…Arrestato dai sovietici l’11-4-1945, nel 1946 subisce una prima condanna a 8 anni di lavori forzati. Nel 53 viene condannato per la seconda volta a 5 anni di Siberia e nel 58 subisce la terza condanna a 4 anni di lavori forzati. Il 28-3-60 viene nominato cardinale in pectore da Papa Giovanni XXIII, e nel 62 patisce la quarta condanna, questa volta consistente nella deportazione a vita in Mordovia. Inaspettatamente liberato il 26-1-63, viene espulso dall’Unione Sovietica e giunge a Roma il 9 febbraio….
Josyf card. Slipyj
Testamento
Il 7 settembre 1984 chiudeva a Roma la sua lunga e travagliata esistenza il cardinale Josyf Slipyj, arcivescovo maggiore di Leopoli degli ucraini.
Nato il 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nell’Ucraina Occidentale, a venticinque anni. il 30 settembre 1917, è ordinato sacerdote a Univ. Rettore nel 1925 dei seminario di Lviv e nel 1929 dell’accademia teologica della stessa città, nel settembre dei 1939 viene nominato esarca dell’Ucraina Orientale e nel dicembre dello stesso anno arcivescovo coadiutore dei metropolita Andrey Sheptyckyj. Il 1 novembre 1944 il metropolita Sheptyckyj muore e Josyf Slipyj diventa metropolita.
L’11 aprile 1945 viene arrestato dai sovietici e nel 1946 subisce una prima condanna a otto anni di lavori forzati. Nel 1953 viene condannato per la seconda volta a cinque anni di Siberia e nel 1958 subisce la terza condanna a quattro anni di lavori forzati. li 28 marzo 1960 viene nominato cardinale in pectore da Papa Giovanni XXIII, e nel 1962, a settant’anni patisce la quarta condanna, questa volta consistente nella deportazione a vita in Mordovia.
Inaspettatamente liberato il 26 gennaio 1963, viene espulso dall’Unione Sovietica e giunge a Roma il 9 febbraio. L’11 ottobre dello stesso anno interviene in Concilio per chiedere l’erezione del patriarcato ucraino, rendendo così pubblica la controversia che costituì il più profondo tormento di tutto il suo lungo esilio, dal momento che il titolo patriarcale ‑ che aveva chiesto a Papa Paolo Vi nell’agosto del 1963 ‑ non venne mai riconosciuto dalla Santa Sede.
L’8 dicembre 1963 fonda a Roma l’università cattolica ucraina e il 23 dicembre dello stesso anno è riconosciuto arcivescovo maggiore, al momento l’unico con questo titolo nella Chiesa cattolica.
Il 25 gennaio 1965 viene pubblicato cardinale da Papa Paolo VI, e nel 1968 compie visite pastorali nelle Americhe e in Oceania. Nel 1969 consacra in Roma la cattedrale di Santa Sofia.
Nel 1971, in occasione del Sinodo dei Vescovi, denuncia la persecuzione della Chiesa sotto il regime comunista, nel 1976 lancia un appello alle Nazione Unite in favore dei perseguitati e nel 1977 testimonia, a Roma, davanti al Tribunale Sakharov.
Nel 1980 presiede, sempre a Roma, il sinodo dei vescovi ucraini.
Il testamento dei presule ‑ definito dai regnante Pontefice Giovanni Paolo II “uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa” (L’Osservatore Romano 19‑10‑1984) ‑ è stato tradotto dalla fotocopia del dattiloscritto originale in ucraino da padre Alessio U. Floridi S.J. Le note sono state ricavate da quelle che accompagnano la traduzione in inglese fatta dal dr. Stephen Oleskiw e comparsa in ABN Correspondence. Bulletin of the Antibolshevik Bloc of Nations, anno XXXV, n. 6, novembre‑dicembre 1984, pp, 1‑20.
Testamento
di Sua Beatitudine il Patriarca Josyf
Josyf
Patriarca di Kyiv‑Halych e di tutta la Rus’
Al miei Figli spirituali, al Vescovi, ai Sacerdoti, al Monaci e alle Monache
e a tutti i Fedeli della Chiesa Cattolica Ucraina
Pace nel Signore e la mia Benedizione arcivescovile!
“Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più” (Gv. 14,19), “Un poco e voi non mi vedrete più” (Gv. 16,16), perché “viene l’ora in cui non vi parlerò “più in parabole” (Gv. 16,25). Nel lasciare questo mondo, dopo una vita che dura da novant’anni all’incirca, “seduto sulla slitta”, come usavano dire i nostri antenati, prego per voi, il mio gregge spirituale, e per l’intero popolo ucraino, del quale sono figlio e che ho cercato di servire durante tutta la mia vita, con le parole della preghiera sacerdotale di addio del nostro Signore Gesù Cristo. Perché Egli è per noi tutti e per il mondo intero “la via, la verità e la vita” (Gv. 14,6).
Perciò, percorrendo la mia strada verso l’eternità, supplico il Padre del Cielo di glorificare Suo Figlio fra di voi in modo che possiate conoscere Lui, “il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv. 17,3), e pregherò il Padre di darvi “un altro Consolatore che rimarrà con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi invece lo conoscete, perché rimane presso di voi e sarà in voi” (Gv. 14,16‑17).
Insieme alla mia preghiera di congedo da questo mondo e da voi tutti, miei cari figli spirituali, vi lascio il mio paterno testamento pastorale, come è comandato dalla nostra antica e santa fede cristiana!
“… Guardatevi dallo sfacelo della vostra fede … ” (Gv. 16,1) e “non si agiti il vostro cuore. Abbiate fede in Dio! … ” (Gv. 14, 1).
E questo è il mio fondamentale comandamento per voi: “Amatevi scambievolmente” (Gv. 15,12,17), con l’amore più intenso che vi sia, fino al completo dono di sé, poiché “nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici … ” (Gv. 15,13).
Questo amore verso Cristo, l’amore per la santa Chiesa che è il Suo divino sacramento, l’amore per la mia Chiesa ucraina che è una parte preziosa della famiglia cristiana ecumenica, l’amore per il mio popolo ucraino, con i suoi tesori spirituali e materiali di importanza universale, ha distinto il laborioso sentiero della mia vita, dei miei pensieri e di tutto il mio lavoro sia da libero che durante la mia prigionia.
Nel corso di tutta la mia vita sono stato prigioniero di Cristo, e tale rimango lasciando questo mondo!
In un primo tempo, già da giovane, ero diventato Suo prigioniero volontario! Perché sono nato e cresciuto in una famiglia contadina ucraina cristiana di fede profonda, che mi ha trasmesso e inculcato la fede in Cristo e l’amore verso di Lui! Oggi perciò, vicino a raggiungere nuovamente la famiglia nell’altro mondo “dove non vi è né sofferenza né dispiacere, ma soltanto la vita eterna”, prego per loro con la gratitudine di un figlio! Perché i genitori e la famiglia cristiana costituiscono la base di una società sana, di un popolo e di una nazione forte, e servono per assicurare la loro crescita e il loro vigore. E di conseguenza vi comando di conservare la vera famiglia cristiana nella nazione ucraina e, dove è stata scossa, di restaurarla come focolaio inestinguibile della vita e della salute della Chiesa e del popolo!
Sono stato prigioniero volontario di Cristo anche quando il mio amore verso di Lui mi ha fatto seguire la strada dello studio e delle ricerche, e mi ha spinto a dedicare la vita all’insegnamento. Mi sento molto obbligato verso il disegno di Dio in quanto Lui accese questo fuoco dentro di me durante la mia infanzia, e verso il mio fratello maggiore Roman perché divenne strumento dell’opera di Dio incominciando a istruirmi quando ero un ragazzo di cinque anni, ed è per questo che sono stato in grado di leggere e di scrivere anche prima di incominciare a frequentare la scuola, la stessa scuola che attizzò il fuoco dell’amore per la cultura. Attraverso questo amore per la sapienza e per lo studio ho continuato a essere il prigioniero volontario di Cristo e quando mi sono accorto della chiamata alla vita religiosa ho preso la decisione di servire Cristo.
La famiglia cristiana e la nostra scuola patria ucraina sono presupposti necessari per l’educazione corretta delle nostre generazioni future!
Vi comando perciò di rianimare queste istituzioni e di salvarle sia in Ucraina che in tutti i paesi dove il popolo ucraino si è stabilito!
Nella mia vocazione a servire Cristo nell’ordine ecclesiastico vedo chiaramente la mano di Dio. Consapevole della voce del Signore nella mia chiamata a servirLo e sempre sostenuto dalla mano del Signore, mi rallegrai del fatto che, durante i pochi decenni degli anni migliori della mia vita, potei lavorare come prigioniero volontario di Cristo, sia come accademico che nelle mie ricerche sul più grande sacramento rivelato ‑ la triplice essenza di Dio, e in modo particolare la Terza Persona di Dio rappresentata nella santissima Trinità ‑, lo Spirito Santo, lo Spirito di verità, il Paraclito e la fonte di Vita, che è presente ovunque e che dimora in noi e nella Chiesa di Cristo (cfr. la preghiera Padre Celeste).
Ispirato dalla Sua grazia, ho servito la mia Chiesa natale nei posti che mi sono stati assegnati dal capo e padre della nostra Chiesa, il servo di Dio Andrey, metropolita, dapprima come professore e rettore del seminario ecclesiastico e dell’accademia di teologia, e più recentemente come fondatore della università cattolica ucraina qui a Roma…
Da uomo che è diventato prigioniero volontario di Cristo, ho servito lo studio teologico ucraino, una volta tanto importante, e ho cercato di innalzarlo dalle rovine e di ripristinarlo, consapevole del fatto che la sapienza è una delle pietre angolari e delle colonne della rinascita e della forza del popolo, e che l’insegnamento teologico costituisce il comando evangelico di Cristo: “Andate dunque e insegnate a tutti i popoli…” (Mt. 28,19). La cultura forma “la base della Chiesa nella nostra nazione”; attraverso le sue istituzioni accademiche ed educative, la Chiesa è “l’insegnante del popolo”, in quanto per mezzo di essa “il singolo membro tanto più si arricchisce quanto più viene permeato dal concetto che abbraccia il cielo e la terra, il tempo e l’eternità, la storia e l’attualità, e sia il cuore che la mente…” (dal mio discorso alla cerimonia inaugurale dell’Accademia di Teologia, il 6 ottobre 1929).
Riflettendo in questo modo sul significato e sul valore della sapienza e vicino ad affrontare l’eternità, che certamente mi è sempre più prossima, vi comando:
Imparate ad amare la cultura, coltivatela e arricchitela con il vostro lavoro e la vostra sapienza; diventate i suoi servi! Costruite i templi del sapere, i focolai della forza spirituale della nostra Chiesa e del popolo, e ricordate che la pienezza della vita della Chiesa e del popolo è impossibile senza la nostra cultura e studio natali. La sapienza è il loro soffio di vita!
Quando nel 1939 ancora una volta cominciò per la nostra Chiesa la “processione della croce” e il grande santo geniale e servo di Dio Andrey, metropolita, mi chiamò a svolgere mansioni arcipastorali nominandomi esarca della “Grande” Ucraina Orientale nell’ottobre del 1939 e nel dicembre dello stesso anno, con la consacrazione episcopale, vescovo suo successore, io accettai queste nomine come la chiamata della voce misteriosa di Dio che nelle parole di Cristo invitava: “Seguimi … ” (Gv. 1,43).
Durante questi tempi duri e turbolenti che piombarono sulla nostra Chiesa, imparai a conoscere cosa significava veramente “seguire Cristo”. Perché fu Lui che disse: “Se uno vuole venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc. 8,34). La vocazione a svolgere l’incarico di Pastore richiede che uno rinunci a sé stesso, porti la sua croce e segua le orme di Cristo per amore verso Colui che disse anche: “Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio celeste … ” (Mt. 10,33).
E così intrapresi il successivo sentiero tormentoso della mia vita. E cominciò a verificarsi quanto era inciso sul mio stemma pastorale: “Per aspera ad astra”. Davanti a me, il successore del servo di Dio Andrey, l’erede del suo patrimonio e legato spirituale, si stendeva un lungo cammino di privazioni, sopportando la croce e affermando pubblicamente la fede in Lui “davanti agli uomini” “in questa generazione adultera e peccatrice” (Mc. 8,38). La mano possente di Dio mi guidò, prigioniero per l’amore di Cristo, a testimoniare in Suo favore nello stesso modo in cui aveva detto ai Suoi discepoli e seguaci: “Sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea, nella Samaria e fino agli estremi confini della terra…” (At 1,8). Ma sulle pietre miliari del mio cammino terreno vi furono nomi diversi. Non furono Gerusalemme, Giudea e Samaria ma Lviv, Kyiv, Siberia, la regione del Krasnoyar, Yeniseysk, le regioni polari, Mordovia… e così via, letteralmente “fino agli estremi confini della terra”.
Ho dovuto subire l’arresto di notte, i tribunali segreti e interminabili interrogatori. Sono stato spiato e sono stato sottoposto a maltrattamenti e a umiliazioni morali e fisiche, alla tortura e alla fame forzata. Fui, di fronte agli investigatori e ai giudici malvagi, un prigioniero indifeso e “testimone silenzioso della Chiesa”, che stanco ed esausto fisicamente e psicologicamente, testimoniava a favore della sua Chiesa, anch’essa silenziosa e condannata a morire… E il prigioniero‑galeotto poté vedere che alla fine anche lui era condannato a morire una volta che il suo cammino avesse raggiunto “gli estremi confini della terra”!
Come prigioniero per l’amore di Cristo trovai forza durante la mia via crucis quando ebbi la percezione che il mio gregge spirituale, il mio popolo natale ucraino, tutti i vescovi, i sacerdoti e i fedeli, sia padri che madri, i bambini i giovani zelanti e gli anziani indifesi, camminavano accanto a me per lo stesso sentiero. Non ero solo!
Ricevetti una resistenza sovrumana e una forza misteriosa dalle parole di Cristo incise dentro la mia anima: “Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque accorti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini: essi vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe. Sarete tradotti davanti a governatori e a re per causa mia, perché possiate dare testimonianza a loro e ai pagani. In tribunale non preoccupatevi di sapere come parlare o che cosa dire: ciò che dovrete dire vi sarà suggerito in quel momento. Non sarete infatti voi a parlare, ma lo Spirito dei Padre vostro parlerà in voi. Il fratello consegnerà il fratello perché sia condannato a morte; il padre il figlio; i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno mettere a morte. Voi sarete odiati da tutti per causa mia; ma chi sarà rimasto saldo fino alla fine sarà salvato…” (Mt. 10,16‑22).
Come non mi era mai successo prima, mi si rivelò il mistero delle parole di Cristo “Sarete miei testimoni…” (At. 1,8). Testimoniare a favore di Cristo significa riconoscerLo davanti agli uomini (cfr. Lc. 12,8), vuol dire non rinnegarLo, portare la propria croce e soffrire con Cristo e per Lui, prepararsi a essere torturato e perfino a dare la propria vita per gli amici, non temendo coloro che “uccidono il corpo” (Lc. 12,4), e ricordando che “chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me [Cristo] e per il Vangelo la salverà. Che giova all’uomo guadagnare tutto il mondo. se poi perde la sua vita?…” (Mc. 8,35‑36).
Oggi ringrazio Dio nostro Signore per avermi concesso la grazia di diventare testimone di Cristo e di professare la Sua fede, come Egli comanda! Ringrazio Dio nostro Signore con tutto il mio cuore ché con il Suo aiuto non ho disonorato né la mia terra, né il buon nome della mia Chiesa natale né me stesso, il suo umile servo e Pastore …
E così oggi, “seduto sulla slitta, avendo meditato nella mia anima e avendo lodato Dio, che mi ha guidato fino a questo giorno …. seduto sulla slitta sulla strada verso l’eternità, recito una preghiera con voce stanca” (dalle istruzioni ai bambini, del Gran Principe di Rus’ Volodymyr Monomakh) e vi comando, miei figli in Cristo:
Siate “testimoni di Cristo” in Ucraina e nei territori dove vi siete stabiliti liberamente oppure forzatamente, in tutte le nazioni dove siete venuti a risiedere: nelle galere, nelle prigioni e nei campi di concentramento fino agli estremi confini della terra e fino alla fine della vostra vita terrena! Siate testimoni in ogni continente del nostro triste mondo! Non disonorate la terra di Ucraina, la nazione dei vostri antenati! Conservate nelle vostre anime il nome immacolato della vostra santa Chiesa! Non disonorate il vostro nome ucraino e ricordate le parole di Cristo: “Vi ho dato un esempio: comportatevi come io ho fatto con voi. In verità in verità vi dico: non vi è servo più grande del padrone; … se lo mettete in pratica, beati voi” (Gv. 13,15‑17).
Come nelle parabole, con l’aiuto di espressioni e di immagini bibliche ho dipinto un quadro del sentiero della mia vita, il sentiero di un testimone di un prigioniero e di un confessore, che vi è trovato “agli estremi confini della terra” e sul punto di morire, a faccia a faccia con la morte nelle condizioni climatiche intollerabili della Mordovia, nel più terrificante campo di sterminio, dove la fine della mia vita si stava avvicinando.
Ma la volontà della Provvidenza misericordiosa e onnipotente di Dio era diversa! Inaspettatamente è stata annunciata la mia scarcerazione! Chi è stato responsabile e come è avvenuto questo fatto sarà forse spiegato un giorno nei lavori di coloro che studiano la vita dei martiri della nostra Chiesa. Se è stato il Concilio Ecumenico Vaticano II con la voce alta del nostro episcopato lì presente, oppure se sono siate le misure prese da comunità accademiche sia ucraine che straniere per solidarietà, le quali prendevano le mie difese; se è perché si sono momentaneamente ravveduti coloro che tenevano allora le redini del potere, solo Dio lo sa! Tuttavia, tutti questi fattori non erano altro che strumenti del lavoro incomprensibile di Dio! Fra essi, le petizioni di Papa Giovanni XXIII, che era la personificazione della bontà, della benevolenza, della dolcezza e dell’amore cristiano, avevano il peso più considerevole. Con gratitudine filiale offro le mie preghiere al Signore per la sua glorificazione!
Sebbene fossi stato scarcerato, la libertà non fu concessa alla mia Chiesa natale. La mia decisione personale fu quindi quella di rimanere nella mia terra natale e di continuare a portare la croce pesante insieme alla mia Chiesa natale, come avevo scritto mentre ero in segregazione cellulare in una prigione di Kyiv: “Non considero nemmeno, nella mia anima, la possibilità di lasciare l’Ucraina Sovietica, ma desidero soltanto fare valere per la Chiesa greco‑cattolica i diritti che già aveva nell’Unione Sovietica fino al 1946, diritti che le spettano secondo la Costituzione e che vengono adesso calpestati! … Vorrei puntualizzare ancora che non ho nessuna intenzione di partire, eccetto forse sotto sorveglianza, come testimone silenzioso della Chiesa del silenzio” (lettera del 14‑2‑1961 dalla segregazione cellulare a Kyiv, in via Korolenko 33).
Ma la voce di Papa Giovanni XXIII mi chiamò al Concilio Vaticano. Io interpretavo la sua chiamata come ordine perché in essa potevo percepire l’intenzione incomprensibile del disegno di Dio. Non era forse questa una chiamata per testimoniare vigorosamente, a favore della nostra Chiesa? Non era forse questa una chiamata per compiere ciò che non ho potuto realizzare come prigioniero? E così incominciò una nuova fase della mia vita, un sentiero lungo il quale ho già vagato per circa un ventennio. Ma perfino questo sentiero si è subito rivelato come non illuminato dagli astra o stelle luminose. Era ancora il sentiero percorso da un prigioniero per amore di Cristo, ma questa volta era il sentiero percorso da un prigioniero in libertà precaria …
Con la speranza di ritornare velocemente dopo la conclusione del Concilio Vaticano ‑ di ritornare al mio gregge spirituale ‑ e avendo fatto tutto quello che i miei doveri pastorali esigevano da me per assicurare la ininterrotta successione apostolica all’interno della Chiesa ucraina, arrivai nella capitale dì san Pietro esausto fisicamente, ma con lo spirito indomito… Il mio arrivo a Roma ‑ come la mia scarcerazione inaspettata e le prime settimane e mesi del mio soggiorno a Roma inizialmente tra le mura dell’antico monastero greco dei monaci basiliani a Grottaferrata e successivamente dentro il Vaticano – fu accompagnato da segni inspiegabili. La descrizione migliore di ciò si può trovare nel discorso di Giulio Andreotti, presidente del consiglio italiano, durante la consacrazione della cattedrale di Santa Sofia il 28 settembre 1969.
“Se le stelle dovessero essere in proporzione alle spine che hanno delineato la sua vita come sacerdote e come arcivescovo maggiore, dovremmo con certezza potere prevedere le regioni empiree per ora sconosciute e non descritte per noi. Quando Lei è arrivato a Roma il giudizio, del quale discuteranno i nostri discendenti, se si può veramente chiamare giudizio, ha voluto che ogni cosa collegata con il suo arrivo dovesse accadere davanti a noi, cattolici romani, sotto una particolare cortina di silenzio. Quanto è strano il nostro mondo! Perché è un mondo in cui la gente, in molte occasioni, ha paura di dimostrare il dovuto rispetto ai perseguitati, e anzi è spinta dal desiderio di ostacolarlo, per paura che i persecutori possano prenderlo come pretesto per commettere mali maggiori di quelli commessi fino a ora. L’avremmo accolta con la stessa gioia con la quale i cristiani di Roma accolsero san Pietro dopo la sua liberazione. L’avremmo accolta come san Pietro, il quale aveva la presenza della mano di Dio e la presenza degli angeli vicini i quali successivamente istituirono anche la sua presenza qui a Roma come segno duraturo…”.
Continuava Giulio Andreotti.‑ “Eminenza, nel 1948 è stato pubblicato un libro… sulla situazione della cristianità nell’Unione Sovietica. A pagina 282 di questo libro troviamo scritto che “l’undici aprile 1945 furono arrestati diversi vescovi: il metropolita Slipyj, creduto morto da tutti, era secondo le ultimissime informazioni ancora vivo!” E il mondo odierno, che ha osato accusare Pio XII di non avere scoperto in tempo cosa stava avvenendo di nascosto dentro i campi di concentramento, lo stesso mondo, dopo la fine della seconda guerra mondiale e la instaurazione della pace, era ancora incapace nel 1948 di sapere con sicurezza se Lei, Eminenza, era già morto, oppure se era ancora vivo. Per fortuna, tuttavia, Lei è “morto”, ma un morto che parla, e non parla soltanto. ma crea…”.
Mentre viaggiavo verso Roma via Vienna, un dolore mi sconvolgeva l’anima ogni volta che pensavo alla nostra Chiesa e al nostro popolo. Tutte le sue realizzazioni e le fatiche di intere generazioni per mille anni giacevano in rovina. Io accettavo questo come volontà di Dio, credendo profondamente che tutte le realizzazioni storiche, comprese le sofferenze, non erano inutili. Credevo che la nostra Chiesa e il nostro popolo si sarebbero di nuovo alzati dalle rovine. E tutti i miei sforzi erano diretti al tentativo di trovare una via di uscita da questa situazione quasi disperata allo scopo di sollevare la Chiesa e la nazione dalla rovina e di farle rinascere. Ancora una volta ho dovuto iniziare il mio lavoro di risveglio dall’origine del problema, dalla sua base. Ho riconosciuto come base la cultura, la preghiera, il lavoro e il pio e devoto modo di vivere cristiano.
Come prigioniero silenzioso e nuovamente volontario per l’amore di Cristo, fui rallegrato dal fatto che, con l’aiuto di Dio e grazie ai sacrifici di tutto il Suo popolo ucraino, in modo particolare della comunità laica, e al mio umile sforzo, sorsero la università cattolica ucraina, focolaio di cultura, la cattedrale di Santa Sofia, segno e simbolo della indistruttibilità del santuario di Dio sulla terra, un luogo di preghiera, il monastero dell’ordine degli studiti, una fiamma sempre ardente e isolotto di integrità cristiana e della vita monastica e religiosità dei cristiani di rito orientale.
Avendo dunque portato lo sguardo su questi focolai, su questi segni e su questi simboli, vi ordino nuovamente:
Poiché l’ateismo è ora la dottrina ufficiale in Ucraina e in tutte le nazioni del mondo comunista, sostenete l’università cattolica ucraina, perché è la fucina in cui nuove generazioni di sacerdoti e di apostoli laici, combattenti per la verità e per la cultura libera dalla coercizione, devono studiare e formarsi!
Lasciate che l’università cattolica ucraina ‑ con le sue succursali nelle nazioni dove vi siete stabiliti ‑ vi sia di esempio e di stimolo sia per nuove e ulteriori ricerche che per lavori accademici ed educativi! Ricordate sempre che una nazione che non conosce, oppure che dimentica il suo passato e i tesori spirituali che contiene, morirà e scomparirà dalla faccia della terra. La cultura natale fornisce le ali con le quali una nazione vola verso l’apice della maturità fra le nazioni del mondo!
E quando visitate in pellegrinaggio la cattedrale di Santa Sofia come se fosse proprio il vostro tempio natale, quando la osservate e offrite le vostre preghiere a Dio dentro a essa, ricordate che vi ho lasciato questa cattedrale come segno e simbolo dei santuari di Dio distrutti e profanati in Ucraina, fra cui le testimonianze più importanti della nostra cristianità ancestrale e cioè la cattedrale di Santa Sofia a Kyviv e di San Giorgio a Lviv! Lasciate che questa cattedrale di Santa Sofia vi sia di auspicio per la rinascita e la costruzione di nuovi santuari sul nostro suolo natale e che vi sia di incoraggiamento per costruire templi di Dio nei luoghi della vostra dimora! ma soprattutto lasciate che la cattedrale di Santa Sofia sia segno indicativo per voi e testimonianza della cattedrale delle anime viventi ucraine, un luogo sacro di preghiera e di sacrificio liturgico per quelli già morti, per quelli viventi e per quelli che non sono ancora nati! Supplico Iddio che protegga la cattedrale delle anime delle future generazioni ucraine!
Come parte del suo disegno di rinnovare la spiritualiià della cristianità di rito orientale, il servo di Dio Andrey mise le fondamenta per la rinascita e lo sviluppo della vita monastica in base alla regola di san Teodoro Studita. Proprio suo fratello, il defunto abate Clemente, confessore sofferente e umile della fede lavorò instancabilmente in questo campo. Da entrambi questi santi fratelli ho ereditato il compito di esaudire le preghiere fatte quando percepivano l’avvicinarsi della morte, di salvare l’ordine monastico degli studiti. Il Signore Iddio mi ha aiutato a esaudire i loro desideri. In Ucraina l’ordine dei fratelli studiti fiorì, nonostante i numerosi colpi subiti, e sui Colli Albani un monastero di monaci studiti si sviluppo con un archimandrita quale capo. E adesso anche in terre lontane i focolai degli isolotti studiti brillano debolmente.
Il Monastero Laura degli studiti e le sue filiali accoglieranno coloro che, avendo abbandonato la vita nel mondo per amore di Cristo e della Sua santa Chiesa, servono il mondo con la preghiera e la consacrazione rinunciando a esso. Servono il mondo non come egoistici disertori di spirito debole, ma come lavoratori instancabili che pregano per il mondo intero, per la loro Chiesa e per il loro popolo … Tutti quelli che si riuniscono nelle isole della vita monastica diventano coloro che conservano e portano avanti la loro spiritualità cristiana ucraina natale, la quale si rivela nella sacra liturgia, nella purezza del rito, nel pensiero teologico cristiano di rito orientale, nella Vita monastica costruita sull’esempio dell’antica devozione cristiana d’Oriente. Soffrono insieme a coloro che lottano contro il mondo malvagio e attraverso la vita che conducono diventano fonte di ispirazione per vocazioni ecclesiastiche a servire la Chiesa natale!
Fu desiderio del servo di Dio Andrey ed è anche la mia preghiera, essendo crede del suo lascito, che tutti i nostri ordini monastici e tutte le nostre congregazioni, il cui lavoro e la cui importanza per il bene delle anime nessuno sottovaluta debbano competere tra di loro non per influenza e per potere oppure per essere riveriti dalla gente ma competere nell’accrescimento della loro santità individuale e nel servizio zelante e onesto di Cristo e della nostra Chiesa natale ucraina. Scongiuro quindi tutti i monaci e tutte le suore: Non vergognatevi di ciò che è vostro! Fate tesoro del vostro patrimonio spirituale! Infatti il nostro patrimonio spirituale è così prezioso e così abbondante., Non merita disprezzo! “Non date ai cani ciò che è sacro: si volgerebbero contro di voi per mordervi. Non gettate le vostre perle ai porci: le calpesterebbero” (Mt. 7,6). Permettete al nostro patrimonio spirituale di penetrare le vostre anime e di accendere un fuoco nel vostro cuore così da conservarlo e da coltivarlo! Consacrate le vostre anime a questo patrimonio con la grazia e con i doni dello Spirito Santo!
Quando arrivai a Roma il Concilio Vaticano II era già in corso. Come nei secoli passati, dall’epoca del primo concilio apostolico a Gerusalemme, il concilio è una assemblea dei Pastori della Chiesa di Cristo, che sono testimoni della fede e della vita delle Chiese assegnate al loro insegnamento e ai loro servizi pastorali. I Padri del Concilio testimoniano davanti alla Chiesa e al mondo intero.
Consapevole della grandissima importanza di una testimonianza del genere parlai, nel mio indirizzo ai Padri del Concilio l’11 ottobre 1963, non della mia testimonianza, che era una cosa già nota, ma di quella della Chiesa ucraina. Parlai della testimonianza della sua fede in Cristo e nella Sua Chiesa, una, santa, universale e apostolica; la testimonianza che era sostenuta dal sigillo di sangue della professione coraggiosa della fede, dalla sofferenza e dal martirio, oltre che dalle montagne delle nostre vittime. Allo scopo di esprimere gratitudine e riconoscenza davanti al mondo intero e in modo particolare per dichiarare la solidarietà nella sofferenza con coloro che venivano perseguitati e anche per dare loro un appoggio morale, lanciai una proposta e preghiera di elevare la sede metropolitana di Kyiv‑Halych e di tutta la Rus’ al rango patriarcale.
Per la prima volta in tutta la storia della nostra Chiesa l’idea della sua elevazione a patriarcato era proposta così chiaramente in pubblico e in una sede così internazionale come il Concilio Ecumenico, sebbene l’idea di per sé non fosse nuova. I metropoliti di Kyiv avevano governato sulla Chiesa come se fossero patriarchi a tutti gli effetti, servendosi dei pieni diritti patriarcali sull’esempio di altre Chiese orientali, anche se non portavano il titolo ufficiale di patriarca. Erano consapevoli che una Chiesa patriarcale costituisce un segno visibile di maturità e di individualità di una Chiesa particolare, e un potente fattore nella vita della Chiesa e del popolo.
Non è cosa sorprendente quindi che nel periodo più tragico di declino e di divisione nella nostra Chiesa, figure così luminose nella nostra storia quali i metropoliti Petro Mohyla e Josyf Venyamyn Rutskyj presero tutte le misure possibili per restaurare l’unità della Chiesa e per salvarla dalla distruzione, unendo tutti sulla base solida del patriarcato di Kyiv e di tutta la Rus’.
Anche i dirigenti del ripristinato giovane Stato ucraino negli anni della rivoluzione (1917‑1920) capirono l’importanza del patriarcato ed espressero il loro desiderio di vedere il metropolita Andrey Sheptyckyj, da poco rilasciato da una prigione zarista, nella posizione di primo patriarca di Kyiv, Halych e di tutta la Rus’. La Costituzione proclamata e ratificata della Repubblica Nazionale Ucraina del 1920 lo esprime chiaramente, e sebbene questa Costituzione fosse di seguito annullata, testimoniava l’idea immortale del patriarcato della nostra Chiesa.
Come dimostra la storia della Chiesa cristiana nelle distese dell’Europa Orientale, il patriarcato di Kyiv avrebbe dovuto proteggere, e avrebbe certamente protetto, l’unità della Chiesa ecumenica di Cristo, oltre alla nostra unità ucraina sia religiosa che nazionale.
Si deve considerare miopia storica la inosservanza data alle importanti intenzioni dei metropoliti Mohyla e Rutskyj dagli ambienti predominanti a quell’epoca nella Sede Apostolica di Roma, una miopia storica con importanti conseguenze fino al giorno d’oggi. Sebbene questi ambienti predominanti non si opponessero di per sé all’idea del patriarcato della nostra Chiesa, un’idea basata sii fatti storici e sulle esigenze della vita religiosa, ciò nonostante giustificarono il loro rifiuto di acconsentire formalmente alla sua realizzazione con il motivo della “congiuntura” politica. E benché tali motivi non riguardino Dio ma siano parte di una faccenda esclusivamente umana, ciò nonostante sono stati ripetuti, usati come scusa e messi in pratica in relazione ai nostri tentativi di acquisire i pieni diritti della nostra Chiesa sotto forma di patriarcato fino al giorno d’oggi. Motivi così puramente umani sono sempre stati contrari, e lo sono tutt’ora, all’antico concetto ucraino di verità, in cui sia la verità che la giustizia sono intrecciate!
Come figlio fedele della Chiesa cattolica, riferendomi alle risoluzioni chiare del Concilio Vaticano sulla questione della creazione o instaurazione di patriarcati , e avvalendomi in pieno del fatto che appartengo alla cosiddetta Famiglia Pontificia, grazie al defunto Papa Giovanni XXIII che mi elesse cardinale in pectore, nomina che voleva annunciare sul letto di morte e che fu più tardi annunciata il 25 gennaio 1965 da Papa Paolo VI, ribadisco, come figlio fedele della Chiesa cattolica, che diverse volte ho chiesto a Papa Paolo VI sia attraverso lettere che in conversazione un consenso formale che esaudisse la mia preghiera e proposta, che i Padri del Concilio Vaticano avevano accettato senza sollevare nessuna obiezione. Ho spiegato costantemente al defunto Papa Paolo VI che nella Chiesa orientale né Papi né concili ecumenici hanno mai instaurato patriarcati delle Chiese particolari separate. Il conferimento a queste Chiese della dignità patriarcale è sempre stato il frutto della matura coscienza cristiana del popolo di Dio e di tutti i suoi gruppi compositi, della coscienza del clero e dei pastori ma, in modo particolare, la coscienza delle comunità laiche ‑ il gregge spirituale affidato ai loro servizi pastorali ‑ ha avuto un ruolo importante in questa questione. La matura consapevolezza dei propri valori e delle proprie realizzazioni storiche e culturali, dei propri sforzi e dei propri sacrifici, che diventarono anche patrimonio di tutta la Chiesa cristiana ed ecumenica, ha formato una forte base per un patriarcato! Ho spiegato ripetutamente che la Chiesa metropolitana di Kyiv‑Halych ha fornito prove sufficienti di questa coscienza durante tutta la sua storia. Perché allora non riconoscere lo stato patriarcale a Kyiv, culla di cristianità nell’Europa Orientale?
Con umiltà filiale e con pazienza, ma con grande chiarezza, dichiarai al defunto Papa Paolo VI: “Se Voi non lo approvate, lo approverà il Vostro successore… Poiché siccome noi – la nostra Chiesa ucraina ‑ esistiamo, non potremo mai rinunciare al nostro patriarcato…”.
E vi scongiuro, miei figli diletti, non rinunciate mai al patriarcato della vostra Chiesa Sofferente, poiché voi siete vivi e siete i suoi figli attuali! Rafforzo la mia preghiera a voi ripetendo qui la mia Dichiarazione solenne scritta con la mia stessa mano nel 1975: “Dio creò l’essere umano e la famiglia. Nello stesso modo è creatore della stirpe, della tribù e della nazione. Anche il popolo e la nazione hanno diritto all’amore e all’affetto con i quali ogni essere integro è attaccato alla propria famiglia. Il patriottismo e lo zelo per il benessere della propria nazione sono sempre stati considerati doveri dati da Dio, e talora uno deve proteggere il benessere di una nazione da diversi nemici e perfino da certi elementi interni, che altrimenti porterebbero a trascurare le necessità fondamentali del popolo. E lo stesso principio si applica anche alla Chiesa. Esiste ugualmente un dovere dato da Dio di badare realmente al benessere della Chiesa, e un dovere e un diritto di difenderla da chiunque possa nuocere a essa. I nostri antenati hanno cercato per mille anni di mantenere i legami con la Sede Apostolica a Roma, e nel 1595 e nel 1596 rafforzarono la loro unione con la Chiesa cattolica romana a certe condizioni che i Pontefici di Roma promisero solennemente di osservare. Nel corso di quattro secoli questa unione è stata dimostrata dal grande numero di martiri fra gli ucraini, e perfino i nostri giorni sono segnati gloriosamente negli annali della Chiesa per la difesa della Santa Unione da parte dei nostri fratelli.
“Negli anni Settanta la Sede Apostolica Romana, sotto l’influenza e l’autorità dei funzionari della Curia Romana, prese una certa posizione politica, forse anche con buone intenzioni, che colpì dolorosamente la nostra Chiesa in Ucraina e perfino più gravemente colpì la porzione della nostra Chiesa e del nostro popolo che si trovava nel mondo libero. L’intero mondo cristiano è testimone del fatto che i nostri avvertimenti costanti e i nostri umili argomenti, presentati a Paolo VI, non furono presi in considerazione”.
Oggi quindi, che si conoscono i documenti segreti riguardanti i contatti tra la Santa Sede di Roma e il patriarcato moscovita ‑ documenti che per loro natura pronunciano la sentenza di morte per la Chiesa ucraina e che in modo umiliante interessano l’intera Chiesa ecumenica di Cristo guidata dal successore dell’apostolo san Pietro ‑ ancora una volta scongiuro, ordino e comando a voi, mio gregge spirituale:
“Fratelli, vivete come figli della luce… E non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma anzi confutatele; perché è cosa turpe anche il solo parlare di quello che esse compiono di nascosto…” (Ef. 5,9,11‑12). Grido agli indifferenti e ai ciechi: “Svegliati, o dormiente, e sorgi dai morti, e su di te splenderà il Cristo…” (Ef. 5,14). Cento volte vi prego tutti di essere “il sigillo dei mio apostolato” (I Cor. 9,2); “…siate vigilanti, mantenendovi costanti nella fede, operate virilmente, e siate forti…” (1 Cor. 16,13), perché siamo “incalzati da ogni parte, ma non messi alle strette; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non annientati” (2 Cor. 4,8‑9).
“Noi restiamo fedeli immutabilmente all’ordine patriarcale della nostra Chiesa”, furono le mie parole in un discorso alla conclusione del nostro Sinodo del 1969 (cfr. Blahovisnyk, vol. 1‑4, 1969, p. 120).
Voi, miei cari fratelli e sorelle, avete capito le mie parole e da buoni figli della vostra Chiesa avete cominciato a pregare per il vostro patriarca sia privatamente che durante la divina liturgia. Con le preghiera avete dimostrato la vostra matura coscienza cristiana, perché la preghiera è innanzitutto espressione di fede assoluta nell’aiuto di Dio e di fiducia inflessibile che Dio onnipotente realizzerà ciò che a Lui chiediamo instancabilmente. Non ci ordinò Cristo sia di chiedere che di pregare? Non ci promise Cristo che avrebbe esaudito le nostre preghiere fiduciose? Poiché Egli disse: “Chiedete e riceverete; cercate e troverete; bussate e la porta vi sarà aperta…” (Mt. 7, 7).
Ma l’importanza della preghiera e in modo particolare della preghiera liturgica sta anche nel fatto che con essa il credente esprime la sua fede nella rivelazione dei sacramenti della fede e la sua profonda conoscenza della essenzialità di tutta la Chiesa cristiana compresa anche la sua Chiesa natale, parte inseparabile e originale della Chiesa cristiana, uguale nei riti, nella liturgia, nell’amministrazione ecclesiastica e nel patrimonio spirituale consacrati dalle tradizioni. Nei secoli passati la preghiera liturgica divenne mezzo della formulazione esatta delle verità fondamentali della fede in base ai “Simboli e Confessioni di Fede”. La preghiera liturgica forma la base per la formulazione di leggi di diritto canonico che riguardano la Chiesa stessa. Vi sono perciò grato per avere dimostrato la vostra matura fede cristiana quando avete pregato e avete continuato a pregare per “Sua Beatitudine il Patriarca di Kyiv, Halych e di tutta la Rus’” nei vostri santuari di Dio, e anche quando avete pregato per lui sulla tomba dell’apostolo san Pietro nel 1975, durante l’Anno Santo. Avete anche dimostrato la vostra fiducia nella preghiera per la realizzazione della pienezza della vostra Chiesa pregando per il patriarca con il canto, allo stesso modo in cui la nostra gente prega con il canto e dimostra la sua fedeltà all’unione ‑ “Dio concedi a noi l’unione” ‑ e la sua fiducia nella realizzazione dei suoi tentativi per la pienezza della libertà, quando invoca: “il nostro popolo è in catene e la nostra terra in cattività, il nemico non ci permette neanche di pregare… Grande Iddio, concedi la libertà alla nostra terra, concedile un avvenire e la felicità, forza e potenza… ” [I riferimenti sono agli inni ecclesiastici ucraini O Signore, ascolta la nostra supplica e O Gran Signore]. Il patriarcato, la speranza delle vostre anime fedeli, è diventato una realtà vivente per voi. E tale rimarrà in futuro! Perchè tra breve il patriarca per cui ora pregate varcherà la soglia della vita terrena, e il simbolo visibile e la personificazione del patriarcato non esisterà più nella sua persona. Ma nella vostra coscienza e nella vostra visioni, rimarrà una vera e vivente Chiesa ucraina, incoronata con una ghirlanda patriarcale!
Vi comando allora: Pregate, come avete fatto fino a ora, per il patriarca di Halych e di tutta la Rus’, sebbene per adesso anonimo e sconosciuto! Verrà il momento in cui Dio onnipotente lo manderà alla nostra Chiesa e rivelerà il sito nome! Ma abbiamo già un patriarcato!
Alla lotta per la pienezza di vita della nostra Chiesa sulla base dell’ordine patriarcale è strettamente legata la lotta per l’unità religiosa del popolo ucraino, Sento grande gioia nella mia anima quando vedo che, sebbene non ancora uniti in una Chiesa unica, i figli e le figlie della nazione ucraina, con le croci sulle spalle, sono già uniti in Cristo, e si stanno avvicinando nelle Sue sofferenze, in modo da potersi accogliere l’un l’altro con il bacio della pace e da potersi abbracciare con amore fraterno! Esprimendo questa gioia, vi prego tutti, e lasciate che la mia preghiera sia la mia volontà: “… Abbracciamoci e chiamiamo l’un l’altro fratello!”. Seguite le orme del servo di Dio Andrey, che diventò precursore e campione dell’unità della Chiesa cristiana e che dedico tutta la sua vita all’unità dei cristiani! Alzatevi tutti per difendere i diritti della Chiesa cattolica ucraina, ma difendete anche i diritti della Chiesa ortodossa ucraina, distrutta con altrettanta crudeltà dalle azioni violente dell’invasore straniero! Difendete anche tutte le altre comunità cristiane e religiose in terra ucraina, perché sono tutte private della libertà fondamentale di coscienza e di religione, e patiscono tutte perché credono in un solo Dio!
Più vicini a noi nel credo religioso e per legami di sangue sono i nostri fratelli ortodossi. Siamo legati dalle tradizioni della nostra cristianità natale, dalle usanze religiose e nazionali comuni e da una cultura che risale a duemila anni fa. Siamo legati dalla lotta comune per la originalità della nostra Chiesa natale e per la sua piena realizzazione, simbolo visibile della quale sarà un unico patriarcato della Chiesa ucraina!
Noi tutti, cattolici e ortodossi, stiamo lottando per la elevazione della nostra Chiesa e per la sua forza spirituale in Ucraina e in tutti i paesi dove i nostri fedeli si sono stabiliti. E noi tutti, nel professare Cristo, stiamo portando la croce pesante del nostro Signore! (cfr. I decreti del Sinodo, in Blahovisnyk, vol. 1‑4, 1969, p. 127).
Perciò comando a voi tutti: Pregate, lavorate e lottate per la salvezza dell’anima cristiana di tutti coloro che appartengono al popolo ucraino, e per l’intera nazione ucraina, e chiedete a Dio onnipotente di aiutarci a esaudire il nostro vivo desiderio di unione e i nostri sforzi per l’unità della Chiesa con la realizzazione del patriarcato della Chiesa ucraina!
Sentendo l’avvicinarsi della mia fine non posso mancare di esprimere l’amaro tormento che mi accompagnava per tutta la durata del mio soggiorno lontano dalla mia terra natale. Ero tormentato a causa della mancanza di unione tra i membri del nostro episcopato al di fuori dei confini ucraini. Questa mancanza di unione è simile al peccato originale che si è impossessato dell’anima di coloro che dovrebbero essere fari di luce. Questo peccato si è infiltrato come un ladro nella nostra Chiesa sofferente in Ucraina.
La nostra sfortuna e il nostro peccato sempiterno sono la mancanza del senso e della comprensione dell’unione nei problemi fondamentali della vita della nostra Chiesa e del nostro popolo!
Ho meditato sulle ragioni di questo fenomeno sconsolante. E’ dovuto, prima di tutto, a una educazione teologica inadeguata, alla educazione in scuole straniere, all’influsso di condizioni ambientali straniere e alla mancanza di conoscenza del passato della nostra Chiesa in coloro che sono stati chiamati a dirigerla con i più alti incarichi … 1 frutti guasti di tutto ciò sono la non considerazione per ciò che i nostri nonni e i nostri bisnonni raggiunsero con i loro, sforzi e con i loro sacrifici e il disprezzo di tutto quello che è nostro, accompagnato dalla ricerca di onori e dalla sete di potere che ci ricordano tanto la lotta per i principati vassalli all’epoca del declino dello Stato di Kyiv. E infine il tutto è dovuto anche alla leggerezza del carattere, la quale si manifesta con servilismo nei confronti dello straniero e con inchini profondi davanti a divinità straniere!
Come capo e padre della nostra Chiesa ho cercato di insegnare e di ricordare. In più di una occasione, come padre, ho richiamato alla unione con parole supplichevoli: come capo della nostra Chiesa ho ammonito con parole decise e risolute ogni volta che era necessario risvegliare la coscienza letargica e fare rilevare la responsabilità pastorale per il gregge spirituale davanti a Dio e alla Chiesa. Infatti l’episcopato dovrebbe essere modello di concordia nell’amministrazione della Chiesa ed esempio di unione in ogni aspetto della vita religiosa e nazionale! Quanto ho dovuto soffrire per questo ‑ disprezzo, ferite morali; in poche parole, tutte quelle “frecce dei maligno” sono a voi ben note. Queste sofferenze non furono affatto più leggere di quelle nelle prigioni e di quando ero in esilio. E le ho sopportate così dolorosamente come avevo sofferto la tortura in anni precedenti. Ma oggi ringrazio l’Onnipotente per essere stato prostrato sia nelle prigioni che nella libertà! Lo ringrazio per essere stato tormentato e non glorificato dagli schiavi.
Li perdono tutti, poiché anch’essi sono semplicemente strumenti nelle mani dell’Onnipotente, che mi ha chiamato e che mi ha dato la sua benedizione per essere prigioniero per amore di Cristo, sia in cattività che in libertà!
Il nostro serenissimo predecessore, il servo di Dio Josyf Venyamyn Rutskyj, nel suo testamento, allude allo stesso peccato, alla stessa mancanza di unione nei ranghi dell’episcopato. Egli parla anche di controversie, del perseguimento del lucro e della indifferenza verso i doveri pastorali e in conclusione richiama tutti i vescovi all’armonia spirituale e al lavoro zelante. Li scongiura dicendo: “Chiedo una sola cosa ai miei molto reverendi Padri, vescovi di Rus’, che attraverso l’amore di Cristo si uniscano l’uno all’altro e con il loro metropolita. Che confermino con le parole e con le opere che lo riconoscono come padre…”.
Avendo qui espresso il profondo dolore e la profonda inquietudine che riempiono il mio cuore, non desidero in nessun modo rimproverare nessuno. Quindi, miei eminenti e cari fratelli nel servizio episcopale, perdonatemi come vi perdono io! Quando esprimo il mio profondo dolore desidero, in questo modo, ricordarvi per l’ultima volta, da padre e da pastore, e dirvi con insistenza: Unitevi insieme, salvate la nostra Chiesa dalla distruzione e dalla rovina! Fate che la vostra unione, l’unione di tutto l’episcopato della Chiesa cattolica ucraina, diventi stimolo e fonte di ispirazione per tutti i Pastori, per il clero e per i fedeli, i padri e gli antenati dei quali sono nati dalla Chiesa Madre, la Chiesa metropolitana di Kyiv. Nel corso della storia si sono diffusi in paesi diversi, fra vari popoli, e hanno dimenticato la madre che li ha generati. Aiutateli a riscoprire di nuovo questa madre!
“Seduto sulla slitta … ” volo con i miei pensieri verso tutti i miei fratelli e sorelle dell’Ucraina e delle vaste distese di tutta l’Unione Sovietica, verso coloro che soffrono nella libertà e coloro che languiscono nelle prigioni, nelle galere, nei campi di lavoro forzato e in quelli di sterminio. In mezzo a loro vedo nuove schiere di combattenti, di scienziati, di scrittori, di artisti, di braccianti e di operai. Vedo, fra loro, quelli che cercano la verità e quelli che difendono la giustizia. Sento le loro voci alzate in difesa dei diritti umani fondamentali dell’individuo e delle nazioni. Li osservo con meraviglia e vedo come difendono la nostra lingua natale ucraina, come arricchiscono la nostra cultura natale ucraina, e come salvano l’anima ucraina con le piene facoltà intellettive e dell’anima. E soffro insieme a loro perché vengono perseguitati per questo come se fossero criminali comuni.
Prego per voi, fratelli miei, e chiedo a Dio di concedervi la forza di continuare a difendere ì diritti naturali e divini di ciascun essere umano e di tutta la società. Vi benedico come capo della Chiesa ucraina, come figlio, della nazione ucraina, come vostro fratello e come vostro compagno di prigionia e di sofferenza!
“Seduto sulla slitta … ”, qui sul colle del Vaticano, come se fossi sugli scogli di Patmos, dove san Giovanni il Teologo, profugo forzato dalla sua terra natale, era in profonda contemplazione delle sue visioni e delle sue rivelazioni …
Ascolto la voce di Dio che dice: “Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, e che era, e che viene, il Dominatore universale” (Ap. 1,8). Anch’io come fèce una volta Giovanni, “nostro fratello, che partecipa con noi della tribolazione, del regno e della nostra perseveranza in Gesù” (Ap. 1,9), vi interpreto il mistero di ciò che vedo e di ciò che avverrà.