INTRODUZIONE
Il ministero ecclesiastico è un’opera straordinaria della bontà di Dio; perciò per scriverne convenientemente occorre possedere una grande fede per penetrare i disegni di Dio stesso, e una grande carità per scrivere intorno alle meravigliose invenzioni di Dio per l’eterna salvezza degli uomini.
Pur sapendo quanto ci manca di questa fede e di questa carità osiamo trattare di un argomento così grande. Non lo faccio pero senza chiedere perdono al Signore dell’ardimento col quale, così imperfetti, ci avviciniamo a cose tanto perfette. Col perdono di Dio e concedendoci Egli l’assistenza del suo divino Spirito ci proponiamo di scrivere il presente Trattato del Ministero Ecclesiastico in quattro libri. Dei quali il primo sarà consacrato alla natura del Ministero ecclesiastico; il secondo dimostrerà come questo ministero può essere snaturato; il terzo farà conoscere il terreno sul quale si deve esercitare; e il quarto sarà un’esposizione delle virtù necessarie per la sua riuscita. “Ci aiuti la tua grazia, 0 Dio onnipotente, affinché noi, che abbiamo ricevuto il ministero sacerdotale, siamo capaci di servirti degnamente e devotamente con assoluta purezza e pura coscienza. E se, purtroppo, non possiamo mantenerci in una innocenza di vita così grande come sarebbe necessario, dacci almeno la grazia di piangere giustamente quello che abbiamo fatto di male e di dedicarci al tuo servizio in spirito di umiltà e con propositi di buona volontà, in modo più fervente di come abbiamo fatto per il passato. Amen”.
(Imitazione di Cristo, lib. IV, cap. XI)
LIBRO PRIMO
Natura del Ministero ecclesiastico
CAPITOLO I
ORIGINE DEL MINISTERO
Dio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo Unico Figlio e mentre inviava nel mondo il suo Divino Figlio gli diede un grande ministero da compiere verso l’umanità decaduta. Egli doveva soddisfare, come Redentore, la giustizia di suo Padre e poi meritarci le grazie necessarie alla salvezza e creare un’istituzione che, attingendo continuamente dal tesoro dei suoi divini meriti, facesse giungere a tutti gli eletti le grazie che dovevano condurli alla vita eterna. Nostro Signor G.C. compì in modo pieno la missione ricevuta dal Padre e alla vigilia della sua morte poté affermare con tutta verità: “Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l’opera che mi hai dato da fare” (Gv. 17,4) e ciò ripeterà più espressamente sulla croce un istante prima di morire esclamando: “Tutto è compiuto” (Gv. 19,30). Egli aveva formato i suoi Apostoli al ministero, aveva consegnato a loro ogni verità, rivelato ogni cosa e posto nelle loro mani i sacramenti. Però prima di metterli in azione per l’esercizio del ministero aveva dato a loro lo Spirito Santo. L’opera che gli Apostoli dovevano compiere, era opera divina, poteva essere compiuta soltanto con lo spirito di Dio, non essendo lo spirito dell’uomo acconcio a una simile fatica: e lo Spirito di Dio fu dato.
CAPITOLO II
Nostro Signore G. C. dopo aver creato ed esercitato egli stesso il santo ministero, lo affido agli Apostoli come coloro che dovevano continuare l’opera sua. A questo scopo concesse ad essi il potere d’ordine e di giurisdizione e, allo stesso tempo le virtù necessarie per il buon uso di questi terribili poteri. “Onus angelicis humeris formidandum”, dice il Concilio di Trento.
Gesù creo gli Apostoli e li fece ministri perfetti. “Ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza” (2 Cor. 3,6) perché egli aveva altrettanta facilità nel dar loro i poteri.
Gli Apostoli trasmisero facilmente i poteri, avendo a loro disposizione i sacramenti, ma non poterono trasmettere le virtù. Ciò ci mostra come il ministero poté alle volte fallire e ci fa toccare con mano l’innata debolezza negli eredi degli Apostoli.
Senza anticipare vediamo ciò che era il ministero in mano agli Apostoli. Ce lo dice San Pietro in una sola parola: “Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (At. 6,4).
Si ha oggi questo concetto e del ministero e dell’ordine che bisogna seguire per compierli bene? Ne dubitiamo assai: perché, se non erriamo, ci sembra che oggi il grande affaccendarsi sia l’amministrazione dei sacramenti e poi la predicazione; mentre la preghiera è considerata come un’opera personale del sacerdote, anziché come l’opera principale del ministero. Un autentico rovesciamento dell’ordine stabilito da Dio.
CAPITOLO III
IL CORPO E L’ANIMA DEL MINISTERO
Nel ministero bisogna, come nella Chiesa, distinguere il corpo e l’anima: allo stesso modo dei composti nei quali si distingue la materia e la forma. Il corpo del Ministero è la parte esteriore, rituale: l’amministrazione dei sacramenti.
L’anima del ministero, è certamente la preghiera, l’unione interiore a nostro Signore; unione che ci deve far attingere da Dio lo spirito interiore, il solo capace di fecondare le opere esterne.
La predicazione appartiene al corpo del ministero; mentre se la si considera doversi ispirare, vivificarsi, animarsi nella preghiera e in essa attingere potenza ed efficacia, allora appartiene all’anima del Ministero. E questo ci rivela la profondità dell’affermazione di San Pietro citata più sopra: “Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (At. 6,4).
CAPITOLO IV
L’ORDINE VERO DELLE TRE GRANDI FUNZIONI DEL MINISTERO
Poiché il ministero secondo nostro Signore e gli Apostoli è contenuto principalmente in queste tre funzioni: preghiera, predicazione e amministrazione dei sacramenti, è necessario osservare che San Pietro ha messo prima di tutto la preghiera, dopo la predicazione e finalmente, come una risultante, l’amministrazione dei sacramenti.
Ecco l’ordine vero delle sante funzioni del ministero.
Innanzitutto è necessario entrare in relazione scambievole con Dio: punto principale, perché bisogna captare la grazia, divenirne familiare, come dice San Gregorio, e poi dedicarsi alle anime presso le quali si dovrà esercitare il ministero.
Dopo aver pregato bisogna predicare e istruire: e la predicazione fatta potente dalla preghiera che l’ha preceduta, conduce le anime a desiderare, a chiedere e poi a ricevere i sacramenti.
Questa l’economia nell’opera della salvezza delle anime, questo l’ordine col quale Nostro Signore vuole che si compiano le sante funzioni.
CAPITOLO V
PRIMA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREGHIERA
Nostro Signore c’insegna che bisogna pregare sempre: “Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai” (Lc. 18,1). Il compimento di questo precetto, preso a rigor di termine, ci sarebbe impossibile: perciò i santi Padri lo hanno spiegato nel senso che bisogna pregare spesso perché l’anima sia continuamente sotto l’azione e sotto la protezione della preghiera fatta precedentemente.
A questo scopo lo Spirito Santo ha ispirato alla Chiesa di stabilire le ore della preghiera, e sono considerati sempre oranti coloro che sono fedeli alla preghiera nei tempi prescritti, nelle ore prescritte, e meglio, nelle ore canoniche. Infatti il Venerabile Beda dice che “semper orat qui statuta tempora non praetermittit orandi”.
Le ore canoniche sono note. Gli Apostoli ci hanno dato l’esempio della preghiera nel corso delle ore canoniche: “verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inno a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli”. Era una preghiera vocale, dal momento che era intesa da coloro che stavano in prigione con gli Apostoli (At. 16,25).
Nel giorno della Pentecoste la Chiesa nascente era riunita per la preghiera di Terza, quando discese lo Spirito Santo: “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo… all’ora terza del giorno” (At. 2,1-15).
San Pietro sale a pregare in una stanza alta ed era l’ora di Sesta: “Salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare” (At. 10,9).
San Pietro e San Giovanni salgono al tempio per pregare all’ora di Nona: “Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio” (At. 3,1). Questo passo è estremamente importante: gli Apostoli avevano le loro ore fisse per pregare: “Horam orationis”, e Nona era una di queste.
Il Centurione Cornelio, prima ancora di essere cristiano, pregava all’ora Nona, e fu allora che ricevette la visita dell’angelo che lo indirizzo a San Pietro: “Verso quest’ora, stavo recitando la preghiera delle tre del pomeriggio” (At. 10,30).
La tradizione della Chiesa è costante su questo punto così importante della preghiera nelle ore canoniche. Gli esempi dei Santi sono uniformi in tutti i secoli, e li vediamo tutti e sempre fare delle preghiere nelle ore canoniche il loro primo dovere. E come San Pietro diceva: “Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense” (At. 6,2), non volendo sacrificare la predicazione per un servizio esterno di carità, tanto meno egli avrebbe sacrificato la preghiera, che anteponeva alla predicazione, ad ogni altra cosa come ne fanno testimonianza le parole già citate: “Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (At. 6,4). Secondo San Pietro il Ministero consisteva innanzitutto nella preghiera, e, dopo nella predicazione; l’amministrazione dei sacramenti veniva dopo come una cosa secondaria. Una parte per così dire materiale che spesso gli Apostoli lasciavano ai diaconi per il battesimo e ai presbiteri per il battesimo e per gli altri sacramenti.
San Paolo pur avendo convertito numerosi abitanti di Corinto, in Corinto battezzo soltanto pochissime persone perché la massa dei fedeli era già stata battezzata da Apollo e da Cefa; ed egli dice chiaramente che nostro Signore non l’aveva inviato a battezzare, ma a predicare il Vangelo: “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo” (1 Cor. 1,17). Ciò è di basilare importanza tanto più che oggi le idee sono diametralmente all’opposto di quelle degli Apostoli: i vescovi e i sacerdoti dopo aver somministrato i sacramenti credono volentieri di aver compiuto il loro ministero, mentre ne hanno compiuto soltanto la parte materiale, perché l’essenziale non consiste in questo.
CAPITOLO VI
SECONDA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREDICAZIONE
La predicazione della parola di Dio non è un’opera umana. La scienza per quanto grande sia e l’eloquenza per quanto potente, non sono punto la predicazione della parola di Dio.
La scienza può essere utile, ed utile l’eloquenza, ma nella predicazione della parola di Dio c’è qualcosa più della scienza e meglio dell’eloquenza. Sottolineiamo bene l’espressione “Parola di Dio”. Per parlare questa parola, bisogna averla ricevuta: e se è vero che la si riceve dalla Chiesa, non è men vero che essa diviene parola di vita grazie allo Spirito di Dio infuso in noi durante la preghiera. La parola che dobbiamo predicare deve perciò venire da Dio e deve essere annunziata dallo Spirito di Dio. Gli Apostoli hanno veramente predicato, la prima volta, nel giorno della Pentecoste: “Furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare…” (At. 2,4). Vi è perciò una distanza infinita tra il nostro insegnamento e gli insegnamenti umani. Gli uomini annunziano la parola dell’uomo, noi la parola di Dio: gli uomini parlano col loro spirito, noi abbiamo lo spirito di Dio: gli uomini intendono far nascere la scienza nei loro uditori, noi la fede. Quale differenza!
Ora, come per generare la scienza bisogna possedere la scienza, allo stesso modo per generare la fede nelle anime bisogna essere già se stessi penetrati dalla fede. La parola che noi annunciamo dev’essere la stessa parola della fede: “Verbum Fidei”, dice San Paolo (Rom. 10,8), “Fides ex auditu” (Rom. 10,17).
Pertanto, noi non siamo dei professori di religione, ma i mezzi di Dio per far penetrare la fede nelle anime: “Come se Dio esortasse per mezzo nostro”, dice ancora San Paolo ( 2 Cor. 5,20). perciò oltre il chiedere a Dio con la preghiera che la nostra parola sia veramente la sua parola; dobbiamo essere ricolmi dello Spirito di Dio per annunciare la divina parola, sapendo poi che in questo formidabile ministero facciamo un’opera eminentemente divina per cui ci occorre essere umili, oranti e supplichevoli, spogli di noi stessi, e in qualche modo di tutta la nostra umanità se vogliamo che l’opera nostra sia veramente l’opera di Dio che faccia nascere la fede nei nostri uditori: “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv. 6,29).
CAPITOLO VII
TERZA FUNZIONE DEL MINISTERO: I SACRAMENTI
Dopo aver pregato e parlato, l’uomo di Dio, “Homo Dei” (1 Tm. 6,11), vedendo la fede ormai nata nell’anima degli ascoltatori e operarvi le opere necessarie alla giustificazione, darà i sacramenti.
I sacramenti che elargiscono tanta grazia, non danno pero le disposizioni necessarie per riceverli. Ecco un punto capitale nella dottrina cristiana: e ciò dimostra quanto si sbagliano coloro che credono che tutto è salvo quando si sono ricevuti i sacramenti.
I sacramenti sono dei segni sensibili della grazia invisibile; e il sacerdote che amministra i sacramenti, pur stando attento al rito esterno, deve applicarsi interiormente a chiedere la grazia interiore: egli deve entrare in comunione con Dio che dà la grazia, con Nostro Signore Gesù Cristo che l’ha meritata e con l’anima che la riceve.
Nella religione non c’è nulla che sia soltanto esteriorità. Dio è spirito, e in tutto ciò che viene da lui, come tutto ciò che a lui va, dev’essere spirito.
Noi siamo anima e corpo: Nostro Signore è Dio e uomo; i sacramenti hanno forma e materia: tutto questo in armonia l’un con l’altro. Si turberebbe quest’armonia dimenticando od omettendo nella nostra religione quanto Dio volle che vi fosse conservato.
L’uomo che dimenticasse la sua anima per non veder altro che il suo corpo; chi in nostro Signore vedesse soltanto l’umanità, imitando per così dire gli antichi Antropomorfiti; il sacerdote, che nei sacramenti non vedesse altro che il rito esterno, sarebbero fuori dalla verità. Ora, soltanto la verità salva: “La verità vi farà liberi” (Gv. 8,32).
CAPITOLO VIII
IL MINISTERO È UN MISTERO INTERIORE
Benché nel ministero ci siano diversi elementi esterni, tuttavia risponde a verità l’affermare che, preso nel suo insieme, il ministero è cosa interiore. Infatti, chiedere la grazia, concorrere al suo stabilirsi nelle anime, a conservarvisi e a farla sviluppare non è forse l’essenziale e il tutto del ministero? Chi non vede che tutte queste cose sono fatti interiori? E perché è così, come d’altronde non se ne può dubitare, si comprende sempre più chiaramente quant’è profonda l’affermazione del principe degli Apostoli che dice: “Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (At. 6,4). Egli pone in primo luogo la preghiera: perché il ministero, che agisce sugli uomini, manifesta la sua efficacia nella misura con la quale il ministero è entrato in comunicazione con Dio per mezzo della preghiera. Dio solo dà senza aver ricevuto, perché, essendo Dio, ha in se stesso ogni bene: noi che non siamo Dio, non possiamo dare se non dopo che abbiamo ricevuto. E quando si tratta dei mezzi di santificazione delle anime da chi li potremo ricevere se non da Dio; e come Dio ce li darà con la loro piena efficacia se noi non lo preghiamo, con umiltà, con fiducia e con perseveranza?
Quanto sono ammirevoli sotto quest’aspetto gli antichi missionarî benedettini nostri Padri! Quando arrivavano in un paese idolatra vi cercavano un luogo solitario e un sito inaccessibile dove si mettevano in preghiera, lottavano con i demoni, con le fiere; si costruivano una capanna di legno, cantando i salmi nelle ore canoniche del giorno e della notte… “Nos vero orationi instantes erimus”. Quando poi avevano pregato, spesse volte per anni, andavano da loro contadini e pastori, domandavano chi erano, che cosa facevano e da lì alle prime lezioni di catechismo non c’era che un passo e col tempo i catecumeni… “Orationi et ministerio Verbi instantes erimus”.
Poi sorgeva una comunità cristiana: poteva venire la persecuzione, ma era vinta e la fede trionfante piantata nelle anime perché tutto fluiva da un principio interiore: la preghiera, l’unione con Dio. In questa unione e in questa incessante comunione con Dio i cristiani ricevevano le grazie di luce e di conversione per le anime; e il ministero era benedetto da Dio.