Tutti i giorni il Beato faceva il catechismo e recitava con i parrocchiani le preghiere della sera, tutti i venerdì teneva loro un sermone sulla Madonna; tre volte la settimana li conduceva in processione a una cappella che aveva eretto in onore di Maria SS. e la faceva venerare e invocare come salute degli infermi. Il suo zelo per la salvezza dei lebbrosi fu tanto grande che durante i suoi ventisei anni di permanenza a Batavia rarissimi furono coloro che morirono senza sacramenti.
14 gennaio
P. Donders, redentorista e apostolo dei lebbrosi della Guyana Olandese o Surinam, nacque il 27-10-1809 a Tilburg, nella diocesi di Bois-le-Duc (Olanda), da Arnaldo Dionisio e Petronilla Van den Brekel, ferventi cristiani, ma poveri tessitori di lana. Fin dai primi anni, prevenuto dalla grazia, si sentì infiammato dal desiderio di farsi sacerdote per salvare le anime. Tuttavia, per mancanza di mezzi, dopo aver appresi i primi rudimenti del sapere, fino ai ventidue anni fu costretto ad aiutare i genitori nel loro lavoro.
Della sua prima età il Beato scrisse: “Il buon Dio, al quale non posso rendere adeguate grazie, mi preservò da molti pericoli ai quali si sarebbe trovata esposta l’anima mia, mi concesse la grazia di pregare frequentemente e di nutrire una certa devozione, benché ancora imperfetta, verso la sua santa Madre Maria alla quale, dopo Dio, attribuisco la mia vocazione allo stato sacerdotale e quindi allo stato religioso”. In laboratorio si diportò con tanta probità e diligenza da essere chiamato dai suoi compagni di fatica “San Pietrino”, per la sua statura piccola e mingherlina. Con essi recitava sovente il rosario tanto che qualcuno lo rimproverò di attendere di più all’orazione che al lavoro. La domenica, dopo i vespri, trovava le sue delizie nell’insegnare pazientemente il catechismo ai fanciulli che dovevano fare la prima comunione.
A diciott’anni Pietro fu chiamato a fare il soldato ma venne riformato perché non era di costituzione sufficientemente robusta. Sentendosi sempre più attratto alla vita sacerdotale, verso i ventidue anni scrisse al proprio parroco e confessore, Guglielmo Van de Ven, per esporgli la propria inclinazione e chiedergli aiuto. Poiché a causa della rivoluzione belga la gioventù era quasi tutta chiamata alle armi, il parroco ottenne che il Beato fosse accettato nel seminario minore di Gestel-St-Michiels come persona di servizio, e che gli fosse concesso di attendere allo studio nelle ore libere dalle occupazioni.
Per quattro o cinque anni Pietro, a contatto di alunni più giovani di lui, ebbe parecchio a soffrire. Difatti essi lo consideravano uno spione dei superiori, e lo canzonavano volentieri per l’età avanzata, lo scarso impegno e la mediocre riuscita negli studi, ma egli superò le contrarietà con la frequente preghiera e la comunione bisettimanale. Alla lettura degli Annali della Propagazione della Fede concepì il desiderio di farsi missionario. Il rettore era pure dell’idea che avrebbe fatto meglio a entrare in un Ordine o in una Congregazione religiosa. Lo mandò, quindi, con lettere commendatizie a bussare alla porta dei Padri Gesuiti di Gand, ma non fu accettato perché aveva ormai ventisei anni, Lo mandò in seguito a bussare alla porta dei Redentoristi e dei Francescani di St-Trond, ma non fu accettato perché non era sufficientemente istruito nelle lettere. Pietro se ne ritornò in seminario con la sola consolazione di aver ubbidito ai superiori, ma durante il viaggio il buon Dio lo consolò e gli accrebbe nell’animo la certezza che un giorno sarebbe diventato sacerdote e missionario.
Conquistati dalla sua bontà e dalla sua costanza, i superiori disposero che Pietro, a ventotto anni, entrasse nel seminario maggiore di Haaren (1837) per lo studio della filosofia e della teologia. Il parroco di Tilburg e il Prof. G.W. Van Someren s’impegnarono per cinque anni a mantenerlo negli studi. Anche allora Pietro fu a tutti di esempio specialmente nelle virtù dell’umiltà, della semplicità, della mansuetudine e nella scrupolosa osservanza del regolamento. Poté così compiere buoni progressi nello studio non tanto della filosofia quanto della teologia.
Un giorno capitò nel seminario di Haaren, Mons. Giacomo Groof, Prefetto Apostolico della Missione del Surinam. Il Rev.do Van Someren gli suggerì di condurre con sé Pietro giacché bramava di farsi missionario, Mons. Groof non disse di no perché il giovane gli sembrava adatto alle fatiche missionarie tuttavia volle che prima terminasse lo studio della teologia e fosse ordinato sacerdote. Il Donders potè raggiungere la meta due anni dopo. Difatti fu consacrato prete il 5-7-1841 a Oegst-geest. Quel giorno fu udito esclamare tra le lacrime: “Adesso tutti i miei desideri in terra sono soddisfatti poiché il buon Dio mi ha collocato, benché indegno, nel numero dei ministri del suo altare”.
P. Donders sbarcò a Paramaribo, capoluogo della Guyana Olandese, alla foce del Suriname, il 16-9-1842. Poco dopo si trasferì al lebbrosario “Batavia” dove si sobbarcò subito a tante indefesse fatiche che il Prefetto Apostolico lo considerò come un uomo mandatogli dal cielo. Nella cura della colonia Mons. Groof era coadiuvato soltanto dal sacerdote Janssen. In quel tempo entrambi furono colpiti da dissenteria. Soltanto il Vicario Apostolico sopravvisse ma appena guarì fu costretto a ritornare in Europa perché, essendo stato nominato Vicario Apostolico delle Indie orientali, doveva essere consacrato vescovo. In seguito lo sostituì il Rev.do Scheeper, ma nel frattempo il Beato rimase solo sulla breccia, e benché fosse nuovo alle fatiche missionarie si fece tutto a tutti.
Nel 1851 a Paramaribo scoppiò la febbre gialla e allora fu visto il P. Donders aggirarsi giorno e notte negli ospedali e nelle case private per assistere e confortare i sofferenti con l’amore di un padre e la tenerezza di una madre. Anch’egli rimase colpito dalla febbre, ma appena guarì ritornò a sovraspendersi per la salute del prossimo e a estendere il proprio zelo anche ai negri che vivevano dispersi nelle piantagioni della regione, immersi nell’ignoranza e nel vizio, sotto la sferza e del sole tropicale e di spietati padroni. Durante quelle escursioni trasformava in cappella una stanza di qualche casupola e in essa predicava, celebrava la Messa, battezzava, confessava, benediceva le nozze, componeva le controversie e riprendeva i prevaricatori con molta dolcezza. In questo apostolato incontrò enormi difficoltà. Non di rado, dopo giornate di estenuanti viaggi a piedi, a cavallo e in canoa, era allontanato dalle piantagioni dagli amministratori, quasi sempre acremente avversi alla religione cattolica. P. Pietro, anziché indietreggiare, cercava di ammansirli in bei modi e facendo ricorso a principi soprannaturali. In tale maniera riuscì a cogliere un’abbondante messe di frutti spirituali. Infatti se le fattorie di cui all’inizio si prese cura con le sue peregrinazioni missionarie furono soltanto due, nei 1852 esse salirono a dodici con 1145 negri convertiti alla vera fede. In seguito raggiunsero il numero di cinquanta.
Un altro luogo di miserie di cui il P. Donders si prese cura fin dal 1846 fu il lebbrosario “Batavia”, distante da Paramaribo diverse giornate di cammino. Era situato sull’Atlantico, in luogo ameno, circondato da foreste, e costituiva il ricettacolo di tutti i dolori e di tutte le miserie. I reclusi appartenevano a tutte le razze e a tutte le religioni e offrivano un orrendo spettacolo di sé tanto per le piaghe purulenti da cui erano corrosi, quanto per i vizi a cui si abbandonavano senza alcun ritegno. Essi venivano curati non in un ospedale, ma in miserrimi tuguri costruiti con pali, assicelle e fogliame.
La chiesa sorgeva in mezzo al villaggio. Accanto ad essa il Beato nel 1856 stabilì la sua residenza fissa. Al mattino presto celebrava la Messa e spiegava ai lebbrosi le verità della fede. Dopo avere a lungo pregato, si recava a visitare i malati più gravi per lenire le loro sofferenze e avvicinarli a Dio con parole di speranza o con gli ultimi sacramenti. In seguito, senza alcun timore di contagio, entrava negli altri tuguri e sovente prestava agl’infelici i servizi più umili quali scopare le loro stanze, rifare i loro miseri giacigli, medicare e fasciare le loro fetide piaghe. Sovente doveva fare ad un tempo il medico, il maestro e il giudice di pace, il muratore e il falegname, il sarto e il calzolaio. Compiva tutte queste azioni con generosità e costanza, pregando e offrendo a Dio le proprie fatiche per la salvezza dei suoi lebbrosi. Dall’Olanda ogni tanto riceveva denari, indumenti e derrate alimentari ed egli li distribuiva ai più bisognosi con estrema liberalità.
Tutti i giorni il Beato faceva il catechismo e recitava con i parrocchiani le preghiere della sera, tutti i venerdì teneva loro un sermone sulla Madonna; tre volte la settimana li conduceva in processione a una cappella che aveva eretto in onore di Maria SS. e la faceva venerare e invocare come salute degli infermi. Il suo zelo per la salvezza dei lebbrosi fu tanto grande che durante i suoi ventisei anni di permanenza a Batavia rarissimi furono coloro che morirono senza sacramenti.
Il P. Donders non era ancora soddisfatto di tanto indefesso lavoro. Poiché il Signore lo conservava in buona salute, appena gli era possibile da Batavia compiva escursioni missionarie nelle piantagioni che sorgevano lungo il fiume Saramaka per guadagnare a Dio i negri oppressi dalle fatiche e abbrutiti dai vizi. Il tempo che gli rimaneva libero dalle cure pastorali lo trascorreva nella preghiera, nella meditazione della Passione di Gesù e in altri pii esercizi. Tutti i giorni faceva la Via Crucis e recitava oltre l’ufficio divino anche quello della B.V. Maria. Soventissimo anche di notte, rimaneva in chiesa a lungo in adorazione davanti a Gesù sacramentato. Durante i viaggi si può dire che pregava in continuazione e viveva immerso in Dio come il pesce nell’acqua.
Nel 1865 le Missioni del Surinam furono affidate dalla S. Sede ai Padri Redentoristi della provincia olandese. Il P. Swinkels, nuovo Vicario Apostolico, ne prese possesso l’anno dopo con due padri e un fratello laico. Il Beato, benché avesse ormai cinquantasette anni, chiese di farne parte. Fu ammesso alla vestizione religiosa e, dopo una breve prova, anche alla professione dei voti (24-6-1867). Al colmo della gioia scrisse: “Manca una sola cosa, che viva come un perfetto redentorista e sia perseverante fino alla morte”.
Fin dal primo giorno di vita comune P. Pietro si comportò come un perfetto religioso in tutti i suoi doveri. In lui sia i superiori che i confratelli non trovarono nulla che fosse degno di riprensione. Rimpiangevano soltanto che non fosse più giovane tant’era pronto a tutti i compiti che gli venivano affidati. A ragione quindi da tutti era considerato come un vero tesoro di virtù religiosa e sacerdotale. Godeva di conseguenza della massima autorità presso il governatore e i magistrati della colonia, i ricchi e i poveri, gli ebrei e gli eretici.
Dopo la professione religiosa P. Pietro ricevette l’ordine di fare ritorno al lebbrosario Batavia (1867). Egli vi andò con gioia e vi fu ricevuto con entusiasmo perché intendeva aggiungere nuove fatiche alle antiche. Difatti, sentendosi consumare dal desiderio di evangelizzare gli indi e i negri, ogni mese compiva un’escursione di due settimane tra di loro. Malgrado le privazioni, i pericoli e gli ostacoli di ogni genere, in compagnia di un negretto che gli portava l’occorrente per la celebrazione della Messa, riuscì ad avvicinare, attraversando paludi, fiumi e foreste, le tribù degli Arrowaki, stanziati lungo il fiume Saramaka, tra i quali costruì nel 1869 una chiesa dedicata a S. Alfonso de’ Liguori. Avvicinò ed evangelizzò pure le tribù dei caraibi, stanziati lungo il fiume Wajombo, tra i quali eresse nel 1873 una chiesa dedicata a S. Giuseppe.
In seguito penetrò tra gli indi di Marataka e di Nickeria stanziati lungo il fiume Coppename, e tra le tribù degli aucani stanziati lungo il fiume Marrowine. Nel 1883 fu mandato a predicare il Vangelo alle tribù che popolavano le lontane regioni della Coronia tra cui rimase due anni. Ovunque istruiva con una pazienza eroica bambini e adulti analfabeti nelle principali verità della fede e li battezzava, combatteva i crimini della poligamia, dell’ubriachezza e della superstizione, preparava i credenti ai sacramenti e donava loro delle vesti perché potessero coprire la propria nudità. Durante quelle peregrinazioni missionarie riuscì a battezzare 550 indiani e a unire in matrimonio 60 coppie di sposi, cifra considerevole se si considerano le passioni alle quali i negri andavano soggetti.
Alle fatiche missionarie il Beato aggiunse delle straordinarie penitenze corporali per ottenere da Dio la conversione dei pagani, degli eretici e dei peccatori. Mattino e sera talora si flagellava fino al sangue, portava il cilicio e si esponeva al morso delle zanzare, a mensa non beveva vino, mangiava pochissima carne e digiunava tre volte la settimana. Dormiva volentieri per terra o disteso sopra delle assi, specialmente negli ultimi anni di vita.
A 75 anni di età P. Pietro ricevette dai superiori l’ordine di fare ritorno al lebbrosario dove trascorse gli ultimi due anni di vita nel solito penoso e noioso ministero da lui adempiuto fedelmente per amore di Dio e del prossimo. Alla fine del 1886 P. Donders fu colpito da nefrite. Tra i dolori della malattia non fece altro che pregare e ripetere: “Sia fatta la volontà di Dio! La volontà di Dio si compia m me!” Poco prima di morire pregò il confratello che lo assisteva di chiedere perdono ai parrocchiani, a nome suo, delle offese che aveva recato loro, e di ammonirli perché riflettessero sul grande male che è il peccato.
P. Pietro volò al cielo il venerdì 14-1-1887 alle ore tre pomeridiane, come aveva predetto, e fu pianto da tutti, non esclusi i protestanti e gli ebrei. Nello sfilare davanti alla sua bara i lebbrosi in lacrime non fecero altro che ripetere: “Il mio buon Padre è morto! Il P. Donders è un santo'”. Fu sepolto nel cimitero comune, ma poiché la fama della sue virtù crebbe di giorno in giorno, i resti mortali di lui furono esumati e traslati il 26-6-1900 a Paramaribo e collocati in un particolare ipogeno. Pio XII ne riconobbe l’eroicità delle virtù il 25-3-1945; Giovanni Paolo II lo beatificò il 23-5-1982.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 181-185.
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