…di Angel Rodriguez Luño, Decano facoltà di Filosofia, Ateneo Romano della Santa Croce. Grande la profondità, ma anche la difficoltà del compito che il Fondatore dell’Opus Dei propone agli uomini del nostro tempo. Nel contempo però un incoraggiamento a intraprendere un gioioso impegno umano e professionale che restituisca le percezioni e le convinzioni che ci permettono di guardare il nostro mondo e il nostro lavoro con ottimismo. Soltanto ciò che sopprime l’angoscia e ridà speranza può costituire un vero progresso umano e sociale …
Coscienza, verità e libertà nella civiltà tecnologica
di Angel Rodriguez Luño
Decano facoltà di Filosofia, Ateneo Romano della Santa Croce
Nella riflessione sui fatti e sulle idee che caratterizzano la nostra epoca dal punto di vista etico, mi sembra doveroso tener presente che l’itinerario di pensiero e di vita dell’Europa moderna e contemporanea non è unitario né a senso unico (1). Non condividendo una concezione unidimensionale della storia, non accetterei né un atteggiamento globalmente anti-moderno né un atteggiamento globalmente pro-moderno.
Dopo questa premessa, necessaria a scanso di equivoci, mi sembra che sia sociologicamente vero affermare che la coscienza morale nostra e dei nostri contemporanei si trova a dover operare in un contesto culturale particolarmente difficile. A questo proposito MacIntyre parla criticamente di emotivismo (2), cioè della convinzione che le proposizioni etiche siano essenzialmente proposizioni non significative, vale a dire, proposizioni che non corrispondono a nessun fatto reale, proposizioni che non ci dicono nulla del mondo e che pertanto non possono essere né vere né false. Esse sarebbero semplicemente la manifestazione di una reazione emotiva personale di approvazione o disapprovazione. “L’aborto è male” significherebbe: “io disapprovo l’aborto; disapprovalo anche tu”. In altre parole, si ritiene che i valori e le norme etiche non siano oggetto di conoscenza, ma piuttosto oggetto di scelte o preferenze istintive o sentimentali che, in ogni caso, sono razionalmente insindacabili.
Da una prospettiva leggermente diversa, Joseph Ratzinger si lamenta, in una sua recente pubblicazione, di una diffusa concezione secondo la quale la coscienza “non si presenta come la finestra, che spalanca all’uomo la vista su quella verità universale, che fonda e sostiene tutti noi e che in tal modo rende possibile, a partire dal suo comune riconoscimento, la solidarietà del volere e della responsabilità”. La coscienza morale “sembra essere piuttosto il guscio della soggettività, in cui l’uomo può sfuggire alla realtà e nascondersi ad essa (…): la coscienza non apre la strada al cammino liberante della verità, la quale o non esiste affatto o è troppo esigente per noi” (3).
Tale fenomeno diventa più gravido di conseguenze potenzialmente negative se lo si considera nel quadro della mutata natura dell’agire umano nell’era tecnologica. Come hanno messo in rilievo i brillanti studi di Hans Jonas (4), per molti secoli gli interventi dell’uomo sulla natura (sulle cose, sull’ambiente e sulla natura umana) furono essenzialmente superficiali e perciò incapaci di turbare l’equilibrio stabilito. La situazione odierna è radicalmente diversa. Lo sviluppo dell’apparato scientifico-tecnologico ha aumentato incredibilmente il potere dell’uomo: oggi abbiamo la possibilità di produrre danni irrevocabili a carico dell’intera biosfera del pianeta.
A ciò si deve aggiungere che l’uomo, oltre ad essere il soggetto dello sviluppo tecnologico, ne è diventato anche l’oggetto: la procreazione artificiale, la selezione del sesso, il prolungamento della vita, le tecniche biologiche e psico-sociali di controllo del comportamento, l’ingegneria genetica -soprattutto quella migliorativa e creativa-, sono in grado di produrre profondi cambiamenti nella nostra condizione umana e soprattutto in quella di coloro che verranno dopo di noi. La presenza e la condizione dell’uomo nel mondo prima era un dato indiscutibile, ora sta diventando sempre più oggetto di scelta, e quindi di obbligazione e di responsabilità.
La crescita del potere tecnico dell’uomo non costituirebbe di per sé un fatto inquietante se fosse stata accompagnata dall’accrescimento del sapere, in modo che l’apparato scientifico-tecnologico potesse essere orientato saggiamente verso il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Per fare un esempio: se avessimo a disposizione un’idea precisa di che cosa sia, a tutti gli effetti, un uomo migliore, potremmo al limite avventurarci per difficili sentieri della ingegneria genetica migliorativa, purché fossimo nel contempo capaci di prevedere tutte le eventuali conseguenze dei nostri interventi, cosa che difficilmente accadrà.
Ma a questo punto incide, e in modo assai pesante, l’attuale crisi della coscienza morale, che consiste appunto nell’affermare che alla domanda su che cosa sia la vita umana vissuta nel modo migliore si possa soltanto rispondere con una scelta o con una preferenza soggettiva, non con una risposta unica da tenersi come universale verità. Oggi si ammette che le tasse vanno pagate e che è illecito incassare tangenti, ma si rifiuta persino l’ipotesi che sia doveroso (oggetto di dovere etico) essere o non essere un certo tipo di persona, condurre o non condurre un certo tipo di vita, soprattutto in riferimento all’ambito privato.
In quest’ultima riflessione io assumo come vera la tesi che la liceità o illiceità dei comportamenti umani altro non significhi, in ultima analisi e da un punto di vista oggettivo, se non la loro congruenza o incongruenza con l’immagine della vita umana vissuta del modo migliore. Presuppongo quindi che solo a partire da una precisa immagine di uomo è possibile il controllo etico ed etico-politico (5) dell’operare umano, non escluso quello di carattere tecnologico. Non mi soffermerò adesso su questa tesi, che ho cercato di dimostrare in altri scritti (6). Piuttosto tenterò di individuare le radici dell’attuale situazione della coscienza, che l’accresciuto potere dell’uomo rende così pericolosa.
Sul piano culturale generale, in cui si muovono le presenti riflessioni, condivido la tesi secondo la quale l’insieme di condizioni che determinano -nel bene e nel male- la situazione contemporanea, in ciò che essa ha di specifico, rispondano ad un mutamento fondamentale che può essere descritto come scientismo tecnologico (7). In esso la conoscenza ultima, la conoscenza veramente tale, è la conoscenza misuratrice, capace di assicurare il dominio tecnico sull’oggetto. Segue da ciò il principio dell’infinita plasmabilità dell’essere (dell’essere fisico, biologico, culturale e sociale), vale a dire, il principio secondo il quale l’essere, lungi dal possedere in se stesso una rete di significati rispondenti ad un progetto intelligente e intelligibile, è visto radicalmente come oggetto di manipolazione (di manipolazione fisica, biologica, culturale e sociale) in attesa di conferimenti di significato da parte della ragione scientifico-tecnologica (8).
La conseguenza etica di questa concezione è importante: tutto può essere diversamente, tutto (l’uomo, la famiglia, l’amore, la società, l’etica, la religione, ecc…) potrebbe essere altrimenti. Così la coscienza resta senza un punto di riferimento valido, perché se la condizione umana può radicalmente cambiare, anche il suo bene -il bene umano- può subire mutamenti profondi. Il bene, come peraltro la condizione umana, potrebbe essere a rigore soltanto oggetto di scelta, non di conoscenza e meno ancora di dovere.
Lo scardinamento moderno dei rapporti tra ragione e fede
Nel profondo mutamento della coscienza europea che abbiamo chiamato scientismo tecnologico confluiscono e interagiscono elementi di natura molto complessa. Il primo elemento su cui vorrei soffermarmi è un lungo processo che possiede nel contempo aspetti religiosi, filosofici, etici e politici. Tale processo ha inizio nell’Europa del XVI secolo. Con la riforma luterana e la rottura anglicana comincia a venir meno progressivamente l’esistenza di una concezione comune degli ideali supremi della vita, e così comincia a venir meno ciò che a mio avviso costituisce il principale punto di riferimento della coscienza morale.
Infatti, il modo in cui i popoli dell’Europa moderna si rapportano allo stesso Cristo è concepito in maniera così diversa e antitetica, ed è legato a considerazioni politiche, sociali e nazionalistiche di tale grandezza, che si arriva fino al punto di scatenare un bagno di sangue. Dopo diversi, effimeri tentativi, la reazione dei cultori dell’etica filosofica invoca la strada seguente: non essendoci più una visione unica delle questioni supreme dell’esistenza, è chiaro che tali questioni non solo non possono fondare una morale comune che regoli pacificamente la convivenza sociale, ma addirittura sono cause di divisione, di odio reciproco o, almeno, di mutua incomprensione. Perciò le questioni ultime (cioè, l’immagine di ciò che costituisce la pienezza della condizione umana) sono bandite dalla discussione pubblica, e restano rinchiuse nella coscienza religiosa privata. Si rende quindi doveroso cercare un altro modo di fondare universalisticamente le regole necessarie per garantire la pace, la libertà e la giustizia.
L’etica moderna non si occupa più delle questioni ultime: la sicurezza, la libertà e la giustizia sono i suoi nuovi scopi. Essi sarebbero gli unici fini realisticamente perseguibilili in comune, perché sono irrinunciabili per tutti, e perché solo essi potrebbero essere fondati da una ragione concepita come organo neutrale (9). L’idea di assumere come punto di partenza una posizione di sostanziale neutralità viene postulata dalla necessità di neutralizzare sia la potenziale virulenza delle questioni ultime sia il loro effetto discriminante. Di fronte a questo processo, qui descritto in maniera molto sommaria, mi sembrano opportune tre osservazioni.
a) Nell’assumere progressivamente i valori della sicurezza, la libertà e la giustizia come punto di riferimento fondamentale dell’etica, la coscienza europea compie un importante passo in avanti, giacché comincia a mettere a fuoco, benché in modo lento e graduale, le conseguenze politiche del concetto di dignità della persona umana. Infatti, i rapporti sociali e politici sono rapporti tra persone, e non tra proposizioni speculative, e le persone hanno in ogni caso la loro dignità e i loro diritti, dignità e diritti che vanno tutelati tanto se la persona si trova nel possesso della verità quanto se si trova invece nell’errore. In questa linea, il Concilio Vaticano II ha proclamato la libertà religiosa, vale a dire, l’assenza di coazione civile in materia religiosa, come un diritto fondamentale della persona (10). Ma nel compiere quel passo in avanti, la riflessione filosofica moderna non seppe distinguere adeguatamente tra la logica propria dell’etica personale e la logica propria dell’etica politica (11). La logica propria dell’etica personale fu notevolmente trascurata, perché voler garantire la pace e la libertà relegando la verità sulle questioni ultime all’ambito privato fu un proposito forse bene intenzionato, ma in ultima analisi autodistruttivo.
La verità non può mai essere privata: o è verità a tutti gli effetti oppure non lo è affatto. Che senso ha dichiarare che le verità della chimica, della fisica, della botanica, ecc. sono delle verità private? Una tale affermazione significherebbe in realtà che in chimica, in fisica e in botanica non ci sono delle verità, ma diverse proposte tra le quali si può liberamente scegliere secondo i particolari gusti personali. Cosa ben diversa è osservare che dal fatto che ogni autentica verità scientifica o filosofica abbia un valore pubblico non segue che il nostro atteggiamento nei confronti di tali verità debba restare sotto il controllo dell’apparato coercitivo dello Stato. Lo Stato si occupa dei rapporti tra le persone, la cui regola è il Diritto che certamente presuppone una verità sull’uomo, ma lo Stato non deve occuparsi direttamente e dominativamente dei rapporti tra la coscienza personale e la verità.
Dobbiamo quindi concludere che la strada presa per salvaguardare la sicurezza e la libertà contiene i germi dell’agnosticismo e della negazione dell’unità della ragione pratica, estremi che mettono in crisi i fondamenti della convivenza sociale pacifica e rispettosa. In questo senso Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus Annus, ha parlato dell’errore oggi molto diffuso di pensare che la democrazia sia un regime che debba basarsi sull’agnosticismo e sul relativismo etico (12). In realtà, e ben al contrario, la democrazia non può reggere, né evitare di cadere nel totalitarismo o nello sfruttamento dei più deboli, se non si appoggia sui dei valori fondamentali assoluti.
b) La seconda osservazione parte dalla seguente domanda: una volta scomparsa l’unità religiosa in Europa, perché non si è tentato di ricostruire filosoficamente -cioè con le sole forze della ragione che tutti possediamo- una concezione del bene umano tanto comune quanto basta per poter fondare l’etica pubblica senza pagare il prezzo del relativismo nell’ambito dell’etica personale? Devo rispondere che dei tentativi ci sono stati, ma sono falliti o almeno non sono pienamente riusciti. Il fatto è che, intorno alle questioni ultime, la frammentazione è andata sempre crescendo: le divisioni all’interno del protestantesimo, le sette, più le diverse forme di agnosticismo filosofico, di deismo, di ateismo teorico e pratico, di nichilismo.
Si pone allora una seconda domanda: perché la filosofia non è riuscita ad svolgere in modo sufficientemente dignitoso la sua funzione di orientamento personale e sociale? Una delle ragioni di questo fallimento (dell’altra parleremo dopo) si trova nella particolare natura della rottura religiosa del XVI secolo. Nell’XI secolo c’era stata un’altra rottura di non trascurabile importanza (lo scisma delle chiese orientali), che però non ebbe conseguenze filosofiche, culturali e sociali così rilevanti La rottura religiosa del XVI secolo implicò un quasi totale sconvolgimento dei rapporti reciproci fra pensiero naturale e fede religiosa, il che è stato nocivo per la ragione non meno che per la fede, in quanto comportava un profondo scardinamento del rapporto intenzionale della coscienza verso la verità dell’essere, e con esso la perdita di un modello di razionalità che aveva già dato degli ottimi risultati, e che andava senz’altro sviluppato, purificato e potenziato. Il rapporto positivo e intrinseco tra pensiero naturale e fede religiosa si era dimostrato di decisiva importanza per non perdere una sfera di oggetti naturali di vitale interesse, quelli appartenenti al supremo rango assiologico e al mondo spirituale-personale: Dio, la persona, lo spirito, la libertà, l’amore, le diverse forme di rapporto tra persone, ecc. Il tema è molto complicato e lo abbiamo affrontato in altra sede (13). Basti dire che all’inizio dell’età moderna la filosofia non si trovava in buone condizioni di efficienza, perché l’identificazione completa della verità con la “ragione pura”, con una ragione che per definizione è separata dalla fede, comportava una sostanziale limitazione della verità dell’essere e del rapporto intenzionale della coscienza verso di essa. La portata della ragione si era notevolmente ridotta.
c) La terza osservazione è che l’accantonamento delle questioni ultime, delle cosiddette “verità superiori”, e tra di esse del paradigma creazionistico, lasciava l’intero ambito della concezione della natura e dell’uomo in balia delle istanze legate allo sviluppo del nuovo metodo scientifico-positivo, secondo il quale “l’uomo entra in rapporto con l’essere tramite la sola misurazione quantitativa di dati sperimentali e la messa in correlazione funzionale delle quantità misurate” (14). Ma di ciò parleremo in seguito.
La nuova visione della natura e dell’uomo
Abbiamo accennato prima allo scientismo tecnologico. Tra le molteplici descrizioni che sono state date di questo fenomeno centrale del mondo moderno, ci riferiremo brevemente allo studio di Lombardi Vallauri. Secondo questo autore, lo scientismo tecnologico può essere definito dalla compresenza di tre elementi: 1) la matematicizzazione-sperimentalizzazione della conoscenza, il fisicalismo epistemologico; 2) l’uso dominativo, cioè appunto tecnologico, della conoscenza matematica-sperimentale della natura (perché la matematica può avere altri usi: si pensi all’interpretazione matematica del mondo nel pitagorismo e -in parte- nel platonismo, orientata invece a una finalità sapienziale); 3) l’organizzazione industriale del dominio sulla natura (15), e quindi l’idea che tale dominio vada gestito secondo criteri di efficacia in ordine al profitto.
Cerchiamo ora di capire quale è stato l’influsso dello scientismo tecnologico sull’attuale crisi della coscienza morale. Il consolidamento della ragione tecnologica significa che uno dei possibili e legittimi usi della ragione, resosi vittorioso in maniera evidente grazie alle grandi e innegabili conquiste della scienza, ha sopraffatto completamente gli altri usi, soprattutto quello filosofico-sapienziale. In questo modo, la ragione umana ha creato un vuoto di significato, e nel creare tale vuoto si è resa essa stessa incapace di colmarlo. Hans Jonas riassume il problema nei termini seguenti: “della situazione nichilista o, per dirla in termini più pacati, della impasse contemporanea della teoria etica, sono corresponsabili tre elementi, collegati tra loro, del pensiero moderno – due teorici e uno empirico: il concetto moderno di natura, il concetto moderno di uomo, e il dato concreto della moderna tecnologia, che si basa sui primi due. Tutti e tre implicano la negazione di alcuni principi fondamentali, così come della tradizione religiosa” (16).
Il concetto scientifico di natura rifiuta o almeno lascia da parte la verità della creazione, e quindi il primo insegnamento della Bibbia: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Affermare che il mondo è stato creato è affermare che esso è scaturito da un’Intelligenza e un Amore che lo trascendono; è altresì affermare che il mondo è buono e che proclama la bontà del suo Creatore. Nella prospettiva scientifica moderna, invece, il mondo “si fa” secondo un processo incessante determinato dalle leggi della materia, un processo in qui ogni fase è l’effetto della fase precedente e nessuna rappresenta l’attuazione di un progetto intelligente o di un ordine prestabilito. Questo mondo non è né buono né cattivo né perfetto né imperfetto; è un insieme di fatti, estranei alla nozione di valore, che si giustificano dal loro stesso autoprodursi. È un mondo che non suscita ammirazione per la gloria di Dio. “I cieli moderni -afferma Jonas- non narrano più la gloria di Dio. Se dicono qualcosa, proclamano la loro muta, insulsa, turbinante immensità; e ciò che ispirano non è ammirazione ma stordimento; non pietas ma una replica analitica” (17). Questo mondo fisico è un mondo senza scopo, una natura priva di valori e di fini. Se dei fini ci debbono essere, spetta all’uomo stabilirli. Ma, secondo quali criteri?
Veniamo al concetto moderno di uomo. La Bibbia ci insegna, con significativa insistenza, che “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò”. Questa teologia dell’immagine è il fondamento di ciò che ho chiamato altrove l’analogia teologica (18), vale a dire, un processo conoscitivo che va dall’alto in basso, da Dio all’uomo, dall’Immagine a ciò che secondo l’immagine (il Verbo) è stato creato. Della fecondità di tale metodo per l’individuazione dell’essenza di realtà come la persona, l’amore, la comunione interpersonale, ecc… abbiamo un pregevole esempio nei 129 Discorsi di Giovanni Paolo II sull’amore umano e la sacramentalità del matrimonio, pronunciati dal 5 novembre 1979 al 28 novembre 1984 (19). La mentalità scientifica moderna, invece, parla dell’uomo solo in termini di evoluzione e di storia. L’uomo non incarna un’immagine eterna, ma è parte del divenire universale. Il suo essere è il prodotto non intenzionale e variabile di forze neutrali, che non tendono ad alcun fine. L’uomo non ha altra validità che quella che gli deriva dalla sua esistenza casuale, il suo essere non è legittimato da alcuna valida essenza. L’uomo è, tutto sommato, un evento fortuito. La prospettiva storica, di per sé legittima, in tale contesto non aggiunge altro che l’idea dell’uomo come prodotto continuo della sua stessa storia e delle sue stesse creazioni, cioè delle differenti e mutevoli culture di cui ciascuna genera e impone i propri valori, la validità dei quali è puramente fattuale (20).
Su queste basi è comprensibile l’uso che l’uomo moderno fa del potere tecnologico. Lascio ancora parlare Hans Jonas: “Se non c’è nulla di definitivo nella natura, nessuna struttura nei suoi prodotti che risponda a uno scopo, allora è lecito farne quel che si vuole senza per questo violare la sua integrità, perché non c’è alcuna integrità da violare in una natura concepita esclusivamente in termini di scienze naturali -una natura né creata né creatrice. Se la natura è un mero oggetto, in nessun senso un soggetto, se essa non esprime alcuna volontà creatrice, allora l’uomo rimane il solo soggetto e la sola volontà. Il mondo, dunque, dapprima oggetto della conoscenza dell’uomo, diventa l’oggetto della sua volontà, e la sua conoscenza viene messa al servizio della sua volontà, la quale, ovviamente, è volontà di potenza sulle cose. Tale volontà, una volta che l’accresciuto potere abbia superato la necessità, diventa puro e semplice desiderio, un desiderio che non ha limiti” (21). Siamo quindi nella già menzionata prospettiva dell’integrale manipolabilità della natura, del corpo umano, della cultura, della sessualità, dei rapporti interpersonali di lavoro, di amicizia o di amore. In questi e negli altri ambiti dell’agire umano tutto potrebbe essere diversamente, tutto potrebbe essere altrimenti. Qui sta la radice del relativismo etico e delle attuali difficoltà della coscienza morale, la quale, di fronte ad estremi talvolta aberranti, ha ancora voce da chiedere: ma, che male c’è?
Conclusioni e proposte
Le riflessioni precedenti non vogliono essere negative né pessimistiche. Non sono così ingenuo da pensare che ogni tempo passato sia stato migliore. Neanche valuto negativamente lo sviluppo tecnologico da noi raggiunto, che tanti beni ha comportato e comporterà ancora all’uomo e alla società. Ogni epoca storica ha avuto i suoi problemi specifici per quanto riguarda la coscienza morale, e i problemi specifici del nostro tempo sono stati causati non dal progresso tecnologico in se stesso considerato, ma dall’assenza di un parallelo progresso della dimensione filosofico-sapienziale della ragione umana, dimensione che, come abbiamo detto, è stata sopraffatta dalla ragione tecnico-strumentale. Ne è risultato il materialismo pratico, con la conseguente perdita, a livello individuale e sociale, di percezioni antropologiche ed etiche che sono state da sempre il vero tesoro del cuore umano e il punto di riferimento della coscienza morale.
Se mi sono dilungato nell’analisi delle difficoltà che travagliano il momento presente, è stato per far capire la profondità culturale dell’opera di risanamento a cui siamo oggi chiamati. Giovanni Paolo II ha parlato più volte di “nuova evangelizzazione”, vale a dire, della necessità di illuminare nuovamente con la luce del Vangelo tutto l’essere e tutto l’operare dell’uomo, perché è l’uomo intero (e non solo una parte di esso) che è chiamato a rinascere in Cristo.
Se la mia diagnosi è stata esatta, i problemi attuali della coscienza non richiedono da noi solo ciò che comunemente si intende per “essere dei bravi ragazzi”. L’ora presente richiede, fra l’altro, una profonda e incisiva azione culturale e scientifica, volta a mettere in luce l’intrinseca razionalità umana -e quindi etica- di ogni campo dell’agire e del fare: individuale, sociale, politico e tecnologico. Non si tratta propriamente di introdurre in questi ambiti considerazioni etiche procedenti dall’esterno, ma di riscoprire le aree di senso e la rete di significati sulle quali è imperniata ogni prassi umana non impostata riduttivamente. Detto in altro modo: se lo stesso metodo che ha incrementato il nostro potere ci ha tolto le percezioni etiche e i punti di riferimento necessari per il suo retto uso, l’auspicata correzione di rotta la possiamo realisticamente aspettare solo da coloro che sono impegnati in prima persona nelle diverse aree dell’agire e del fare umano.
In termini cristiani, il mondo e il lavoro umano deve essere “redento” dal di dentro. Così insegnò Mons. Escrivá, beatificato nel maggio 1992 da Giovanni Paolo II. “La risposta di Escrivá – è stato scritto -, all’inizio e alla fine, è la medesima, perentoria ed essenziale: Queste crisi mondiali sono crisi di santi. Avvertendo la necessità che i cristiani superino ogni diaframma fra la fede e l’operare quotidiano, egli proclama la vocazione universale alla santità e annuncia con vigore che il lavoro umano è lo strumento attraverso il quale Dio chiama l’uomo a cooperare al piano della Creazione e della Redenzione. Il lavoro, luogo del conflitto e dello schiacciamento dell’uomo per coloro che volevano plasmare i tempi nuovi di un’umanità finalmente affrancata e padrona di sé, per il fondatore dell’Opus Dei diviene àmbito di santificazione. Cristo posto al vertice di tutte le attività umane; la vita degli uomini e l’intera società imbevuti di una tensione a Dio a cui nulla più resta estraneo. E sono i cristiani comuni, di tutti i ceti e le condizioni sociali, coloro nei quali Escrivá riaccende la consapevolezza della necessità di ricapitolare, dal di dentro, il mondo in Cristo” (22).
Le riflessioni fin qui svolte dovrebbero farci capire la profondità e anche la difficoltà del compito che il Fondatore dell’Opus Dei propone agli uomini del nostro tempo, ma nel contempo le mie riflessioni vogliono essere un incoraggiamento a intraprendere un gioioso impegno umano e professionale che, ripristinando l’autentico senso della missione divina di trasformare e umanizzare il mondo attraverso il lavoro e la tecnica, restituisca le percezioni e le convinzioni che ci permettono di guardare il nostro mondo e il nostro lavoro con ottimismo. Soltanto ciò che sopprime l’angoscia e ridà speranza può costituire un vero progresso umano e sociale.
Note
1 Cfr. Illanes Maestre J.L., La secularización como situación de encrucijada, in “Evangelizzazione e ateismo”, Atti del Congresso Internazionale (Roma 6-11 ottobre 1980), Studia Urbaniana, Roma 1981, pp. 548-556.
2 Cfr. MacIntyre A., Dopo la virtù, Feltrinelli, Milano 1988, specialmente i tre primi capitoli. Si vedano anche le interessanti riflessioni di Lewis C.S., The Abolition of Man, 8a ed., Font, Londra 1990 la trad. italiana e stata pubblicata dalla Jaca Book).
3 Ratzinger J., La Chiesa, Paoline, Cinisello Balsamo 1991, p.117 .
4 Cfr. soprattutto Jonas H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990, e Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1991.
5 Sono ben consapevole dal fatto che il passaggio dalla dimensione etico-personale alla dimensione etico-politica non è automatico né scontato, giacché la politica chiama in causa equilibri assai più complessi, come subito si vedrà.
6 Cfr. Rodriguez Luño A., Etica, Le Monnier, Firenze 1992, specialmente cap. VI.
7 Cfr. Lombardi Vallauri L., Corso di filosofia del diritto, Cedam, Padova 1981, pp. 236 ss. e 242 ss.
8 Cfr. Ibid., p. 236.
9 Sulla non plausibilità del concetto di ragione neutrale, cfr. D’Agostino F., Il diritto come problema teologico, Giappichelli, Torino 1992, pp. 23 ss.
10 Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis Humanae, 7 dicembre 1965.
11 Cfr. tengo presente le interessanti osservazioni di Rhonheimer M., Perché un’etica politica?, di prossima pubblicazione su “Acta Philosophica” I/2 (1992).
12 “Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, all’ora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus Annus, 1 maggio 1991, n° 46).
13 Ci permettiamo di rimandare il lettore al nostro studio La risposta del pensiero metafisico alla crisi di senso dell’etica contemporanea: l’essere come libertà, presentato al convegno di Studio “Oggettivismo scientifico, crisi di senso e pensiero metafisico” (Roma, 27-28 febbraio 1992), organizzato dalla Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Romano della Santa Croce, i cui Atti sono stati stampati a cura dell’editrice Armando Armando di Roma.
14 Lombardi Vallauri, L. Corso di filosofia del diritto, cit., p. 246.
15 Ibid., p. 247.
16 Jonas H., Dalla fede antica all’uomo tecnologico. cit., p. 258.
17 Ibid., p. 259.
18 Cfr. il nostro articolo In mysterio Verbi Incarnati mysterium hominis vere clarescit (Gaudium et Spes, n° 22). Riflessioni metodologiche sulla Grande Catechesi del mercoledì di Giovanni Paolo II, in “Anthropotes. Rivista di studi sulla persona e la famiglia” VIII/l (1992) pp. 11-25.
19 Questi Discorsi sono ora disponibili nel volume: Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, 2a ed., Città Nuova Editrice – Libreria Editrice Vaticana, Roma 1987, 523 pp.
20 Cfr. Jonas H., Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit. pp.259-261
21 Ibid., p. 263.
22 Eszer A., Prefazione all’opera collettiva Santi nel mondo, Studi sugli scritti del beato Josemaría Escrivá, Ares, Milano.