Novella, sulla via Salaria, presso le catacombe di Priscilla. Durante il suo pontificato un grandissimo numero di caduti chiese di essere riammesso nella Chiesa.
16 gennaio
Scarse notizie abbiamo di S. Marcello, romano di origine, che successe a S. Marcellino sulla cattedra di S. Pietro dopo una lunga vacanza. In realtà visse in tempi molti tristi per la Chiesa a causa della cruentissima persecuzione di Diocleziano, e dell’instabilità politica nell’impero romano, ma soprattutto a causa delle divisioni sorte in seno ai fedeli per colpa dei caduti (lapsi).
Diocleziano (284-305), imperatore dotato di grande energia e capacità politica, per un po’ di tempo lasciò in pace i cristiani. Egli trasformò lo Stato in una monarchia militare assoluta, trasferì la sua residenza in Nicomedia (Oriente) e creò una nuova ripartizione amministrativa costituita da 4 prefetture, 12 diocesi e 96 province. Al governo unitario, però, sostituì la tetrarchia: assunse come secondo Augusto per la parte occidentale dell’Impero, Massimiliano Erculeo e nominò come collaboratori nel governo e successori al trono, con l’appellativo di Cesari, il genero Galerio per l’Oriente, e Costanzo Cloro per l’Occidente. La pace che durava dal 260 pareva che stesse per segnare il trionfo definitivo del cristianesimo che contava circa sette milioni di adepti su di una popolazione di circa cinquanta milioni di persone, invece il partito dell’antica religione, guidato da aderenti al Neoplatonismo riuscì a persuadere il Cesare Galerio e per suo mezzo l’esitante Diocleziano, che la politica imperiale di restaurazione e centralizzazione esigeva la soppressione della religione cristiana. Si arrivò così all’ultima, ma più sanguinosa persecuzione. Furono emanati quattro editti che imponevano: di abbattere le chiese e di bruciare i libri sacri; di imprigionare tutti i capi delle chiese; di torturare i renitenti al sacrificio idolatrico; e finalmente di uccidere quanti, a dispetto della tortura, rimanevano saldi nella fede.
Una persecuzione di così gigantesche proporzioni non poteva non avere ripercussioni sulla disciplina interna della Chiesa. Se molti furono i martiri, molti furono pure i lapsi, i quali, per salvare la vita e i beni propri o offrirono sacrifici agli idoli, o bruciarono qualche granello d’incenso davanti ad essi, o consegnarono libri e oggetti sacri, o ottennero dai magistrati un’attestazione di aver soddisfatto alle leggi dello Stato in fatto di religione, o fecero iscrivere il loro nome nei registri ufficiali fra quelli che avevano ubbidito alla legge. Ovunque i lapsi crearono gravi problemi ai vescovi delle città. Come bisognava comportarsi di fronte ad essi, qualora volessero riconciliarsi con la Chiesa?
Quando improvvisa si scatenò la persecuzione di Diocleziano, governava dal 296 la Chiesa romana Papa Marcellino. Eusebio dice nella sua Storia ecclesiastica (VII, 32,1) che la “persecuzione incolse anche lui”. Evidentemente, la frase va riferita al suo martirio avvenuto forse il 24-10-304. La sede romana rimase vacante per circa quattro anni, forse, più che per il perdurare della persecuzione per le critiche condizioni interne della comunità ecclesiale locale. È certo difatti che dopo l’abdicazione di Diocleziano e Massimmiano (305), la persecuzione andò scemando, e cessò quasi del tutto in Italia e nell’Africa il 27-10-307 con la seconda proclamazione ad Augusto dell’usurpatore Massenzio (306-312). Sotto il governo di costui i cristiani di Roma, sebbene non rientrassero subito in possesso dei beni immobili sequestrati, non furono più disturbati nelle loro riunioni. Poterono quindi dare subito un certo riassetto alla loro devastata comunità, travagliata come quella di Cartagine e di Alessandria d’Egitto dalla spinosa questione dei caduti (lapsi).
Verso la metà del 308 fu dato a Marcellino un successore nella persona del presbitero Marcello. Di costui, fa notare l’abate Picciotti: “La circostanza che in alcuni cataloghi sia menzionato un solo papa, chiamato talvolta Marcellino e talvolta Marcello, rende ardua una netta delimitazione delle due figure storiche, esposte già a scambi dalla somiglianza dei nomi; non sembra però da accettarsi l’ipotesi di Morrunsen, secondo cui l’unico papa sarebbe stato Marcellino, mentre Marcello avrebbe soltanto retto la Chiesa romana durante la sede vacante come presbitero più anziano” (L’Era dei martiri, 1953, p. 109).
Eletto papa dal clero romano, Marcello trovò la Chiesa ridotta ad un ammasso di rovine fumanti. Tutto era da restaurare e riorganizzare. Il Liber Pontificalis gli attribuisce la divisione della città in venticinque titoli (quasi parrocchie) per la preparazione dei catecumeni al battesimo e dei fedeli caduti alla penitenza per la cura dei sepolcri dei martiri, e in genere dei cimiteri cristiani. Il suo ricordo strettamente legato alla fondazione del cimitero di Novella, sulla via Salaria, presso le catacombe di Priscilla. Durante il suo pontificato un grandissimo numero di caduti chiese di essere riammesso nella Chiesa. Per casi identici erano già state stabilite delle norme durante le precedenti persecuzioni, ma gli interessati non si preoccupavano di osservarle. Nel 250 la persecuzione di Decio aveva provocato uno scisma da parte di coloro che trovavano eccessivi le dilazioni e i rigori imposti alla loro riammissione. Nel 308 i caduti andarono più oltre: non soltanto pretesero di essere ricevuti immediatamente e senza condizioni, ma rifiutarono persino a papa Marcello il diritto di esigere qualcosa in virtù di regole che la lunga vacanza della sede apostolica permetteva di ritenere ormai superate.
Marcello, invece, da coraggioso e prudente assertore delle antiche tradizioni ecclesiastiche, resistette e richiese la penitenza. Si formò allora un partito capeggiato da uno sconosciuto che aveva apostatato prima ancora della persecuzione. Avvennero torbidi e liti violente e non mancarono sedizioni e stragi. Dice difatti S. Damaso nell’iscrizione sepolcrale da lui dettata per Marcello, dopo aver esaminato ogni cosa: “Pastore vero, perché manifestò ai lapsi l’obbligo che avevano di espiare il loro delitto con le lacrime della penitenza, fu considerato da quei miserabili come un terribile nemico. Di qui il furore, l’odio, la discordia, la sedizione, la morte. A causa del delitto di uno che anche durante la pace rinnegò Cristo, Marcello fu deportato, vittima della crudeltà di un tiranno”. Massenzio, che aveva ogni interesse a mantenere Roma nella calma e nella tranquillità, accettando per buone le accuse dei turbolenti, ritenne il papa responsabile dei disordini e lo condannò all’esilio dove poco dopo morì (309).
È una favola la notizia passata poi nel Liber Pontificalis e nel Breviario romano, che Marcello sia stato condannato dall’imperatore a far lo stalliere nelle poste pubbliche (catàbula) di Roma. È recisamente smentita dall’elogio metrico che papa Damaso (305-384) compose in onore dell’intrepido confessore della fede. La leggenda è forse sorta per localizzare in qualche maniera il martirio nel Titolo di Marcello che realmente era situato nelle vicinanze delle poste pubbliche; donde la denominazione di S. Marcello in catàbulo.
Al posto del Pontefice defunto fu eletto nel 309 Eusebio, ma il partito ostile alla disciplina penitenziale elesse come antipapa un certo Eraclio. Si ebbero di nuovo sedizioni e stragi, come si deduce dall’elogio metrico scritto da papa Damaso anche per Eusebio, motivo per cui Massenzio intervenne una seconda volta, inviando entrambi i contendenti in esilio. Al legittimo pastore morto, poco dopo, in Sicilia, soltanto il 2-7-311 succedette Milziade. Siccome Galerio in Oriente aveva già pubblicato il suo editto di tolleranza verso i cristiani, Massenzio non volendo apparire verso loro meno generoso ordinò che a Milziade fossero restituiti ufficialmente dal prefetto di Roma i beni confiscati alla Chiesa fin dal 303. Da allora scomparve a Roma ogni traccia dello scisma provocato dalla questione penitenziale.
Ignoriamo il luogo dell’esilio e della morte di papa Marcello. È certo, però, che fu portato a Roma e seppellito nel cimitero di Priscilla come si deduce dal Martirologio Geronimiano del V secolo. A Roma, in via del Corso, gli fu dedicata una chiesa, sotto l’altare maggiore della quale riposa dal secolo IX il suo corpo. L’abbazia di Cluny pretendeva di possedere il capo di lui. Esso fu trasferito alla cattedrale di Autun.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 201-204.
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