Il celibato ecclesiastico (III)

III. IL CELIBATO NELLA DISCIPLINA DELLE CHIESE DI ORIENTE

Di fronte ad un atteggiamento ritenuto sin dall’inizio più liberale si è mosso il rimprovero alla Chiesa Latina di essere diventata sempre più stretta e severa nella sua disciplina celibataria. Quale prova di questa asserzione ci si appella alla prassi della Chiesa Orientale che avrebbe conservato l’originale disciplina generale della Chiesa Primitiva. Per questo motivo anche la Chiesa Latina dovrebbe tornare alla disciplina originale soprattutto di fronte al grave peso che il celibato costituisce oggi per la situazione pastorale nella Chiesa Universale.

La risposta a questa affermazione e alla rispettiva proposta dipende dalla verità o meno dell’affermata condizione nella Chiesa primitiva. Il risultato del nostro esame storico della reale prassi celibataria occidentale suscita fondati dubbi sulla pretesa esattezza di tale opinione. Dobbiamo perciò arrivare ad una chiarificazione dello sviluppo vero del celibato nella Chiesa Orientale, cosa che cercheremo di fare in questa quarta parte della nostra esposizione.


1. La testimonianza di Epifanio di Salamina

Nella sua difesa dell’origine apostolica del celibato C. Bickell si è appellato soprattutto a testimonianze orientali. Non possiamo ora, seguendo la storia celibataria dell’Oriente nelle grandi linee, esaminare tutte le testimonianze esistenti. Ma da quanto si è detto e da ciò che qui vogliamo ancora aggiungere, potrebbe risultare un quadro accettabile della vera situazione in quella Chiesa.


Un testimone importante è il vescovo Epifanio di Salamina, più tardi chiamata Constantia, nell’isola di Cipro (315-403). Egli è ben noto quale conoscitore e difensore dell’ortodossia e della tradizione della Chiesa, che durante la sua lunga vita di 86 anni, che abbracciano quasi tutto il secolo IV, aveva potuto conoscere assai bene. Anche se sotto alcuni aspetti, soprattutto nelle lotte delle idee, come per esempio nella questione di Origene, ha dimostrato uno zelo meno illuminato, le sue testimonianze su fatti e condizioni del suo tempo soprattutto riguardanti la disciplina della Chiesa non si possono facilmente mettere in dubbio.


Circa la questione del celibato, ossia della continenza dei ministri sacri, ci dà un tipico racconto dei fatti: nella sua opera principale, chiamata Panarion, scritta nella seconda metà del secolo IV, egli dice che il Dio del mondo ha mostrato il carisma del sacerdozio nuovo per mezzo di uomini i quali hanno rinunciato all’uso dell’unico matrimonio contratto prima dell’ordinazione, o che hanno vissuto da sempre come vergini. Ciò è, dice, la norma stabilita dagli apostoli in sapienza e santità.


Ma ancora più importante è la constatazione che fa nella “Espositio fidei” aggiunta all’opera principale. La Chiesa, dice, ammette al ministero episcopale e sacerdotale nonché a quello diaconale soltanto coloro che rinunciano, in continenza, alla propria sposa o che sono diventati vedovi. Così almeno, continua, si agisce là dove vengono osservate fedelmente le disposizioni della Chiesa. Si può pero anche costatare che in vari luoghi i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi continuano a generare figli. Ciò però non avviene in conformità con la norma vigente, ma è una conseguenza della debolezza umana che segue sempre ciò che è più facile. E più avanti spiega ancora una volta che i sacerdoti vengono scelti soprattutto tra coloro che sono celibi o monaci. Se tra di loro non si trovano candidati a sufficienza, verrebbero presi anche tra gli sposati, i quali pero hanno rinunciato all’uso del matrimonio, o tra coloro che, dopo il loro unico matrimonio, sono diventati vedovi.


Queste affermazioni di una personalità che, conoscendo molte lingue, ha viaggiato molto nel primo secolo di libertà della Chiesa nell’Oriente già diviso tra molte dottrine, sono una testimonianza sia della norma comune come anche della situazione di fatto nella prassi del celibato nella Chiesa Orientale dei primi secoli.


2. San Girolamo

Un secondo teste ci è già noto: San Girolamo è stato ordinato sacerdote nell’Asia Minore circa l’anno 379 e ha poi conosciuto nello spazio di sei anni uomini di Chiesa, comunità di monaci ed anche le dottrine e la disciplina dell’Oriente. Dopo aver dimorato per tre anni a Roma ritorno, attraverso l’Egitto, nella Palestina ove rimase fino alla morte avvenuta attorno al 420. Egli si teneva sempre in stretto e vivo contatto con la vita di tutta la Chiesa, essendosene reso capace in modo straordinario attraverso la sua familiarità con molti uomini contemporanei importanti nell’Oriente e nell’Occidente, anche grazie alla sua conoscenza estesa di molte lingue.


Le sue testimonianze esplicite sulla continenza del clero sono già state riportate nella seconda parte. Qui sia nuovamente ricordata la sua opera “Adversus Vigilantium” nella quale, contro il sacerdote della Gallia meridionale che disprezzava il celibato, si è appellato alla prassi delle Chiese dell’Oriente, dell’Egitto e della Sede Apostolica, le quali tutte accettano, afferma, solo chierici vergini, continenti e, se sposati, coloro che hanno rinunciato all’uso del matrimonio. Con ciò abbiamo una testimonianza sulla posizione ufficiale anche della Chiesa Orientale nei riguardi della continenza dei ministri sacri.


Riguardo alla legislazione dei sinodi orientali è da osservare che i concili regionali prima di Nicea, ossia quello di Ancira e Neocesarea e quello postniceno di Gangra parlano si di ministri maggiori sposati, ma non ci danno una sicura informazione sulla liceità di una vita non continente, dopo l’ordinazione sacra, che superi qualche situazione eccezionale.


Anche nei sinodi particolari delle varie Chiese scismatiche dell’Oriente, che si sono stabilite in seguito alle controversie cristologiche e nelle quali si può costatare una sicura deviazione dalla continenza nella prassi della disciplina celibataria, come nell’Occidente, troviamo piuttosto una testimonianza per l’atteggiamento ufficiale contrario all’ortodossia.


3. La questione dell’eremita Paphnuzio

Il Concilio che per il nostro tema ci deve occupare più diffusamente è il primo Concilio Ecumenico che si è tenuto a Nicea nel 325.


L’unica disposizione di questo primo sinodo della Chiesa Universale che riguarda il celibato dei ministri è il can. 3 il quale vieta ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a tutti i chierici di avere con sé nella casa delle donne che si sono introdotte di sotterfugio. L’unica eccezione fanno la madre, la sorella, la zia e altre che sono al di sopra di ogni sospetto. Ora, tra le donne alle quali è permessa la convivenza nella casa non figurano le spose. Possiamo domandarci se questo è un argomento sicuro per il fatto che tra i Padri del Concilio era viva la persuasione dell’obbligo della continenza anche perché al primo posto degli ecclesiastici soggetti al divieto di coabitazione figura il vescovo per il quale valeva sempre anche nella Chiesa Orientale la continenza dall’uso di un matrimonio precedente e che vale anche in Oriente fino ad oggi?


Per una convinzione e rispettiva situazione contraria riguardo ai sacerdoti, ai diaconi e ai suddiaconi si invoca una notizia su un eremita e vescovo del deserto nell’Egitto di nome Paphnuzio, il quale si sarebbe alzato per dissuadere i Padri dal sancire un obbligo generale di continenza. Ciò si dovrebbe lasciare, suggeriva, alla decisione delle Chiese particolari. Tale consiglio sarebbe stato accettato dall’assemblea.


Mentre il noto storiografo della Chiesa, Eusebio di Cesarea, il quale era presente come Padre Conciliare ed era anche favorevole agli Ariani, non riferisce nulla su questo episodio, certo di non poca importanza per tutta la Chiesa, sentiamo per la prima volta di questo dopo più di cento anni passati dal Concilio e ciò dai due scrittori ecclesiastici bizantini, Socrate e Sozomeno. Socrate indica come sua fonte un uomo molto vecchio che sarebbe stato presente al Concilio e che gli aveva raccontato vari episodi su fatti e personaggi di esso. Se si pensa che Socrate, nato attorno al 380, ha sentito questo racconto quando era lui stesso assai giovane da uno che nel 325 non poteva essere molto più di un bambino e non poteva essere preso quale testimone ben cosciente dei fatti del Concilio, anche la più elementare critica delle fonti deve avere seri dubbi sulla autenticità di questa narrazione che avrebbe bisogno di avalli ben più certi.


Questi dubbi sono stati effettivamente mossi già relativamente presto. Nell’Occidente, come già accennato, dal Papa Gregorio VII e da Bernoldo di Costanza. Nel tempo più recente merita attenzione il commento che Valesius, editore delle opere di Socrate e di Sozomeno, ha fatto a questa narrazione nel 1668 e che il Migne ha stampato nella sua Patrologia Greca, vol. 67. L’umanista de Valois, membro di una famiglia di dotti, dice espressamente che tale racconto su Paphnutius sarebbe sospetto perché tra i Padri del Concilio provenienti dall’Egitto non comparirebbe mai un tale vescovo. E al rispettivo passo della storia del Sozomenos ripete che la storia del Paphnutius sarebbe una favola inventata, soprattutto perché tra i Padri che hanno sottoscritto gli Atti del Concilio di Nicea non vi è nessuno che abbia questo nome. Nella traduzione latina di Cassiodoro-Epiphanio (Historia tripartita) di questo episodio si dà solo un estratto di sedici righe dalla Storia del Sozomenos.


Recentemente ha indagato su questo racconto lo studioso tedesco Friedhelm Winckelmann, ed egli viene alla conclusione, che si può considerare definitiva, che si tratta di un fatto inventato, perché la persona di Paphnuzio è stata tirata fuori solo più tardi, il suo nome appare solo nei manoscritti tardivi degli Atti del Concilio e perché scritti del IV secolo lo conoscono solo quale confessore della fede; solamente più tardi leggende agiografiche lo innalzano a taumaturgo e Padre del Concilio di Nicea.


Ma l’argomento più persuasivo contro l’autenticità di questo racconto ci sembra essere il fatto che proprio la Chiesa Orientale che avrebbe avuto il maggior interesse in esso o non ne era a conoscenza o non ha in nessun documento ufficiale fatto uso di esso, appunto perché convinta della sua falsità E lo stesso si può dire se né gli scritti polemici sul celibato dei ministri sacri né i grandi commentatori del secolo XII del Syntagma canonum adauctum, ossia del grande codice del diritto della Chiesa Orientale, definito dal Concilio Trullano del 691, che sono Aristenus, Zonaras, Balsamon, ne fanno menzione e neanche usano il racconto su Paphnuzio, benché ciò sarebbe stato assai più semplice che ricorrere a manipolazioni di testi storici ben noti, come vedremo fra poco.


Solo nel secolo XIV tale racconto appare nel Syntagma alfabeticum di Matthaeus Blastares, il quale pero sembra averlo ritenuto interessante per l’Oriente solo attraverso il Decreto di Graziano.


Nell’Occidente si è accolta tale falsificazione del tutto acriticamente, almeno nella canonistica che basava su di essa anche, almeno in parte, il riconoscimento della disciplina celibataria particolare, differente rispetto alla Chiesa Orientale. Il Concilio Trullano II nel fissare ufficialmente le regole del celibato valide per il futuro nella Chiesa Orientale non si è riferito a Paphnuzio.


4. Frammentazione del sistema disciplinare in Oriente

Con questo accenno siamo arrivati al punto centrale della storia del celibato dei ministri sacri nella Chiesa bizantina e nelle Chiese associate alla sua ubbidienza nei Riti Orientali.


Alcune considerazioni preliminari ci possono aiutare a comprenderla rettamente. Abbiamo potuto costatare in tutto lo sviluppo del celibato della Chiesa finora considerato che un impegno così gravoso, umanamente parlando, ha dovuto sempre pagare il suo tributo alla debolezza umana. Già sant’Ambrogio di Milano ne è testimone quando afferma che la pratica non corrisponde sempre al precetto soprattutto nelle regioni più remote, anche nell’Occidente. Lo stesso ci ha detto anche Epifanio di Salamina per l’Oriente. Da ciò si vede chiaramente che occorre un controllo e un sostegno costante per mantenere una tale prassi. Nell’Occidente i Concili regionali e i Papi sono sempre intervenuti per richiamare all’osservanza e per sostenerla in tutti i modi e per vigilare sull’adempimento di questo impegno assunto e necessario.


Questa cura costante è invece venuta a mancare nell’ Oriente, come tutto lascia supporre. Da una parte lo attesta la storia dei Concili regionali orientali. È vero che si può notare l’effetto benefico di un impegno comune della Chiesa Universale nei Concili Ecumenici che si sono tenuti nel primo millennio nell’Oriente. Ma un tale impegno si riferisce soprattutto alle questioni di fede e di dottrina. I problemi di disciplina e di natura pratico-pastorale si rimettono alle assemblee delle Chiese particolari non solo perché si tratta di tenere conto delle condizioni differenti nelle varie regioni, ma anche e soprattutto a causa dell’organizzazione patriarcale (Costantinopoli, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme) che dava e implicava una certa autonomia di governo, ancora assai accentuata dalla separazione di non poche Chiese particolari più o meno vittime di eresie soprattutto cristologiche che hanno turbato tutto l’Oriente. Così l’Oriente come tale non poteva più arrivare ad un’opera concordata sistematicamente nelle questioni di disciplina, neanche nelle questioni comuni di disciplina generale ecclesiastica, quale era il celibato dei ministri sacri. Ogni Chiesa particolare emanava norme proprie, spesso differenti secondo le proprie convinzioni diverse.


Mancava pero e soprattutto un’autorità generale riconosciuta come tale per tutto l’Oriente che potesse efficacemente provvedere a questo coordinamento della disciplina più generale e che potesse prendere dei provvedimenti efficaci di controllo, di vigilanza e di esecuzione.


Questa situazione si rispecchia in modo più chiaro nelle raccolte di norme della Chiesa Orientale che contengono le prescrizioni dei Concili Ecumenici e anche dei Concili particolari dei primi secoli. Ma la legislazione dei secoli successivi non veniva più accolta nella raccolta comune precedentemente formata, il Syntagma canonum. Al posto delle disposizioni Pontificie, che tanta parte avevano per concordare la disciplina generale dell’Occidente, venivano accolti brani dogli scritti dei principali Padri Orientali che erano più di natura ascetica, e le leggi imperiali in materia ecclesiastica, frutto del Cesaropapismo regnante nella Chiesa bizantina, ma che erano veramente norme vincolanti che provvedevano ancora ad una certa uniformità nei punti disciplinari da loro trattati.


Della disciplina Occidentale, sia generale che particolare, l’Oriente ha accettato, nella sua raccolta più comune di diritto ecclesiastico, solo quella della Chiesa d’Africa che era quella più nota e più vicina nonostante appartenesse all’Occidente romano: anzi, la raccolta più importante ed estesa di essa, il Codex canonum Ecclesiae Africanae oppure il Codex in causa Apiarii, per la quale l’Oriente era stato interpellato, fu inserita nel suo Syntagma.


Per la posizione e l’influsso esercitato in Oriente dagli Imperatori esistono i cosiddetti Nomocanones, raccolte nelle quali erano riunite leggi ecclesiastiche e statali in materia ecclesiastica, sull’osservanza delle quali vegliava anche l’Imperatore fin dove i territori orientali della Chiesa gli erano ancora soggetti.


Con questa situazione esistente nella Chiesa Orientale si spiega ora anche la mancanza di un’azione generale efficace contro l’immancabile cedimento nell’osservanza dell’obbligo celibatario di tutti i ministri sacri. Mentre si riusciva a mantenere quasi in tutto l’Oriente almeno per i vescovi l’antica tradizione di completa continenza, anche di coloro che erano stati sposati prima dell’ordinazione – anche perché molti furono scelti tra i monaci -, l’uso del matrimonio dei preti, dei diaconi e dei suddiaconi contratto prima dell’ordinazione, sempre più invalso, veniva lentamente giudicato non più arrestabile e meno ancora recuperabile l’obbligo della continenza completa. Ciò significa che ci si arrendeva alla situazione di fatto.


Non è da meravigliarsi se le prime leggi a sanzionare questa situazione furono le leggi imperiali, poiché, non ispirandosi certamente a considerazioni teologiche, cercavano di regolare le condizioni civili connesse con il ministero sacro. Infatti, mentre il Codice Theodosiano (a. 434) fa ancora capire che la continenza può essere salvaguardata anche se si permette alla sposa di abitare con il marito anche dopo l’ordinazione sacra, poiché l’amore alla castità non permette di metterla sulla strada ed il comportamento di lei prima dell’ordinazione del marito l’ha mostrata degna di lui, la legislazione dell’Imperatore Giustiniano I in materia ecclesiastica sia nel Codice (a. 534) che nelle Novelle (535-565) mostra già un atteggiamento diverso. Da una parte si sostiene ancora la proibizione di ammettere all’ordine sacro chi era stato sposato più di una volta e quella di sposarsi un’altra volta dopo l’ordinazione e ciò per tutti i gradi dal suddiaconato in su; ma la coabitazione con la moglie è ora permessa per i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi, affinché possano continuare l’uso del matrimonio di prima se questo era stato celebrato solo una volta e con una vergine.


5. La legislazione del II Concilio Trullano

Qual è ora la legislazione della Chiesa Orientale stessa di fronte a queste disposizioni imperiali? Come già detto, nell’Oriente esiste un’attività conciliare svolta insieme alla Chiesa Occidentale per i problemi della fede, ma non si è più arrivati ad una legislazione comune in materia disciplinare. Poiché anche il Concilio Trullano I, dell’anno 680/81, non aveva emesso disposizioni disciplinari, l’Imperatore Giustiniano II ha convocato un secondo Concilio in Trullo nell’autunno del 691 nel quale si voleva finalmente raccogliere la legislazione disciplinare della Chiesa Bizantina e decidere i necessari aggiornamenti e complementi, ivi compresa soprattutto la legalizzazione di stati di fatto già esistenti ma senza il necessario supporto normativo. Ciò si è fatto con la promulgazione di 102 canoni che si sono poi aggiunti al vecchio Syntagma che divenne così il Syntagma adauctum, l’ultimo Codice della Chiesa bizantina.


Tutta la disciplina aggiornata riguardante il celibato è stata fissata in sette canoni (3, 6, 12, 13, 26, 30, 48) in forma vincolante e con le sanzioni annesse.


Questo Concilio Trullano II o Quinisesto era un Concilio della Chiesa Bizantina, convocato e frequentato dai suoi vescovi e sostenuto dalla sua autorità che era appoggiata in modo decisivo da quella dell’Imperatore. La Chiesa Occidentale non ha inviato legati (anche se vi ha assistito l’apocrisiario, ossia il delegato permanente di Roma residente a Costantinopoli) e non ha mai riconosciuto questo Concilio come ecumenico, nonostante ripetuti tentativi e pressioni soprattutto da parte dell’Imperatore. Papa Sergio (687-701) che proveniva dalla Siria ha rifiutato il riconoscimento. Solo Giovanni VIII (872-882) ha riconosciuto le deliberazioni che non erano contrarie alla prassi Romana fin allora vigente. Ogni altro riferimento da parte dei Romani Pontefici ai canoni Trullani non potrà pretendere altro che di essere solo una presa di conoscenza con un riconoscimento più o meno esplicito di essi quale diritto particolare, tollerato, della Chiesa Orientale.


Da quali fonti derivano ora le decisioni Trullane circa la disciplina celibataria bizantina fino ad oggi vincolanti? Per potere rispondere adeguatamente a questa domanda occorre esaminare prima le singole disposizioni.


Can. 3: decide che tutti coloro che dopo il battesimo hanno contratto un secondo matrimonio o abbiano vissuto in concubinato come anche coloro che avevano sposato una vedova, una divorziata, una prostituta, una schiava o un’attrice non possono diventare né vescovi, né sacerdoti, né diaconi.


Can. 6: dispone che ai sacerdoti e ai diaconi non è lecito contrarre un matrimonio dopo l’ordinazione.


Can. 12: ordina che i vescovi non possono, dopo la loro ordinazione, coabitare con le loro mogli e perciò non possono più usare il matrimonio.


Can. 13: stabilisce che, contrariamente alla prassi romana che proibisce l’uso del matrimonio, i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi, nella Chiesa Orientale possono, in forza di antiche prescrizioni apostoliche, per la perfezione e il retto ordine convivere con le loro spose e usare il matrimonio eccetto nei tempi in cui prestano il servizio all’altare e celebrano i sacri misteri dovendo essere per questo tempo continenti. Ciò sarebbe stato detto dai Padri radunati in Cartagine: “Sacerdoti, diaconi e suddiaconi devono essere continenti nel tempo del loro servizio all’altare, affinché ciò che è stato tramandato dagli apostoli ed osservato da tempi antichi anche noi custodiamo, destinando il tempo a tutto, specialmente alla preghiera e al digiuno: coloro che dunque prestano servizio all’altare divino devono essere in tutto continenti nel tempo dei loro servizi sacri, affinché possano ottenere ciò che chiedono a Dio in tutta semplicità”. Chi dunque osa privare, oltre i canoni apostolici, i ministri in sacris cioè sacerdoti, diaconi e suddiaconi dell’unione e comunione con le legittime mogli, deve essere deposto come anche colui che, sotto il pretesto di pietà, manda via sua moglie e insiste nella separazione.


Can. 26: decreta che un sacerdote che per ignoranza ha contratto un matrimonio illecito debba accontentarsi della sua prima posizione ma deve astenersi da ogni ministero sacerdotale. Un tale matrimonio deve essere disciolto e ogni comunione con questa sposa è proibita.


Can. 30: permette che coloro che col reciproco consenso vogliono vivere continenti non devono vivere insieme; ciò vale anche per i sacerdoti che dimorano in paesi barbari (come tali si intendono i sacerdoti che vivono nella Chiesa Occidentale). Questo impegno assunto è però una dispensa che si accorda ai detti sacerdoti solo per la loro pusillanimità e per i costumi da cui sono circondati.


Can. 48: comanda che la sposa del vescovo, che dietro reciproco consenso è separata, deve entrare in un monastero dopo l’ordinazione di lui ed essere mantenuta dal vescovo. Ma essa può essere anche promossa diaconessa.


Da queste disposizioni conciliari risulta quanto segue: I’Oriente conosce bene la prassi celibataria dell’Occidente. Si appella per la propria prassi differente, come l’Occidente, alla tradizione che risalirebbe fino agli apostoli. Infatti la Chiesa bizantina concorda anche nella legislazione Trullana con la Chiesa Latina nei punti seguenti, per i quali si richiama come l’Occidente alla Sacra Scrittura del Nuovo Testamento: il matrimonio contratto prima della sacra ordinazione deve essere stato solo uno e non con una vedova o con altre donne che la legge esclude. Un primo o successivo matrimonio dopo l’ordinazione ricevuta non è lecito. I vescovi non possono più avere convivenza matrimoniale con la sposa, ma devono vivere in piena continenza e perciò le loro mogli non possono più abitare con loro, devono pero essere mantenute dalla Chiesa. L’Oriente esige in più l’ingresso in un monastero o l’ordinazione a diaconessa.


La differenza sostanziale della prassi della Chiesa Orientale riguarda solo i gradi di ordine sacro al di sotto del vescovo. Per questi l’astensione dall’uso del matrimonio si esige solo durante il tempo del servizio effettivo all’altare, il quale allora era limitato nell’Oriente alla domenica o ad altro giorno ancora della settimana.


Ci troviamo qui dunque di fronte ad un ritorno alla prassi vigente nell’Antico Testamento che la Chiesa antica ha sempre esplicitamente rifiutato con chiare ragioni. Qui invece la convivenza e l’uso del matrimonio durante il tempo libero dal servizio diretto non solo vengono difese con grande risolutezza ma ogni atteggiamento contrario viene punito con gravissime sanzioni. L’eccezione comprensibile per i sacerdoti viventi nelle regioni della Chiesa Latina è dichiarata una dispensa che viene concessa solo a causa di una evidente debolezza umana degli stessi sacerdoti e delle difficoltà provenienti dall’ambiente tra le quali è certamente il fatto della generale prassi di continenza del clero occidentale.


6. Motivazioni della nuova disciplina adottata: il cambiamento dei testi

Una motivazione della differenza tra le due posizioni i Padri del Trullano II non potevano trovarla nei loro documenti. All’Antico Testamento non volevano probabilmente appellarsi perché, come abbiamo già visto, nelle argomentazioni occidentali e soprattutto nelle disposizioni dei Romani Pontefici a favore della continenza completa, questo parallelismo veniva esplicitamente respinto come non più adeguato al sacerdozio del Nuovo Testamento e con ragioni convincenti. Tanto meno ci si voleva riferire alla legislazione imperiale, la quale aveva già anticipato le decisioni ecclesiastiche di fronte alla situazione formatasi probabilmente già in maniera generale.


Siccome a Costantinopoli ci si rendeva conto della falsità del racconto Paphnuziano non rimaneva altro che risalire a testimonianze dell’antichità cristiana che non provenivano dalla Chiesa Costantinopolitana ma da una Chiesa a lei vicina di cui si erano accolte perfino nel proprio Codice Generale i canoni disciplinari. Lo erano i canoni del Codice Africano i quali trattavano anche espressamente della continenza clericale e ciò in più con un riferimento diretto agli apostoli e alla tradizione antica della Chiesa.


Poiché questi canoni affermavano la stessa disciplina, quella cioè della continenza completa, per i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, il testo autentico dei canoni africani doveva essere modificato. Ciò era cosa tanto meno pericolosa in quanto in Oriente dawero pochi potevano controllare il latino genuino del testo originale.


Così le parole del can. 3 di Cartagine gradus isti tres… episcopos, prestyteros et diaconos… continentes in omnibus sono stati sostituiti nel canone 13 del Trullano con suhdtaconi… dtaconi et prestyteri secundum eusdem rationes a consorti1hus se alistineant ove queste eusdem rationes rappresentavano i cambiamenti introdotti dai Padri Trullani, opposte a quelle del testo originale di Cartagine.


Ma in tutti questi testi documentatamente manipolati si conserva, anzi, si cerca il riferimento agli apostoli e alla Chiesa antica per dare, attraverso queste autorevoli testimonianze, al celibato bizantino e dell’Oriente lo stesso fondamento che aveva la tradizione Occidentale, da essa espressamente indicato a Cartagine ed anche altrove.


Che cosa dobbiamo dire di fronte a questo procedimento Trullano? I Padri Orientali si sentivano senza dubbio autorizzati a decretare delle disposizioni particolari per la Chiesa Bizantina poiché essi avevano da tempo insistito sulla loro autonomia giuridica nel campo dell’amministrazione e della disciplina: si sentivano legati solo in questioni dottrinali da decisioni della Chiesa Universale prese nei Concili Ecumenici nei quali avevano preso parte anche loro. Si può dunque riconoscere ai Padri, che si erano presi cura delle norme che dovevano avere valore generale nella loro Chiesa, anche il diritto di tenere conto della situazione di fatto nella questione del celibato dei sacri ministri, di fronte alla quale non vedevano la possibilità di una riforma fruttuosa. Se ciò era possibile in un campo nel quale come in materia di celibato era interessata la Chiesa Universale è un’altra questione.


Possiamo pero senza dubbio negarlo per il metodo, il farlo, cioè, con una manipolazione dei testi che trasforma la verità nel contrario.


Per la Chiesa Cattolica dell’Occidente questo atteggiamento dei Padri Trullani può considerarsi un’altra prova non indifferente per la propria tradizione celibataria che si richiama agli apostoli e si basa realmente su una coscienza comune di tutta la Chiesa Universale antica, per cui risulta vera e giusta.


Dobbiamo ancora domandarci che cosa dice la storia su questo cambiamento dei testi per ottenere una base su cui poggiare gli obblighi nuovi e finora definitivi del celibato nelle Chiese Orientali. I commenti dei propri canonisti della Chiesa Bizantina a questa lettura dei canoni Africani fanno capire che essi, dal secolo XIV in poi, come per esempio quello di Matthaeus Blastares, avevano i loro dubbi sulla esattezza dei riferimenti ai testi Africani da parte dei Padri del Concilio Trullano II e che conoscevano il testo autentico originale. Gli interpreti moderni delle disposizioni celibatarie Trullane ammettono l’inesattezza del riferimento ma dicono nello stesso tempo che il Concilio aveva l’autorità di cambiare qualsiasi legge disciplinare per la Chiesa Bizantina e di adattarla alle condizioni del tempo. Usando quest’autorità, potevano anche cambiare il senso originale dei testi per farli concordare con il parere e la volontà del proprio Concilio. Ma non era, di sicuro, oggettivamente lecito alterare l’originale attribuendogli una autenticità falsa.


La storiografia dell’Occidente ha già da tempo riconosciuto ed almeno dal secolo XVI anche manifestato per iscritto la manipolazione operata dal Concilio Trullano II riguardo ai testi Africani in materia della continenza dei ministri sacri. Accenno solo al Baronio. e soprattutto agli editori delle varie raccolte dei testi conciliari di cui il principale è J.D. Mansi.


Ci resta ancora da accennare alle tracce della disciplina celibataria genuina antica che si trovano fino ad oggi nella stessa nuova disciplina Trullana: la costante preoccupazione della Chiesa riguardo al pericolo grave e continuo che costituisce per i ministri sacri e per la loro continenza la coabitazione con donne che non sono superiori ad ogni sospetto. Dopo il già citato can. 3 del Concilio di Nicea del 325, gli stessi canoni Trullani sopra esaminati se ne occupano ripetutamente. Una tale preoccupazione si spiega solo con le provvidenze generali per salvaguardare la castità e la continenza di ministri sacri in tutte e due le Chiese.


Il fatto di aver conservato per i vescovi della Chiesa Orientale la stessa disciplina severa di continenza che è stata sempre praticata in tutta la Chiesa si può considerare nella legislazione Trullana come il residuo di una tradizione che ha sempre unito tutti i gradi dell’ordine sacro nel medesimo obbligo di continenza completa.


Non si comprende inoltre perché anche nella Chiesa Orientale si conservano con rigore le condizioni per l’unico matrimonio ammesso fra i candidati sposati al sacro ordine. Come si è già visto in parte e come si vedrà ancora più dettagliatamente, queste condizioni hanno solo un significato ragionevole in vista di un impegno definitivo alla continenza completa.


È per di più poco comprensibile il divieto assoluto di ogni primo ed ulteriore matrimonio dopo l’ordinazione sacra, che viene mantenuto anche dopo che ai ministri sacri dal sacerdote in giù è lecito l’uso del matrimonio.


Per quello che concerne poi le innovazioni ufficialmente introdotte dal Trullano nella continenza clericale, le quali riconducono il concetto neotestamentario del ministro sacro al concetto levitico dell’Antico Testamento ci dobbiamo domandare come ciò si poteva continuare a fare dopo che anche nella Chiesa Orientale il ministero effettivo dell’altare si è esteso a tutti i giorni. Stando alle ragioni addotte per l’uso matrimoniale dei sacerdoti si sarebbe dovuto ritornare alla continenza completa come veniva praticata in Occidente anche in ossequio alle disposizioni delle stesso Concilio Trullano per sacerdoti, diaconi e suddiaconi. Ma ciò non si è fatto in nessun posto cosicché il servizio all’altare e il ministero del Santo Sacrificio sono stati disgiunti dalla continenza, benché siano stati sempre uniti ad essa, dato che venivano considerati la sua più intima ragione.


Nelle Chiese particolari unite alla Bizantina che avevano accettato la disciplina Trullana, non è intervenuto nessun cambiamento nella prassi del celibato dei ministri sacri nei secoli seguenti. Alle Comunità Orientali unitesi a Roma è stato concesso da Roma di continuare nella loro tradizione celibataria differente. Ma al ritorno dogli Uniati alla prassi latina di completa continenza non solo non ci si è opposti ma la si è accettata positivamente e favorevolmente. Il riconoscimento della disciplina diversa, concesso dalle autorità centrali di Roma può essere preso come nobile rispetto ma difficilmente come approvazione ufficiale del cambiamento dell’antica disciplina di continenza.


Questo parere sembra sostenuto dalla reazione ufficiale che la Santa Sede ha avuto di fronte al Concilio Trullano II come è stato brevemente detto sopra.